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Balcani d'Africa


Intervista di Damaso Maniscalco a padre Minani Bihuzo

da "Narcomafie" n. 12, Dicembre 1996

 

Lo hanno ucciso a bastonate il 29 ottobre scorso, il suo amico Monsignor Munzihirwa, arcivescovo di Bukavu. Assassinato barbaramente &laqno;da ignoti» il giorno stesso dell'invasione dello Zaire. Si erano conosciuti ai tempi del seminario, avevano lavorato spesso insieme. L'ultima volta nel '94, come mediatori nel corso delle negoziazioni relative alla ricerca di una pace possibile in Ruanda e Burundi. Oggi Minani è borsista a Palermo al centro "Arrupe" di Padre Sorge e da lì, fra le altre cose, gestisce i rapporti delle Associazioni della società civile del Kivu con l'Unione Europea e gli altri organismi internazionali. Il padre gesuita Rigobert Minani Bihuzo, zairese, massimo esperto di geopolitica della regione dei Grandi Laghi nonché amico fraterno di Monsignor Munzihirwa svela a Narcomafie i retroscena che nessuno ha mai raccontato della morte dell'Arcivescovo di Bukavu e dei conflitti che dilaniano l'Africa Centrale.

 

Padre Minani, quali sono le ragioni storiche ed etniche dell'attuale conflitto nella regione del Grandi Laghi?

 

Per comprendere fino in fondo bisogna fare un passo indietro e ritornare al periodo dei movimenti di indipendenza nazionale. In Ruanda la popolazione Hutu è stata per molti secoli dominata dall'etnia Tutsi che i missionari e i colonizzatori avevano scelto come interlocutore privilegiato anche per meglio controllare l'altra etnia prevalente nella regione, quella degli Hutu. Gli Hutu hanno cominciato a ribellarsi e a chiedere una maggiore democrazia nello stesso periodo in cui missionari e colonizzatori si sono resi conto di doversi sbarazzare dei Tutsi che reclamavano libere elezioni e l'indipendenza. Da un certo momento in poi, allora, gli occidentali promuovono la leadership Hutu. Nel 1959 gli Hutu fanno quella che loro stessi hanno definito &laqno;la rivoluzione sociale». Prendono il potere dopo una tornata elettorale che li vede vincitori fondamentalemente perché molto più numerosi dei Tutsi, scatenano la caccia ai dignitari di corte (il Ruanda fino ad allora era un regno) ed esiliano i Tutsi più influenti. Queste vicende segnano in Ruanda l'inizio della tragedia perché i rifugiati torneranno in patria solo dopo trent'anni, nel 1990. Il governo Hutu del Ruanda in questo periodo realizza di fatto un governo etnico, non perrnette il rientro dei Tutsi perché teme sussulti monarchici e anche perché le terre dei rifugiati Tutsi sono ormai occupate da Hutu fin dal 1959. I Tutsi esiliati si raggruppano per organizzare il rientro in Ruanda. Ce la faranno solamente nel '90.

L'arcivescovo di Bukavu aveva di recente denunciato la possibilità di un conflitto fomentato da interessi stranieri. Lei crede che sia stata questa la causa di una così brutale esecuzione ?

Sì. E per capirlo bisogna sapere chi era l'Arcivescovo di Bukavu. Si era formato in Ruanda e conosceva molto bene l'ambiente ruandese. Era tra le poche persone che all'Est parlano la lingua del luogo, perché ha vissuto a lungo nella provincia orientale dell'Africa Centrale. Aveva una visione globale dei problemi della regione dei Grandi Laghi. Da tempo Monsignor Munzihirwa si era reso conto che le potenze occidentali anziché favorire la riconciliazione e un'equilibrata redistribuzione del potere tra i due popoli, giocano ad appoggiare di volta in volta i diversi gruppi etnici a seconda delle esigenze del momento e ha denunciato questa politica che mira unicamente al controllo dell'Africa Centrale. Si è così ritrovato ad avere numerosi nemici tra i Tutsi che ritenevano la sua attività a favore della conciliazione e della pace una minaccia. Gli Hutu invece non gli perdonavano la denuncia, forte e chiara, del genocidio del 1994 e di chi l'aveva materialmente eseguito. Ha avuto conflitti e dissapori con gli americani che hanno più volte mandato il loro ambasciatore per trovare punti di accordo. Monsignor Munzihirwa era l'unico a criticare l'ambasciatore americano. Si era collocato di fatto al centro dei conflitti ed era probabile che un giorno o l'altro avrebbe pagato con il martirio il suo appello per la pace, quella vera.

