Una proposta per la costituzione di un corpo italiano di volontari civili per l'intervento nelle emergenze internazionali.
DOSSIER C
INDICE
Lettera di presentazione
Appello per la costituzione del contingente italiano di Caschi Bianchi
Le adesioni (pervenute fino al 20 settembre 1998)
Introduzione teorica e programmatica.
1.1 Aldo Capitini
1.2 Dall'India a New York a piedi
1.3 Il Centro Studi per la Difesa Civile
1.4 L'apertura dell'ONU
1.5 L'adesione dell'Italia
2 La prevenzione della violenza nei conflitti internazionali
2.1 Il ruolo della diplomazia preventiva
2.2 La prevenzione: un approccio analitico
2.3 Le attività costruttive di trasformazione del conflitto
2.4 Campi di azione e priorità
2.5 Conclusioni e prospettive
3 Riferimenti costituzionali e principi ispiratori
3.1 L'articolo 11 della Costituzione italiana e la Carta delle Nazioni Unite
3.2 Democratizzazione mondiale ed ONU dei popoli
4 Condizioni e limiti dell'intervento
La sinergia fra le organizzazioni non governative
6.1 La formazione per la prevenzione dei conflitti
6.2 Dinamiche personali e di gruppo
Allegato A
Presentazione del Centro Studi Difesa Civile (CSDC)
LETTERA DI PRESENTAZIONE
Il Centro Studi Difesa Civile (CSDC), impegnato già dall'87 a pubblicizzare la proposta del leader induista Ramsahai Purohit riguardante la costituzione di una Forza Nonarmata dell'ONU per la costruzione ed il mantenimento della pace internazionale, sta promuovendo una serie di iniziative tendenti alla creazione ed alla formazione pratica del contingente italiano di Caschi Bianchi dell'ONU.
L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato diverse risoluzioni sui Caschi Bianchi, che sono già stati impiegati in diverse regioni del mondo. L'Italia ha aderito a tale progetto, insieme ad altri 21 Paesi, impegnandosi a costituire un contingente nazionale di Caschi Bianchi.
L'elemento innovativo di tale progetto è che, oltre alle funzioni di assistenza umanitaria, si intravede per i volontari un ruolo nella tutela dei diritti umani, nella prevenzione e soluzione dei conflitti e nella creazione di condizioni di dialogo nelle situazioni di crisi. Il CSDC ritiene che esista una opportunità che i vari movimenti del volontariato, quello per la solidarietà, per la cooperazione internazionale, per la pace, per i diritti umani e della protezione civile e la società civile in genere, potrebbero cogliere, per aumentare in sinergia le rispettive capacità di intervento e per far crescere i valori dell'umanesimo.
Vi proponiamo quindi di concorrere con le Vostre esperienze e suggerimenti alla realizzazione di tale iniziativa per arricchirne il contenuto e dare maggiore forza e visibilità alle proposte che saremo in grado di formulare insieme.
Confidiamo nella Vostra adesione all'appello allegato.
Francesco Tullio e Giorgio Giannini del CSDC
I recenti fatti nei Balcani hanno evidenziato ancora una volta la necessità che le Organizzazioni Nongovernative, le Associazioni di volontariato, per i diritti umani, per la pace trovino un maggior livello di coordinamento ed una più specifica preparazione per intervenire anche al di là dei nostri confini in funzione umanitaria a difesa dei più deboli, (vecchi e bambini, ricoverati negli ospedali, negli ospizi, negli orfanotrofi)
L'invio di contingenti civili di volontari in funzione umanitaria, oltre a dare un aiuto concreto, assume un valore simbolico costruttivo e può contribuire a creare le condizioni più idonee al dialogo ed alla gestione pacifica del conflitto. Tali contingenti possono quindi essere un elemento importante sia per il mantenimento sia per la costruzione della pace.
L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato, negli ultimi anni, diverse risoluzioni sull'impiego, nelle situazioni di crisi, di un particolare tipo di contingente denominato "Caschi Bianchi", con funzioni di pacificazione, di prevenzione e soluzione dei conflitti. In particolare ricordiamo il Rapporto del Segretario Generale dell'ONU all'Assemblea Generale ed al Consiglio Economico e Sociale in data 27 giugno 1995 (A/50/203/1995)
I Caschi Bianchi sono stati impiegati in diverse regioni del mondo. (Angola, Armenia, Gaza, Haiti, Rwanda etc.)
