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Sergio Turone

 

Ai primi di novembre è drammaticamente scomparso Sergio Turone, giornalista, storico, poi anche docente e pubblico amministratore, militante democratico di antica e sicura fede socialista, di quel socialismo di matrice ottocentesca, che mescolava insieme fonti e tradizioni eterogenee e fin dicotomiche, a nessuna volendo rinunciare per empito di generosità, convinto che contro l’ingiustizia tutti i buoni avessero a federarsi, tutti gli oppressi avessero a levarsi uniti: azionista e repubblicano, radicale e anticlericale, memore e conciliatore di Rousseau e di Voltaire, marxista e bakuniniano, Carlo Pisacane e Pietro Gori, Felice Cavallotti e Carlo Cafiero, Mazzini e Garibaldi, Victor Hugo, anche.

Turone si apparteneva a quella sinistra inquieta, antidogmatica, antiautoritaria, forse fin troppo empirista, anche disillusa dopo tante vicende ed errori ed orrori, ma mai cinica, mai spenta, sempre pronta alla prossima battaglia, sempre pronta a gettarsi nella mischia per ogni causa giusta, con tutto il proprio candore, con tutta la propria fragilità, con tutta la propria amarezza, e -anche- con tutta la propria voglia di vivere. Mai al di sotto delle parti.

Era così privo di sotterfugi Sergio Turone, che anche quando non si condivideva quel che diceva, anche quando palesemente s’illudeva, anche quando il suo loicizzare lo ingannava, anche quando il realismo e l’entusiasmo nativi, sorgivi, si componevano in lui in soluzioni evidentemente deboli, incrinate, fallaci, che non avrebbero resistito all’urto, che intimamente cedevano, ebbene, anche allora, quando si doveva dissentire e contrapporsi, non si poteva non apprezzarne la voglia di fare, l’impegno, la disponibilità a mettersi alla stanga: l’alta febbre del fare, di cui dice Ingrao, ad altri pensando tragitti.

Era impossibile non volergli bene, anche per chi, come noi che scriviamo, viene da un’altra sinistra, quella veterotestamentaria, rigorista fino alla pietrificazione, quella di Franco Fortini, per risolverla in un nome.

Ha scritto una storia del sindacato in Italia che resta tra le poche cose che in questo ambito di ricerca non siano mera pubblicistica; ma soprattutto ha scritto, negli anni in cui trionfava l’intreccio politico-affaristico, in cui mafia e P2 e regime della corruzione imperversavano senza che si vedesse una resistenza più che testimoniale, in cui Craxi e Andreotti erano portati sugli scudi, alcuni libri che davvero erano -con pochi altri, di pochissimi altri autori- l’abbecedario della coscienza civile contro la politica corrotta e mafiosa, contro il regime degli assassini, il regime che ancora perdura: quei libri da leggere ancora, ancor oggi utili strumenti, d’informazione, di formazione: Corrotti e corruttori dall’Unità d’Italia alla P2, Partiti e mafia dalla P2 alla droga; poi rifusi in Politica ladra, tutti presso Laterza.

Noi abbiamo una motivazione particolare per ricordarlo: ci fu vicino nelle nostre lotte contro la penetrazione mafiosa nel viterbese, contro il regime della corruzione nel viterbese, contro il sistema di potere andreottiano nel viterbese; e contro la violazione della legalità, per la pace e il diritto, per la verità e la giustizia (parole così grosse, concetti così densi, che si può farne pronunzia solo attenuando la voce con un sorriso di malinconia). Molti ci aiutarono con la loro parola ed il braccio (e l’affetto, che non conta di meno) negli anni in cui solo questo giornale, in cui solo un pugno di persone in questa città si batteva contro il potere andreottiano, contro la penetrazione dei poteri criminali; tra questi che avemmo spiriti adiutori, e conforto e sprone, persone di grande valore che non più sono e alle quali fedeli vogliamo restare: Rosanna Benzi, padre Balducci, Giovanni Michelucci, Franco Fortini, Alex Langer, e sono solo i primi nomi che ci vengono in mente; anche Sergio Turone, anche lui ci ha lasciato.

Ci mancherà, mancherà a molti la sua parola ironica e affabile, la sua generosità e finanche la sua guasconeria da moschettiere dumasiano.

Peppe Sini

 

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