Il Sud-Kivu nell'ultimo quimquennio è stato il motore della rinascita della società civile zairese, lo testimoniano le numerose associazioni di base che hanno fatto da interlocutori alle Organizzazioni non governative di cooperazione allo sviluppo. Da qui è cresciuta la rivolta anti-Mobutu e da qui sono partite le iniziative di negoziazione in Ruanda e Burundi, anche alla luce delle conseguenze sullo Zaire. Lei crede che questo processo si possa rimettere in moto ?

Nel Sud-Kivu non abbiamo mai smesso di lavorare per la risoluzione pacifica dei conflitti, altrimenti avremmo dovuto scegliere la via delle armi come hanno fatto gli altri, cosa da noi nemmeno contemplata. Oggi non sappiamo ancora come si evolveranno le cose. Certo è che la maggior parte dei membri delle nostre associazioni sono in pericolo poiché si trovano nella zona occupata dall'esercito ruandese- alcuni di questi hanno lanciato l'Sos e di molti altri non si sa dove siano. Ci preoccupa molto la condotta ruandese, data la fine che ha fatto Monsignor Munzihirwa. L'assassinio di altri membri della comunità del Sud-Kivu porterebbe a un forte irrigidimento delle posizioni. Se invece non ci saranno ulteriori esecuzioni avremo la possibilità di riavviare il processo di ricerca di una soluzione pacifica del conflitto. A oggi tutto ciò è puramente ipotetico, visto che i membri delle nostre associazioni si trovano in pericolo.

Chi ha cominciato? All'inizio tutti dicevano che era colpa dei ribelli Tutsi presenti nella zona degli scontri e nel Kivu. Ma qual è la realtà dei fatti?

I giornalisti hanno scelto di parlare di ribelli Tutsi, chi è più informato parla di Banyamulenge. I Banayamulenge sono in maggior parte ruandesi di origine Tutsi che a cavallo tra il 1800 e il 1900 sono scappati alla morsa del regime particolarmente crudele di un re Tutsi e hanno chiesto asilo alla tribù dei Bavira e a quella dei Bafulero che vivevano presso la collina di Mulenge dalla quale i rifugiati hanno poi preso il nome. Quindi l'etnia Banyamulenge non esiste nello Zaire. Si tratta di Tutsi che hanno preso un nome diverso per testimoniare il fatto che sono stati accolti dalla popolazione di Mulenge. Il gruppo di Banyamulenge è molto piccolo, ma a seguito dei conflitti in Ruanda altri Tutsi si sono aggiunti a quelli che vivevano sulla collina di Mulenge e nell'altipiano di Itombwe. Il problema è sorlo quando tutti gli altri Tutsi arrivati nel corso delle ondate successive hanno reclamato la nazionalità zairese. Ciò ha innervosito non solo la popolazione locale che li aveva accolti ma anche le autorità locali anche perché di fatto questi rifugiati hanno sempre proclamato di essere ruandesi pur esigendo la nazionalità zairese. Ciò fa capire come &laqno;la guerra dei Banyamulenge» sia solo un pretesto, loro non hanno né la forza né la capacita di promuovere una guerra nello Zaire.

Quali le cause degli scontri, allora?

