Da: "Nello Margiotta" A: Oggetto: Venezuela,tra violenza e petrolio Data: lunedì 9 dicembre 2002 19.03 CHAVEZ: NON MOLLO http://www.ilmattino.it/ FRANCESCO ROMANETTI «In fondo non pensano a Chavez, ma all'industria petrolifera». Parola di Hugo Chavez, presidente di un Venezuela che rischia di scivolare verso la guerra civile e dove torna a incombere lo spettro di un golpe. Chavez - dice Chavez - è un pretesto. La posta in gioco è altra. Il presidente «bolivariano» ha ieri ribadito che non intende cedere alle pressioni della piazza (che conta - ha detto - «su connessioni esterne») ed ha decapitato mezzo vertice della Pdvsa, l'azienda petrolifera di Stato. Ma, a ben vedere, la posta in gioco va anche al di là del pur strategico petrolio venezuelano (2,2 milioni di barili al giorno, nel Paese che è il quinto esportatore mondiale e dove attingono per il 12,5% del loro fabbisogno i potenti vicini statunitensi). Se sono le strade di Caracas che in questi giorni tornano a tingersi di sangue, il drammatico braccio di ferro in corso in Venezuela segna anche il punto alto di un duro e decisivo conflitto che attraversa tutta l'America Latina. Lo scontro è sul neoliberismo e sul sistema di potere e di alleanze internazionali che per circa un ventennio ne è stato il corollario. Da questo punto di vista, è senza dubbio la vittoria elettorale in Brasile della sinistra «no-global» di Lula da Silva che ha aperto scenari indediti nel subcontinente latinoamericano, indicando la possibilità di un' alternativa reale al modello neoliberista. Fatti i dovuti distinguo, l'affermarsi delle leadership di Chavez in Venezuela nel 2000, di Lula in Brasile nel novembre scorso e qualche settimana dopo in Ecuador di Lucio Gutierrez (l'ex colonnello che già due anni fa aveva guidato un tentativo insurrezionale, appoggiato dalle comunità indigene, da settori dell'esercito e anche della Chiesa locale) traggono origine da uno stesso fallimento sociale e politico. Le due successive «decadas perdidas», decenni perduti, hanno segnato pressocché tutta l' America Latina, che ha conosciuto aumento della povertà, disoccupazione e decomposizione delle garanzie sociali. Ma la critica del neoliberismo non corrisponde al suo superamento. In questo senso il conflitto in atto in Venezuela va oltre Chavez ed ha a che fare con la ridefinizione di blocchi e alleanze sociali. Non a caso il golpe che nell 'aprile scorso esautorò Hugo Chavez per sole 48 ore venne attuato quando il presidente annunciò che stava per attuare due riforme dal contenuto davvero rivoluzionario: la riforma agraria e la nazionalizzazione di ampi settori dell'industria petrolifera. Né è un caso che l'unico governo al mondo che riconobbe la giunta golpista (formata dai vertici della Confindustria e da settori delle forze armate) furono gli Stati Uniti di George Bush. In realtà nel magma latinoamericano un ruolo decisivo continuano a svolgerlo gli Stati Uniti, che avvertono il rischio di perdere influenza nell'area che continuano a considerare il loro «cortile di casa». Se il primo ospite straniero cui rese visita Bush dopo la sua elezione alla presidenza fu Vicente Fox, presidente messicano ultraliberista, ora gli Usa rischiano di avere a che fare con interlocutori sempre meno disposti ad accettare la versione statunitense dell'Alca (l'area di libero scambio delle Americhe), la dollarizzazione dell'economia (attuata in Ecuador dai predecessori di Gutierrez e ampiamente sperimentata nell'Argentina di Menem) e, in fin dei conti, un rapporto di tradizionale dipendenza. All'indomani della vittoria di Lula in Brasile, negli Stati Uniti ci fu persino chi scrisse che stava sorgendo un nuovo «asse del male» in America Latina, che andrebbe da Lula a Chavez, per arrivare attraverso Gutierrez al solito Fidel Castro. Un teorema che negli Usa del dopo 11 settembre potrebbe anche affermarsi. ************************************************** Nello change the world before the world changes you because another world is possible