SCHEDA
IL CASO SAGGIORO
Maurizio Saggioro viene assunto il 23/3/79 in qualita' di attrezzista dalla ditta "Metalli Pressati Rinaldi" (MPR).
Il 19/1/81 riceve l'incarico di fabbricare un pezzo che non gli era mai capitato prima: un dado di una mina. Sospende il lavoro e chiede spiegazioni al capo reparto. Interviene il direttore dell'azienda. Saggioro chiede di essere assegnato ad altra mansione. La risposta e' negativa. Alla fine di gennaio riceve una lettera di contestazione dell'infrazione, ai sensi dell'accordo collettivo di lavoro. Tiene un colloquio con il responsabile della produzione alla presenza di due rappresentanti sindacali aziendali. Saggioro riconferma la
sua disponibilita' a svolgere un altro lavoro che non sia legato alla produzione bellica. Afferma chiaramente di non voler boicottare l'attivita' aziendale. Il 3/2/81 viene sospeso dal lavoro per due giorni. Rientrato in fabbrica gli viene di nuovo affidata la produzione di uno stampo per un "dado" per mina che egli si rifiuta di fabbricare. Ottiene di svolgere un'altra
mansione.
Il 29/5/81 riceve l'incarico di costruire uno stampo per la fabbricazione di un "contatto per un congegno da sparo". Si rifiuta di costruirlo e chiede spiegazioni al responsabile della produzione. Viene considerata un'infrazione e subisce la sospensione dal lavoro per tre giorni. A questo punto Maurizio
Saggioro scrive all'azienda una lettera chiedendo che venga rispettata la sua scelta di non fabbricare pezzi bellici. Ma la risposta e' negativa. Saggioro rilascia alcune interviste a giornalisti. Vengono pubblicate dall'"Avvenire"(1/11/81), "Il Giorno" (5/11/81), "Il Manifesto" (6/11/81) e "Il Sabato" (7 e
13/11/81). Il 12/11/81 la ditta gli fa recapitare tramite un ufficiale giudiziario una lettera in cui lo si accusa di aver montato una "campagna di stampa pericolosamente denigratoria" verso l'azienda e gli vengono contestate inadempienze contrattuali. Lo si avverte che il suo rapporto di lavoro non puo' proseguire e viene sospeso cautelativamente per altri cinque giorni in attesa delle sue giustificazioni, facendogli presente che la ditta si riserva di prendere i "provvedimenti del caso, a cominciare dal licenziamento". Pochi
giorni dopo Saggioro risponde con una lettera nella quale contesta le affermazioni della ditta e comunica che avrebbe ripreso il servizio. Il 23/11/81 rientra in fabbrica: ma trova la lettera di licenziamento.
Saggioro presenta ricorso alla Pretura di Milano. Respinto (1) in data 25/12/81. Nell'appello successivo e in successivi ricorsi Saggioro vede respinta l'istanza di riconoscimento della propria "obiezione di coscienza" al lavoro bellico: il suo comportamento e' considerato causa di risoluzione del rapporto di lavoro per "inadempimento contrattuale" (2).
Nel novembre del 1981 il Partito Radicale presenta in entrambe le Camere una proposta di legge per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza alla produzione bellica.
"Attualmente Saggioro - dice Giorgio Giannini in un suo libro del 1985 - svolge attivita' professionale in proprio, come falegname, ed e' attivamente impegnato nella pubblicizzazione dell'obiezione professionale."
Note
(1) "Poiche' manca nel nostro ordinamento una norma che consenta di dedurre le proprie convinzioni religiose, morali, politiche o sindacali come causa di esonero dall'obbligo di effettuare la prestazione lavorativa, il rifiuto equivale ad inadempimento... anche se basato su convinzioni morali degne di considerazione".
Piu' avanti si afferma, dopo aver riconosciuto che "non costituisce reato fabbricare armi", che la campagna di stampa provocata da Saggioro, dato che "larga parte dell'opinione pubblica giudica i fabbricanti di armi come persone di scarsa sensibilita'", ha provocato alla ditta "grave nocumento morale e materiale".
(2) Saggioro "all'atto dell'assunzione, ne' chiese garanzie circa la inesistenza di produzione bellica in azienda, ne' ottenne o comunque chiese un impegno della societa' a non essere adibito ad eventuale produzione di tale tipo", sentenzia il 25/2782 il Pretore. L'iter dei vari ricorsi ha un epilogo negativo. La decima sezione del Tribunale civile respinge l'ultimo ricorso in data 12/1/83 e - pur riconoscendo che l'articolo 41 comma 2 della Costituzione recita "l'iniziativa economica privata non puo' svolgersi in modo da arrecare danno alla dignita' umana" - osserva che il Saggioro "ha invocato il rispetto degli indicati diritti fondamentali del tutto a sproposito, con estrema precipitazione" e che il "dado" applicabile alla mina "si presentava di per se' innocuo e per cosi' dire neutrale; esso poteva trovare l'utilizzazione piu'
disparata e varia e tutta di tipo pacifico". Gli viene cioe' contestato che il "dado" poteva non essere destinato alla mina e che il Saggioro aveva dedotto arbitrariamente cio' per aver letto sulla fotocopia del disegno da eseguire le parole "dado" e "mina". Tuttavia si riconosce che sussiste - in base al dettato
costituzionale - "un preciso obbligo del datore di lavoro di utilizzare il dipendente obiettore in modo da consentire lo svolgimento dell'attivita' lavorativa ed insieme di non arrecare pregiudizio alla sua dignita' e al suo patrimonio di convinzioni morali", argomentando cosi' in modo differente rispetto alla sentenza su citata del 25/12/81.
Fonte: "L'obiezione di coscienza", di Giorgio Giannini, Satyagraha Editrice, 1985. Il testo e' stato riassunto e adattato.