Lunedì 10 aprile 2000
Riunione Cattolica "E.Torricelli"
via Castellani, 25 - Faenza (Ra)



COME CAMBIA LA GUERRA

DAI BALCANI, AL CAUCASO ALL'AFRICA
IL BILANCIO DI UN DECENNIO DI BARBARIE
PER RILANCIARE LA LOTTA ALLA PACE



Relatore: Achille Lodovisi
collaboratore dell'Osservatorio Regionale sull'industria militare

Parla Lodovisi:

Grazie a chi mi ha invitato. In origine l'invito era per commentare laproiezione di un documentario famoso che si intitola "La sindrome del Golfo" ma poi su proposta mia che è stata benevolmente accolta dagli organizzatori, si èdeciso di proiettare questa sera un filmato che vedrete tra poco il cui autore è uncineasta tedesco che si chiama Sasha Adamek. E' un documentario che è stato presentato nell'agosto del 1999, se non sbaglio, a Torino nel corso del Festival delcinema per l'ambiente. Il titolo del documentario è "Bombe sulle industriechimiche" ed è un reportage costruito, a mio modo di vedere, in maniera moltoequilibrata e documentata sugli effetti provocati dai bombardamenti della NATO sulle industrie chimiche nelle città della Yugoslavia e in particolare sul petrolchimico che si trova in una città che si chiama Pancevo, vicinissima aBelgrado, sul Danubio. Perchè ho fatto questa proposta? Sostanzialmente perchè c'è un filo che unisce quel documentario sulla guerra del Golfo, che vi citavo poc'anzi, e questo documentario: è sinteticamente ciò che sta accadendo o mutando nella condotta della guerra (e poi ne parleremo più diffusamente dopo). Che cosa significa oggi la guerra? Che modalità ha di essere combattuta esubita? Che cosa è cambiato rispetto a quella che era la nostra idea, il nostro schemamentale e concettuale del conflitto della guerra durante gli anni delconfronto trail blocco Occidentale e il blocco Orientale, o il blocco capitalista e il blocco socialista? Stasera vedremo il filmato di Adamek anche perchè è più diattualità (non che l'altro abbia perso la sua attualità) ma perchè è quasi una contingenza diquesti giorni: il primo bombardamento sul petrolchimico di Pancevo, se nonsbaglio, avvenne il 18 aprile del 1999. Ringrazio il Comitato cittadino di Bologna contro la guerra che ha recuperato questo documentario e lo ha tradotto initaliano dalla versione tedesca. Il doppiaggio non è come sentirete undoppiaggio professionale, è fatto da una persona che fa parte del comitato cittadino, tuttavia riesce a rendere sia il ritmo che il significato di tutta la storia, delle immagini e del testo. Il Comitato sta utilizzando questo filmato per sostenere una campagna diaiuto ai tecnici e ai medici, alle strutture sanitarie della Yugoslavia che stanno tentando di monitorare l'ambiente per cercare di capire quali sono glieffetti realidella guerra scatenata lo scorso anno sull'ambiente e soprattutto sulla salute dellepersone, e siccome la Yugoslavia è un paese sotto embargo, i proventi della vendita di questo filmato andranno a finanziare l'acquisto di strumenti di laboratorio che servono per condurre queste analisi, perchè in Yugoslavia non ci sono. Questo è il quadro introduttivo generale, adesso passiamo alle immagini.


Proiezione del video Bombe sulle industrie chimiche (Bomben auf die Chemiewerke, 1999)
di Sacha Adamek e Knut Krusewitz, versione italiana (2000)
a cura di Alberto Tarozzi del
Comitato cittadino contro la guerra - via Cuccoli 1/c
- 40127 Bologna - controguerra@lycosmail.com