Il conflitto in corso altro non è che il secondo episodio di ciò che è iniziato nel 1994. Quando in Ruanda si scatena la guerra e si consuma il genocidio i rifugiati ruandesi attraversano la frontiera ed entrano nello Zaire. I gruppi ribelli Tutsi, protagonisti della lotta armata già dal 1990, prendono poi il potere in Ruanda e chiedono di processare i responsabili del genocidio compiuto dagli Hutu, ma allo stesso tempo dichiarano d'ufficio responsabili tutti gli Hutu e ne arrestano gli intellettuali. Dal luglio 1994 il governo ruandese chiede alla comunità internazionale di aiutarlo nella ricerca dei responsabili del genocidio rifugiati nello Zaire. La comunità internazionale non l'ha aiutato e il governo zairese non aveva né ha i mezzi per controllare il milione di profughi e i 40.000 militari ruandesi sul suo territorio. Nello stesso periodo si intensifica il conflitto etnico nel Burundi. Dopo l'assassinio da parte dei Tutsi del presidente N Dadayé nell'ottobre 1993, gli Hutu hanno cominciato la guerriglia e in un certo numero si sono rifugiati in Zaire. I Tutsi, sia in Ruanda sia in Burundi, non hanno mai fatto mistero di voler restare permanentemente al potere, ma poiché la loro popolazione è inferiore sul piano numerico a quella Hutu devono fare in modo di garantirsi la sicurezza. Questo è il loro principale problema: proteggere i propri confini dalle incursioni degli Hutu rifugiati nello Zaire. Certo il Ruanda non poteva attaccare lo Zaire senza una ragione. Ha quindi preso come pretesto i problemi di nazionalità all'interno della popolazione Banyamulenge e ha utilizzato i giovani Banayamulenge arruolatisi nel Fpr (Fronte Patriottico Ruandese) che sono stati prima istruiti e poi sostenuti da militari ruandesi, burundesi e ugandesi nell'invasione della regione orientale dello Zaire. I Banyamulenge sono solo un pretesto, tirarli in mezzo è cosa molto ipocrita: quello che succede oggi è il tentativo di Ruanda e Burundi di risolvere i propri problemi di sicurezza attraverso il disordine nello Zaire. Poiché finché ci sarà caos e guerra nell'Est del paese, non ci saranno più incursioni oltre i loro confini. Questa è la chiave di lettura dell'attuale conflitto. E' chiaro comunque che la questione Banyamulenge dovrà essere in futuro risolta, ma non è certo il casus belli, tanto più che sono in molti a riconoscere che è l'esercito ruandese ad aver invaso lo Zaire. A Goma l'attacco è stato portato con l'ausilio di vedette dono del governo americano e Bukavu è stata attaccata con i mortai dalle colline di Changugu. Inoltre i contatti che noi abbiamo a Goma e a Bukavu ci hanno informato che i militari in città parlano in inglese ed i Banyamulenge non parlano inglese, poiché per la maggior parte sono contadini che al massimo conoscono come lingue straniere il francese o lo swaiyili.

Chi finanzia questa guerra? Chi invia le armi?

Qui entriamo nella questione più importante, già denunciata da Monsignor Munzihirwa. Lui diceva che molte nazioni vogliono serrvirsi della regione dei Grandi Laghi come mercato per il traffico di armi. Per gli osservatori delle vicende della nostra regione, in effetti la situazione è sempre più chiara. In realtà gli obiettivi di questa guerra sono tre: il primo è quello di smantellare i campi profughi e questa è una tesi difesa da molti esperti americani. La U.S.C. Refugees ha pubblicato un documento nel quale si chiede di smantellare i campi, il direttore di Usaid (Agenzia Americana di Cooperazione allo Sviluppo) di recente a Ginevra ha ha abbracciato la medesima tesi, così come Warren Christopher. Quindi gli americani spingono per lo smantellamento dei campi. Il secondo obiettivo è quello di poter uccidere il maggior numero di Hutu possibile, poiché in caso di probabili elezionu democratiche i Tutsi rappresentano solo il 10% del corpo elettorale e quindi maggiore sarà il numero dei morti maggiore saranno le possibilità di vittoria nelle "future" elezioni generali. Con ciò si capisce il motivo dei bombardamenti dei campi: lo scopo non era far fuggire i profughi, ma ucciderli. E ora li stanno spingendo verso l'interno dello Zaire, in piena foresta equatoriale, dove le condizioni climatiche sono impossibili, proprio per generare quella che si può definire &laqno;una catastrofe umanitaria» perché muoiano a migliaia. Un terzo obiettivo - che va al di là del quadro geopolitico locale - è quello di creare il cosiddetto impero Ima o regno dei vulcani. Da un po' di tempo si parla di Hutuland e Tutsiland. E' opinione di alcuni osservatori che i Tutsi vogliano realizzare il loro regno facendo saltare le attuali frontiere. E a partire da questo si capiscono le affermazioni del presidente del Ruanda, il quale ha dichiarato che una parte dello Zaire apparteneva al regno ruandese. Esiste un progetto di impero dei vulcani di cui molti testi parlano.

Ma a chi e a che cosa servirebbe questo impero lma, questo potere forte nella regione dei Grandi Laghi ?

