Pubblicato dal Manifesto del 4/1/2000, viene riportato completo a cura del Comitato Cittadino contro la Guerra di Bologna. Traduzione di Fausto Concer
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Bombe Nato sulla Jugoslavia.
Una guerra, una guerra ecologica.
di Paolo Bartolomei (ricercatore ENEA - Bologna) e Alberto Tarozzi (Prof. Sociologia - Univ. Bologna)

E' da poco uscito il rapporto dell'Onu sulle conseguenze ambientali dei bombardamenti Nato sulla Jugoslavia. Un rapporto ambivalente. Da un lato l'Onu reclama dalla Nato, senza risposta, informazioni sui luoghi bombardati, per verificare la presenza cancerogena dell'uranio impoverito. Inoltre segnala i punti caldi, città' in cui si ritiene necessario un intervento immediato, per scongiurare sciagure ecologiche. D'altro lato, le conclusioni Onu negano l'esistenza di una catastrofe e enfatizzano la presenza di guasti ambientali antecedenti alla guerra. Qui si inserisce il contributo del prof. Krusewitz, del Politecnico di Berlino e fondatore dell'Istituto per la ricerca sull'ambiente e sulla pace di Kunzell, di prossima pubblicazione sull'annuario Kasselerfriedenratschlag, oltre che collaboratore del bellissimo documentario Bomben auf den Chemieindustrien presentato al Cinemaambiente di Torino. La lettura di Krusewitz è orientata a smantellare l'approccio discolpatorio dell'Onu nei confronti della Nato. Esiste cioè un diritto internazionale di guerra, la convenzione di Ginevra, aggiornato in seguito ai crimini perpetrati dagli Usa in Vietnam coi defolianti. Sulla base di tale diritto, secondo Krusewitz, l'intervento Nato va ritenuto un crimine di guerra, chimica ed ecologica, per le sue conseguenze gravi, estese e durevoli, conseguenze prodotte intenzionalmente. Il che cancella la possibile scappatoia dei 'danni collaterali'. Un'accusa grave come un macigno che 'spiega' i tentativi dei governi delle Allied force, come l'Italia, di negare, per evitare il rischio di un'incriminazione come criminali di guerra, l'esistenza stessa di una guerra, ridotta a 'intervento umanitario' o a 'operazione di polizia'.



NATO.: condotta di guerra e conseguenze ambientali

1. Proposizione del problema.
La domanda che deve porsi dal punto di vista delle scienze ambientali è quali metodi bellici e quali mezzi la NATO abbia utilizzato durante la sua Operation Allied Force e quali danni essa abbia causato all'ambiente naturale e sociale. La domanda deve essere posta in quanto sussiste il fondato sospetto che l'alleanza bellica contro la Jugoslavia abbia urtato i principi e le norme del Trattato sul divieto di guerra ecologica e contro il divieto di danneggiamento ambientale prescritto dal diritto internazionale umanitario. Le relative prescrizioni del diritto internazionale bellico includono in primo luogo l'intenzionale danneggiamento dell'ambiente nell'ambito della condotta bellica. Inoltre esse si applicano anche ai danni collaterali, se questi conducono a conseguenze dannose gravi, estese e durature, e perciò portano con sé un perturbamento significativo della vita umana, delle risorse naturali ed economiche. In questo caso sarebbe rilevante non solo dal punto di vista ambientale, ma anche di quello del diritto internazionale poter provare che l'Alleanza abbia fatto uso nell'ambito della sua condotta bellica di metodi e mezzi che dal punto di vista ambientale erano mirati o da cui ci si doveva aspettare che essi causassero danni ambientali persistenti di simile entità. Si tratterebbe allora di gravi violazioni delle leggi e consuetudini belliche, che potrebbero essere punite come crimini di guerra.

Su questo sfondo è divenuta un argomento di dibattito internazionale la questione se il bilancio ambientale della guerra consenta la conclusione che la NATO abbia effettivamente condotto una guerra ecologica contro la Jugoslavia. Con il mio contributo io cerco di dare un apporto al chiarimento di questa controversia. A questo fine è necessario innanzitutto trattare dei danni ambientali nel teatro di guerra; infine cercherò di ordinare e valutare questi danni secondo il diritto internazionale.