Non ho tante cose da aggiungere a quello che è stato proiettato e detto durante la proiezione. Voglio solo tentare una riflessione che coinvolge un po' anche la nostra coscienza, quello che siamo, qual è la nostra storia e perchè possono ancora accadere cose di questo tipo. Non mi dilungherò nemmeno in valutazioni di tipo politico su quello che avete visto, mi limiterò a fare una cronologia di quelle che secondo me sono le origini di questi fatti, dove affondano le loro radici. 1922: compare in Italia un'opera (un'altra pubblicazione verrà fatta nel '25) di un generale che si chiamava Giulio Duè, italiano, che diventerà uno dei fondatori dell'Areonautica del Fascio, che si intitola "La guerra aerea". La tesi di questa opera è molto semplice: Giulio Duè scrisse che a suo modesto avviso la carneficina alla quale aveva assistito durante la Prima Guerra Mondiale, cioè di centinaia di migliaia di uomini che si uccidevano in un corpo a corpo furibondo per conquistare poche decine di metri di terreno, questa carneficina avrebbe potuto evitarsi se i militari avessero capito le grandi potenzialità dell'arma aerea. Per potenzialità Giulio Duè intendeva esattamente quello che avete visto in questo documentario e cioè la possibilità di bombardare direttamente le retrovie, le città dove abitavano-abitano le madri, i padri, le fidanzate, le mogli, i figli dei combattenti, le città dove si producono i cibi, il carburante, i mezzi che vengono poi inviati ai combattenti. Secondo Duè, se invece di scatenare gli assalti alla baionetta si fossero inviati squadroni di aeroplani dotati di bombe molto potenti su queste città, probabilmente la guerra sarebbe finita prima, si sarebbero risparmiate, a suo dire, molte vittime e la guerra avrebbe assunto un connotato più umanitario, scrive proprio così. Vedete che dal punto di vista concettuale questo tipo di guerra non è una novità, affonda le radici in quello che possiamo definire uno dei pilastri portanti della nostra società contemporanea, e cioè la complessità del nostro modo di vita collegato alla forma di produzione. Il ragionamento di Giulio Duè è molto semplice: le nostre società sono così complesse che per annientare uno sforzo bellico hanno bisogno di tante energie, di tante complesse relazioni di tipo produttivo, sociale, amministrativo, che è inutile confrontarsi vis a vis con il nemico, col rischio di subire moltissime perdite (naturalmente Giulio Duè è un militare, quindi, pensa anche alla sua vita, si preoccupa un po' meno della vita degli altri, ma alla sua pensa molto), inutile quindi mettere a rischio la vita delle proprie truppe; andiamo a colpire queste società che sono così complesse. Se noi neutralizziamo le retrovie, il combattente è demotivato, non ha più rifornimenti, cede senza combattere. Vedete che c'è uno stretto legame fra come noi abbiamo evoluto l'organizzazione (o involuto, dipende dai punti di vista) della vita quotidiana e il modo di condurre la guerra. Logicamente la società civile da quel momento diventa uno degli obbiettivi, delle poste in palio della guerra. Ecco perchè il Novecento è un secolo terribile. La Seconda Guerra Mondiale sarà un passo in avanti su quella strada, e ancora prima la Guerra di Spagna, con il bombardamento di Guernica, uno dei primi episodi, forse il primo, (bisognerebbe costruire la cronologia tra il bombardamento di Guernica e il bombardamento delle città etiopiche da parte degli italiani). Dopo Guernica ci sarà l'episodio di Coventry, dopo la città inglese ci sarà Dresda, bombardata dagli anglo-americani, e prima e dopo di Dresda le tante piccole o grandi città italiane, il bombardamento di Genova, di Bologna, quello di altre città, che forse qualcuno in questa sala o si ricorda oppure ha sentito narrare dai propri genitori, con terrore. Mi ricordo la narrazione dei bombardamenti peraltro in una zona di montagna, eppure terribili; ricordo l'espressione del volto di mio nonno quando mi raccontava il bombardamento della centrale idroelettrica del bacino di Suviana, con tutta la gente dei paesini attorno che temeva che una bomba casualmente colpisse la diga provocando una inondazione catastrofica, perchè questi paesini stanno sotto la diga. Come vedete c'è un filo che unisce questo filmato che è l'attualità stringente nostra con la storia del secolo che si è chiuso da pochi mesi, ed è una storia che ci deve far riflettere, è la nostra storia, qualcuno direbbe in maniera molto semplice e semplicistica ma efficace: "Qualcosa non funziona davvero alle radici di questo modo di essere e di vivere", giacchè non ho mai condiviso l'opinione di coloro che considerano il mondo militare, degli strateghi, dei pianificatori, il mondo dei politici d'oggi -che sono molto più guerrafondai dei militari- come creature isolate, mostri che non hanno a che fare con la bontà fondamentale delle persone che incontriamo tutti i giorni per la strada. Noi stessi viviamo in un paese democratico, quindi i nostri politici sono l'espressione di una volontà che si dice popolare. E dopo la Seconda Guerra Mondiale gli altri episodi sono stati anche un po' qui ricordati, il Vietnam, ma prima ancora la Corea, e via via fino arrivare alla Guerra del Golfo del '91. Quest' ultima rappresenta una specie di svolta, o per meglio dire un' evoluzione ulteriore, perchè fanno ingresso sulla scena le cosiddette "armi intelligenti" -a parte anche il commento tristemente ironico che si potrebbe fare su una civiltà che definisce un mezzo di morte "intelligente", tutto da analizzare questo termine-. Qui si afferma forse per la prima volta qual è il vero obbiettivo della guerra contemporanea: quello di distruggere, allontanare dagli occhi e dalla percezione di quelli che compongono la compagine sociale dei paesi che distruggono, gli effetti di quelle azioni. Questo è il problema politico principale applicato alla guerra che ci troviamo ad affrontare oggi nella nostra quotidianità. Le conseguenze delle azioni delle nostre forze armate noi non siamo più in grado -o quantomeno se non siamo più attenti, se non ricordiamo, se non manteniamo la memoria, se non tentiamo disperatamente di capire che cosa è accaduto veramente nonostante il fuoco di sbarramento metaforico ma molto efficace che operano i mezzi di comunicazione di massa- se noi non siamo vigilanti da questo punto di vista, ecco che perdiamo completamente di vista ciò che è accaduto veramente, quali sono state le conseguenze delle azioni di aerei, uomini, e mezzi che fanno parte di una struttura dello stato del quale noi siamo cittadini. Quindi anche noi siamo responsabili, se è valido il criterio che fonda le democrazie occidentali. Se non è più valido, tutto questo assume un altro aspetto, forse ancora più preoccupante. Ma se è valido, tutto ciò che è accaduto e le conseguenze di quello che è accaduto vengono dilazionate nel tempo in modo tale che se ne perda la memoria e non si possano misurare; ecco la parola magica: non è tanto l' "arma intelligente" (poi vi leggerò cosa diceva nel '91 Ramsey Clark, quel signore che ha parlato, a proposito degli attacchi sull' Iraq: le sue parole sono state confermate anche dai rapporti ufficiali dei militari americani al congresso degli Stati Uniti d'America). Insieme alla tragedia c'è anche la beffa. Queste persone non continuano ostinatamente a sostenere l'insostenibile: passato un determinato lasso di tempo, vengono prodotti i rapporti ufficiali, si nominano le commissioni d'inchiesta e si scopre che quello che dicevano gli "eretici" durante la guerra, cioè quelli che non volevano la guerra, era vero: e a dircelo sono i generali. Quindi quando vi dicevo che è una questione che ci riguarda nella nostra vita di tutti i giorni, facevo riferimento alla nostra capacità di ricordare, analizzare, confrontare, criticare, che io reputo come non solo capacità, ma diritti umani. Questa è la mia concezione del diritto umano: il poter mettere in discussione ciò che mi dice l'autorità, il poter chiedere le fonti sulle quali si basano determinate affermazioni. Ma questa tendenza, ad allontanare dai nostri occhi le conseguenze delle azioni che sono anche nostre, avrà in futuro degli sviluppi ancora più, da un certo punto di vista, preoccupanti, da un altro punto di vista, se volessimo fare un ragionamento tecnico, dello stratega, degli sviluppi che vanno verso il raggiungimento dell' optimum, cioè dello spazio ideale della guerra. Secondo questa filosofia lo spazio ideale della guerra è mettere il nemico in condizioni di non nuocere senza far esplodere una bomba. Voi direte: "Ma allora siamo a posto, abbiamo eliminato la violenza!". E' questo l'inganno: si può mettere un paese, un gruppo di persone, una singola persona in grado di non nuocere senza sparare un colpo, senza menare un fendente, senza usare la violenza fisica diretta, ma usando altri tipi di violenza molto molto più raffinati e molto più efficaci, che però sono puliti, non lasciano tracce di sangue. Facevo negli anni '91-'92 una riflessione, mentre leggevo un saggio di Baumann sul rapporto tra la modernità e l'olocausto. Baumann quando scrive queste cose dice: "Io non sono obiettivo, perchè mia moglie è sopravvissuta ad Auschwitz, io non posso essere obiettivo". Baumann fa notare come l'ossessione per la pulizia, per la sterilità, per la precisione dei processi produttivi, furono alla base della decisione di passare (allo sterminio nei campi di concentramento) dallo sterminio degli ebrei su base brutale, con metodi del tipo rastrellamento degli ebrei: si portavano fuori città, si costringeva questa gente a scavarsi le fosse, quindi si fucilavano e si buttavano dentro alle fosse. Dice Eichmann nel suo processo magistralmente descritto da Anna Aren, che, di fronte a questi metodi, lui si sentiva,non dico rabbrividire, ma sentiva andare in subbuglio il suo cuore di funzionario perfetto, ligio, attento alla perfezione del meccanismo, e questo non era possibile, ci doveva essere un metodo migliore, più pulito, più utile, più efficiente. E così lo sterminio degli ebrei divenne un'impresa industriale, perchè Auschwitz era una grande industria di trasformazione e la materia prima era gli esseri umani. La guerra del futuro tenderà a questa perfezione, ma, attraverso quali strumenti? Potremmo ragionarci delle ore, ma voi pensate a