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>Date: Sun, 16 Jul 2000 16:23:32 -0700
>From: "maria nina posadinu" <[email protected]>

Carissimi tutti,

spero abbiate immaginato che per tutto questo tempo non ho avuto accesso a Internet e che non vi siate preoccupati. Vi scrivo dal caldo torrido di Palenque. Ormai mi ero abituata al freddo pungente delle montagne e fatico un po' persino a scivere. Non si respira per il tasso alto di umidità e per fortuna in questo locale c'è l'aria condizionata.

Le cose da raccontare sono così tante che mi gira la testa anche per questo. Cercherò di darmi dei titoli per imporre un ordine al turbine che mi avvolge, ma mi scuserete se mi perdo un po'.

1. Accampamenti civili per la pace

Aspettando la risposta da San Marcos, per non restare inattiva a S. Cristobal ho pensato di andare a visitare i profughi rifugiati nelle montagne de "Los Altos". A circa sessanta chilometri da S. Cristobal, ma con circa due ore e mezzo di viaggio in auto, per via della strada dissestata a causa delle piogge che divelgono letteralmente lo strato di asfalto o lo fanno sprofondare, si sono rifugiate circa 10.500 persone. Dopo l'interruzione del dialogo degli accordi di S. Andres del 1996, a seguito della strategia della guerra di bassa intensità, comincia l'esodo delle popolazioni che sfuggono agli assalti dei paramilitari.

Dalla diffusione della notizia del massacro di Acteal, dove furono uccise per mano dei paramilitari 45 persone, in maggioranza donne e bambini che pregavano nella loro chiesina, e a seguito delle offensive contro altri municipi autonomi, migliaia di famiglie si sono via via rifugiate sulle montagne. Da circa tre anni, vivono in un municipio che non posso menzionare, divisi in dieci accampamenti, nel terrore continuo di attacchi, e sono accerchiati da postazioni dell'esercito e di paramilitari. Truppe armate passano di continuo sulla strada principale, davanti all'ingresso del villaggio principale; la notte, elicotteri da guerra sorvolano la zona molto bassi, così come piccoli aerei. Da tre anni, in questa zona vivono, compresi i residenti originari, circa 25.000 persone in continuo terrore di attacchi, sia terrestri che aerei.

Le famiglie dei profughi, per i primi due anni, sono state ospitate nelle povere capanne di legno delle famiglie originarie, e da circa un anno hanno cominciato a costruirsi delle case proprie, se così possono chiamarsi. Un tetto di lamiera, quando arriva una donazione straniera ed è possibile comprarlo, ma non basta mai per tutti, e nel frattempo nascono alti bambini, si formano nuove famiglie. Le pareti sono costituite principalmente di tronchi radi o ritagli di teloni di plastica, visto che le tavole per le pareti costano troppo e non possono permettersele. Ricordiamoci che si parla di terre fredde, a circa 2.000 metri. Il pavimento è in terra battuta. Le case sono ammucchiate una all'altra e a dire il vero anche quelle originarie hanno un aspetto molto precario. Spero di potervi mandare delle immagini presto da casa di qualcuno, ho già sviluppato due rullini di foto.

Le famiglie sono composte da 10/15 persone che preparano gli alimenti con il fuoco a legna. Le condizioni abitative, lo spazio in cui sono situate, la mancanza delle minime condizioni igieniche, la scarsezza di latrine e pinti di acqua, dà un'idea da brivido dell'estrema povertà in cui vivono i poveri.

Dipendono da aiuti di organizzazioni non governative e dalla Croce Rossa Internazionale. Ogni due settimane vengono distribuite delle razioni alimentari di alimenti che compongono la dieta base degli indigeni: fagioli, riso, mais, zuchero, sale, olio di semi, sapone, sardine in scatola. Le razioni sono scarse perché, in teoria, dovrebbero integrarle continuando a lavorare la terra. Di fatto, questo non è possibile. Non ci sono nuove terre coltivabili e non è possibile recuperare quelle lasciate alle spalle per le continue rappresaglie e minacce dei paramilitari, che o si sono impossessati delle loro terre, hanno bruciato le loro case, ucciso i loro animali, o fanno dei presidi per impedire loro di organizzare la raccolta dei prodotti precedentemente coltivati e che potrebbero essere fonte di piccolo reddito familiare. Si tratta principalmente di caffè e mais. Il caffè se non viene raccolto in tempo marcisce, la pianta si rovina e tutto il raccolto è andato in rovina. Il caffè era la loro principale fonte di entrata.

La comunità potrebbe avere l'acqua potabile, ma non può utilizzarla, per la maggior parte degli accampamenti, perchè l'esercito si è impossessato dei manti acquiferi e i paramilitari hanno tagliato i condotti.

Le prese d'acqua esistenti sono molto insalubri. Quattro medici si alternano ogni venti giorni, ma non possono coprire tutta la popolazione. Le malattie più frequenti sono broncorespiratorie, infezioni intestinali, patologie psicologiche varie a causa del clima di paura, macchie della pelle, herpes, gastriti, coliti, parassitosi, tubercolosi e malaria.