L'Italia ha aderito con altri Paesi al progetto dei Caschi Bianchi impegnandosi a costituire un contingente nazionale che potrebbe essere attivato, in tempi rapidi, in collaborazione con Organizzazioni Nongovernative e Associazioni di volontariato per la pace, per la solidarietà e per i diritti umani.
Al fine di avere al più presto disponibile tale contingente, sollecitiamo il Governo Italiano a provvedere in tempi rapidi alla costituzione e alla adeguata formazione operativa del contingente italiano dei Caschi Bianchi dell'ONU.
PER ADESIONI E CONTATTI:
ADESIONI (pervenute fino al 31 ottobre 1998)
ASSOCIAZIONI
A.O.N. ( Associazione Obiettori Nonviolenti), Associazione Amici di Tolstoj, Assopace, Associazione Popoli Minacciati, Beati i Costruttori di Pace, Comitato di Collegamento di Cattolici per una Civiltà dell'Amore, L.D.U. (Lega per il Disarmo Unilaterale), L.O.C. (Lega Obiettori di Coscienza), MANI TESE, M.I.R. (Movimento Internazionale per la Riconciliazione), PAX CHRISTI, Peacelink, Rete culturale "Filo d'Arianna", Rivista "Alternativa Europa", Sen. Stefano Boco - Verdi, Tavola della Pace, IACP Istituto Approccio Centrato sulla Persona, Associazione per la Pace di Alessandria, C.E.F.A. (BO), Centro Nuovo Modello di Sviluppo (PI), Facciamo Pace (TO), Gruppo " Franz Jaegerstatter" (PI), Tamburi di Pace (Roma), Caritas diocesana di Assisi, Nocera Umbra e Gualdo Tadino; Caritas diocesana di Orvieto-Todi.
SINGOLI E PERSONALITA'
Dott. Francesco Tullio Presidente CSDC
Prof. Giorgio Giannini Segretario CSDC
On. Falco Accame Pres. Fond. Nino Pasti
Enrico Antonielli Ass. Amici di Capitini
Dott. Daniele Archibugi C.N.R.
Prof. I. Barbuscia Pastore Chiesa Avventista
Prof. Fabrizio Battistelli Segretario Archivio Disarmo
Dott. Paolo Bergamaschi Verdi Parlamento Europeo
Sen. Stefano Boco Verdi
Mons. Diego Bona Vescovo di Saluzzo
Dott. Luciano Capitini Coord. Educazione Pace Pesaro
Padre Angelo Cavagna G.A.V.C.I.
On. Paolo Cento Verdi
Mario Cherubini Consulta Pace Brescia
On. Franco Corleone Sottosegretario alla Giustizia
Prof. Luciano Corradini Università di Roma Tre
Pasquale D'Andretta Trainer nonviolento
Robert De Graaf Cons.Naz. Amnesty Intern.
Prof. Pasquale De Sole Università Cattolica Roma
Gabriele De Veris AGESCI
Prof. Antonino Drago Università di Napoli
Alessandra Fistolera Agenzia per la Pace
Dott. Domenico Gallo Associazione Pace e Diritti
Gloria Gazzari Associazione Amici di Tolstoj
Filippo Gentiloni Saggista
Padre Nicola Giandomenico Sacro Convento di Assisi
Prof. Fausto Grignani Univ. di Perugia
Padre Sandro Guarda Missionario Comboniano
Prof. Alberto L'Abate Università di Firenze
Raniero La Valle Studioso tematiche della Pace
Rosario Lembo C.I.P.S.I.
Sen. Luigi Manconi Verdi
Dr. Gianfranco Maddoli Sindaco di Perugia
Dr. Marco Mascia Università di Padova
Francesco Massinelli AGESCI Umbria
Alessandro Marescotti Peacelink
Andrea Maori Umbria per il Tibet
Roberto Minervino Segretario LOC
Eduardo Missoni A.D.O.C.S.
Don Franco Monterubianesi Nuovi Ragazzi del Mondo
Luisa Morgantini Funzionario C.G.I.L.
