Francesco Iannuzzelli - Associazione PeaceLink
PeaceLink è un'associazione di volontariato dell'informazione che utilizza
gli strumenti della telematica per favorire il giornalismo di base in alternativa
ai mezzi di informazione tradizionali.
Proprio nel corso di questa esperienza, abbiamo avuto modo di notare come l'informazione
relativa a temi riguardanti la pace e i conflitti armati abbia subito una particolare
e crescente attenzione, soprattutto in concomitanza con lo svolgersi di guerre
che vedono in qualche modo coinvolti gli interessi europei o statunitensi.
Attenzione che da parte delle parti in causa ha provocato una vera e propria
organizzazione e mobilitazione durante le guerre e nei periodi immediatamente
precedenti, in modo da manipolare l'informazione in base a precisi interessi.
Questo compito è stato svolto principalmente dai media tradizionali e
con essi intendiamo quei giornali, riviste, radio e soprattutto televisioni
che sono in qualche modo legati a strutture di potere economico e/o politico.
Purtroppo sono tanti, la stragrande maggioranza dei media oggi esistenti a grande
diffusione; fortunatamente esistono delle alternative, soprattutto nell'abito
della carta stampata, che continuano a diffondere informazione indipendente,
seppure con notevoli difficoltà e qualche incidente di percorso.
L'esperienza però di un giornalismo di base a contatto diretto con la
gente e le associazioni si è rivelata uno strumento indispensabile non
solo per informare, ma anche per stimolare lo sviluppo di iniziative e realtà
locali, nazionali e anche internazionali, grazie all'utilizzo della telematica.
Le guerre sponsorizzate
Per chiarire quello che intendiamo come manipolazione dell'informazione possiamo
prendere l'esempio del recente conflitto in Kossovo, dove l'intervento Nato
è stato preceduto e accompagnato da una massiccia campagna mediatica,
all'interno della quale sono emersi diversi atteggiamenti.
L'omertà precedente al conflitto ha celato al mondo sia gli sforzi che
sono stati compiuti per una soluzione pacifica sia i motivi per i quali sono
falliti, che hanno dei precisi responsabili, che poi si sono rivelati essere
i principali fautori della soluzione violenta.
Viceversa non appena hanno cominciato a parlare le armi, si sono accesi i riflettori
uniti a una notevole e ben orchestrata campagna propagandistica per giustificare
l'intervento armato.
Infine, quando la guerra cominciava a trascinarsi nel tempo con costante intensità,
l'assuefazione l'ha relegata a notizia secondaria.
Tre atteggiamenti diversi ma ognuno a modo suo molto grave nell'evidenziare
la priorità data dai media tradizionali agli interessi economici, politici
e militari in gioco. Gli essere umani coinvolti, i disastri ambientali provocati,
le sofferenze a cui sono stati costretti migliaia di profughi e di civili, non
rientrano evidentemente nell'oggetto dell'informazione che si vuole diffondere.
Cercando di individuare delle linee guida nel comportamento dei media tradizionali,
pur consapevoli delle approssimazioni e generalizzazioni a cui andiamo incontro,
possiamo riscontrare fondamentalmente la stessa logica che, in altri ambiti,
produce altrettanti disastri. Alludiamo alla considerazione della notizia come
un prodotto da sfruttare e commercializzare, così come lo è la
forza lavoro o la natura.
In una logica consumistica, la notizia deve vendere e soprattutto adeguarsi
alle esigenze del mercato. Deve produrre piacere, soddisfazione, tranquillizzare
chi si preoccupa della situazione, scoraggiare chi la vuole cambiare, assopire
la coscienza di chi vuole porsi delle domande.
In pratica, potremmo quasi parlare di un'anestesia informativa.
D'altra parte, l'informazione è il nucleo fondamentale della nostra conoscenza,
perché in base a ciò che conosciamo della realtà che ci
circonda decidiamo le nostre azioni, personali e sociali. Ecco quindi che la
notizia assume il ruolo di conferma di quanto il potere economico/politico/militare
(il connubio è palese) vuole far credere, allo scopo di muoversi con
il consenso della gente.
In questo contesto avviene la distorsione maggiore dell'informazione, che viene
plasmata in modo da costruire una realtà fittizia ma omogenea, nella
quale tutto appare chiaro e indiscutibile.
