Iqbal aveva 150 milioni di fratelliIl lavoro infantile nel mondo: la realtà, le cause e le proposte di Mani TeseGLI INTERVENTI POSSIBILILe opinioni sono diverse, a partire dalla alternativa: divieto totale subito o regolamentazione? I sostenitori della prima ipotesi accusano gli altri di eccessivo pragmatismo (perché "lo sfruttamento dei bambini va abolito e basta, così riducendo lo stesso sfruttamento degli adulti"); i secondi accusano i primi di utopismo (perché "la questione vera è porre fine allo sfruttamento da parte di nazioni e classi sociali; nel frattempo meglio un bambino che lavora e mangia che uno affamato").
C'è logica in entrambe le posizioni; l'ipotesi ‘divieto totale', accompagnata però da interventi che migliorino il reddito dei genitori, ben si attaglia ai casi di lavoro sotto padrone in condizioni di rischio e nocività. La seconda (abolizione come risultato di un cammino di sviluppo) si adatta alla grande percentuale di bambini che lavorano aiutando i genitori in un'economia povera agricola o artigianale. Dove in effetti non servono leggi e ingiuste punizioni, ma interventi di riforma agraria, piccola meccanizzazione collettiva, garanzia dei prezzi al produttore, pensioni e sanità di base, infrastrutture, acqua potabile ed energia vicino ai villaggi, e naturalmente istruzione di base gratuita e disponibile.
PrevenireModificando la struttura economica del paeseGli investimenti sociali sembrano passati di moda...Ma spendendo in dieci anni 25 miliardi di dollari (meno di quanto gli americani spendono in birra e gli europei in vino in .... anni), secondo i calcoli del rapporto Unicef 1993 si potrebbero dotare tutte le comunità di acqua potabile, sanità e istruzione di base: un "pacchetto" che ridurrebbe la fatica dei bambini che si occupano dell'acqua e della legna, o procurano quel piccolo reddito indispensabile a coprire ad esempio le spese sanitarie. Sì a interventi di giustizia, chiedono le campagne contro il lavoro infantile: garantire adeguate condizioni di vita e potere d'acquisto alle famiglie fornendo sicurezza sociale, attuando la riforma agraria, aumentando le possibilità di occupazione per gli adulti, garantendo il diritto alla casa. Anche nel caso dei paesi del Nord afflitti dalla piaga del baby-lavoro è indispensabile ripartire più equamente le risorse e il lavoro disponibile, e non smantellare lo stato sociale. Applicando la "clausola sociale interna" proposta da sindacati e movimenti "Per evitare al tempo stesso la fame e il lavoro dei bambini bisogna aumentare le paghe dei genitori" sostiene fra gli altri Rosaline Costa della Commissione giustizia e pace del Bangladesh. Questa posizione accomuna sindacati e movimenti del Sud e del Nord del mondo, divisi invece sull'opportunità di promuovere azioni di pressione,"ricatti" commerciali o iniziative di boicottaggio nei confronti dei paesi colpevoli. C'è la necessità di garantire diritti elementari nell'ambito del lavoro dipendente, che nel Sud del mondo è "nero" al 70-80% e basato sullo sfruttamento degli stessi adulti, costretti quindi a far integrare ai bambini il reddito familiare. Il divieto di lavorare al di sotto di una certa età non può diventare operativo se agli adulti viene corrisposto un salario al di sotto di quello minimo legale, se quest'ultimo non viene rivisto verso l'alto - per esempio il sindacato indiano CITU ne chiede un aumento del 50% - e se l'assistenza malattia e vecchiaia non vengono generalizzate. è dunque indispensabile applicare standard minimi di rispetto dei lavoratori. La maggior parte dei paesi ne sono ben lontani e in molti casi i sindacalisti che la sostengono vengono incarcerati, ostacolati in ogni modo, uccisi. Rivedendo i rapporti internazionali Ma i governi del Sud, spesso restii a modificare lo status quo, avranno buon gioco nel sostenere di non poter fare nulla sul piano sociale perché stretti fra l'incudine del debito e il martello della competitività internazionale. Potranno dire che con l'aggiustamento strutturale li hanno obbligati a tagliare le spese sociali e a permettere la corrosione dei già magri salari di operai e braccianti. L'opinione pubblica e le organizzazioni sociali e politiche del Nord del mondo hanno quindi il compito di influenzare le politiche internazionali - commerciali e di cooperazione - dei rispettivi governi:
La scolarità obbligatoria fino ai 14-16 anni è condizione necessaria e tappa obbligata per l'abolizione o la riduzione del lavoro infantile. Ma non si può pretendere che genitori poveri paghino libri, matite e vestiti per mandare i figli in una scuola lontana chilometri. Le scuole dovrebbero essere del tutto gratuite, facilmente raggiungibili (mentre soprattutto in Africa, con la crescita demografica e la carenza di investimenti sociali, il tragitto scuola-casa si allunga ogni anno), utili (preparare a una professione) e - elemento importantissimo - garantire un pasto a tutti gli alunni. In Sri Lanka, dove la scuola è del tutto gratuita e comprende un pasto, il livello di alfabetizzazione è molto più alto rispetto alla media sud-asiatica. Una soluzione intermedia potrebbe essere quella di permettere, con orari differenziati, che bambini al lavoro per quattro ore al giorno possano frequentare la scuola normale. Se non sono troppo stanchi. Progetti congiunti governi-OIL Nel 1992 l'Organizzazione Internazionale del Lavoro ha lanciato il programma IPEC, con l'obiettivo di eliminare il lavoro dei bambini al di sotto dei dodici anni e quello in condizioni di schiavitù e di pericolosità, migliorando le condizioni degli altri ragazzi lavoratori al di sotto dei 15 anni, ma cercando di costruire l'uscita dalla produzione anche per questi ultimi. Il progetto IPEC chiede la collaborazione di governi, sindacati, associazioni non governative, famiglie e imprenditori ed è già partito nei principali stati a "rischio": India, Brasile, Filippine, Thailandia, Egitto, Bangladesh, Filippine, Indonesia, Kenya, Turchia. In sintesi IPEC prevede: pressione sugli stati affinché adottino strumenti legislativi efficaci nel campo del divieto del lavoro infantile e parallelamente dell'applicazione dell'obbligo scolastico; sensibilizzazione delle famiglie sui danni del lavoro infantile; interventi di riabilitazione sanitaria ed educativa di ex bambini lavoratori, miglioramento delle condizioni di coloro che tuttora producono. Ma, ammette l'OIL, IPEC non ha le risorse per fornire istruzione a lungo termine, misure di assistenza sociale, creazione di reddito per le famiglie, eccetera. Le risorse scarseggiano per lo stesso progetto IPEC: i governi occidentali non si sono dimostrati molto generosi. Fanno eccezione il governo tedesco e quello spagnolo. Unione Europea e incentivi commerciali Sollecitata anche dal Parlamento europeo - in particolare dalla risoluzione del 9 febbraio 1994 che chiede la messa a punto di meccanismi di controllo nella fabbricazione dei prodotti e nellla loro commercializzazione internazionale, di accordi fra imprese produttrici per creare marchi di garanzia sociale e di un aiuto allo sviluppo economico e sociale che freni i fenomeni di sfruttamento anche dei bambini nei paesi terzi - l'Unione europea ha introdotto nel 1994 uno sprone ai suoi partner commerciali in via di sviluppo, associati all'Unione nel cosiddetto "Sistema delle preferenze generalizzate". A partire dal 1998 speciali incentivi, cioè ulteriori riduzioni tariffarie rispetto a quelle già in vigore, saranno applicati a quei paesi che ne faranno richiesta documentando - attraverso un sistema di certificazioni seguite da controlli - il rispetto nel paese di una clausola sociale implicante il non ricorso al lavoro infantile, la libertà sindacale e alcune altre garanzie previste da convenzioni dell'OIL. Accanto alla clausola sociale