Giovanna Negrotto Pellegrina Charles De Foucault
Don Bruno Nicolini Centro Studi Zingari
Padre Deogratias Nmibili Sacerdote Rwandese
Padre Gianni Novelli CIPAX
Dott. Ivan Novelli Vicedirettore " Roma 2004"
On. Mauro Paissan Verdi
Dr. Paolo Pampanoni Caritas di Assisi
Prof. Antonio Papisca Università di Padova
Mons. Giuseppe Pasini Fondazione Zancan
Maria Pelosi Pellegrina Charles De Foucault
Roberto Pinter Pres. Forum Trentino Pace
Franco e Caterina Primola Beati I Costruttori Di Pace
Prof. Paolo Ricca Facoltà Valdese di Teologia
Sen. Giovanni Russo Spena Rifondazione Comunista
Antonia Sani Scuola e Costituzione
Prof. Nanni Salio Università di Torino
Dott. Gianni Scotto Peace Research Centre-Berlino
Sen. Stefano Semenzato Verdi
Annamaria Semeraro Coord.Educazione Pace Pesaro
Alberto Stramaccioni Segretario PDS - Umbria
Vittorio Tranquilli Conoscersi x Costruire la Pace
Mao Valpiana Direttore Azione Nonviolenta
Eros Zanotti UNICEF di Brescia
Dott. Ettore Zerbino Vice Presidente CSDC
Davide Berruti - Centro Studi Difesa Civile
Luigino Ciotti - Assessore Comune Bastia Umbra
Mario Cucchia - Obiettore
Roberto Tecchio - Rete di Formazione alla Nonviolenza
1 - PREMESSE
1.1. Aldo Capitini.
Su Azione Nonviolenta del settembre 1978 si trovano degli appunti che Aldo Capitini
(1978) aveva preparato per la riunione della War Resisters International (WRI) dell'agosto
1968.
" La mia vecchia proposta di chiedere alle Nazioni Unite la formazione di un Ente per
l'addestramento alla nonviolenza ha la difficoltà del timore di creare una forza rivoluzionaria,
ma bisogna tuttavia insistere."
1.2. Dall'India a New York a piedi.
Ramsahai Purohit, docente di sociologia dell'Università di Jaipur, aveva conosciuto
Gandhi da bambino. Suo padre era uno dei collaboratori del Mahatma.
Nel 1971 Ramsahai intraprese una marcia a piedi da Nuova Delhi a New York, per
consegnare alle Nazioni Unite un memorandum in cui chiedeva di realizzare una proposta di
Gandhi, la costituzione una forza permanente, nonarmata e nonviolenta per la risoluzione dei
conflitti internazionali e per la costruzione ed il mantenimento della pace, al servizio di un
ordine internazionale basato sulla giustizia, su chiare regole di dialogo e collaborazione.
Nel 1986 Ramsahai Purohit fu delegato hindu alla giornata di preghiera
interconfessionale con il Papa ad Assisi e ne approfittò per riproporre il vecchio progetto
gandhiano alle Nazioni Unite.
1.3. Il Centro Studi per la Difesa Civile.
In questo filone si è mosso, dalla propria costituzione nel 1984 ad oggi, il Centro Studi
Difesa Civile (CSDC) impegnandosi nella ricerca, nella divulgazione, nella formazione e nella
partecipazione a progetti e campagne, raccordando i temi della difesa civile e della resistenza
nonviolenta con quelli della sicurezza del paese per approdare al tema della soluzione e della
gestione dei confitti fino alla diplomazia popolare e preventiva.
Il taglio di quest'impegno è quello sistemico con la considerazione dei piani che vanno
dalla soggettività alla dimensione planetaria. Il nostro lavoro è improntato sul continuum che
raccorda il conflitto internazionale a quello intergruppale fino a quello interpersonale e considera
atttentamente l'aspetto intrapsichico.
Nel 1987 il Centro Studi Difesa Civile (CSDC) ha organizzato un convegno articolato in
4 diverse giornate (Tullio 1989), per rilanciare la proposta di Forze di pace internazionali.
Con tale sforzo organizzativo il CSDC raggiunse un vasto consenso teorico eppure
operativamente non si trovavano i canali di attuazione.
I progetti concreti di forze di pace internazionali restavano iniziative marginali seppur lodevoli.
Negli anni seguenti il CSDC ha contribuito a diverse esperienze sul campo, oltre che alla
elaborazione di percorsi formativi ed alla prosecuzione delle ricerche storiche e
psicosociologiche.
1.4. L'apertura dell'ONU.
Nell'ottobre 1992 Boutros Ghali, l'allora Segretario Generale delle Nazioni Unite,
pubblicò "l'Agenda per la pace" in cui dava risalto ai concetti di forze di pace, di diplomazia
preventiva, di servizio civile internazionale e rilevava le potenzialità del contributo delle
organizzazioni nongovernative e dei civili.
Da allora l'ONU ha approvato varie risoluzioni (ad esempio A/49/139 B del 20.12.1994)
per l'istituzione di un contingente di volontari civili da utilizzare per la assistenza umanitaria e
per la ricostruzione nelle aree di crisi. In seguito ad una proposta del governo argentino è stato
utilizzato il termine di "Caschi Bianchi."
