"NAFTA FOR AFRICA": GENOCIDIO PIANIFICATO?

di Alex Zanotelli



Korogocho, giugno 1999

"NAFTA FOR AFRICA": GENOCIDIO PIANIFICATO?


Vivendo a Korogocho, vivendo dentro quello che io chiamo i sotterranei
della vita e della storia, non ho bisogno né di statistiche, né di
altro per dirvi gli effetti di certe politiche degli aggiustamenti
strutturali, né di ciò che questo sistema economico comporta per i
poveri del mondo. Li ho sotto gli occhi e ne rimango sconcertato. Ed è
per questo che mi arrabbio ancora di più quando leggo certe notizie e
sento certe cose.

Sono rimasto esterrefatto che in Italia, mentre si era a lungo parlato
del MAI (penso che lo conosciate, si tratta dell’Accordo Multilaterale
sugli  Investimenti) ed era stata lanciata anche una campagna contro
di esso, non si è parlato per nulla del nuovo MAI che gli Stati Uniti
vorrebbero imporre alle nazioni africane e che viene comunemente
chiamato NAFTA for Africa.

Quando ho sentito parlare per la prima volta della proposta di legge
che il presidente Clinton ha presentato nel 1998 al Congresso
americano sono rimasto sbalordito. Ho chiesto perciò agli amici di
trovarmi attraverso Internet tutto il materiale disponibile
sull’argomento. E quando ho iniziato a leggerlo sono effettivamente
caduto dalle nuvole.

Il NAFTA è il North American Free Trade Agreement, un accordo di
libero scambio tra Stati Uniti, Canada e Messico, proposto
inizialmente da Bush all’inizio degli anni ’90 e portato a compimento
da Clinton nel 1994.

Nel 1998, sotto la spinta delle grandi multinazionali, lo stesso
Clinton ha poi presentato al Congresso americano, prima alla Camera e
poi al Senato, una proposta di legge che porta il titolo di African
Growth and  Oppurtunity Act, che tradotto in italiano significa
"Proposta di legge per  la crescita e l’opportunità dell’Africa".
Questa legislazione è stata promossa da una coalizione di
multinazionali comprendente alcune delle più grandi compagnie
mondiali, tra cui Texaco, Mobil, Amoco, Caterpillar, Occidental
Petroleum, Enron, General Electric, Chevron e Kmart’s. 

Si tratta di multinazionali più volte incriminate in chiave
internazionale  per violazioni di vario genere, da quelle ambientali a
quelle sui diritti umani. Questa legislazione promossa dalla
coalizione di multinazionali, è stata presentata alla Camera degli
Stati Uniti l’anno scorso, ma è stata subito pesantemente attaccata da
varie ONG e da una parte dell’opinione pubblica americana, che vedono
in essa uno strumento di promozione e tutela del controllo corporativo
americano sulle economie africane e sulle risorse naturali del
continente. Dopo una battaglia molto dura e pesante la legislazione è
stata approvata dalla Camera con 233 voti contro 186, ma è stata in
seguito bocciata dal Senato. Nel gennaio di quest’anno il presidente
Clinton ha annunciato una nuova offensiva della Casa Bianca per
ripristinare quella legislazione, chiamando il Congresso ad esaminare
una proposta molto simile alla precedente, l’Africa Trade and
Development Bill, "Proposta di legge per il commercio e lo sviluppo
dell’Africa". Attualmente il documento si trova alla Camera per la
necessaria discussione. Ma al di là delle sorti di questa proposta di
legge, quello che è importante è che una tale legislazione (sia quella
dell’anno scorso che l’attuale), al cui confronto quasi il MAI
impallidisce, sia sostenuta dai detentori del potere
economico-finanziario, vale a dire dalle grandi multinazionali.
Vivendo qui a Korogocho, vedendo la sofferenza dei poveri e leggendo
di queste manovre io rimango esterrefatto che in Italia, dopo tanto
chiasso sul MAI, di questo nuovo tentativo americano non si è parlato
per nulla. Sembra quasi che non ci interessi, mentre sappiamo molto
bene che una legislazione del genere passata negli Stati Uniti, cuore
dell’Impero del Denaro, avrà delle enormi ripercussioni su questo
continente, che già vive un momento così difficile.