è stato introdotto un abbozzo di clausola ambientale. Non è chiaro dal testo se il paese postulante debba dimostrare il rispetto della clausola sociale anche nelle produzioni per il solo mercato interno. Probabilmente la scelta si farà cammin facendo, con l'apporto delle parti sociali. La carota, il bastone. Campagna dei sindacati Il sindacato internazionale ICFTU (Confederazione dei sindacati liberi), che ormai riunisce la maggior parte dei rappresentanti dei lavoratori dipendenti di tutto il mondo, fra cui le italiane CGIL-CISL-UIL, ha lanciato nel 1994 una campagna contro il lavoro infantile che propone tre assi di intervento: prevenire, scoraggiare, recuperare. Chiedendo quindi ai paesi sviluppati di assistere anche economicamente le azioni di miglioramento delle condizioni di vita e lavoro dei cittadini dei paesi in via di sviluppo. Proponendo programmi di aiuto alle famiglie per rimuovere subito gli under 12 dai luoghi di lavoro ed evitare altri "reclutamenti". Ma anche chiedendo alla comunità internazionale di far pressione sugli imprenditori e sui governi con denunce, minacce di sanzioni e di perdita dei privilegi commerciali, boicottaggi - a cominciare dai prodotti realizzati dai bambini in condizioni di schiavitù.
DisincentivareLa campagna dell'ICFTU "Stop al lavoro infantile" rientra in quella per l'applicazione generalizzata della "clausola sociale", al fine di garantire il rispetto mondiale di alcune convenzioni dell'OIL (fra cui la 138, la 87 e la 98 sulla libertà sindacale) legandolo agli stessi rapporti commerciali internazionali. Questi ultimi sono ora così intessuti di competitività spinta (abbattimento dei costi sociali e ambientali, il cosiddetto dumping sociale ed ecologico) da seguire un indegno cammino a ritroso nel rispetto dei lavoratori e dell'ambiente.Secondo l'APRO, sindacato degli affiliati asiatici dell'ICFTU, "non è necessaria una clausola protezionista, ma un vincolo per evitare che imprenditori locali e multinazionali persistano con una forma di commercio mondiale basato sulla violazione dei diritti dei lavoratori e sul loro impoverimento, con una conseguente contrazione del potere d'acquisto interno, causa di povertà e di altra disoccupazione e sottoccupazione". Il meccanismo della clausola sociale collegata agli scambi internazionali prevederebbe che l'OIL e la nuova Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) controllino le violazioni da parte dei governi e delle imprese, comminando inizialmente la sospensione di benefici non tariffari attribuiti ai paesi in oggetto, e imponendo poi, in caso di violazione reiterata, una tariffa doganale maggiorata come disincentivo. Con questo meccanismo non si giustificherebbero più sanzioni unilaterali (quali gli embarghi selettivi praticati abitualmente dagli Stati Uniti per ragioni essenzialmente politiche). La campagna sindacale Stop ai babylavoratori allinea alle posizioni di molti movimenti del Nord e del Sud la quasi totalità dei sindacati di tutto il mondo, esclusi i sindacati indiani, nelle seguenti proposte:
Usa. La proposta Harkin di blocco delle importazioni Ma i timori dei governi sono legati anche (forse soprattutto) alla proposta di legge avanzata nel 1993 dal deputato statunitense Harkin. Sensibilizzato da una campagna di denuncia popolare sull'allucinante settore dei tappeti, il congressman ha proposto di vietare l'ingresso negli Stati Uniti di qualunque merce che incorpori lavoro di bambini. La legge non è ancora passata, ma il meccanismo prevede che: il Ministero Usa del lavoro si impegni a effettuare controlli periodici per identificare qualunque industria straniera (comprese le TNC statunitensi) sospetta, e il paese ospitante; chiunque possa chiedere che si proceda a indagine su un'impresa o su un paese; durante il periodo di controllo venga vietata l'importazione; inoltre, in relazione all'entrata di un prodotto