Particolarmente significativo è il rapporto del Segretario Generale dell'ONU alla 15ma
sessione dell'Assemblea Generale ed al Consiglio Economico e Sociale (A/50/203) del
27.6.1995.
Tale relazione tratta del rafforzamento del coordinamento nelle situazioni di disastro e
d'emergenza e della partecipazione dei volontari "Caschi Bianchi" alle attività delle Nazioni
Unite nel campo dell'aiuto umanitario, nella ricostruzione e nella cooperazione tecnica allo
sviluppo.
Il punto innovativo è che essa allarga le funzioni dei volontari civili dall'assistenza
umanitaria, alla tutela dei diritti umani ed alla creazione di condizioni favorevoli al
dialogo. Per richiesta della stessa Assemblea generale il rapporto del Segretario Generale
include una valutazione:
* sul potenziale d'intervento dei volontari civili,
Il paragrafo 23 e 26 citano, fra le altre funzioni più tradizionali per il volontariato quelle di
monitoraggio del rispetto e la tutela dei diritti umani, del monitoraggio elettorale, la messa in
opera di misure atte alla creazione di fiducia e la prevenzione/soluzione dei conflitti a livello
delle comunità.
Il paragrafo 24 dice che i caschi bianchi potrebbero facilitare la mobilizzazione di risorse
umane locali, rivitalizzare organizzazioni nongovernative e comunità di base precedentemente
esistenti in loco, così come contribuire alla organizzazione e promozione di nuove sistemazioni.
Vi è quindi un'apertura verso la funzione di "peacebuilding" ad opera del volontariato.
Appare il riconoscimento del ruolo che i volontari, fra i quali - secondo noi - gli obiettori di
coscienza, possono svolgere nella prevenzione delle crisi, nel ristabilimento di condizioni di
confronto democratico e per la gestione costruttiva del conflitto.
1.5. L'adesione dell'Italia.
L'Italia ha dichiarato la propria volontà di partecipare all'immediata realizzazione di tali
contingenti. Mentre dei piccoli contingenti di Caschi Bianchi argentini ed austrici, sono stati
impiegati in diverse regioni del mondo (Angola, Armenia, Gaza, Haiti, Rwanda etc.), l'Italia per
ora non ha partecipato alle operazioni denominate "Caschi Bianchi". Va però precisato che il
volontariato italiano, nelle sue diverse forme, ha collaborato in molte situazioni di crisi con il
nostro governo e con le Nazioni Unite. Attualmente non risulta vi siano passi concreti per
realizzare quanto dichiarato circa il progetto "Caschi Bianchi". La nostra iniziativa ha il senso di
sollecitare tale attuazione.
2 - LA PREVENZIONE DELLA VIOLENZA NEI CONFLITTI
INTERNAZIONALI.
(da G. Scotto; Prevenire la violenza, costruire la pace: note per un "coordinamento italiano per
la prevenzione dei conflitti"; febbraio 1998).
2. 1. Il ruolo della diplomazia preventiva.
La prevenzione di un'escalazione violenta dei conflitti comprende due fasi distinte: la
segnalazione tempestiva (early warning) di una situazione di conflitto violento potenziale e
l'azione tempestiva (early action), cioè la prevenzione in senso proprio (NCDO 1997). È bene
tenere separate queste due fasi, anche perché richiedono strumenti e competenze differenziati.
Una delle lezioni dai conflitti più tragici degli ultimi anni è che gli esperti delle aree e le
persone che vivono una situazione di conflitto riescono spesso a prevedere la catastrofe che si
avvicina, ma questa capacità di previsione non riesce a tradursi in adeguatei interventi
preventivi: ciò è accaduto ad esempio in occasione del genocidio dei Tutsi in Ruanda, nel 1994,
avvenuto nonostante la presenza nel paese di una missione ONU e nonostante gli appelli del
Segretario Generale (Carnegie Commission 1997, p. 3-6).
Ai vertici della politica internazionale, l'idea della prevenzione dei conflitti si è fatta
rapidamente strada negli ultimi anni: il termine diplomazia preventiva è ormai ampiamente
diffuso, sia nelle organizzazioni internazionali governative, sia tra le ONG (Carnegie
Commission 1997; Lund 1996). L'idea di un rafforzamento degli strumenti diplomatici per
prevenire le crisi era già contenuta nell'Agenda per la pace di Boutros-Ghali: qui la diplomazia
preventiva veniva definita come "l'azione tesa a prevenire l'insorgere di dispute tra le parti, a
prevenire l'escalazione di dispute esistenti prima che diventino conflitti e a limitarne l'estensione
una volta che questi siano insorti" (Boutros-Ghali 1992, 20).