2. Come si comunicano e valutano i danni ambientali di guerra?

2. 1. Per la critica del concetto dell'UNEP.
Già durante la guerra, ancor prima che vi fosse il primo bilancio empirico dei danni ambientali, il direttore esecutivo del Programma Ambientale delle Nazioni Unite (ingl.: United Nations Environmental Programme: UNEP), l'ex ministro dell'ambiente Klaus Töpfer (cristiano-democratico), riferì che la guerra non aveva causato alcuna catastrofe ecologica. L'11 maggio 1999 costui rese nota la costituzione di una Balkan Task Force (BTF), un gruppo di lavoro speciale per l'ambiente nell'area di guerra. Esso avrebbe dovuto "raccogliere e confrontare informazioni credibili sulle conseguenze ambientali della crisi del Kossovo" (Haavisto, 1999), al fine di togliere fondamento a "speculazioni su una catastrofe ecologica dovuta alla guerra del Kossovo" (Süddeutsche Zeitung, (a), 1999, p. 7). Infatti a Töpfer non interessavano speculazioni, ma cose concrete. La sua BTF doveva raccogliere per tempo determinate informazioni ambientali, con cui la NATO potesse eventualmente provare di aver condotto una guerra conforme a diritto internazionale. Mentre Töpfer strumentalizzava l'UNEP e la BTF, rendeva ogni dichiarazione sul significato ecologico della guerra un argomento ambientale e di politica militare, ma soprattutto di diritto internazionale dalla forza dirompente. Dall'UNEP-BTF si pretese una prestazione apologetica, che strutturò il rapporto interno tra incarico di indagare, metodo d'indagine e risultato dell'indagine. A causa della preponderante funzione discolpatoria del rapporto finale dell'UNEP è giocoforza contrapporvi una critica sui metodi.

2. 2.1. Incarico di indagine:
Töpfer conferì al BTF solo un incarico di indagine tecnicamente ristretto, che non doveva mettere in luce né gli aspetti militari, né di giusinternazionalistici, né sociali del problema ambientale. L'incarico di indagine non riguardava quindi la questione, evidente dal punto di vista ecologico e sollevabile dal punto di vista del diritto internazionale, della concatenazione tra metodi di condotta della guerra NATO e i danni ambientali che ne sono derivati nella regione dei Balcani. Pekka Haavisto, direttore di questa technical mission, formulò poi questo equivoco concetto di indagine in un programma di valutazione apparentemente obiettivo: "L'incarico viene suddiviso tra cinque gruppi tematici: 1. Stima dei danni ambientali derivanti dagli impianti industriali distrutti; 2. Danubio; 3. Conseguenze della guerra sulle risorse naturali; 4. Effetti a lungo termine della guerra sulla salute degli uomini e sull'ambiente; 5. Insediamenti umani." (Haavisto, ibid.).

Al contrario di quanto annunciato la BTF non si occupò in loco degli "effetti a lungo termine della crisi sulla salute umana e sull'ambiente". Ciò potrebbe essere effettuato da uno studio di lungo periodo ordinato di recente dalla Commissione Europea. Il suo titolo: "Valutazione accurata degli influssi sull'ambiente della guerra in Jugoslavia" (Commissione Europea, 1999). Il suo rapporto finale verrà in essere tuttavia solo nell' autunno del 2000. Il Gruppo di lavoro UNEP ha tentato nonostante ciò di valutare la contaminazione dell'ambiente dovuta al munizionamento all'uranio impoverito (depleted uranium: DU). Esso fu costretto a convocare un Depleted Uranium Desk Asessment Group (che si riuniva a Ginevra), giacché la NATO si era rifiutata di fornire indicazioni sulla quantità di armi DU impiegate e sui loro bersagli.

2.2.2. Metodo di indagine:
La direttiva politica del direttore UNEP propiziò presso la BTF una percezione specifica delle conseguenze ecologiche della guerra, che rimase quindi allineata non a riflessioni di natura obiettiva, quanto piuttosto di natura opportunistica. Dal momento in cui la BTF accettò acriticamente la direttiva extrascientifica del suo committente politico, andò perfino ad oscurare quegli ambiti di realtà scientificamente considerevoli, che un resoconto obiettivo avrebbe sicuramente resi parte costitutiva di un'analisi e valutazione imparziale.

La BTF concepì il suo programma d'indagine in modo tale da relegare in un novero di dati extrascientifico la connessione tematica tra condotta bellica NATO, scelta dei mezzi bellici e danni ambientali da esse provocati. Solo in questo modo essa poteva considerare i gravi danni della guerra all'ambiente naturale e sociale come meri danni collaterali, a guisa di "incidenti sul lavoro" di guerra.