E' in questo progetto che gli interessi stranieri entrano in gioco. Dopo la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, il mondo americano non ha più nulla da temere dal mondo sovietico. Per gli Stati Uniti il terrorismo diventa allora il nemico numero uno, e di riflesso il mondo arabo. Da qui si comprende il comp,ortamento tenuto con la Libia, l'lrak e il Sudan. Per gli americani uno dei santuari del terrorismo è il Sudan. Da diversi anni ormai forniscono le armi a John Garang il capo dei ribelli che lottano coniro il potere islamico di Karthoum. Ma lui non è abbastanza forte per contrastare il governo di Khartoum appoggiato da Irak, Iran, Libia. Serve una base di retroguardia per fare un giorno una guerra diretta contro il Sudan. In Uganda ci sono molti esperti militari americani, ma l'Uganda è un paese troppo piccolo. Per parte sua, lo Zaire è fuori dal progetto ed è per questo che diventa fondamentale l'appoggio del Ruanda e del Burundi: per cosfftuire uno Stato più grande che abbia una forza d'urto sufficiente per fare prima o poi la guerra nella zona meridionalè del Sudan e destabilizzare quello che gli americani definiscono &laqno;il santuario dei terroristi». Qui la faccenda però si complica poiché le armi utilizzate nel conflitto sono in parte dono del governo americano, in parte del Sudafrica (ma negoziate dagli americani per il governo ruandese) e in parte di Israele. Tuti e tre i paesi sono alleati degli americani. Le armi dunque provengono da chi ha interessi più vasti rispetto a quelli locali. Ne consegue che di fronte ai primi, gli interessi dei paesi africani passano in secondo piano. Nasce da qui la scissione tra mondo anglofono e mondo francofono che si è evidenziata da quando sono cominciate le negoziazioni.

Dall'inizio del conflitto Parigi e Washington si accusano a vicenda - con un accannnento notevole - di ingerenza negli affari interni degli Stati africani.

Proprio per questo parlavo di scissione hra mondo anglofono e francofono, una frattura non solo linguisffca. Per capirsi meglio: tutti abbiamo assistito alla visita di Chirac in Israele nel corso della quale il presidente francese si è schierato in modo evidente a favore dei palestinesi e del mondo arabo. Questo per la semplice ragione che se la Francia vuole ottenere un ruolo in poliffca estera deve deve garanffrsi l'appoggio di alleati influenti come gli arabi. Si è messo in moto lo stesso meccanismo nel conflitto dei Grandi Laghi. La Francia è alleata di Mobutu non certo per affinità ideali, ma perché Mobutu può negoziare il passaggio dell'esercito sudanese per attaccare i ribelli del sud (John Garang) a partire dal territorio zairese. E questa negoziazione condotta dalla Francia in cambio di contropartite da parte del Sudan - è il caso della consegna in mani francesi del terrorista Carlos - ha permesso che l'esercito sudanese potesse attraversare la frontiera zairese, previo versamento a Mobutu di una forte somma in denaro, e colpire i ribelli da sud.

E gli americani?