Notiamo che qui il Segretario Generale ONU impiegava il termine conflitto come
sinonimo di conflitto armato, guerra o guerra civile. È importante fin d'ora sottolineare che il
termine conflitto sarà impiegato invece nel presente testo in maniera neutra, come "esistenza
d'incompatibilità in un sistema sociale", che può presentarsi in forme costruttive (lotte
nonviolente, diminuzione del livello di oppressione e di violenza strutturale) o distruttive
(miseria, violenza e guerra), o in una combinazione delle due forme.
Una forma efficace e legittima d'azione preventiva può essere data dalla capacitazione dei
gruppi deboli ed oppressi in un conflitto, e quindi alla sua "acutizzazione" (si pensi alla
solidarietà internazionale per il Chiapas). Nell'uso internazionale, tuttavia, è invalsa l'espressione
conflict prevention, in particolare presso l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in
Europa (OSCE), che ha a Vienna un Centro per la Prevenzione dei Conflitti e che ha svolto negli
ultimi anni un lavoro assai importante in questo senso.
Boutros-Ghali individua nell'Agenda per la Pace una serie di misure di diplomazia
preventiva: misure per l'aumento della fiducia (come lo scambio di informazioni in materia di
sicurzza, il monitoraggio degli armamenti); le missioni di indagine (fact-finding), promosse da
diversi organi di Organizzazioni Internazionali; la segnalazione tempestiva di situazioni di
conflitto; il dispiegamento preventivo di operazioni di mantenimento della pace, attività che è
abitualmente svolta anche da molte ONG, tra cui Amnesty International e Human Rights Watch.
Dal momento della stesura dell'Agenda per la Pace vi sono state numerose esperienze di
impiego di diversi strumenti, con un bilancio incoraggiante. In particolare l'OSCE ha sviluppato
in questo periodo una serie di meccanismi e d'istituzioni di grande importanza per il futuro delle
attività di prevenzione e risoluzione dei conflitti: l'Alto Commissariato sulle Minoranze
Nazionali (che ha la funzione di early warning e diplomazia preventiva nei conflitti etnici), il
Centro per la Prevenzione dei Conflitti (Vienna), l'Ufficio per le Istituzioni Democratiche e i
Diritti Umani (ODIHR, Varsavia), diversi meccanismi diplomatici per la composizione di
dispute tra stati. Infine, l'OSCE sta raccogliendo importanti esperienze sul campo, con missioni
di fact-finding (ad esempio nei paesi baltici) e missioni a lungo termine (Bosnia-Erzegovina,
Cecenia, Georgia-Abchasia). Va ricordato infine l'impegno dell'Organizzazione nel monitoraggio
elettorale degli stati membri.
Non va sottovalutato il ruolo dei singoli stati, da soli e nelle rispettive organizzazioni
internazionali, come promotori di maggiore attenzione a situazioni di crisi e "catalizzatori" per
l'azione preventiva (ad es. il ruolo della Svezia nei conflitti all'interno dei paesi baltici sul tema
della cittadinanza), sia come attori diretti (es. missione di peacekeeping italiana in Albania). Uno
dei meccanismi in cui i singoli stati giocano un ruolo importante nel sistema ONU è quello degli
amici del Segretario-Generale intorno a particolari conflitti (esempi per El Salvador, Haiti,
Sahara Occidentale, Guatemala: Carnegie Commission 1997, p. 134).
Fin qui, schematicamente, gli antecedenti e lo sviluppo dell'idea della prevenzione dei
conflitti violenti a livello intergovernativo (ONU, OSCE e singoli stati). Ai nostri fini,
naturalmente, la domanda chiave è: qual è il contributo che il sistema internazionale delle ONG
può dare alla prevenzione della violenza, e qual è il ruolo delle ONG italiane? Più in particolare:
quali potranno essere i compiti di una struttura di coordinamento della Piattaforma Italiana per la
Prevenzione dei Conflitti e quelli di un contingente italiano di "Caschi Bianchi" ?!
A questo scopo può essere utile anzitutto analizzare i diversi aspetti possibili di un lavoro
di prevenzione, ed in secondo luogo allargare l'orizzonte temporale a ricomprendere le fasi più
acute dei conflitti e il periodo della ricostruzione.