2.2.3. Risultati dell'indagine.
Non pare aver minimamente disturbato la BTF il dover presentare un rapporto il cui riusultato era già stabilito prima che si esaminasse la prima misurazione dei danni in loco, premessa irrinunciabile della valutazione tecnica dei danni ambientali di guerra. Nonostante -od a causa- dell'immunizzazione politicamente stabilita della realtà e della connessa minimizzazione del problema la BTF trovò prove sul fatto che la Nato aveva ripetutamente causato consistenti danni ambientali in quattro località, cioè Pancevo, Kragujevac, Novi Sad e Bor. I risultati delle loro indagini furono banali, giacché essi confermarono soltanto ciò che esperti ed esperte di disastri sapevano già in precedenza:
chi distrugge militarmente complessi industriali - installazioni petrolchimiche, raffinerie, depositi di carburante, centrali elettriche, fabbriche di munizioni, di fertilizzanti, ed impianti chimici - libera con ciò sostanze nocive all'ambiente ed alla salute, che naturalmente si depositano anche nelle vicinanze degli impianti bombardati. Ma certo non solo lì, giacchè esse si diffondono a grande distanza con le termiche, i venti, il ciclo delle acque. La BTF trascurò deliberatamente questo importante dato di fatto ecologico, nonostante allora le fossero noti i risultati delle misurazioni al riguardo eseguite dal Dipartimento di Tecniche Ambientali dell'Università Demokritos di Xanthi (Tracia) (Rapsomanikis, 1999 pag. 1-4; Süddeutsche Zeitung, (b) 1999, pag. 5). Ergo: il concetto metodico dell'UNEP-BTF non era minimamente idoneo all' elaborazione di un bilancio dei danni ambientali che sarebbe bastato alla loro stessa pretesa di presentare "un rapporto completo che sia neutrale, obiettivo e scientificamente credibile" (Haavisto, ibid.). Perciò la parte empirica del rapporto UNEP contribuiva ben poco al chiarimento del quesito qui trattato, se la NATO abbia o meno condotto una guerra ecologica.

2.3. Problematica della pianificazione ambientale.
Le guerre mondiali e le successive forme della "moderna" condotta di guerra hanno causato danni non soltanto all'ambiente naturale, ma anche a quello sociale (Krusewitz, 1985; idem, 1999, pag. 5-7). Compito di una scienza ambientale illuministica è perciò rilevare e valutare non solo i "danni collaterali ecologici", effetti primari della guerra, alla qual cosa si è limitata essenzialmente la UNEP-BTF, ma anche i suoi effetti secondari e terziari. Se la guerra contro la Jugoslavia abbia in effetti causato soltanto danni collaterali all'ambiente naturale, o se non abbia prodotto piuttosto pregiudizi macroscopici, duraturi e gravi all'ambiente naturale e sociale, può giudicarsi solo se si esaminano i suoi effetti primari, secondari e terziari. A questo fine utilizzo un metodo di ricerca che ho sviluppato nell'analisi delle guerre moderne.

2. 3.1. Effetti primari.
Quali metodi e mezzi di condotta bellica ha scelto la NATO? Quali armi vi ha impiegato? Quali sostanze tossiche/cancerogene/radioattive sono finite nell' ambiente, da quali sorgenti provenivano, in quali quantità ciò è accaduto e come si sono diffuse nello spazio? Quali danni si possono documentare nella biosfera (nel bilancio naturale regionale), nei paesaggi culturali, nei territori protetti, nei territori di ricreazione, come pure nelle regioni-modello internazionali (riserve della biosfera dell'UNESCO)? Con riguardo agli effetti primari della guerra si conosce qualche cosa rispetto ai danni ambientali di limitata estensione, ma poco riguardo a quelli di ampio raggio. Dati primari sono stati rilevati soprattutto presso i siti industriali bombardati. Sono stati aggrediti e distrutti da attacchi con bombe o missili oltre 20 impianti che contenevano sostanze e/o energie pericolose come:

Con ciò sono state liberate in un'area considerevole sostanze cancerogene, tossiche ed ecotossiche. Finora tali inquinanti sono stati misurati e segnalati nelle seguenti località (Stephan/Strobel/Klaß, 1999; FOCUS, 1999; Tehnokratia, 1999; UNEP/UNCHS, 1999):

Questi gli effetti primari della guerra. E' incontestabile che la Operation Allied Force ha danneggiato notevolmente l'ambiente naturale nei dintorni dei complessi industriali distrutti, e con ciò ha compromesso la salute della popolazione. E' tuttavia controverso se i danni all'ambiente siano solo notevoli o non piuttosto gravi, estese e durature. Su ciò ritornerò nella sezione dedicata alla valutazione della condotta di guerra secondo il diritto internazionale.