In soccorso arrivano tutta una serie di personaggi (gli "esperti")
che rafforzano e confermano il "prodotto-verità". E' curioso
notare come, vista la ormai radicata diffidenza verso il mondo politico, i politici
si guardino bene dal pronunciarsi su argomenti tecnici; invocano, invece, un
tecnico, ovvero una persona di cui ci si deve fidare incondizionatamente.
Un tecnico è un tecnico, saprà pur fare il suo mestiere, come
dubitare di quello che dice?
Se poi va in televisione, è sicuramente uno bravo e preparato; ed ecco
quindi l'economista di turno, lo stratega, il giurista, lo storico, anche il
filosofo. Tutti chiamati alla corte del re a confortare, confermare, spiegare,
addolcire con calma e lucida razionalità i motivi per cui tutto quello
che sta succedendo è cosa buona e giusta, anche se si tratta di una guerra.
Con maestria più o meno intenzionale viene anche inscenato un dialogo
tra le diverse opinioni, cercando di palesare una pluralità che in realtà
viene tristemente limitata al dialogo tra diversi esponenti di diversi interessi
economici; la diversità, quindi, sta solo nei destinatari dei proventi
e non è propriamente il concetto di pluralità dell'informazione
al quale aspiriamo.
Non vi è spazio per coloro che la pensano diversamente e sono ben più
qualificati ed esperti nei settori di competenza cui accennavamo; chi detiene
gli strumenti di informazione chiama a testimoniare solo i propri sostenitori.
Appare evidente il tentativo di propagandare l'esistenza di un'unica verità,
di un pensiero unico. Si tratta di un'abnorme approssimazione culturale, in
un'ottica che definire riduzionista è dir poco, e ci rendiamo conto di
chi viene immolato in questo contesto: il dubbio.
Quando, con grande fatica, ci intrufoliamo e riusciamo a far giungere un'informazione
alternativa, che implica una messa in discussione di quanto noto finora, la
prima reazione istintiva spesso è: "No, non è possibile".
Lo stupore non deriva solo dal contenuto dell'informazione, chiaramente diverso,
ma in prima battuta dal fatto che esista un'informazione diversa. E' un condizionamento
sottile che scorre sui media tradizionali ma purtroppo spesso anche sui banchi
di scuola, educando a cercare e credere un'unica verità e a non preoccuparsi
di dubitarne.
L'eliminazione a priori del dubbio protegge poi dalla pericolosa dinamica della
ciliegia; chi comincia a dubitare, ne prende gusto e non si accontenta, un dubbio
tira l'altro, e così ci sarebbe pure il rischio che si correlino situazioni
apparentemente lontane, ma in fondo strettamente legate.
Soprattutto una è la correlazione che terrorizza i nostri war-promoter:
il fatto che si possa pensare che dietro tutto questo in fondo ci sono solo
dei soldi. Ciò spiega l'ossessionante riferimento a motivi umanitari,
alla stabilità politica, al diritto internazionale e così via.
A scanso di equivoci, di aspetti economici non se ne parla proprio, a costo
di sembrare di vivere in una realtà fiabesca. Già, le fiabe, che
in questo contesto ci ricordano un altro aspetto abusato, la dicotomia tra Bene
e Male assoluti, nei quali vengono prontamente incarnati gli attori del conflitto.
La mistificazione non finisce qui, è anche interessante notare come
sia radicato il concetto che "se tutti dicono cosi', evidentemente hanno
ragione", dove con tutti si intende la pluralità delle fonti dalle
quali provengono le informazioni.
Si tratta di un duplice errore. Innanzitutto, il criterio della pluralità
sarebbe anche valido a patto che non fosse così palese che si tratta
di una pluralità fittizia, in quanto questi tutti rispondono ai medesimi
interessi (4 agenzie stampa gestiscono l'80% del flusso mondiale delle notizie:
tre sono statunitensi, una francese).
Inoltre, in un sistema complesso come la situazione mondiale, usare l'ascia
come strumento di valutazione comporta il rischio di madornali errori di valutazione.
Spesso invece è proprio il "rumore", cioè quella parte
di informazione che è quantitativamente inferiore ad essere qualitativamente
fondamentale. Nell'ambito della comunicazione, il rumore è rappresentato
dalle fonti indipendenti, di base, che non obbediscono alle leggi che regolano
i flussi di informazione principali.