2.2. La prevenzione: un approccio analitico.
Galtung (1975, 1996, p. 196 ss.) distingue tre dimensioni della violenza. Oltre alla violenza
diretta delle armi, si può definire come violenza strutturale l'impatto delle strutture socio-
economiche sul potenziale di autorealizzazione degli esseri umani; in aggiunta, la violenza
culturale ha la funzione di legittimazione e sostegno delle altre due forme. In maniera
corrispondente possiamo distinguere tre approcci alla prevenzione della violenza:
1. Prevenzione della violenza diretta: si orienta ai comportamenti degli attori, e mira ad
impedire o almeno a ridurre l'esercizio della violenza fisica di una parte sull'altra. Rientrano
in questa categoria le iniziative di disarmo, non proliferazione, controllo dell'esportazione e
della diffusione di armi, ma anche le iniziative di peacekeeping preventivo, militare
(Macedonia) e civile (Peace Brigades International);
2. Prevenzione della violenza strutturale: in questo caso si tratta di intervenire in maniera
incisiva sul nesso sicurezza-sviluppo, nella prospettiva di modificare le strutture economiche,
sociali e politiche che sono alla radice dei conflitti (Piattaforma Italiana per la Prevenzione
dei Conflitti, 1998). Conretamente, si tratta di superare la discriminazione nell'accesso alle
risorse e al potere - ad esempio mediante riforme economiche, creazione di nuove strutture
politiche di cogestione del potere - o la disparità di sviluppo economico, in particolare se
questa si congiunge a delle divisioni etniche presenti nella società (sviluppo di comunità). Un
campo ulteriore è l'intervento sui meccanismi a livello macro che governano l'economia
internazionale (questione del debito, termini di scambio, governo dei flussi finanziari
internazionali);
3. Prevenzione della violenza culturale: s'indirizza alla dimensione di legittimazione culturale
dell'uso della violenza. Da un lato si ricorre alla violenza per mancanza di alternative: in
questo caso è necessario agire perché le parti superino la propria disperazione e frustrazione;
d'altra parte, ideologie discriminatorie e violente possono legittimare la violenza verso gli
altri, fornendo il combustibile per un'escalazione dei conflitti (si pensi all'ex Jugoslavia,
esplosa anche per una miscela di idologie nazionaliste e di esaltazione della violenza armata
come metodo per la difesa e la liberazione). Nel primo caso si tratta di sostenere i gruppi
svantaggiati e contribuire al riequilibrio del potere nel conflitto con strategie di capacitazione
(empowerment). Nel secondo caso, l'accento andrà posto sulla diffusione di una cultura di
pace e sul superamento dei pregiudizi, oltre che sul rafforzamento dei legami tra i gruppi in
lotta. In entrambi i casi è indispensabile promuovere una nuova cultura del conflitto, basata
sull'idea che esistono alternative alla violenza e che è possibile nei conflitti trovare soluzioni
di mutuo beneficio.
Naturalmente i tre tipi di approccio non si escludono a vicenda, ma vanno considerati come
complementari. Come vedremo, in tutti e tre gli ambiti appena descritti le ONG possono dare
contributi assai significativi.
2.3. Le attività costruttive di trasformazione del conflitto.
È opinione diffusa che le politiche di prevenzione della violenza vadano inserite in una
prospettiva di più ampio respiro, che deve comprendere tutti i momenti di sviluppo di un
conflitto. In diversi stadi dell'escalazione saranno possibili e necessari differenti strumenti di
trasformazione del conflitto. Ai fini del nostro discorso possiamo distinguere le seguenti fasi dei
conflitti: dal conflitto latente alla crisi politica; polarizzazione e confrontazione; ricorso alla
violenza; ricostruzione dopo la fase acuta.
È decisivo riconoscere anche una ulteriore dimensione del lavoro di costruzione della
pace, quella del numero di persone coinvolte dall'intervento: in questo senso possiamo
distinguere il lavoro con i vertici politico-militari delle parti in conflitto (generalmente condotto
dalla diplomazia ufficiale; più di recente anche da ONG come la Comunità di Sant'Egidio), con i
quadri intermedi (politici di secondo piano, leader regionali, intellettuali, insegnanti,
professionisti, ecc.), con leader locali e popolazioni (Lederach 1994; Ropers 1997). Esistono poi
misure come la salvaguardia e tutela dei diritti umani, che hanno un impatto sulla società nel suo
complesso.