2.3.2. Effetti secondari.
Come agiscono tali inquinanti e tali danni ambientali su uomini, salute, agricoltura, forestazione, risorse acquee, aree protette, regioni-modello, approvigionamento idrico, infrastrutture del traffico, ed insediamenti? Quali tendenze seguono nel corso del tempo le concentrazioni degli inquinanti e quali ne sono i motivi? Si devono adottare misure di emergenza in aree ad alto rischio (per es. presso le fabbriche chimiche distrutte)? Quali procedure tecniche devono essere messe in atto per la diminuzione o l' eliminazione dei danni? Le discariche militari sono riconoscibili e da risanare? Può essere ripristinato lo status quo ante ecologico? In questo momento nella Repubblica Jugoslava sono stati rilevati solo pochi dati riguardanti gli effetti secondari. Ciò per motivi di politica interna, per le sanzioni, per motivi strutturali, ma anche per motivi legati alle tecniche di misurazione ambientale, di cui non ci si occupa più dettagliatamente. Tuttavia, nel caso dei complessi industriali bombardati a Pancevo, si può esporre in modo esemplare il nesso causale tra effetti sull'ambiente della condotta bellica NATO primari e secondari. La NATO attacca più volte con missili (Cruise Missiles) la località industriale Pancevo - un complesso di stabilimenti petrolchimici, raffinerie di idrocarburi, fabbriche di fertilizzanti, impianti di cloruro di vinile monomero ed etilene - e lo distrugge insieme con i suoi grandi depositi. Le sostanze tossiche da ciò sprigionate formavano ad ogni attacco nubi tossiche, che contenevano di volta in volta miscugli corrosivi di ECD, cloruro di vinile monomero (VCM), diossine, fosgene, anidride solforosa, ossidi di azoto, benzo(á)pirene ed ammoniaca.

In alcune notti di bombardamento le concentrazioni di veleni erano altrettanto alte che dopo un grande attacco con armi chimiche. La popolazione è stata ripetutamente esposta, in quasi tutti i casi indifesa, a queste sostanze tossiche. Perciò i danni alla salute "si mostreranno in parte soltanto fra molti anni" (Stephan, 1999, pag. 42).

2.3.3. Effetti terziari.
Quali costi per l'economia nazionale sorgeranno dai programmi di ricostruzione e risanamento? Chi li finanzierà? Come agiranno le conseguenze della guerra sul mercato e sulle condizioni del lavoro? Come i costi naturali e sociali della guerra cambieranno lo standard di vita, le condizioni culturali ed educative della società? Le opzioni di sviluppo economiche, politiche ed internazionale delle parti in conflitto sono ragguardevolmente limitate? I danni economici sono perciò significativi dal punto di vista della pianificazione ambientale, poiché le loro dimensioni decidono se, e, se sì, sotto quali condizioni, si potranno sostenere i costi ambientali naturali e sociali della guerra. I tre settori-chiave dell'industria jugoslava, chimico, energetico, metallurgico sono stati gravemente danneggiati. La petrolchimica, il ramo industriale più redditizio del paese, è quasi completamente distrutto, con nefaste ed incalcolabili conseguenze ecologiche, il moderno impianto chimico Petrohemija di Pancevo è stato raso al suolo.

Altrettanto distrutte sono entrambe le fabbriche di fertilizzanti di Novi Sad e Pancevo. Ciò significa "un'ipoteca particolarmente pesante per il futuro. La Jugoslavia è un paese agricolo, ed è sopravvissuta agli anni dell 'isolamento solo della propria produzione alimentare. Negli anni scorsi la quota dell'agricoltura nel prodotto interno lordo è salita dal 35 a quasi il 50%" (Israel, 1999, pag. 8). A Pancevo si trovavano anche le maggiori raffinerie della Jugoslavia, che ora sono ridotte in macerie. L'economia energetica è il secondo settore economico fondamentale che è stato duramente danneggiato dalla guerra. "Nel settore-chiave della metallurgia gli stabilimenti del gruppo Zastava, soprattutto a Kragujevac, sono stati largamente distrutti. 120 imprese fornitrici dipendono da questo complesso industriale automobilistico" (Spiegel, 1999, pag. 153).

Un primo bilancio degli effetti terziari nell'economia nazionale presenta, secondo l'inventario di un economista jugoslavo, il seguente quadro: "A causa della guerra e delle sue conseguenze la produzione industriale nella Repubblica Federale Jugoslava, confrontata coll'anno precedente, calerà del 44, 4% [...]. Il prodotto interno lordo dovrebbe affondare del 40,7%, l' impotr-export di oltre il 50%, la disoccupazione dovrebbe salire al 32,6%" (Süddeutsche Zeitung, 1999, pag. 25).


3. Valutazione dei danni ambientali secondo il diritto internazionale bellico.

Alla spiegazione della questione, se la NATO abbia condotto una guerra ecologica contro la Jugoslavia contribuisce il diritto internazionale bellico. Le norme ed i principi relativi si trovano:

In base all'esperienza della condotta bellica USA in Vietnam l'ONU varò nel 1977 la ENMOD-Convention; la Repubblica Federale Tedesca la ratificò nel 1983.