quanto sia vulnerabile la vostra vita di tutti i giorni, perchè si affida spesso completamente ad attrezzature, a reti, a linee telefoniche, a erogatori, a centrali che distribuiscono il latte...questa grande complessità ci fa vivere, diciamo così, bene, ma ci rende anche molto vulnerabili. Recentemente la Rend Corporation ha pubblicato due studi, ne viene citato solo uno, ma in questi giorni è uscito anche l'altro, sugli sviluppi della guerra nel futuro; la Rend Corporation è uno dei "pensatoi" (brutto termine ma per essere efficace si può usare) più famosi degli Stati Uniti d' America. Per intenderci, tra i suoi "prodotti umani" più famosi si annovera anche un certo Robert MacNamar; chi non è debole di memoria si ricorderà che fu Segretario di Stato, il capo del Pentagono, mi pare anche capo della Banca Mondiale, uno dei massimi dirigenti della società americana e addirittura del mondo, visto le cariche che ha ricoperto. Il primo studio pubblicato dalla Rend Corporation parla della "cyber war", la guerra cibernetica; nell'affrontare questo tema, i ricercatori accusano chi ha condotto la campagna del Kosovo di aver utilizzato strategie primitive e sostengono che nel futuro i militari dovranno lasciar perdere l'uso di bombe e altri congegni del genere che non sono efficaci perchè non raggiungono gli obbiettivi che si è prefissa l'azione militare. In effetti, se noi andassimo ad analizzare quanti degli obbiettivi che si erano prefissi gli strateghi della NATO sono stati raggiunti con la guerra contro la Yugoslavia, ne troveremmo ben pochi, se non quelli non dichiarati; fra quelli dichiarati ne troveremmo pochissimi, tra quelli non dichiarati, che sono supposizioni che noi possiamo fare, ne troviamo alcuni consistenti, tipo il presidio militare in Kosovo e via dicendo, ma questo fa parte del regno delle illazioni. Rispetto agli obbiettivi dichiarati, e questo lo scrivono anche i ricercatori della Rend Corporation, pochissimi sono stati raggiunti, quindi, sarebbe stato meglio, dicono loro, esercitare un pesante condizionamento psicologico sul nemico: non più la guerra delle bombe, la guerra sporca, bensì la guerra psicologica, attraverso il controllo delle informazioni, attrasverso il controllo delle reti. Nel caso della Yugoslavia il controllo delle reti avrebbe avuto a mio avviso un significato limitato, perchè la Yugoslavia era un paese industrializzato ma non ancora un paese inserito in tutta la rete mondiale di interconnessioni che invece collega tutto l'occidente. E allora perchè questi signori continuano a sostenere che questa sarà la guerra del futuro? Perchè la guerra del futuro riguarderà noi, i nostri paesi. E già c'è la guerra del futuro, anche se in apparenza nessuno se ne è accorto; ma se voi pensate a quello che accade sui mercati finanziari, come le ondate speculative, il sistema delle informazioni-spazzatura influenzi l'andamento dei mercati finanziari, se pensate all'ondata speculativa che mise in ginocchio la nostra valuta all'inizio degli anni '90, è vero, forse non ha provocato vittime quella manovra, ma sicuramente nelle famiglie di tutti gli italiani ha provocato uno scadimento del livello di vita, e tutti voi lo ricordate. Vedete quindi che ci sono degli strumenti, dei mezzi molto raffinati per arrivare a fare la guerra in tutte le caseche sono collegate in questa rete mondiale. Molto semplicemente pensate alle molte aziende municipalizzate o ex aziende municipalizzate che erogano i servizi nelle grandi metropoli italiane e che sono dotate di reti di calcolatori, con software, programmi delicati che regolano la quantità di energia che viene fatta uscire dai generatori, che regolano l'apertura delle valvole nei sistemi di distribuzione delle acque, regolano l'apertura della rete di distribuzione del gas, regolano il funzionamento dei depuratori, che oggi sono importantissimi nel ciclo di vita urbano. Se pensate che queste reti possono essere attaccate dall'esterno, non c'è una rete sicura...se si riesce a bloccare l'erogazione dei servizi fondamentali della nostra vita per due mesi, tre mesi, si è in una delle frontiere della "cyber war". Naturalmente solo questo tipo di azione non basterebbe, bisognerebbe avere anche truppe ben addestrate, non numerose, che agiscano con la logica cosiddetta "a sciame", che in termini semplici è il "mordi e fuggi". Straordinario è che queste teorie riprendono tutta l'elaborazione teorica e concreta delle guerriglie degli anni '60 e '70 e la fanno diventare la teoria di guerra delle grandi organizzazioni statali o delle associazioni fra stati. La teoria del "mordi e fuggi" era quella della guerriglia urbana, dei nostri studenti, qualcuno di noi l'avrà anche praticata; ma voi capite che c'è una grande differenza, c'è un salto qualitativo enorme: un conto è il "mordi e fuggi" coi sanpietrini, un conto è il "mordi e fuggi" con la possibilità di disattivare le organizzazioni della vita civile di un centro urbano e poi intervenire militarmente con gruppi speciali ben addestrati che magari occupano certi edifici, disattivano ulteriormente, distruggono tutta quanta la documentazione. Pensate a un attacco all'anagrafe, se, ad esempio, in una città di 3 milioni di abitanti, per tre mesi non funziona l'anagrafe, non si rilascia un certificato, oppure pensate a un attacco ad un archivio dell'anagrafe per cui le identità dei singoli vengono alterate; in fondo non è molto diverso da quello che possono aver fatto certe squadre di miliziani serbi in Kosovo quando hanno distrutto gli archivi comunali. Perchè secondo voi hanno distrutto gli archivi comunali? Adesso, con quali documenti una persona fuggita da casa può dimostrare che quella è la sua casa? Lo stesso hanno fatto i croati in Bosnia, tutte le milizie bosniache si sono comportate in questo modo durante la pulizia etnica. Uno degli obbiettivi principali è l'ufficio comunale. Questo è ahimè lo scenario del futuro, e purtroppo è uno scenario che si ripete, e che ha molti motivi di somiglianza con tutta quanta la teoria offensivistica della guerra che andava per la maggiore prima della Prima Guerra Mondiale. Anche allora si era in un periodo di grande progresso tecnologico. Ad esempio erano stati inventati e messi a punto i processi di produzione dell'acciaio a livello industriale tali che permettevano di avere non solo i binari per le ferrovie e le locomotive più potenti ma cannoni che sparavano a 30 km di distanza, incredibile per l'epoca. Pensate che i cannoni di Napoleone sparavano si e no ad 1,5 km o 2 di distanza. Una distanza di 30 km significava colpire il nemico senza essere visti, senza che il nemico s'accorgesse da che parte proveniva il proiettile. Anche allora c'era chi teorizzava il primato dell'offensiva sulla difensiva, e poi tutti noi sappiamo come andò a finire: una carneficina. Anche oggi questi teorici sostengono che la "cyber war" è sicuramente una guerra che permette a chi attacca di avere più chances, perchè la difesa è estremamente difficile. Sta a noi fare in modo che non si verifichi un'altra carneficina. Il succo della serata è tutto qui. Gli attori di questa tragedia possono anche variare, possono essere gli Stati Uniti, può essere l'Europa Unita che vuole strappare agli Stati Uniti l'egemonia sul mercato mondiale, può essere l'Europa insieme al Giappone, può essere la Russia che si riprende e ha come unica chance quella di ridiventare una potenza imperiale, e il caso della Cecenia penso che lo dimostri sufficientemente. La teoria che privilegia l'offensiva sulla difensiva ha alle spalle una filosofia politica (chiamiamola così) molto chiara: il problema della difesa di una comunità non si risolve nell'analisi dei bisogni di quella comunità in relazione alle minacce possibili e eventuali che quella comunità pensa di avere. Chi crede ancora che la politaca della difesa si faccia in questo modo si sbaglia, non siamo nemmeno più a quel livello. Vi ricordate: noi facevamo polemica sulla definizione di minaccia; siamo sicuri che sia una minaccia vera, falsa...non è più quello il problema, perchè la politica militare di cosiddetta sicurezza (è un eufemismo) non è altro che una politica volta a difendere a mano armata o disarmata (in quel modo che vi ho detto) gli interessi del paese. La popolazione non c'entra più. Bisogna stare attenti a non fare confusione fra paese e popolazione, è ambiguo. Gli interessi del paese sono una delle formulazioni più ambigue che si possano immaginare. Quali sono gli interessi del paese? Credo che se incominciassimo a discuterne tra di noi, non basterebbe un anno per venire ad una seria ipotesi, non ad un accordo. Quindi tutto è possibile e in questo tutto rientra anche il fatto che per difendere questi interessi del paese si decida di andare a casa di altri, la cosiddetta "proiezione di potenza": interventi fuori area, chiamateli come volete... e questa filosofia politica ovviamente non ha altra chance se non quella di puntare sull'offensiva. Ho finito. Ora lascio spazio alle vostre considerazioni e domande. Una sola piccola annotazione finale: nel film continuamente si dice: chi glielo ha detto a questi yugoslavi di Pancevo che avrebbero bombardato il petrolchimico? Non è una questione così misteriosa e inspiegabile. Ho qui un messaggio di posta elettronica arrivata in Italia in data 12 aprile che proviene da Pancevo. E' una lettera del direttore del petrolchimico di Pancevo. Dice: "Ora la fabbrica minaccia la gente. E' mio dovere ed obbligo informare l'opinione pubblica locale ed internazionale che le forze NATO hanno duramente bombardato gli impianti mentre era regolarmente in funzione il petrolchimico, le installazioni e gli impianti del monocloruro di vinile e dell'etilene sono stati direttamente colpiti, indirettamente esplosioni pesanti e distruttive hanno danneggiato gli impianti di cloro-alcali e di polivinilcloruro. Questo è avvenuto nonostante io avessi inviato un appello a tutto il mondo per convincere i pianificatori dei bombardamenti a non attaccare la nostra fabbrica, perchè sarebbe stata una catastrofe ambientale." Mistero spiegato, no? Bastava fare il ragionamento che ho fatto io adesso con voi; probabilmente il direttore del petrolchimico sapeva bene che la logica della guerra del terrorismo aereo porta al bombardamento dei petrolchimici.