manifatturiero, che gli importatori debbano produrre un certificato che attesti la natura child-free dell'articolo. Fra i produttori di tappeti il panico è stato tale da muoverli ad accettare l'adozione di un marchio "tappeti senza bambini", il Rug-Mark. L'Harkin Bill ha tuttavia un limite intrinseco: può attaccare solo lo sfruttamento effettuato nelle fabbriche che esportano, non in quelle che producono per il mercato interno, salvo fare un blocco-paese generalizzato che però metterebbe tutti nel mucchio, penalizzando anche gli esportatori onesti. Inoltre esso è visto come un provvedimento che passa sulla testa dei governi del Sud, i quali quindi non sarebbero molto disposti a collaborare anche in considerazione del fatto che negli Usa stessi i bambini lavoratori sono molto numerosi. Quale clausola sociale commerciale contro il lavoro infantile? Sono contro il collegamento del divieto del lavoro infantile agli scambi commerciali sia la maggior parte dei PVS che alcuni sindacati e organizzazioni non governative, con motivazioni diverse. Nella Delhi Declaration (1994) i ministri del lavoro del Sud hanno definito l'iniziativa un modo subdolo di chiudere le frontiere per proteggere le imprese e i lavoratori del Nord dalla concorrenza internazionale. Anche i sindacati dell'India e alcuni movimenti sociali del Sud e del Nord sono contrari al collegamento commercio-diritti dei bambini, per varie ragioni:
Pressioni popolari sulle multinazionali e codici di autoregolamentazione La denuncia è un'arma formidabile nei confronti delle imprese, soprattutto di quelle ben conosciute e facilmente identificabili attraverso il loro marchio, le quali devono abbattere i costi di produzione ma anche tener alta la loro immagine - e per questo spendono tanto in pubblicità. Le denunce attraverso i mezzi di informazione e lettere di protesta contro l'impiego del lavoro infantile, collegate ad annunci o minacce di boicottaggio, sono piuttosto efficaci se fatte bene. Ad esempio l'impressione suscitata sui consumatori americani da rivelazioni del sindacato e dello stesso Ministero del lavoro Usa sulle violazioni compiute da una ditta cinese a cui appaltava la famosa Levi's, hanno indotto quest'ultima a dotarsi di un "codice di autoregolamentazione" che prevede fra l'altro il non ricorso a lavoratori di meno di 14 anni o ancora in età di obbligo scolastico, e il rispetto del salario minimo vigente nel paese da parte delle aziende a cui appalta il lavoro.
Non è un grande sforzo, dati i prezzi di vendita dei jeans, ma è meglio di nulla. Talvolta però le TNC si danno un codice che poi, per quanto blando, non rispettano, come ha fatto la Nike. Campagne di boicottaggio di prodotti, marchi di garanzia, commercio equo In Italia le campagne di boicottaggio non hanno mai avuto un grande sviluppo: la stessa campagna contro l'acquisto di giocattoli thailandesi e quella di pressione sulla Chicco dopo i tremendi incendi del 1993 non hanno sortito grandi effetti. Ma si può sempre ritentare! All'estero un'esperienza che mostra quanto siano determinanti i consumatori riguarda i tappeti indiani. A partire dal 1991 alcune associazioni della Germania e degli Stati Uniti (i due principali importatori di tappeti da quell'area) recepirono l'appello della Coalizione sud-asiatica contro la schiavitù infantile e chiesero ai consumatori di comunicare agli importatori che non avrebbero più comprato tappeti indiani finché non avessero ottenuto la garanzia che erano stati tessuti senza lavoro di bambini. Le esportazioni di tappeti dall'India calarono,i produttori si allarmarono e un buon numero di loro accettò di unirsi nell'associazione Produttori di tappeti senza lavoro infantile e a dotarsi di un marchio - il Rug-Mark - con i relativi rigorosi controlli, attuati da una società di certificazione con la collaborazione di organizzazioni locali e l'aiuto dell'Unicef e dell'OIL.