Tutti questi metodi di manipolazione dell'informazione vengono attuati mediante
una struttura operativa efficace e versatile, in grado di agire velocemente
in qualsiasi parte del mondo e organizzata in ogni ambito del settore dell'informazione,
ogni passaggio, dall'intervistatore al satellite. La potenza di questo apparato
si esprime in maniera impressionante in concomitanza di una conflitto armato
del quale si vuole a tutti i costi costruire una certa immagine. Ne abbiamo
avuto due esempi recenti con le guerre del Golfo e del Kossovo.
Nonostante il mondo dell'informazione e del giornalismo conservino al loro interno
valide sacche di resistenza, il divario di mezzi è veramente impressionante,
al punto che appare chiaro che chi resiste in realtà riesce nel risultato
di assicurare un minimo di informazione non condizionata a chi comunque è
già interessato a riceverla. Ma risulta difficile pensare che, in queste
condizioni di palese inferiorità, si riesca a coinvolgere più
gente su questi temi.
Di fronte a questo scenario sconfortante che abbiamo descritto, verrebbe da
sentirsi quasi impotenti, consapevoli soprattutto che ormai i tradizionali canali
informativi (giornali, radio e televisione) per le loro caratteristiche sono
irraggiungibili. Per gestire un mezzo di comunicazione di questo genere, occorre
superare un gap enorme, innanzitutto economico, ma anche tecnologico e legale.
E' soprattutto la dipendenza finanziaria l'aspetto basilare, in quanto gli stessi
apparati economici che possiedono i media grazie alla medesima forza economica
orientano anche altri ambiti come la politica
Le guerre taciute
Quando invece il conflitto armato deve essere ignorato, il comportamento dei
media tradizionali è altrettanto uniforme nel far passare la questione
completamente sotto silenzio.
Gli scarsi e sporadici cenni sono improntati a un'interpretazione quasi fatalista
e molto distaccata; si tratta di una guerra lontana in tutti i sensi, voluta
da stati irresponsabili e allo sbando, da popoli violenti e/o fanatici, coi
quali non abbiamo, noi pacifici e illuminati occidentali, niente da spartire...
anzi, se proprio bisogna parlarne, l'unico rischio di coinvolgimento è
che masse di profughi invadano la fortezza europea portando disordine e criminalità.
Questo è probabilmente uno degli aspetti più odiosi di informazione
non solo manipolata, ma anche violenta; il collegare i conflitti armati alle
migrazioni con un'interpretazione che fomenta la paura del diverso, contribuisce
ad alimentare la diffidenza verso gli stranieri e altri sentimenti negativi
e pericolosi.
L'interventismo, altre volte sbandierato apertamente come lampante soluzione,
in questi casi non può funzionare, è tutto troppo lontano, è
impensabile intervenire a mettere pace e poi non si può certo interferire
con questioni interne alle nazioni interessate (si sa, non tutti hanno la fortuna,
o sfortuna, di trovarsi vicino a giacimenti petroliferi, o importanti vie commerciali
o di trasporto del petrolio...).
Spesso i servizi si limitano a descrivere le atrocità della guerra senza
contesto ne' spiegazioni, limitandosi a stimolare sentimenti di sconcerto o
di caritatevole pietà per le popolazioni coinvolte. Non mancano poi le
classiche operazioni pulisci-coscienza di raccolta fondi, che chissà
in quali mani recapiteranno i soldi raccolti, e per quali scopi (chiaramente
con questo non intendiamo generalizzare, però purtroppo non mancano i
precedenti, anche famosi). In ogni caso è più che lecito dubitare
di tutte quelle operazioni che si autodefiniscono umanitarie e che utilizzano
i medesimi canali promozionali di chi nasconde o strumentalizza l'informazione
sulla guerra.
L'atteggiamento "silenzioso" è in fin dei conti molto sospetto,
in quanto la lontananza è un concetto oggigiorno decisamente relativo;
innanzitutto, visto che si parla tanto di globalizzazione, come pensare che
anche la guerra più lontana non sia in qualche modo correlata almeno
alla situazione economica globale, nella quale tutti gli stati sono coinvolti,
pochi a livello decisionale, mentre gli altri (curiosamente proprio quelli impegnati
nelle guerre ignorate) ne subiscono le scelte.