Interviene un membro del Comitato contro la guerra di Bologna:

Ringrazio Achille per aver sottolineato che la guerra di oggi si basa sull'annientamento delle società che sono sotto al nemico. Vorrei ricordare che questo stesso principio è quello che ha causato la morte di milioni di contadini in Sud America perchè erano il sostrato di cui si alimentavano le guerriglie che agli americani non piacevano. Questo è fondamentale per capire tutti gli atti che sono atti non solo di guerra sporca, effettiva, guerreggiata, ma guerra economica, produttiva, guerra di questo tipo. Punto fondamentale, quindi: la distruzion e della società che sta sotto a quello che per la potenza che fa la guerra è considerato il nemico. Come ha detto prima Achille, ad esempio in una città come Milano la guerra si può fare fermando un depuratore, un anagrafe; è verissimo, perchè l'anagrafe è uno strumento fondamentale di guerra, oggi come oggi. Uno dei massacri più efferati e di densità maggiore è proprio quello avvenuto in Rwanda e Burundi, dove si occupava il municipio, si guardava nell'anagrafe i documenti etnici e poi si bruciava l'anagrafe per far sparire le prove del genocidio. Laddove invece ci siano società che sono rimaste più semplici, che non dipendono da centrali del latte, da acquedotti, perchè ognuno ha il suo pozzo essendo tutte fattorie, c'è comunque gente che è dispostissima ugualmente a fare morti su morti per ottenere quanto gli serve. Non è perchè siamo in un mondo un po' più tecnologico i bersagli sono solo alcuni, ci sono questi e quelli da tenere d'occhio. Ti ringrazio di aver sottolineato anche che la complessità della società in cui viviamo fa si che questa si regga soprattutto sui media, l'aspetto mediatico di una guerra è fondamentale. Io speravo che col progresso sociale finissero queste contrapposizioni, non ci fosse più bisogno di parlare di bianchi e di neri, di questi e di quelli, però ho visto nell'ultima guerra a cui il nostro paese ha partecipato, che si è pianto per tre soldati americani prigionieri mentre non si è pianto per milioni di persone che stavano sotto i bombardamenti. C'è stata questa disproporzione che ha superato per intensità e quantità quello che facevano i nazisti che ammazzavano dieci persone per ogni nazista ucciso. Qui si trattava di tre soldati americani prigionieri e Clinton ha detto: "Non azzardatevi a torcergli un capello" ed è questo l'aspetto che va avanti e si sta insinuando: questi sono uomini a pieno titolo, mentre gli altri non sono uomini a pieno titolo. Questo è quello che questa guerra ha fatto alla nostra coscienza prima che civile, umana. Un'altra violazione è stata sul diritto: io pensavo che lo stato di diritto potesse andare avanti, nel mio come in tutti gli altri paesi, e invece quest'ultima guerra è stata una tale violazione del diritto, una guerra che il nostro parlamento ha ratificato dopo che era stata incominciata, si è detta la balla che i nostri aerei non partecipavano ai massacri mentre partecipavano, e oggi alla fine è venuto fuori, è una guerra mediatica che ha distrutto lo stato di diritto. Siamo oltre a quello che è successo nella Guerra del Golfo: almeno una patente di illegalità se la sono cercata, anche lì un'altra guerra mediatica, dove migliaia di iracheni sono stati sottoposti ad armi sperimentali, di una violenza inaudita, cioè era la prima volta nella storia che sono state usate certe armi, a noi hanno fatto vedere il cormorano del Golfo, tutto sporco, che era anche una balla perchè quelle riprese erano state fatte in uno studio televisivo. D'altro canto si usa il diritto in modo mediatico come arma di guerra, quando il Tribunale Internazionale dell'Aia ha condannato Milosevic, che ha delle colpe, ma quello che stava succedendo era senza paragone rispetto a quello che era successo, e comunque quello che gli americani fanno da anni o quello che gli israeliani fanno da anni è un livello che, anche lì, andrebbe condannato anche quello. Invece no, si fa un uso parziale della giustizia; questo per dire che quello che si legge sui giornali fa l'opinione della gente che magari non ha mezzi di informazione sufficienti per una maggiore coscienza, per cui alla fine è giusto che vada così, che non mi chiedano se devo fare una guerra, perchè non averlo chiesto ai miei deputati è come non averlo chiesto a me... questo è un grosso arretramento della coscienza civile