Ma in che cosa consistono questi due Atti così simili, quello del 1998
e quello di quest’anno, comunemente definiti NAFTA for Africa?
Questo documento, in pratica, richiede alle nazioni africane di
sottomettersi ai dettami economici e politici del FMI, il Fondo
Monetario Internazionale. Esso prescrive che il governo di un paese
africano aderente all’accordo debba ottenere la certificazione dal
presidente degli Stati Uniti prima di avviare qualsiasi investimento e
per ottenere i benefici derivanti dal commercio con gli Stati Uniti
stessi. I requisiti della certificazione sono pienamente rispondenti
alle misure economiche definite dagli Stati Uniti, che sono assai più
severe di quelle imposte dal FMI alla Russia, all’America Latina e
all’Asia. Con risultati chiaramente catastrofici. La cosa incredibile
è che per ottenere la certificazione dal presidente degli Stati Uniti,
ogni governo africano deve prima: ridurre drasticamente le tasse sulle
società straniere o nazionali; intraprendere una immediata e completa
privatizzazione dei patrimoni e dei servizi pubblici (trasporti,
comunicazioni, sanità, grandi industrie); aprire il più possibile
l’economia alla proprietà o al controllo di holding straniere;
permettere alle società straniere un accesso illimitato alle risorse
naturali; adottare politiche agricole che sostituiscano la produzione
di cibo con colture estensive destinate al mercato estero.

Questo è il NAFTA for Africa. Una cosa assurda. Infatti quando il
NAFTA originale era stato proposto dall’amministrazione Clinton, era
stato presentato come un atto che mirava ad espandere l’economia di
Stati Uniti, Canada e Messico basandosi sull’economia di mercato e
sulla totale libertà di commercio. Ma i risultati sono stati
disastrosi: nel giro di cinque anni sono andati in fumo oltre mezzo
milione di posti di lavoro negli Stati Uniti e quasi un milione in
Messico. Attualmente il lavoro interinale e part-time, senza benefici
o pensione, negli Stati Uniti rappresenta più del 50%. I salari in
Messico sono quasi dimezzati e le cooperative contadine sono
state eliminate, portando milioni di contadini disoccupati e disperati
nelle città. Sono state queste le motivazioni di fondo che hanno
scatenato lo scorso anno in Congresso la reazione contro il NAFTA for
Africa. Così quella proposta di legge decadde, ma il presidente
Clinton l’ha riproposta di nuovo quest’anno, in termini talmente
gravosi da fare invidia al MAI.

Il MAI a sua volta non è altro che una serie di regole studiate alla
perfezione (solo degli iniziati ne possono capire la terminologia,
tanto è fine) per favorire gli investimenti finanziari internazionali
ed espandere il potere delle grandi compagnie, garantendo loro un
clima propizio a tali operazioni, facilitando il recupero dei profitti
e concedendo il libero accesso al mercato senza nessun obbligo verso i
bisogni economici locali.

Per queste ragioni la società civile ha detto di no al MAI.
Tuttavia il MAI quasi impallidisce al confronto del NAFTA for Africa.
Infatti le condizioni per ottenere la certificazione del presidente
degli Stati Uniti e far parte di questo apparentemente favorevole
trattato commerciale con gli USA sono di una gravità estrema. Ed
proprio qui a Korogocho ho sotto gli occhi l’assurdità di tutto ciò:
l’assurdità dell’Impero del Denaro e delle sue conseguenze;
l’assurdità degli aggiustamenti strutturali imposti dal FMI. E se
adesso avremmo a che fare con un’imposizione economica come il NAFTA
for Africa, andremo verso una tragedia colossale. Si tratta davvero di
decidere la morte di milioni di persone. E il mio sdegno non conosce
limiti. Come prete io sono obbligato a dire che certe cose sono
peccato e allo stesso tempo non sento una parola su queste decisioni
economiche che porteranno a immani tragedie. Come essere per la vita,
ad esempio sul problema dell’aborto (e io ci sto fino in fondo) e non
esserlo su queste questioni? Ecco ciò che mi fa male, che rimette
tutta la mia morale in discussione. Vivendo sulla mia pelle la
sofferenza dei poveri a Korogocho, non posso non indignarmi,
arrabbiarmi ed esprimere tutta la rabbia che ho dentro.