Inoltre non mancano coinvolgimenti più diretti, soprattutto nell'ambito
della produzione bellica e del commercio delle armi. I maggiori produttori di
armi (guarda caso, gli stessi che nel paragrafo precedente gestivano le scelte
economiche mondiali) dovranno pur vendere da qualche parte i loro prodotti...
magari facendosi pagare con i soldi della cooperazione.
Si tratta di un vecchio trucco e se proviamo ad osservare due recenti guerre
taciute, come quella fra Etiopia e Eritrea e quella tra Russia e Cecenia, possiamo
riscontrare tutti questi aspetti.
Sono noti i legami storici tra l'Italia e i due stati in guerra nel Corno d'Africa,
quindi è lecito sospettare che il silenzio nasconda in realtà
altri interessi o colpe, che viaggiano di pari passo con gli scandali legati
alla cooperazione, emersi ma non approfonditi qualche anno fa. Il commercio
di armamenti di vario tipo poi è da sempre uno dei canali privilegiati
di relazione tra Italia e Etiopia ed Eritrea (1),
parallelamente ai finanziamenti "di aiuto" o capitali per scopi non
meglio precisati. Non mancano poi i dubbi sui legami economici tra gli stati
africani e quelli europei, in riferimento allo smaltimento dei rifiuti tossici
(2).
Per quanto riguarda la Cecenia, i floridi accordi di cooperazione nell'industria
militare tra l'Italia e la Russia sono noti e senza nessun pudore l'ultimo accordo
è stato firmato proprio nel bel mezzo dei bombardamenti russi (leggi
n. 398 e n. 397). Parallelamente, mentre in occidente non volava una mosca su
quel che succedeva in Cecenia, in Russia la campagna mediatica è stata
abilmente orchestrata per giustificare l'intervento armato (3).
L'auto-organizzazione dell'informazione
Come dicevamo prima, verrebbe da sentirsi impotenti, però abbiamo anche sperimentato, nella nostra attività di volontari sul campo, che l'auto-organizzazione produce fenomeni interessanti, anche se con il vincolo di essere limitati nello spazio e a volte anche nel tempo. Giornali di quartiere, bollettini, riviste, piccole radio libere, con il loro tam tam portano un contributo molto utile, soprattutto nella quotidianità e a diretto contatto con la gente che circola intorno all'ambito geografico o culturale nel quale è nato lo strumento di informazione.
Il possibile salto di qualità, in termini di diffusione e impatto comunicativo,
non sta tanto nell'affrontare un percorso simile a quello dei media tradizionali,
che sarebbe fattibile solo ricadendo nella medesima trappola del condizionamento
economico.
Piuttosto l'amplificazione dell'efficacia informativa può avvenire grazie
alla costruzione di una rete che sommi le competenze e specificità singole.
Si potrebbe chiamare strategia lillipuziana, termine caro a chi (4)
sta attuando oggi la medesima metodologia nel costruire una rete di associazioni
che operino nel medesimo ambito (la pace, l'ecologia, il dialogo).
Le reti esistono da tempo e anche quelle informative hanno una discreta storia.
Proprio con questa idea si era costituita anni fa PeaceLink, per la precisione
del 1991 dopo la Guerra del Golfo, per rispondere ai problemi di comunicazione
e coordinamento del movimento pacifista italiano.
Erano i tempi dei BBS , caratterizzati da una certa difficoltà di gestione
che rendeva necessaria una presenza distribuita di competenze tecniche, ma anche
da costi economici ridotti, abbordabili dai volontari e dalle associazioni.
PeaceLink ha avuto la particolarità di muoversi in anticipo rispetto
alle stesse strutture militari italiane e ai media tradizionali, superando le
difficoltà dovute al fatto che la tecnologia telematica non era certo
delle più semplici e fruibili. Bisogna però prendere atto che
il mondo della telematica ha propri alcuni concetti come la condivisione delle
risorse e delle conoscenze, l'importanza dell'accessibilità da parte
di tutti e della distribuzione capillare dell'informazione, in radicale opposizione
a chi considera tutto questo un mercato come tanti altri.
Come conseguenza di questa "filosofia" molti esperti si sono volontariamente
fatti carico della costruzione e del mantenimento della rete, e molti altri
sono diventati esperti dopo notti insonni davanti ai monitor.