Gli americani sono schierati con il mondo ebraico e cercano di mantenere un controllo su "fronte", menhre i francesi cercano di controbilanciare la supremazia americana schierandosi o sostenendo le posizioni del mondo arabo e dell'Irak. Questo è di fatto il nodo della "guerra diplomatica" tra Stati Uniti e Francia visto attraverso il monocolo del mondo arabo e ebraico. Ed è quello che succede, per altri versi, nella regione dei Grandi Laghi, dove si sono fatti semprè più forti i legami di Uganda, Ruanda e Burundi con il mondo anglofono e dove la Francia per non perdere la sua supremazia appoggia lo Zaire in una lotta contro il mondo anglofono. A questi interessi strategici delle potenze occidentali si assommano quelli di carattere economico. Oggi la lingua è uno strumento molto importante per il business. Se Ruanda e Burundi verranno conquistati alla causa americana si formerà un corridoio anglofono che partendo dal Sudafrica raggiungerà l'Egitto, passando per Zimbabwe, Malawi, Zambia, Tanzania, Kenya, Burundi, Ruanda, Uganda, Somalia, Etiopia, Eritrea ed Egitto. Un corridoio linguistico forte che potrebbe controbilanciare il corridoio francofono dell'Africa Occidentale. Una guerra di lingua fatta sulla pelle dei popoli africani. A questo si aggiunga la questione strettamente economica delle riserve di materie prime. Lo Zaire è uno scrigno ricco di materie prime che saranno strategiche nel nuovo millennio. La prima bomba atomica fu costruita con l'uranio proveniente dallo Zaire e da quella data sono state chiuse le miniere. Le riserve di rame, diamanti e oro sono molto consistenti così come quelle di gas naturale. Lo Zaire possiede inoltre il 40% della foresta pluviale africana, la seconda per estensione dopo quella amazzonica, risorsa strategica per il prossimo millennio e nell'immediato per le numerose multinazionali della chimica farmaceutica. Anche per questo il controllo dello Zaire diventa un obiettivo importante della contesa tra Stati Uniti e Francia. Una guerra combattuta con mezze parole e che ha come fine il blocco dell'iniziativa dell'altro. Tutto questo di fatto impedisce lo svilupparsi di un processo di pace nei territori del conflitto. GIi interessi che contano sono quelli non dichiarati e i capi di Stato africani della zona si fanno manipolare per il vantaggio altrui. Questa è la nostra sciagura: non abbiamo capi di Stato che abbiano a cuore l'interesse del loro popolo piuttosto che quello dei nostri protettori. E' ilcaso di Mobutu sostenuto dalla Francia a dispetto di tutto e di tutti perché può manipolarlo come vuole, o di Kagame, vicino alle posizioni americane, ma è anche il caso del Burundi dove non emerge una leadership e dove i militari fruiscono della protezione totale del governo ugandese.

A suo parere le Nazioni Unite e le Organizzazioni di cooperazione internazionale hanno impostato una politica corretta sui rifugiati?

I problemi dell'Onu sono tipici di tutte le organizzazioni complesse. Qui gli Stati Uniti riescono spesso a imporre il loro punto di vista. Le decisioni delle Nazioni Unite vengono prese dal Consiglio di Sicurezza nel quale i vari paesi membri hanno interessi divergenti e spesso contraddittori. Per questioni di interesse strategico come quelle che riguardano l'Africa Centrale non ci si può attendere grandi cose dalle Nazioni Unite. La situazione attuale è chiara: oltre un milione e mezzo di persone (dei quali oltre il 60% sono donne e bambini) vengono bombardate dall'esercito ruandese e le Nazioni Unite non hanno espresso condanne. Così come è evidente che dietro gli scontri nello Zaire ci sono Uganda, Ruanda e Burundi coalizzati per attaccare il paese su sette diversi fronti lungo oltre 300 km di frontiera, mentre le Nazioni Unite continuano a parlare di ribelli perché non vogliono vedere le cose per quello che sono. E per i rifugiati si pone lo stesso problema. Non si potrà mai risorvere la questione se la logica è quella di sacrificare un gruppo a favore dell'altro. L'unica prospettiva valida è quella di un progressivo processo di democrazia accettabile per tutti. In effetti la questione cardine della regione dei Grandi Laghi è quella di una redistribuzione del potere in cui le varie etnie si garantiscano a vicenda. Ed è importante che la comunità internazionale entri in questa logica, poiché ogni qualvolta si dà torto o ragione a un gruppo a seconda che perda o vinca si innesca uma spirale di violenza che non finirà mai. Il nodo della questione è tutto qui. Poiché il cosiddetto &laqno;problema umanitario» non è né umanitario né etnico, come si cerca di far credere, ma una questione di divisione del potere in cui si segue una logica di esclusione dell'altro o peggio, si commettono dei genocidi per eliminare l'altro, per non dover dividere il potere. La quesffone va affrontata delineando un progetto di società che tenga conto di tutte le componenti della popolazione, ma oggi capita il contrario e ogni gruppo che si succede al potere impone un progetto di società con cui si chiede all"'altro" di sparire, di dissimularsi o di disperdersi. Il risultato è il Ruanda in cui dopo trent'anni di regime Hutu i Tutsi si sono rivoltati. Così oggi sono gli Hutu a essere cacciati, ma in un prossimo futuro i figli e i nipoti dei rifugiati si rivolteranno a loro volta (anche perché più numerosi dei Tutsi). La risoluzione del conflitto parssa dunque da um progetto di società che tenga conto delle diversità, dove i meccanismi di messa in opera siano discussi indipendentemente da logiche etniche. L' Onu ha finora giocato il gioco del vincitore: l'Fpr nel 1990 era "la" guerriglia divenuta poi nel 1994 il governo legittimo, mentre il governo precedente è diventato all'improvviso ribelle e genocida. Ciò non toglie che nel prossimo futuro possa tornare e ripetere gli stessi comportamenti, per il semplice motivo che nessuno vuole affrontare la questione per quella che è ed aiutare le cómunità a uscire da questa spirale.