Incrociando queste due dimensioni, otteniamo una griglia che ci permette di avere una
panoramica complessiva sui tipi di intervento di parti esterne nei conflitti internazionali (tabella
1). Particolare attenzione merita il lavoro con i quadri intermedi delle parti in conflitto, che
hanno il vantaggio di essere più avvicinabili dei leader, di presentare una maggiore flessibilità
politica e che soprattutto possiedono un grande potenziale per fungere da "moltiplicatori"
all'interno della società in cui vivono ed operano (si pensi al ruolo dei capi tradizionali durante la
guerra civile in Somalia: Lederach 1994). I "laboratori per la soluzione dei problemi" (problem-
solving workshops), in cui rappresentanti influenti ma non di vertice delle diverse parti in
conflitto si incontrano per discutere hanno già una solida tradizione alle spalle (Banks/ Mitchell
1996).
Non è il caso di approfondire qui i singoli aspetti dell'intervento (sia permesso di
rimandare ad Arielli/ Scotto, in stampa): l'importante è anzitutto avere costantemente sotto gli
occhi la varietà possibile di strumenti, sia per sviluppare competenze, conoscenze e reti di
contatto appropriate che per aumentare l'efficacia delle diverse azioni, sia per poter prendere
decisioni tenendo conto delle differenti situazioni contingenti.
Quali sono i campi d'azione delle ONG? Tradizionalmente, l'attività di organismi non
governativi si è concentrata sul livello di base, con attività di aiuto e solidarietà immediata alle
popolazioni coinvolte nei conflitti. C'è inoltre già una grande epserienza, a livello internazionale,
con le attività costruttive in cui vengono coinvolte le leadership intermedie: fact-finding,
laboratori per la soluzione dei problemi (problem solving workshops), iniziative di training e
formazione alla gestione costruttiva dei conflitti, eccetera. Per loro natura, le ONG non possono
mettere in campo metodi violenti, anche se abbiamo esempi di sanzioni economiche
(boicottaggi) organizzate dalla società civile, ad es. contro il regime sudafricano dell'apartheid.
Le ONG italiane hanno grande esperienza al livello di base, soprattutto in termini di
cooperazione allo sviluppo e azione umanitaria. Anche diverse azioni nonviolente per fermare la
guerra sono state ispirate e condotte da gruppi italiani (Marcia dei 500 a Sarajevo nel 1992, Mir
Sada nel 1993). Poi abbiamo l'esempio della Comunità di Sant'Egidio, che ha condotto
mediazioni a livello di vertice.
Più rare sono invece in Italia esperienze di prevenzione della violenza e costruzione della
pace a livello intermedio, che richiedono l'intervento di personale altamente qualificato. In altri
paesi spesso queste iniziative sono prese da ricercatori universitari che si occupano di conflitti, e
forse l'assenza di corsi di ricerca sulla pace e sui conflitti all'università è uno dei motivi di questa
mancanza. Inoltre, in Italia il discorso della mediazione e risoluzione dei conflitti è appena agli
inizi (il Centro Italiano per la Promozione della Mediazione è stato lanciato nel 1995).
Per una maggiore efficacia del lavoro di prevenzione della violenza e costruzione della
pace sarà importante non solo ottimizzare le esperienze già esistenti, ma anche costruire le
premesse per estendere il lavoro delle ONG a tutti i livelli presentati nella tabella, e ai campi
della prevenzione strutturale e culturale, di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente.
2.4. Campi d'azione e priorità.
Far partire un progetto di prevenzione della violenza e costruzione della pace significa
decidere con chiarezza i campi di azione scelti e le priorità da stabilire per il lavoro. Le
dimensioni globali dei conflitti, la quantità di miseria e di violenza strutturale, e non da ultimo le
differenti competenze delle varie ONG coinvolte e coinvolgibili, potrebbero far correre il rischio
di "mettere troppa carne al fuoco". È quindi opportuno ragionare in maniera approfondita sulla
necessità di stabilire chiari campi di azione e priorità che forniscano una solida base per le
decisioni in merito.
Anzitutto è indispensabile che il lavoro di prevenzione della violenza e costruzione della
pace venga svolto in stretto contatto con le diverse iniziative internazionali non governative nel
campo: Piattaforma Europea per la Prevenzione dei Conflitti, Federazione delle Associazioni di
Early Warning - oltre che con le organizzazioni internazionali (ONU e UNV, OSCE, EU). Per le
ONG le risorse a disposizione sono assai limitate, ed è quindi importante evitare una
duplicazione degli sforzi, o peggio il trascurare un "conflitto dimenticato". In questo senso, è
opportuno che ogni attore sulla scena abbia le idee chiare su "quello che sa fare meglio", sulle
conoscenze, le competenze e i contatti a disposizione, e i "vantaggi comparati" rispetto a
iniziative e progetti analoghi di altri attori in altri paesi.