Interviene Angelo:

Sono per natura contro la guerra e come tale sembra nei miei atteggiamenti quotidiani che sia sempre in guerra contro tutti, perchè sono contro la sopraffazione e alla fine passo io per uno che vuole la guerra, non gli va mai bene nulla. Ludovisi dice che nella guerra moderna si cerca di impedire alle popolazioni dei paesi aggressori di rendersi conto veramente di quello che succede là e così abbiamo la coscienza tranquilla, nonostante la nostra responsabilità. Ora, fino a che punto siamo responsabibli? Io personalmente di questa guerra che è successa non mi sento responsabile, perchè quando è scoppiata io ero contro, pensavo che i bombardamenti fatti non risolvessero i problemi del Kosovo, non sono un esperto di guerra, pensavo però che se si voleva veramente risolvere il problema del Kosovo, si voleva dire di andare a fare la guerra contro gli aggressori serbi nel Kosovo, bisognava andare là fisicamente. Non ci sono voluti andare perchè comportava dei rischi e delle perdite, e si sono inquadrati in quella linea strategica che poi risale al '22 che hai citato. Oltre a dire di non essere d'accordo, personalmente cosa potevo fare? Non ho potuto fare niente, non sono andato in piazza, avrei probabilmente trovato pochi che sarebbero venuti in quel momento, perchè sembrava che tutti gli italiani fossero d'accordo che la guerra era giusta. Personalmente faccio la mia guerra privata giorno per giorno quando trovo la sopraffazione. Tu hai detto che per tutelare i diritti umani bisogna mettere in discussione ciò che dice l'autorità, personalmente cerco di farlo, quindi più che guardare le guerre che si svolgono lontano dalla mia vita privata, guardo le guerra che mi trovo intorno, e ce ne sono tantissime. Forse io mi illudo che in questo modo, se tutti facessero così, le guerre che abbiamo visto, quelle grosse, probabilmente non ci sarebbero; se eliminassi subito le piccole guerricciole che ci sono spesso, per questioni futili? In Yugoslavia penso che il problema si sarebbe risolto con l'informazione, cercando di mettere la popolazione yugoslava contro il dittatore Milosevic, penso fosse quella la strada giusta, in modo tale da isolare Milosevic, e probabilmente non hanno voluto farlo, perchè forse era più conveniente andare là a distruggere per andare a ricostruire, e Milosevic forse non volevano toglierlo di mezzo, e difatti è ancora là. Adesso qualcuno andrà a ricostruire quello che ha distrutto, ma non saremo certamente noi italiani che abbiamo messo a disposizione le basi, facendoci una figuraccia, ma saranno gli americani, gli inglesi, i francesi."