Sono felice del fatto che una discussione in chiave continentale sia
stata avviata in Africa, durante l’incontro tenutosi a Johannesburg,
in Sudafrica, il 27 e 28 febbraio di quest’anno in occasione della
Conferenza preparatoria per la creazione di un Tribunale
Internazionale per l’Africa. Questo Tribunale, il cui scopo sarebbe di
"giudicare" i  responsabili per il corso criminale imposto ai
lavoratori e ai popoli dell’Africa, era stato proposto lo scorso anno
a Bingerville (Costa d’Avorio) dalle organizzazioni lavorative
internazionali (ILC) e dalla Federazione sindacale degli elettricisti
della Costa d’Avorio. Dopo un anno di discussione con i sindacati e le
organizzazioni popolari dell’Africa l’ILC, in nome delle
organizzazioni sindacali di 92 nazioni, appoggiò l’iniziativa delle
Federazioni di sindacati africani di tenere una Conferenza
preparatoria a Johannesburg, Sudafrica. Un incontro che ha visto
sindacati, movimenti di lavoratori, avvocati, ritrovarsi per studiare
questa possibilità. Dopo due giorni di dibattito i 60 delegati, tra
cui anche leaders dei movimenti neri e afro-americani provenienti
dall’America Latina, dagli Stati Uniti e dall’Europa hanno deciso di
inviare negli Stati Uniti una delegazione per ottenere appoggio contro
il NAFTA for Africa. 

Infatti questo tipo di legislazione:

1. imporrebbe all’Africa gli effetti peggiori del NAFTA originale;

2. rafforzerebbe e renderebbe più gravose le politiche del FMI;

3. imporrebbe ad ogni stato l’ingresso nella World Trade Organization,
l’Organizzazione Mondiale del Commercio, una della Trinità Satanica,
insieme alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale;

4. attuerebbe le politiche monetarie e di investimento già proposte
dal MAI;

5. eliminerebbe l’obbligo delle tasse per le multinazionali e le
grandi corporazioni;

6. privatizzerebbe le proprietà e i servizi pubblici, con accesso
garantito alle multinazionali.

Queste condizioni così gravose dovrebbero addirittura essere accettate
dagli stati africani per continuare a mantenere le attuali condizioni
commerciali con gli Stati Uniti!

In fondo il lungo viaggio di Clinton in Africa l’anno scorso, durante
il quale ha parlato di reinessance africana e ha presentato al mondo i
suoi leaders prediletti - coloro che lancerebbero il nuovo modello
economico americano nell’Africa - aveva essenzialmente lo scopo di
ottenere un appoggio a questo tipo di legislazione e di approccio
economico. In pratica di forzare un MAI sull’Africa. Mi è davvero
piaciuto che l’ex presidente sudafricano Nelson Mandela, in occasione
della visita di Clinton in Sudafrica il 27 marzo 1998, abbia detto
pubblicamente di fronte al presidente americano che questo tipo di
legislazione è improponibile. Mandela ha detto testualmente: "Questo è
un argomento su cui noi nutriamo gravi riserve... Per noi è
inaccettabile."

Sono contento di vedere che anche negli Stati Uniti ci sono state
reazioni alla proposta di legge di Clinton. E’ nata anche una
legislazione promossa dal reverendo Jesse Jackson Jr, chiamata
H.O.P.E. for Africa Act, sigla che significa Human Rights (diritti
umani), Opportunity (opportunità), Partnership (lavorare insieme) and
Empowerment (dare potere, dare forza).