Secondo l'art. I dell'accordo è vietato l'uso "di tecniche che alterino l' ambiente che producano effetti gravi, estesi e duraturi" come mezzo di condotta bellica. "Il bersaglio è dunque l'uso delle cosiddette environmental modification techniques come strumenti militari, cioè il mirato abuso dell'ambiente come arma" (Oeter, 1994, pag. 98). Ogni "manipolazione" militare "dei processi naturali" (art. II) è pertanto interdetta.

Le Intese (Understandings) sugli articoli I e II stabiliscono che si intende "esteso" un ambito di varie centinaia di chilometri quadrati; per "duraturi" s'intendono danni militari che si prolungano per vari mesi (circa una stagione), e "grave" è un effetto che porta con sé disturbi seri e significativi alla vita umana, alle risorse economiche e naturali e ad altri beni.

Se viene violato uno di questi limiti, entra in gioco il divieto dell'ENMOD. Con l'art. 35, sez. 3, PA I e le norme complementari dell'art. 55 nello stesso Protocollo Aggiuntivo è stato "introdotto un assoluto divieto di danni ambientali persistenti nel diritto internazionale umanitario" (Oeter, ibid.). Se è chiaro o presumibile che si pervenga a danni ambientali gravi, estesi e duraturi, anche l'impiego di tali mezzi e metodi dannosi per l'ambiente non è più ammissibile, nemmeno se asseritamente necessario dal punto di vista militare. Arrecare consapevolmente od accettare semplicemente il rischio di creare danni gravi e persistenti all'ambiente sono coomportamenti con ciò pienamente considerati nell'ambito della condotta bellica.

Le norme del protocollo aggiuntivo I superano in principio il divieto della ENMOD. Non vi sono solo compresi l'intenzionale danneggiamento dell'ambiente nell'ambito della condotta bellica (come nel caso della convenzione sul divieto di guerra ecologica), ... ... ... ... danni collaterali" (Oeter, ibid.). Poiché ogni condotta bellica causa notevoli danni collaterali all'ambiente, la questione sulle disposizioni limitative della guerra nel Protocollo Aggiuntivo I non è soltanto di prevalente interesse militare, ma anche di interesse per la pace. "La Conferenza Diplomatica ha perciò utilizzato i concetti-soglia esteso, duraturo e grave impiegati analogamente alla ENMOD, non ugualmente in modo alternativo (come per la ENMOD) ma in modo cumulativo. Solo i danni collaterali coinvolgenti grandi superfici, che contemporaneamente persistono per lunghi lassi di tempo e che inoltre comportano gravi pregiudizi per l' ambiente, sono compresi dai divieti dell'art. 35, 3° co., e 55 del PA I (Oeter, loc. cit. pag. 99).


4. Applicazione dei criteri di valutazione giusinternazionalistici alla condotta bellica della N.A.T.O.

Si ammette qui che una complessiva, sistematica analisi dei dati rilevanti dal punto di vista ambientale, se fosse in effetti possibile, non è stata fino a questo momento (ottobre 2999) ancora fornita. Tuttavia le informazioni introdotte nei dati sono sufficienti ad ottenere istruttivi risultati sul nesso causale tra condotta bellica e conseguenze ambientali; conformemente a ciò determinati effetti primari, secondari e terziari sono duraturi, si presentano in modo esteso, ed indicano danni gravi all'ambiente naturale, dai quali la salute della popolazione è considerevolmente minacciata.

4.1. Danni ambientali duraturi.
Violazioni delle disposizioni delle intese relative all'art. I, II della ENMOD-Convention in relazione con l'art. 35, sez. 3, art. 55, sez. 1, PA I. Al contrario dell'impressione comunicata dal Gruppo di lavoro dell'UNEP, raccolta dei dati e valutazione della pericolosità dei danni ambientali si mostrano complicate, poiché con la distruzione dei complessi industriali si sono formate contaminazioni miste di varie sostanze. "L'effetto dell' interazione di tali miscugli di inquinanti nel sottosuolo è assai difficilmente valutabile ed ancora poco studiato". (UBA, 1999, pag. 9). "Sicuramente dal ciò che resta dalla distruzione di discariche industriali deriverà nelle regioni colpite una minaccia per gli esseri umani che agirà ben oltre la fine della guerra". Questo giudizio prognostico è stato confermato dall'Ufficio per le sostanze pericolose (Halle) e dall'÷ko-Control (Dessau) nel caso di Opovo: "Near Opovo, forest damage which suggests contamination by fumes was clearly perceptible. [...] Crop losses (probably over a period of several years) should be taken in account, as well as a detrimental impact upon the natural fauna and flora" (Stephan/Strobel/Klaß, loc. cit., pag. 54).

4.2. Danni ambientali estesi.
Violazioni delle disposizioni delle intese sugli artt. I e II della ENMOD-Convention in relazione con l'art. 35, sez. 3, ed art. 55, sez. I, PA I. Inoltre la minaccia si estende largamente oltre le regioni colpite. Due prove empiriche al riguardo:

Resta da chiarire come mai soltanto istituti ecologici greci abbiano misurato la diffusione di inquinanti su spazi estesi in Europa.