Risponde Lodovisi al primo intervento:

La guerra fredda, ma anche prima di questa, ha la caratteristica che si è giocata in larga misura fuori dall'Europa e facendo scannare fra di loro le popolazioni del terzo mondo. L'altra sera in un dibattito ho sentito dire che, dopo la seconda Guerra Mondiale, i popoli del mondo hanno detto basta alle guerre; tutto sommato mi permetto di dire che 45 milioni di morti dal '45 a '90 in conflitti non sono precisamente indice di un periodo di pace. Questi 45 milioni di morti sono tutti o in gran parte morti nei paesi poveri, e queste guerre sono continuate in forme e modalità leggermente diverse o completamente diverse rispetto alla guerra fredda anche negli anni '90. Ci sono delle guerre, è vero, dove non ci sono reti tecnologiche, non ci sono megalopoli industriali, a via dicendo, però, quello che noi dobbiamo, secondo me, cercare di comprendere, è che le modalità di quelle guerre, quelle che spesso noi con una certa venetura di sufficienza, chiamiamo "guerre tribali" o "guerre etniche", sotto sotto molti di noi, non dico di questa sala, ma in generale, pensano che questi non sanno far altro che farsi la guerra. Studiando queste guerre mi sento di condividere a pieno il giudizio che da Mary Caldow sulla natura di questi conflitti: ve lo voglio leggere, perchè a mio avviso questo giudizio si adatta perfettamente anche alla guerra che stanno adottando gli stati sovrani, le organizzazioni multinazionali come la NATO, oppure gli ex grandi imperi come la Russia. Questa definizione che l'autrice ha coniato, ha tentato di mettere in piedi, secondo me con un certo seccesso, ispirandosi alle cosiddette guerre dei poveri, combattute col macete, col bastone, si adatta anche perfettamente anche a queste guerre dei missili intelligenti. Sentite cosa scrive l'autrice: "Sostanzialmente, quelli che nelle guerre del passato veniveno considerati effetti collaterali indesiderati e illegittimi sulla popolazione civile soprattutto, sono diventati elementi centrali del modo di combattere le nuove guerre. Si dice a volte che le nuove guerre rappresentino un ritorno al primitivismo, ma le guerre primitive erano fortemente ritualizzate e limitate da vincoli sociali. Quelle di oggi sono invece razionali, nel senso che usano il pensiero razionale per raggiungere gli obbiettivi della guerra, rifiutando qualsisi vincolo normativo." Ditemi voi se questa definizione non si attaglia perfettamente anche a quello che è avvenuto un anno fa e a combattere non erano, scusate il termine che puzza di razzismo, i negri del Rwanda.... Vedete che si è stabilito questo tragico contatto: chi fa la guerra vuole avere le mani libere: "deregulation" della guerra!


Risponde Lodovisi al secondo intervento:

Quando affermo "noi siamo responsabili", quel "noi" fa riferimento non a una responsabilità personale, ma a una responsabilità collettiva, che esula dal sentimento, dalla buona volontà, dalla razionalità, dalla coerenza dei singoli, ma questo, se ci rifletti, è ancora più tragico: di persone come te in questa sala e fuori da qui ce ne sono magari centinaia, centinaia di migliaia, e allora il problema è: come mai una volontà così diffusa non riesce a diventare collettiva? E se non c'è una volontà collettiva contro la guerra, io sono costretto ad attribuire a "noi", inteso come collettività, un fallimento, quindi una responsabilità. Le tue due obiezioni mi pare che funzionino, però dobbiamo riflettere in questo modo su quello che hai detto, è importante.


Domanda:

E per creare questa mentalità collettiva quali strumenti?


Risposta di Lodovisi:

Non ho una ricetta, non ci sono ricette. La storia del '900 purtroppo ci ha insegnato che di fronte alle sofferenze che una collettività patisce durante la guerra, la collettività si ribella a chi fa la guerra e pensa anche di ribellarsi alla guerra. Questo ci ha insegnato la storia del '900. Sono, diciamo, i dati basilari. La rivoluzione di Russia scoppia perchè il popolo russo è stanco della guerra, non vuole più andare a morire. E' vero si o no? Questo è l'atteggiamento che va superato. E' possibile che non si riesca a contrastare la guerra solo quando ne soffriamo sulla pelle tutte le conseguenze? Sfruttando questo dato di fatto, chi pianifica la guerra ha pensato di eliminare la sofferenza, eliminare la sofferenza dal proprio fronte interno, dalla popolazione che appoggia lo sforzo bellico; se tu elimini la sofferenza dalla popolazione che ti paga le tasse, ti appoggia, ti fa arrivare i rifornimenti, e così via, tu hai risolto il problema della guerra. La puoi fare impunemente. E' questo il problema concreto, e questo significa rivalutare il ruolo della cittadinanza. E' un piccolo passo, ma secondo me in questo momento, gigantesco: il ruolo del cittadino che vigila sull'operato di chi elegge e manda al governo e che lo fa in maniera coerente, tutti i giorni. Sentirsi di nuovo cittadini, se volete è un po' retorico, ma pensiamoci bene. Se vogliamo evitare che Etiopia ed Eritrea continuino la guerra, che è costata 1 milione di morti, mi pare, in vari anni, soltanto nel coso degli ultini anni si parla di 400 mila morti. Vi parlano della carestia in Etiopia, però non so se avete notato che nessuno dica che l'Etiopia è un paese in guerra; sembra che la carestia sia avvenuta per castigo di Dio, siccome gli etiopi sono neri di pelle, allora Dio ha deciso di castigarli. L'Etiopia è in guerra ormai da 20 anni, con la Somalia, con l'Eritrea, guerra civile all'interno. E' il minimo che possa accadere, una carestia in Etiopia. Però non ve lo hanno detto. Noi come cittadini italiani, non so quanto siamo coscienti del fatto che il nostro paese ha armato sia l'Etiopia che l'Eritrea.... eppure noi ci siamo dati persino una legge che sottopone a controllo del parlamento le esportazioni di materiale bellico e la legge dice che non si dovrebbero esportare armi a paesi in guerra; e allora come mai le armi italiane sono andate a finire in Etiopia e in Eritrea? Allora non basta avere delle leggi, occorre farle rispettare. E qui ritorniamo al ragionamento iniziale. Dal '90 in poi ci hanno detto che la democrazia occidentale è il miglior sistema del mondo: bene, prendiamolo alla lettera. Voi tutti, credo, paghiate onestamente le vostre tasse. Qualcuno vi dice anche che lo stato è esoso, e son convinto che molti di noi lo pensino; ma quelli che vi invitano a ribellarvi al fisco, non vi dice, ad esempio che gli stati hanno cominciato ad aumentare la pressione fiscale perchè a loro volta sono taglieggiati dai cosiddetti mitici mercati finanziari internazionali. Da quando i titoli di stato si sono aperti alle quotazioni del mercato, ogni stato deve fare i conti con il ricatto esercitato dalla finanza globale (ecco perchè ho fatto il cenno alla svalutazione della lira nel '90-'91). Questi ricatti vengono esercitati attraverso uno strumento molto raffinato: far passare questo denaro virtuale attraverso i paradisi fiscali, in modo tale da spostare enormi masse di capitali e creare ondate speculative che mettono in difficoltà anche gli stati. Presso i paradisi fiscali passa uno degli strumenti che vi costringe a tirare la cinghia e dare più soldi ai vostri stati, perchè infatti lo stato si rivale sul contribuente. Attraverso questi paradisi fiscali passa anche il denaro che alimenta il mercato delle armi. C'è stato un gruppo di persone che ha proposto al parlamento europeo di adottare una legislazione di fortissimo controllo dei paradisi fiscali, dicendo che non solo serve per controllare i traffici di droga, di armi, il malaffare internazionale, ecc., ma serve anche a voi stati per respirare, e quindi per non imporre ulteriori balzelli ai vostri cittadini. Voi pensate che la proposta abbia raccolto un'ovazione? No. Chi secondo voi oggi in Italia ha il coraggio di alzarsi in televisione e dire: "Io sottoporrei a controllo i paradisi fiscali"? Diceva un mio amico: "Sagh è?" Eppure noi siamo schiacciati da questi meccanismi.