Che cosa pensa dell'invio di una forza di pace Onu nella regione?

Bisogna innazitutto distinguere tra forza militare di intervento con un mandato esteso alla risoluzione dei problemi che hanno determinato il conflitto in corso e dunque all'awio di un processo di pace fra le parti e una forza militare di: interposizione che si limiti al controllo delle due parti e alla distribuzione degl aiuti umanitari. E' chiaro che noi, come società civile, consideriamo importante che la forza militare inviata nello Zaire abbia un mandato più esteso e non limitato al semplice controllo "militare" della zona. Si deve però fare in fretta e non sono accettabili ulteriori ritardi o tentennamenti, poiché se è vero che una parte dei rifugiati sono rientrati in Ruanda, la maggior parte vaga nella zona prossima alla foresta equatoriale zairese. Devono essere raggiunti e soccorsi il più velocemente possibile al fine di evitare una catastrofe umanitaria. Per questo occorre un immediato dispiegamento di questa forza militare che garantisca l'arrivo e la distribuzione degli aiuti d'emergenza e che impedisca ulteriori vessazioni nei confronti della popolazione civile. Non è accettabile la posizione degli Stati Uniti che continuano a ostacolare non solo l'intervento, ma anche qualunque ipotesi di avvio di negoziazione per risolvere i problemi della regione.

I rifugiati sono un problema aperto

Un dramma, descritto in modo più o meno corretto dai mezzi di informazione. I rifugiati nell'est dello Zaire sono un milione e mezzo, a loro vanno aggiunti i tre milioni di persone della popolazione locale che si trovano in pericolo e che ha a causa del conflitto si sono dispersi verso l'interno. Il Kivu è una zona montagnosa in cui piove tutti i giorni e le strade sono impraticabili. Il rischio di una catastrofe umanitaria si fa di giorno in giorno più imminente. Una catastrofe che potrei paragonare a quelle che l'Europa ha conosciuto nel periodo delle due Guerre Mondiali ed è importante che tutte le persone si mobilitino non solo per fermare il massacro, ma anche per portare un aiuto d'emergenza a chi, rifugiatosi nella foresta scappando di luogo in luogo, è esposto alle intemperie e a una morte silenziosa nel fondo alla foresta. In tal senso è stato avviato un progetto di emergenza per la popolazione di Bukavu che permetterà di assicurare la sicurezza alimentare per 100.000 persone (soprattutto donne, bambini e anziani) per almeno tre mesi. L'intervento è promosso dal Ciss, una Ong di Palermo che èattiva nello Zaire. Si vuole in tal modo evitare di ingrossare le file dei rifugiati e mantenere la popolazione nei propri villaggi.

Alcuni osservatori politici propongono la creazione di stati etnici sul modello della ex-Jugoslavia. Che ne pensa?

Queste soluzioni vengono proposte dalle tribune delle grandi conferenze. L'ex-segretario di Stato americano Cohen, a cui è stato affidato il compito di occuparsi deIl'Africa, ha detto che occorre separare in due Stati distinti Hutu e Tutsi e ultimamente il presidente Bongo ha detto che questa potrebbe essere la soluzione finale. Ma la questione rimane la stessa: la separazione non risolve il problema poiché i contendenti cercherebbero di sopraffarsi a vicenda per ragioni di sicurezza. Si porrebero molti problemi, primo fra tutti quello delle coppie miste, poiché i matrimoni interetnici sono molto numerosi. A tutt'oggi sia in Ruanda sia in Burundi non esistonoaree a presenza monoetnica, poiché Hutu e Tutsi sono legati alla loro terra e la separazione dal luogo dove riposano i loro antenati creerebbe un cataclisma di proporzioni inimmaginabili con una guerra che decimerebbe i due gruppi e non solo. Le proposte d divisione etnica sono frutto di elucubrazioni da laboratorio e non tengono conto della realtà. La soluzione dei problemi della regione dei Grandi Laghi passa attraverso la promozione della democrazia e dello sviluppo di queste zone che sono tra le più povere dell'Africa, nonché attraverso la realizzazione di un progetto di sociètà accettabile per tutti che gestisca in modo equo le risorse e sostenga i giovani.