Recentemente, con l'avvento di internet, la comodità di una gestione
centralizzata e di una più semplice fruibilità dei contenuti,
accompagnata dalla crescente popolarità del web, ha portato alla costituzione
di una specie di "portale della pace" a disposizione di tutti. Ciò
è andato di pari passo con la graduale informatizzazione e connessione
alla rete delle associazioni, mantenendo al tempo stesso aperti i canali di
comunicazione con i BBS e gli altri ambiti telematici attivi in precedenza.
La telematica per la pace
Contrariamente a politici e militari, che si risvegliano solo occasionalmente
in concomitanza di elezioni e campagne, la pace si costruisce giorno dopo giorno
attraverso l'attività frenetica di una moltitudine di soggetti, radicati
nelle loro realtà locati ma connessi e informati attraverso canali tradizionali
o, appunto, moderni come la telematica.
Il poter condividere una casa telematica comune ha portato alla creazione di
una ricca e aggiornata bacheca virtuale, attraverso la quale l'informazione
circola orizzontalmente tra i partecipanti. Mailing list di distribuzione dei
messaggi, sezioni dedicate ad argomenti specifici, newsletter, contatti con
altre realtà anche internazionali, libri, dossier, tutto gestito da volontari
e disponibile online all'indirizzo http://www.peacelink.it.
Più che raccontare quello che si è fatto, è interessante
mettere l'accento su come un mezzo relativamente semplice possa essere in grado
di produrre informazione indipendente grazie allo sforzo congiunto di una rete
di diverse entità che ne condividono il progetto.
Bisogna prendere atto che la stessa struttura delle reti telematiche si presta
ad essere terreno fertile per questo genere di iniziative, infatti non mancano
altri esempi in Italia e all'estero, mentre nel caso di recenti iniziative,
come le manifestazioni in vari punti del mondo da Seattle in poi contro WTO,
FMI e Banca Mondiale, la rete ha svolto un ruolo fondamentale per il coordinamento
delle azioni e per la diffusione delle notizie.
D'altronde, questo ad oggi è l'unico mezzo di comunicazione nel quale
un'associazione pacifista e il Pentagono partono più o meno alla pari,
con il medesimo potenziale di diffusione dell'informazione; in tutti gli altri
ambiti il divario è insostenibile. Inoltre il canale di comunicazione
ha la fondamentale caratteristica di essere bidirezionale e ciò è
di particolare interesse per chi diffonde informazione non di consumo, ma di
azione. Infine anche gli eventuali sistemi di controllo si dimostrano difficilmente
attuabili su larga scala e comunque facilmente superabili con alcuni accorgimenti
tecnici.
Proprio durante il recente conflitto armato in Kossovo la telematica ha svolto
una funzione fondamentale sia nel coordinare le azioni non violente di protesta
che venivano organizzate, che nel raccogliere le notizie che filtravano attraverso
la stretta maglia stesa dall'apparato informativo della Nato. Ci sono parecchie
crepe nell'immagine che i media tradizionali hanno venduto su commissione della
Nato durante il periodo della guerra in Kossovo. Sono crepe fatte di stragi
di innocenti, disastri ambientali, morte e devastazione. Oggi, a più
di un anno di distanza e nonostante le evidenti prove, la Nato non ammette ancora
niente, a parte qualche piccolo errore, e i criminali di guerra, su tutti i
fronti, sono liberi.
Se un po' di verità circola su quello che è successo, lo dobbiamo
al lavoro preziosissimo svolto da numerosi testimoni, giornalisti coraggiosi,
volontari e gente comune.
Molti di loro hanno trovato nella telematica lo strumento ideale per comunicare
quello che stava succedendo; diversamente sarebbe stato molto più difficile,
forse impossibile.
Per questo continuiamo a proporne l'utilizzo a chi desidera informare ed essere
informato liberamente.
Questo contributo è stato presentato al convegno "CULTURA, SCIENZA e INFORMAZIONE di fronte alle nuove guerre" svoltosi presso il Politecnico di Torino il 22 e 23 giugno, organizzato dal Comitato Scienziate e Scienziati contro la Guerra
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(1) - Si veda a riguardo l'articolo di Francesco Terreri "I due Corni del debito" - Il Manifesto 15 Giugno 200
(2) - "Ecco perché è morta Ilaria" Famiglia Cristiana n. 21 - 2000
(3) - Dossier Cecenia di Carlo Gubitosa, disponibile sul sito di PeaceLink
(4) - Rete Lilliput http://www.retelilliput.it