Cosa ci stiamo a fare noi e come possiamo aiutare?
Ed è qui che cerchero di definire quelli che si chiamano "Accampamenti civili per la pace".

Giovani e non, alcuni nazionali e principalmente internazionali, che gli indigeni definiscono "Stranieri di coscienza", vengono ospitati nello spazio loro destinato per dormire, su tavole di legno, qualche volta con materasso di gommapiuma in cambio di un'espressione di solidarietà. La loro presenza, molto ostacolata dal governo, impedisce di fatto gli attacchi ed è riuscita a tenerli a freno in questi ultimi anni. Il governo, infatti, che si sforza di mostrare una faccia demcratica, non si vuole compromettere con rappresaglie su stanieri che non hanno infranto alcuna legge. Cerca di impedire che arrivino in certe zone, ma esistono delle strategie che ovviamente non posso dirvi, e anche se a fatica, riusciamo a raggiungere le zone suddette.

Ho deciso di andare a conoscere la situazione dei profughi, anche allo scopo di decidere come impiegare meglio i soldi che mi avete dato. Penso che, come già fanno varie associazioni internazionali, comprerò uno o due camion carichi di mais. Certo mi sarebbe piaciuto aiutare a migliorare le abitazioni, ma sono così tante... Per comprare le lamiere per il tetto e le tavole di legno e costruire una delle migliori case di questa zona abbiamo calcolato circa 100 dollari. Avete capito bene, cento. In sé, è una cifra ridicola per il costo di una casa nel mondo, ma qui è un capitale, soprattuto in questa situazione. Mi piacerebbe organizzare degli aiuti periodici, almeno per il cibo, e ci sarebbe già il contatto giusto ed estremamente affidabile per poterlo fare dall'Italia. Come lo firmo questo aiuto di ora?
Amici di Pistoia? Però c'è anche un po' di Sardegna. Datemi un sugerimento su come volete essere chiamati. Non voglio prendermi tutto il merito come se fosse una mia offerta pesonale. Diamoci un nome, una sigla.

Torniamo al racconto.

Pensavo di restare solo tre giorni ed ho raggiunto un gruppo di giovani Baschi che erano già lì da una settimana. Persone stupende, la definizione di "Giovani di coscienza" calzava loro a pennello. Spendevano le loro vacanze ed i loro magri risparmi di tutto l'anno per fare i turni la notte all'ingresso del villaggio, di giorno cercavano di riposare, e preparavano i loro pasti. Abbiamo parlato a lungo e li ho trovati favolosi. Ho pensato che sarei stata fiera di essere la loro mamma, o la loro insegnante (una media di 24 anni).

Nessuno dorme qui, e tutti sono in continuo stato di allarme e con lo zaino pronto. Infatti il cordone all'entrata è di difesa, ma solo per guadagnare tempo e permettere alla popolazione di scappare di nuovo. Persino i bambini sono pronti e sanno quale sarà il loro compito all'evenienza. Il posto che ci è stato destinato per l'alloggiamento è situato davanti ad un campo di pallacanestro e spesso ci siamo chiesti perche giocano giorno e notte come se si stessero preparando ad un campionato mondiale. Inoltre non ci lasciano dormire.

Abbiamo scoperto che si tratta della riserva del cordone, e che gioca per tenersi sveglia, pronta a rafforzare la guardia all'ingresso in caso di pericolo.
Anche le donne, con i loro vestiti ricamatissimi ed i loro scialle, fanno il loro turno, per permettere ai mariti di riposarsi, andare a far legna per la cucina, e quando possono, anche a coltivare qualcosa. Il tutto avviene in un clima tranquillo, apparentemente indifferente, di solidarietà estrema, fra il continuo passare dei carri militari, degli elicotteri ecc. Nessuno si lamenta e praticamente nessuno dorme a orari regolari da tre anni. Le notti sono molto fredde e qualcuno dei ragazzi baschi si è ammalato, sebbene ben coperto. I locali non hanno molto con cui coprirsi ma stanno fermi in silenzio con una dignità che fa venire i brividi.