4.3. Danni ambientali gravi.
Violazioni delle disposizioni nelle intese relative agli artt. I, II della ENMOD-Convention in relazione agli artt. 35, sez. 3; 54, sez. 2, 55 sez. 1, PA I. L'Ufficio Federale dell'Ambiente (Umweltbundesamt: UBA) già il 5 maggio 1999 avvisava che per le conseguenze ambientali della guerra un "uso civile di larga parte di queste regioni non sarà possibile per la minaccia alla salute derivante dalla contaminazione del suolo e delle acque profonde e superficiali" (UBA, 1999, pag. 10). Questa previsione è stata finora confermata in due gravi casi. Si tratta del significativo danneggiamento delle risorse naturali ed economiche, come anche della vita umana, in un caso per lo sprigionamento di policlordibenzodiossine (PCDDs: diossina di Seveso) e di policlordibenzofurani (PCDFs); ed altrettanto nell'altro caso, relativo allo sprigionamento di prodotti radiotossici e chemiotossici della disintegrazione di munizioni di uranio (munizioni DU).

4.3.1. Azione dei PCDDs e PCDFs:
"It can be claimed that considerable amounts of PCDDs/PCDFs must have been distributed by gas clouds. [It] would therefore be necessary [to] examine the contamination of agricultural and horticultural lands over which the gas clouds passed, the substances carried by the clouds would have been partly distributed by precipitation. The values obtained [...] reach limits for agricultural and horticultural land use and suggest the need for inspection and remidial action of restricted use" (Stephan/Strobel/Klaß, loc. cit., pag. 52). Ciò sarebbe "non una catastrofe ambientale, ma chiaramente una perturbazione dell'ambiente", sentenzia il direttore della Divisione Chimica Ambientale dell'Università di Ulm, Karlheinz Ballschmiter. I cancerogeni furani e diossine sarebbero immagazzinati prevalentemente nei prodotti agricoli ed "al 95 per cento introdotti nella catena alimentare". Così le vacche avranno prossimamente anche dalle nostre parti un carico più elevato. "Gli esseri umani sono colpiti attraverso i prodotti lattiero-caseari". Tuttavia il "carico a Belgrado e dintorni" sarebbe "molto più elevato". "Se in quei luoghi tra due anni si analizzasse il latte materno, il risultato si rispecchierebbe negli inquinanti in esso contenuti" (Süddeutsche Zeitung, (a), loc. cit., pag. 5).

4.3.2. Effetti delle munizioni DU:
Nell'aprile 1999 diversi media tedeschi annunciavano che la NATO aveva "confermato, che la forza d'attacco USA impiega in Jugoslavia munizionamento radioattivo. Allo stesso tempo l'alleanza smentiva però voci sulla pericolosità per i civili estranei" (Fuldaer Zeitung, 1999, pag. 3). Questa affermazione della NATO era falsa. Vero è al contrario che l'impiego di queste munizioni rappresenta un notevole pericolo per uomo e natura.Allo stato naturale il metallo pesante uranio è un miscuglio degli isotopi U235 e U238. L'isotopo U235 è presente in questo metallo pesante soltanto in misura limitata. Per l'utilizzzo dell'uranio nelle armi nucleari è necessario elevare la quota di U235 con dei procedimenti di arricchimento. Con ciò avanza U238 in grandi quantità. Questo U238 viene anche qualificato come depleted uranium (DU).L'interesse militare per il DU fu svegliato poiché esso possiede una densità molto più elevata di altri materiali imopiegati nella produzione di munizioni. Così il DU è quasi tre volte più pesante dell'acciaio, cosa che ad una granata riempita di DU consente di avere una forza di penetrazione molto maggiore nei confronti delle corazze dei veicoli militari. Poiché il DU è più tenero dell'acciaio, esso si polverizza nel penetrare le corazze. Se un tale proiettile colpisce la superficie del bersaglio, una gran parte dell'energia cinetica si converte in calore. Allora il proiettile si accende ed agisce all'interno del carro armato come un proiettile incendiario. (Rodejohann, 1977, pagg. 39 e segg.) Dopo l' esplosione l'U238 si comporta da radiotossico, in quanto emette raggi alfa, e da chemiotossico in quanto metallo pesante. "Secondo ricerche intraprese nel frattempo la produzione di radioattività alla superficie del proiettile da me [cioè il prof. Siegwart-Horst Günther] rinvenuto nel 1991 ammontava ad 11 microSievert al minuto. La dose ammessa in Germania viene definita in 300 microSievert all'anno. Avendo a che fare con un proiettile di uranio, pertanto, la dose annua si raggiunge abbondantemente in un giorno" (Günther, 1999, pag. 184). Nell'aria le particelle di uranio si legano ad areosol. Essi possono essere inalati attraverso le vie respiratorie od ingeriti attraverso la catena alimentare. Possibili conseguenze: "anemia, leucemia, tumore osseo, danni all'embrione" (Wolff, 1998, volantino).