I consumatori italiani potrebbero fare un'analoga opera di pressione sugli importatori, e intanto acquistare i tappeti dhori del commercio equo e solidale, fabbricati da cooperative di adulti che ricevono una remunerazione più adeguata al costo della vita. Anche per altri prodotti "importanti" già esiste l'alternativa del commercio equo: caffè, tè, artigianato, giocattoli... Punibilità del turismo sessuale Se tutti gli stati devono dotarsi di un sistema di leggi e sanzioni sul lavoro infantile, sono soprattutto gli stati "esportatori di turisti" a doversi dotare di leggi dure contro il fenomeno della prostituzione infantile. Oltre a un'azione di sensibilizzazione e al controllo dell'operato delle agenzie di viaggio nostrane, occorre introdurre una legge che permetta di punire per crimine di pedofilia il "turista" anche una volta rientrato in patria.
RiabilitareLiberatori di bambini
Primo, liberare i bambini schiavi. Lo fa Kailash Satyarti indiano, con i bambini tenuti come schiavi a tessere tappeti. Kailash ha lavorato per anni con il Fronte di liberazione dal lavoro forzato per debiti e ora si è specializzato nel recupero dei bambini con la Coalizione sud-asiatica contro la servitù infantile. Successivamente vengono ospitati in un centro di riabilitazione o restituiti alla famiglia. Anche nelle Filippine esiste un'organizzazione (KDC) che libera bambini schiavi. Il lavoro iniziò nel 1992 con bambini tenuti in condizioni spaventose all'interno di una fabbrica di sardine. Il Kdc aiuta anche i bambini liberati a ottenere un risarcimento e a ritornare in famiglia e a scuola. Liberatori di famiglie Progetti generatori di reddito, acquisizione di terre per i senzaterra, infrastrutture igienico-sanitarie, scuole, sviluppo dell'economia rurale. Sono tante le organizzazioni sociali che nei tre continenti attaccano le cause del lavoro infantile per prevenirlo, liberando le loro famiglie dalla povertà. Un progetto del governo indiano Nel 1994 il governo indiano ha messo a punto una strategia di interruzione del lavoro in settori pericolosi per due milioni di bambini. Il recupero di ogni bambino costerà circa 100 dollari all'anno (da moltiplicare per il numero di anni necessari a raggiungere l'età minima lavorativa) che serviranno per assicurare un reddito sostitutivo alla famiglia, un aiuto alimentare, sussidi per l'istruzione professionale, oltre alla sensibilizzazione delle famiglie sui danni prodotti dal lavoro infantile. In cambio le famiglie dovranno impegnarsi a mandare i figli a scuola. Squadre apposite controlleranno le imprese e la frequenza scolastica. Progetti analoghi hanno un piccolo costo unitario ma devono occuparsi di grandi numeri. Un sostegno da parte della cooperazione internazionale sarà quindi necessario. Il Club dei bambini lavoratori Ci sono anche iniziative di associazioni che non pretendono di eliminare da subito il lavoro infantile. Il Club opera a Bangkok e cerca di aiutare le famiglie a riprendere a casa i figli lavoratori under 12. Per i più grandicelli e i senza famiglia l'orientamento è mantenerli al lavoro, offrendo loro una serie di servizi: formazione professionale, cooperativa di risparmio, biblioteca e cure sanitarie. Progetti educativi in America Latina Da anni il progetto peruviano Manthoc organizza e tutela bambini lavoratori, con leader giovanissimi che svolgono un'opera di sensibilizzazione anche in altri paesi dell'area, istituendo numerosi centri per l'ospitalità e la formazione di bambini lavoratori e di strada.
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