Interviene Mario:

Mi ricollego all'obiezione di Angelo che diceva di non sentirsi responsabile di queste vicende, ma io invece mi sento responsabile, perchè probabilmente non ho protestato abbastanza, non ho tolto abbastanza il consenso a chi faceva la guerra, non ho tolto abbastanza il consenso economico a chi faceva la guerra. Io vedo la questione dall'altra parte. Sentivo durante i giorni dei bombardamenti tantissima gente che era d'accordo con la NATO, non ho tutte queste sicurezze sulla volontà collettiva contro la guerra, sotto sotto, secondo me, c'è una volontà collettiva di violenza, quando comincia ad essere messo in discussione il proprio orticello, il proprio interesse. E' una considerazione quella che faccio, non è una domanda, ma bisogna riflettere anche su questo, che ognuno faccia poi la sua parte.


Risponde Lodovisi:

E' un'osservazione molto interessante, viva, perchè in effetti una delle chiavi migliori per convincere l'animo umano a legittimare l'uso della violenza, la guerra in maniera critica e riflessiva, senza fermarsi un attimo a meditare su quello si sta facendo, è quella di creare l'angoscia, la paura, la cosiddetta paura che venga minacciato il proprio orticello. A questo proposito, dobbiamo considerare che i mezzi di comunicazione di massa diventano delle armi, perchè sono in grado di condizionarci, di creare questa angoscia, paura, di costruire il nemico. Vi porto un'esperienza personale, non sono cittadino di quel paese, ma ho degli amici in quel paese, di quello che era un paese, la Yugoslavia. Tutta la tragedia delle guerre in Yugoslavia fu preparata dalla metà degli anni '80 agli ultimi anni '80 da una sottile prima, e poi sempre più martellante campagna televisiva, giornalistica, che tendeva a presentare l'altro (di solito chi era in minoranza in quel paese) come responsabile di tutti i guai economici, di tutte le tragedie, della disoccupazione, del fatto che i giovani non trovavano lavoro, del fatto che non c'era più la possibilità di dare loro un alloggio, che le università non funzionavano, che i treni non funzionavano, che coloro che erano emigrati in Germania tornavano senza un lavoro e si sentivano degli sbandati, e via dicendo. La televisione a Belgrado diceva che la colpa di tutto questo è dei croati che si tengono stretti i loro marchi che guadagnano col turismo in Dalmazia e che non danno più nelle casse federali: questo era uno degli argomenti più in voga alla televisione di Belgrado alla fine degli anni '80. A Zagabria si rispondeva che la colpa era dello stato accentratore retto dai serbi che dilapida risorse e ricchezze. Questa propaganda veicolata sistematicamente per anni ha fatto si che queste popolazioni sono arrivate in qualche modo ad odiarsi. Se non bastava la propaganda, sono arrivate le bombe. Tuttavia questi strumenti non hanno una potenza illimitata nel tempo, però provocano delle tragedie enormi. Non hanno potenza illimitata nel tempo, perchè le persone, dopo anni e anni di sofferenza, cominciano a riflettere e dire: "Ma che cosa è successo?". Oggi ci troviamo per esempio in una Croazia nella quale il presidente eletto ufficialmente chiama i serbi a rientrare in Croazia: "Siete i benvenuti" dopo 10 anni di guerre. Qualcuno potrebbe dire: "Ci hanno messo tanto a capirlo". E quanto ci abbiamo messo noi a capire certe cose, che era meglio vivere in una democrazia che non in una dittatura? Ci abbiamo messo 20 anni. Quindi in queste cose, è meglio sempre astenersi dal giudizio. L'angoscia si crea, è un'arma, fa parte della guerra, il creare l'atteggiamento d'angoscia fa parte della guerra; quando in un paese si diffonde l'angoscia vuol dire che in qualche modo si deve arrivare al conflitto. L'angoscia può superare il momento riflessivo sulla guerra, e finchè noi siamo qui in questa sala tranquilli e sicuri, possiamo anche avere "il lusso" della riflessione. Quando cominciamo a sentir svanire le nostre certezze quotidiane e garantite, ecco che nasce il meccanismo dell'angoscia e spesso viene proprio indotto, creato. Di solito si impoveriscono prima le popolazioni e poi si fa la guerra, ma non è detto che popolazioni ricche siano pacifiche, attenzione.