Sebbene la NATO finora si rifiuti di dare indicazioni sulle aree e quantità di impiego del munizionamento DU, è sicuro che essa ha adoperato quest'arma nella regione di Prizren. "In aprile, durante il conflitto del Kossovo, scienziati dell'Istituto Nazionale per la Difesa della Salute in Macedonia hanno misurato nell'aria valori otto volte più elevati di quegli emettitori di raggi alfa derivanti dai proiettili di uranio" (Peterson, 1999, pag. 11). Anche il Ministero dell'Ambiente serbo ha misurato "in Kossovo una maggiore emisssione radioattiva nella misura di 3,4 Mega Becquerel. Essa sarebbe stata causata da U238 non fissile, contenuto nei proiettili sparati dagli aerei americani modello A-10" (IPPNW, 1999, pag. 23). L'Autorità Britannica per la Protezione dalle Radiazioni avvertiva in luglio, che i maggiori rischi in Kossovo erano da ricercare ove erano state sparate munizioni di uranio. Perciò le truppe britanniche ivi stanziate erano state avvertite di indossare tute protettive, "se il contatto con obiettivi colpiti da munizioni di uranio è inevitabile" (Peterson, ibid.). Per un'efficace protezione della popolazione civile dai persistenti pericoli per la salute di questi componenti per la salute, nessuno si è in ogni caso finora dichiarato competente.

4.4. I danni ambientali persistenti erano prevedibili (art. 35 sez. 3, 55 sez. 1, PA I)
Le prove qui esposte del fatto che la NATO con la sua condotta bellica abbia causato danni estesi, duraturi e gravi all'ambiente naturale e sociale, volgono l'interesse sull'interrogativo, se essa abbia agito in modo premeditato od inconsapevole. Il Governo Federale ha preso la seguente posizione al riguardo. "La pianificazione degli obiettivi, cioè l'individuazione dei bersagli e la scelta della procedura d'attacco era studiata in modo tale da evitare possibili danni collaterali, soprattutto ai civili, ma anche all'ambiente. Perciò la NATO ha impiegato una complessa procedura, in cui giocavano un ruolo tutte le informazioni disponibili sul bersaglio stesso, su possibili bersagli collaterali, così come sull'azione dei vari tipi di armamento in questione nel combattimento. In parte sono state usate simulazioni computerizzate, per testare l'arma col più ridotto rischio di danni collaterali. Dei giuristi hanno valutato ogni bersaglio dal punto di vista della liceità del combattimento secondo il diritto internazionale" (Parlamento Tedesco -Bundestag, Drs. 14/1788, pag. 4).

Questa argomentazione non convince affatto, perché non chiarisce i danni ambientali duraturi della guerra. Ancor più notevole è il riferimento al diritto internazionale, e ciò per due motivi. In primo luogo poiché all'interno degli Stati belligeranti v'erano concezioni notevolmente diuverse su ciò che nell'ambito della Operation Allied Force era o non era conforme a diritto internazionale. Contrariamente agli altri Stati della NATO, gli Stati Uniti da oltre vent' anni non hanno ratificato i relativi trattati di diritto internazionale bellico. In secondo luogo, in quanto esso suscita la questione su che tipo di giuristi internazionalisti debbano essere quelli che ritengono conformi a diritto internazionale dei metodi di condotta bellica secondo i quali è lecito utilizzare impianti chimici come armi ecologiche secondarie, al fine di condurre una guerra chimica contro natura ed uomo senza armi chimiche. E se i pianificatori di obiettivi abbiano effettivamente impiegato allo scopo simulazioni computerizzate, non si potrà indagare fintanto che i ministeri della guerra della NATO non renderanno pubblici le analisi, segretate, degli effetti delle armi (BDA: Battle Damage Assessment) (Bundestag tedesco, loc. cit., pag. 3). In conclusione con tali simulazioni i militari avrebbero potuto scegliere anche l'arma più pericolosa.