Avevo conosciuto Jesse Jackson Jr ai tempi di Nigrizia e l’ho rivisto
ingrassato l’anno scorso quando è venuto a Korogocho. Ho avuto la
netta impressione di essere di fronte ad un uomo molto integrato nel
sistema e non a conoscenza dei misfatti dell’Impero del Denaro. Ma se
il reverendo Jackson ha capito l’assurdità della proposta legislativa
di Clinton non dovrebbe essere difficile anche per i cittadini
americani ed europei cogliere le conseguenze disastrose di tale
iniziativa e far partire una reazione a catena. Anche se in realtà
l’H.O.P.E. for Africa Act non si discosta poi molto dalla proposta
Clinton, pur mitigandone in parte i termini e gli effetti negativi. E
la Conferenza di Johannesburg coglie molto bene il cuore di questa
proposta alternativa di Jackson quando afferma che: "Nel promuovere
questa legislazione Jesse Jackson Jr cita favorevolmente il Discorso
annuale sullo stato dell’Unione di Clinton, dove il presidente
americano chiede "un sistema commerciale più equo per il XXI secolo e
una piattaforma comune su cui business, lavoratori, ambientalisti,
contadini e governi possono ritrovarsi". Noi tuttavia chiediamo se la
chiamata alle multinazionali e ai lavoratori di condividere una stessa
piattaforma non sia l’agenda corporativistica codificata nel NAFTA".
Questa legittima domanda rimette in discussione quanto alternativa sia
la legislazione di Jesse Jackson Jr. Purtroppo al di là di questo
Convegno sudafricano di febbraio e della pubblica esternazione di
Mandela non è sorta una discussione, un dibattito all’interno del
continente africano. Anche perché purtroppo di queste cose  non si
parla molto. Lo stesso "Daily Nation", il principale quotidiano
del  Kenya (250mila copie al giorno), un giornale fatto veramente
molto bene, meglio di molti quotidiani occidentali, si è limitato a
qualche accenno senza approfondimenti. Ma mi ha amareggiato ancora di
più il fatto che neanche in Italia se ne sia parlato. Nemmeno riviste
specializzate esensibili a simili tematiche, come la stessa Nigrizia,
hanno affrontato la questione. Tuttavia negli Stati Uniti vi è stata
una considerevole levata di scudi sull’argomento. Sono rimasto molto
stupito del fatto che il New York Times, nell’edizione della domenica
del 7 giugno 1998, abbia pubblicato un editoriale molto deciso su
questo. L’editoriale cominciava così: "Ha un nome molto bello questa
nuova legge, African Growth and Opportunity Act, ed anche uno slogan
molto intelligente, Trade not Aid, vale a dire "commercio, non aiuto".
Ma la legislazione che si trova ora all’esame del Congresso non 
è che un pacchetto di benefici a favore delle fiorenti multinazionali
e una minaccia per la sovranità degli stati sub-sahariani che gli
stessi sostenitori della legge dicono di voler aiutare".

Se il New York Times, che è una delle voci del padrone, afferma una
cosa del genere, mi meraviglio del silenzio intorno a questa proposta
di legge e alle sue terribili conseguenze. Così come è stata a suo
tempo lanciata una campagna contro il MAI - con esiti positivi -
bisogna lanciare una campagna per sconfiggere il NAFTA for Africa.
Altrimenti davvero questo significherà per l’Africa l’ennesima
sottomissione economica, con tutte le sue conseguenze. Io in coscienza
non posso accettare una cosa del genere. Non posso accettarla in
chiave etica. Non possiamo continuare ad andare in giro a parlare di
etica in chiave personale se poi in chiave collettiva non riusciamo a
dire una parola su scelte economiche che avranno conseguenze terribili
per le future generazioni. Mi rifiuto. Ed è per questo che voglio
gridare ed urlare. E mi associo ai leaders africani che a febbraio,
durante la Conferenza di Johannesburg, hanno sottoscritto l’appello
contro questa legislazione, chiedendo:

1. assoluta cancellazione del debito.