La classe politica che ha governato i paesi coinvolti ha una grossa responsabilità in ciò che accade. Noi crediamo che se la negoziazione fosse condotta in prima persona dalla società civile si potrebbe arrivare a una soluzione, non certo rapida e circoscritta come la si vuole da molte parti, ma effettiva, poiché le popolazioni in conflitto hanno vissuto e vivono malgrado tutto insieme. La prova di questo è stata l'accoglienza che alcune famiglie Hutu hanno fornito nel '94 a Bukavu ai bambini Tutsi scampati ai massacri. Ciò ha creato una rete di solidarietà. Tutto diventa difficile quando di mezzo ci sono i "politici" che si contendono il potere. Una prova di quanto detto è che il presidente del Ruanda è Hutu così come diversi alti dirigenti del paese e lo stesso in Burundi, ma guarda caso la questione etnica scompare quando sopravviene l'interesse di divisione del potere. Cosicché il presidente ruandese Hutu appoggia i bombardamenti dei rifugiati Hutu poiché è in gioco il suo potere personale. E' quindi chiaro che non si può circoscrivere la questione all'aspetto puramente "etnico" perché sarebbe caricaturale e soprattutto perché è molto più complessa.

Quale può e deve essere il ruolo dell'Europa in un eventuale processo di pace?

L'Europa può aiutare la regione dei Grandi Laghi solo se intende promuovere il dialogo tra le parti e non, come è successo fino a oggi la difesa settaria e localistica di ogni singolo gruppo coinvolto, favorendo così la polarizzazione del conflitto. E' importante che l'Europa offra il luogo del dialogo sull'avvenire di questa regione. Non è ancora troppo tardi. In secondo luogo è importante che l'Europa, che si erge a paladino della difesa dei diritti umani, giudichi i governi della regione proprio da quel punto di vista: il rispetto o meno dei diritti dell'uomo. E io credo che questo sia un punto chiaro e circoscritto sul quale non si possa tergiversare. L'Europa non deve appoggiare i governi che violano sistematicamente i diritti dell'uomo attraverso l'assassinio e i massacri, cosi come non deve appoggiare i governi che rifiutano ogni apertura alla vita democratica e che vogliono una "democrazia" fatta a misura dei loro interessi. Questi sono principi base dell'umanità per il rispetto dei quali l'Occidente deve battersi. L'Europa deve sostenere lo sviluppo dei paesi dell'Africa Centrale, poiché la crisi è esplosa in un momento di grande dissesto economico della regione. Quando i giovani vengono privati del loro avvenire, quando tutti sprofondano nella miseria, è molto facile affermare che la sofferenza è 'l'altro" che l'ha portata. Si potrebbe allora promuovere la progressiva realizzazione di un'economia endogena al fine di garantire a tutta la popolazione, e non solo a un gruppo ristretto, il giusto sviluppo. L'Europa ha l'opportunità di intervenire in maniera significativa almeno in tre settori: nello sviluppo economico, in quello democratico e in quello civile.

Chi sono questi nuovi "guerriglieri", o Esercito di liberazione zairese contro Mobutu, che hanno sostenuto di voler continuare la guerra fino alla conquista di Kinshasa?

La distanza in aereo tra Bukavu e Kinshasa è poco meno di 2.000 km, per via terra non solo è maggiore, ma soprattutto è priva di vie di comunicazione praticabili per buona parte dell'anno. Difficile marciare fino a Kinshasa. E poi questa forza militare è minoritaria. Per tali ragioni è velleitaria ogni ipotesi di "conquista" del potere da parte di costoro. Inoltre, la società civile zairese e buona parte della forze di opposizione ha preso non solo le distanze, ma si è detta contraria a una "soluzione" armata del cambiamento politico, del dopo Mobutu. A ciò si aggiunga che questa forza militare è in maggior parte composta da militari ruandesi equipaggiati e addestrati in parte dagli Usa e in parte da vecchi militari lumumbisti che non hanno radicamento popolare poiché da molti anni lontani dal paese.


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