Interviene un'altra persona:

Tu hai spiegato benissimo, secondo me, lo scenarioche si può prospettare, la "cyber war", in cui non ci sarà una violenza reale, ma sarà un altro tipo di violenza. Le immagini che abbiamo visto nel video di stasera, però, sono ancora ancorate a un tipo di guerra ben violenta. Siccome gli americani che hanno fatto questo studio hanno stigmatizzato questo tipo di guerra dicendo che è una guerra ancora "tribale", se questo tipo di guerra rende ancora così bene, come pensare che ci possa essere una trasformazione così sottile in un tipo di guerra più sofosticato? E quale dovrebbe essere il meccanismo che porta da questo a quello?


Risponde Lodovisi:

Non esiste un confine, esistono tipi diversi di nemico; ad esempio c'è un paese come la Yugoslavia oppure con un paese come l'Iraq, con quel livello di vita, con quella struttura sociale, con quella struttura industriale, e così via. Addirittura c'è chi ha fatto differenze tra l'Iraq e la Yugoslavia; Krusewitz dice secondo me in maniera molto intelligente che rispetto all'Iraq qui la guerra è diventata davvero una guerra non convenzionale, totale. Non convenzionale significa non combattuta con armi convenzionali, ma, anche se indirettamente, con effetti che si possono ascrivere ad una guerra chimica, addirittura nucleare, perchè nel caso del Kosovo si è usato Uranio impoverito, materiale radioattivo. Quindi non è questione di confine, è questione di chi ti trovi di fronte. In questi casi può andar bene anche il bombardamento a tappeto. Siccome, come è stato racconato dagli stessi militari, nel giro di una settimana- 10 giorni, avevano finito le scorte di "missili intelligenti", decisero di bombardare a tappeto. A parte l'ironia che si potrebbe fare su una giustificazione del genere, perchè i casi sono due: o lo sono o lo fanno. Come? Il pianificatore militare scatena una guerra del genere senza conoscere gli obiettivi, quindi senza conoscerne il numero, e senza sapere quanti missili si hanno a disposizione? E come il tornitore che dice: "Oggi faccio 7 mila pezzi e invece ha 3 mila barrette di ferro". Uno così è classificato nella categoria degli stupidi. E siccome non credo alla teoria dello stupido, credo piuttosto che questo tipo di ragionamento nasconda in realtà una scelta qualitativa dei mezzi in funzione della realtà del nemico. Ovvero, una guerra del genere in Giappone non l'avrebbero fatta. Una guerra del genere in Russia non l'avrebbero fatta. In Ucraina sì, in Russia no. La cosa preoccupante è il fatto che più la teoria della "cyber war" avanza, più viene il sospetto, speriamo non la certezza, che la guerra alla quale stanno pensando si sta trasferendo proprio nelle società simili alla nostra; più vengono criticate queste guerre e valorizzate quelle altre così pulite, asettiche, e più mi viene il sospetto che si stiano preparando per sperimentarle su di noi. Voi direte: "Come sei malizioso" Coi precedenti! Uno scrittore americano ha scritto una frase: "Siamo in un'epoca di pazzi che tutto ciò che pensano prima o poi lo vogliono realizzare; scansatevi finchè siete in tempo!"


Interviene Angelo:

Facendo le affermazioni di prima sulla responsabilità, non mi sono sentito responsabile, però mi sono sentito molto sconfitto ugualmente, per me è stato un colpo. Allo stesso momento, dicendo mi sento responsabile si o no, non sono certo molto soddisfatto, mi hanno tolto anche questa soddisfazione.


Interviene un'altra persona:

Un anno fa esattamente in questi giorni ricordo l'assoluta impotenza mia, di mia moglie, di altri miei amici, di reagire in qualche modo. Ascoltando l'intervento di questa serata, penso che i mass-media abbiano un'arma fondamentale, riescano ad impossibilitare il crearsi della collettività che poi reagisce. Gli strumenti di questa potenziale collettività siano sproporzionati per difetto rispetto ai signori della guerra. Il bombardamento a cui siamo sottoposti dal punto di vista mediatico sia oggigiorno uno strumento primario per annichilire le coscienze. La cosa che nel '99 ma anche nel '91 mi scandalizzava, era il ritardo con cui si reagiva, cioè noi ci trovavamo in guerra senza saperlo. Mentre certi settori internazionali sono riusciti per tempo a mobilitare delle forze per reagire al vertice del collegio internazionale di Seattle, con queste faccende ancora vicino a casa, in un'area anche più ristretta, forse le persone più attente lo sapevano, ma non sono riusciti a mettere in circolazione abbastanza informazioni. Questo è un preoccupante sfasamento tra le forze in campo a livello formativo.


Interviene Giorgio:

Quindi anche l'incidenza dei movimenti della pace nel corso della guerra.


Risponde Lodovisi:

Qui stasera non siamo in pochi per la realtà locale. Capisco questa sproporzione, si tratta di fare un parallelo con le sacre scritture della lotta tra Davide e Golia, come dimensioni; però non credo che esista nell'esperienza umana passata e nemmeno presente un assioma che decreti sempre e comunque la sconfitta di coloro che partono da posizioni di relativa debolezza. Spesso la forza di chi parte dalle posizioni che sembrano di debolezza è quella di avere grandi idee, di mantenere anche dei principi...e scusate se è poco! Avete ragione, non sono quotate in borsa, però hanno una potenza notevole. Vi vorrei solamente ricordare un fatto, che non so se per ironia o perchè ne fosse convinto, una volta Stalin che, sapete, comandava uno degli eserciti più ricchi di divisioni di tutto l'orbe terracqueo, di fronte all'obiezione di qualcuno che gli diceva: "Guardi che la propaganda della Chiesa è molto forte", lui rispose: "Ma quante divisioni corazzate ha il papa?" Riflettete un po' su questa cosa. Oggi Bill Gates ci chiederebbe: "I pacifisti, quante corazzate hanno, quanti missili intelligenti?"

(a cura di Sara Servadei)