2. completo rifiuto di tutti i progetti di aggiustamento strutturale.

3. opposizione a tutti gli schemi di privatizzazione.

4. rispetto del principio del diritto di tutti i popoli e nazioni ad
esercitare pieno controllo sul loro destino.

5. immediata chiusura di tutte le basi militari straniere nel
continente africano, poiché queste basi servono da centri
organizzativi e punti di lancio della repressione e del mantenimento
dei regimi oppressivi sottomessi al capitale della finanza
internazionale.

Mi sembra che questi cinque punti riassumano davvero quello che viene
richiesto da più parti in campo internazionale. Il documento di
Johannesburg si conclude poi con un sentito appello: "Ci uniamo qui
alla richiesta di risarcimento formulata da vasti settori di organismi
di lavoratori africani, afro-americani e internazionali. Solo tali
risarcimenti possono mitigare le conseguenze devastanti di secoli di
schiavitù, saccheggio delle risorse naturali e sfruttamento del lavoro
umano. Il sistema politico, economico e sociale responsabile di simili
politiche ed atti che hanno portato alla morte e alla miseria
centinaia di milioni di persone, deve essere ritenuto responsabile
della sofferenza umana che ha provocato." L’editoriale del New York
Times concludeva dicendo: "Il presidente sudafricano Nelson Mandela ha
definito la legge "inaccettabile", ma la maggior parte dei leaders
dell’Africa sub-sahariana, di fronte a popolazioni disperatamente
povere e ad un livello di disoccupazione disperatamente alto, l’hanno
sottoscritta. Essi sembrano sperare che un accordo commerciale con gli
Stati Uniti e le sue potenti corporazioni, allevierà in qualche modo
le loro sofferenze economiche. È una situazione matura per uno
sfruttamento incondizionato." E se Le Monde Diplomatique,
nell’editoriale del maggio 1998 sul MAI aveva scritto "...Lo
scellerato progetto, una sorta di dichiarazione dei diritti universali
del capitale, ha dimostrato fino a che punto i rappresentanti degli
stati membri dell’Ocse erano pronti a rinunciare a qualsiasi difesa
del bene comune a fronte delle illimitate pretese degli investitori",
che cosa MAI dovremmo dire del NAFTA for Africa e delle conseguenze
disastrose per questo continente? Già il documento di Johannesburg
afferma che: "Epidemie, distruzione dell’apparato sanitario pubblico,
rapida pauperizzazione di milioni di persone, promozione pianificata
di guerre e violenze hanno dato origine ad un olocausto di morti per
fame, migrazioni di massa, orde di rifugiati, aumento generalizzato di
Aids, Ebola e altre malattie infettive. In conseguenza di questo
prevediamo la morte di oltre 40 milioni di persone"

Mi sconcerta il totale silenzio delle Chiese. In un contesto di
preparazione al grande banchetto del Giubileo, un banchetto a cui
tutti i popoli dovrebbero egualmente partecipare, le Chiese non hanno
detto una sola parola sul NAFTA for Africa. Io chiedo alle Chiese di
reagire con forza.

Festeggiare il Giubileo significa rimboccarsi le maniche, impegnarsi a
bollare legislazioni come queste e far nascere un sistema economico
dove regni un po’ di giustizia. A nome dei fratelli e delle sorelle
che soffrono incredibilmente a Korogocho io mi appello a tutti voi
perché vi diate da fare, affinché il NAFTA for Africa venga
definitivamente sconfitto. Non potrebbe essere questa una prima agenda
per la nascente Rete lillipuziana?

Questo tormentato continente africano ha bisogno di accordi e proposte
legislative economiche che rispondano ai bisogni e alle aspettative
delle comunità e delle popolazioni locali e non a quelli delle
corporazioni e delle multinazionali dei paesi ricchi!

Alex