2. Titeres

Ci ero andata per restare solo tre giorni e ci sono rimasta dieci. Il giorno dopo il mio arrivo, è arrivata una coppia di argentini che vivono in Patagonia. Fino a cinque anni fa, facevano i maestri e collaboravano con una specie di centro sociale con programmi di appoggio ai Mapiche, gli indios del posto. Per hobby facevano un po' di teatro di marionette e di pagliacci, che in spagnolo si dice Titeres, e loro Tiriteros. Cinque anni fa hanno deciso di farlo di professione ed hanno lasciato il resto. Lavorano diversi mesi dell'anno in Argentina facendosi pagare, e appena hanno messo da parte il minimo indispensabile, lo utilizzano per viaggiare e cercare di portare un momento di gioia e di allegria nelle zone più povere del mondo, gratis. Ci siamo intesi subito alla perfezione, erano venuti per fare il giro di tutti gli accampamenti dei profughi, sparsi fra le montagne. Il responsabile mi ha consigliato di unirmi a loro, così anch'io avrei avuto il quadro completo della situazione. Non mi è parso vero. Ho rimandato tutti gli altri impegni e mi sono unita a loro. Abbiamo camminato per dieci giorni percorrendo tutte le montagne in situazioni a volte di estrema fatica, con lo zaino in spalla che diventava di piombo. Salite ripidissime, e poi discese ripidissime, e salite ancora piu ripide, su una media di 2.000 metri di altitudine, con la testa che a momenti sembrava scoppiare, le gambe che si ribellavano e cominciavano a tremare da sole, ma ce l'abbiamo fatta e ne è valsa la pena. Avevamo sempre delle guide che si avvicendavano di villaggio in villaggio e che ci aiutavano con gli zaini che, contando anche quelli del teatrino, erano molti. E' stata per me una grande occasione. Presentandomi infatti con loro, aiutarli a montare il teatrino, assistere alle risate di questa gente che vive in condizioni tanto difficili mi ha riempito il cuore. Gli animi si scioglievano e la comunicazione accelerava i tempi e l'impatto era senz'altro diverso dal presentarsi come semplice osservatore straniero. Dopo poche ore già venivamo integrati nella comunità, a partecipare alla vita di queste persone, che insistevano per dividere con noi la loro povera cena, principalmente due cucchiai di fagioli. In due villaggi particolarmente poveri non avevano nemmeno quelli e ci hanno offerto solo un po' di possol da dividere in quattro. Si era unito a noi Jorca, un giovane basco di 24 anni. E siamo andati in giro felici di portare un poco di felicità, ed in ogni villaggio già ci aspettavano perché per le loro forme misteriose di informazione, già sapevano, e noi abbiamo viaggiato un un continuo stato di esaltazione.

Lo spettacolo avveniva normalmente di pomeriggio e c'era sempre la minaccia della pioggia, ma all'ultimo momento si levava il vento e allontanava le nubi in modo provvidenziale. Durante i duri spostamenti, succedeva lo stesso e le guide si preoccupavano e affrettavamo il passo. I sentieri infatti erano cosi ripidi che col terreno bagnato sarebbe stato quasi impossibile percorrerli per la loro estrema scivolosità.

Durante tutti i giorni del nostro vagabondare, non ha mai piovuto in momenti critici. Era come se un angelo custode ci proteggesse ed avesse spostato momentaneamente l'orario delle piogge fino a quando non avessimo terminato la nostra opera. Nella nostra esaltazione, sentivamo come di avere l'approvazione divina e ne eravamo felici.

Dormivamo pochissimo, sotto tettoie di lamiera, con pareti precarie o quasi inesistenti, quasi portati via dal vento. Ci svegliavamo con le prime luci del giorno, a volte in posti senza acqua per poterci lavare; non abbondavamo certo di cibo, camminavamo per diverse ore al giorno in condizioni estreme ed è nato fra noi un legame profondo. Ci è dispiaciuto separarci.

Io dovevo tornare a San Cristobal e partire per l'appuntamento a Salto de Agua con i responsbili di San Marcos, che era fissato per sabato pomeriggio. Siamo partiti insieme, io, Violetta e Jorche alle sei del mattino di venerdi e ci siamo separati all'entrata di San Cristobal due ore dopo.

3 Salto de Agua

Dopo un venerdì frenetico, pieno di compere per la comunità e di incontri, fra cui quello con Pablo Romo, sono partita per Palenque in autobus alle sette del mattino. La strada era molto mal messa per via della pioggia, così invece delle previste cinque ore, ne ha impiegate sei: avevo perso l'altro mezzo per Salto e non ce ne sarebbe stato nessun altro fino al mattino seguente. Mi ero quasi rassegnata e con zaino in spalla cercavo una Posada per dormire, preoccupata di creare problemi alle persone che mi aspettavano ed erano venute da lontano apposta per questo. L'istinto mi porta in una strada invece che in un'altra e vedo il mezzo per Salto: non sapevo affatto che dalla stazione di partenza faceva alcuni giri prima di uscire da Palenque, tanto meno sapevo che avrebbe fatto proprio quella strada. Lo inseguo gesticolando e lo prendo al volo contenta di vedere che la buona stella continua ad accompagnarmi. Altre tre ore di viaggio e, sfinita, sono arrivata a Salto de Agua.

Per quanto riguarda la zuppa atzeca, preferisco quella del mio ristorante di San Cristobal: quella che ho mangiato oggi qui sembrava addirittura un'altra cosa. A Palenque, inoltre, è pieno di turisti ed è tutto carissimo, compreso questo messaggio, e c'è un caldo insopportabile. Credo che ritornerò presto fra le mie montagne.

ciao a tutti
vi scriverò da San Cristobal domani
Maria Nina

p.s.
Per tutti queli che mi hanno risposto un grande grazie.
ciaooooooooooooooooooo