Nel caso di Pancevo vi sono indizi che convalidano questa ipotesi. Dopo i bombardamenti dell'impianto di VCM della fabbrica chimica HIP AZOTARA con missili Cruise si sprigionò tra l'altro del fosgene, una sostanza una volta e mezzo più velenosa dell'acido cianidrico (o prussico). "After the bombing on April 15 and 18, and thus after the distruction of the VCM plant by fire, test results showed the following pollution levels: [...]phosgene: concentration detected: 10 ppm; concentration causing irritation: 1-3 ppm; lethal concentration: 10 ppm" (Stephan/Strobel/Klaß, loc. cit., pagg. 21 e segg.). 1 ppm (parte per milione) è l'abbreviazione riferita al peso (1 mg/kg). Con tali attacchi la NATO ha messo in pericolo consapevolmente vita, salute e sicurezza della popolazione civile, come anche la biosfera nell'area urbana di Belgrado. Consapevolmente, giacché essa poteva prevederne le conseguenze devastanti. L'alleanza militare aveva sviluppato già due decenni fa un marcato interesse proprio per gli scenari di ricaduta del fosgene. Uno degli studiosi di ricadute dell'epoca, nel frattempo divenuto membro della direzione della Shell tedesca s.p.a., il chimicon Fritz Vahrenholt, riferiva nel 1979 in un simposio NATO a Roma i risultati delle relative simulazioni al computer: "Quanto al fosgene, che fu impiegato nella guerra mondiale come arma chimica contro i Francesi e che oggi è utilizzato in una serie di processi chimici, nel 1978 è stato calcolato dal TÜV (ente di supervisione tecnica) della Renania quali effetti potrebbe avere una ricaduta in condizioni estremamente sfavorevoli: in regioni densamente popolarte come la zona di Colonia oltre 2. 000 morti e quasi 20.000 feriti gravi" (Vahrenholt, 1982, pag. 193). Nel 1979 la ricerca fu ripetuta, su incarico della NATO, dal meteorologo berlinese Bernd Gutsche, con un modello di diffusione matematico-meteorologico. Risultato: "A seconda delle condizioni meteorologiche una nube di fosgene si può estendere fino a sei, ma anche oltre 100 chilometri, nel qual caso nella zona interna morirebbe un abitante su due. Nel caso peggiore potrebbe essere investita un area di circa 1200 chilometri quadrati" (Gutsche, 1980, pag. 217). La quantità critica di questi prodotti chimici esplosivi in grado che potrebbe causare una tale dinamica catastrofica, consiste di 2 tonnellate. Quanti morti o feriti si aspettava la NATO nell'aprile del999 dal suo attacco alcomplesso chimico? Evidentemente dobbiamo riconsiderare il nostro concetto di guerra chimica. Guerre chimiche moderne non vengono più condotte con armi chimiche primarie, bensì secondarie, cioè attraverso il bombardamento, secondo le condizioni ecologiche e metereologiche, di impianti contenenti sostanze e/o energie pericolose.

Dal momento che i pianificatori di guerra della NATO conoscevano la quantità critica di questi prodotti chimici, che agiscono in modo simile alle armi chimiche se liberate durante un attacco, io rinfaccio loro che proprio l' incontrollabilità delle ricadute chimiche di natura militare è insita nell' elemento tattico essenziale della condotta di guerra.

Questa ipotesi è suffragata dall' ufficio federale per l'ambiente attraverso la seguente congettura sulla prognosi di ricaduta: "generalmente si presuppone che attraverso la liberazione, incendio, esplosione di sostanze pericolose:

I materiali pericolosi possono essere immessi nell'atmosfera, nel terreno, e perciò sia nelle acque sotterranee che in quelle di superficie. "Incendi di grandi dimensioni causano, sulla base della termica connessa, un ampio , sconfinato spargimento di materiale dannoso." (UBA, ebda. S.5).

Il caso Pancevo spiega infine il perché la NATO riteneva di poter raggiungere il proprio fine strategico solo coi metodi e mezzi della condotta bellica ecologica. Essa causò premeditatamente dei danni collaterali che coinvolsero vaste aree; tali danni parimenti permangono più a lungo e perciò mettono seriamente in pericolo la salute della popolazione: e questo con l'intenzione di far insorgere la popolazione contro il governo da essa scelto. "La campagna aerea della NATO [sic!] ha contribuito militarmente al cedimento finale di Slobodan Milosevic. Il presidente jugoslavo si è accorto infine che la popolazione non era pronta a sopportare più a lungo le privazioni della vita quotidiana causate dagli attacchi ad obiettivi di rilievo militare". (Deutscher Bundestag, Drs. 14/1788, p 4).

Solo dalla prospettiva di una condotta di guerra totale devono sembrare rilevanti dal punto di vista militare tutti gli obiettivi naturali e sociali. Ma solo in questa prospettiva. Per gli uomini colpiti dalla guerra, invece, l'affermazione del nostro governo federale secondo cui gli attacchi aerei NATO "non sono stati rivolti né contro la popolazione né contro l' economia jugoslava" (Deutscher Bundestag, Drs.14/1788, p.4) suona come una presa in giro delle loro sofferenze per la guerra .