Rispetto al contenuto dell'attività di un comitato promotore, nella discussione sviluppatasi
finora in Italia si sono distinti quattro aspetti diversi: documentazione, informazione, formazione
ed azione. Per ognuno di questi campi è possibile pensare a progetti autonomi o a collaborazioni
e approfondimenti con iniziative già esistenti.
2. 4. 1. Documentazione: ricerca-monitoraggio, messa in rete e segnalazione tempestiva
In questo campo l'Italia deve scontare una grande arretratezza a livello accademico: non
solo la ricerca sulla pace e sui conflitti è pressoché inesistente, ma anche gli studi regionali e di
politica internazionale non sono sviluppati come altrove.
La ricerca e il monitoraggio dei conflitti sono la base per la segnalazione tempestiva di
situazioni di crisi e di acutizzazione dei conflitti (L'Abate 1997). La costruzione di un sistema
europeo integrato di segnalazione tempestiva è una delle priorità nei progetti di collaborazione
internazionale in questo campo. Quindi, la segnalazione tempestiva di conflitti in Italia andrebbe
verificata con le istituzioni gemelle di altri paesi e portare ad attività di informazione e lobbying
da un lato, a concreti piani di azione dall'altro.
Un coordinamento per la prevenzione della violenza potrebbe diventare anzitutto il centro
di scambio di informazioni: da un lato di iniziative analoghe all'estero, dall'altro con gli operatori
di pace italiani impegnati sul campo. Inoltre andrà promossa una stretta collaborazione con il
mondo della ricerca italiano - con iniziative nel campo della pace e dei conflitti già esistenti.
Particolare attenzione dovrà essere posta ai contatti e alla messa in rete delle risorse locali per la
trasformazione dei conflitti: in questo senso va ad esempio il progetto di messa in rete via
Internet delle ONG che lavorano per la pace nell'ex Unione Sovietica (Istituto di Etnologia e
Antropologia, Accademia Russa delle Scienze, Mosca).
2. 4. 2. Informazione e lobbying
Il coordinamento potrebbe produrre strumenti di informazione ed aggiornamento propri,
o diffondere analoghi strumenti prodotti da altri (ad es. i rapporti sui singoli paesi di Amnesty
International, o di International Alert). L'apertura di una pagina Web e l'impiego della rete
telematica per la pace Peacelink garantirebbero un flusso di informazioni tempestive e capillari.
Un'altra componente fondamentale del lavoro potrebbe essere l'attività di lobbying nei
confronti del Governo e del Parlamento in merito a scelte politiche di importanza decisiva per la
prevenzione della violenza internazionale e la costruzione della pace, ad esempio premendo per
una nuova regolamentazione dell'export di armi, per il rispetto dei diritti umani e una
ottimizzazione della preparazione dei soldati in missione di peacekeeping, o per far sì che l'Italia
si faccia carico di azioni di diplomazia preventiva in seno all'ONU e all'OSCE. Attività analoghe
possono essere proposte all'Unione Europea.
Infine, il coordinamento potrebbe diventare una sorta di "agenzia di lavoro per la pace",
diffondendo le possibilità di lavoro in strutture già esistenti (missioni ONU, United Nations
Volunteers, OSCE, UE; ONG nazionali e internazionali come le Peace Brigades International e il
Balkan Peace Team). In questo modo si favorirebbe la partecipazione di volontari italiani agli
interventi internazionali di costruzione della pace, diffondendo anche nel nostro paese importanti
esperienze e competenze.
2. 4. 3. Azione: scelta dei punti focali e modalità di azione
Alla segnalazione tempestiva deve seguire l'azione idonea. La grande conquista
dell'ultimo decennio è stata senz'altro il riconoscimento del ruolo degli attori non governativi nei
processi di prevenzione della violenza e costruzione della pace. Questo patrimonio costituisce
una solida base di partenza per ogni lavoro di pace da intraprendere nel futuro.
Anche in Italia esiste un patrimonio di esperienze di azione compiute da numerose ONG.
Il rispetto per questo impegno e per il lavoro già svolto, ma anche la necessità di dividere le
attività in maniera efficiente, richiedono un clima di fiducia reciproca tra tutti gli attori
impegnati. Nessuno che intenda dare un contributo alla prevenzione della violenza e alla
costruzione della pace deve sentirsi scavalcato né messo da parte. Sarà invece importante lo
sviluppo di standard comuni, sia etici che professionali.
Il coordinamento della Piattaforma Italiana per la Prevenzione dei Conflitti, o il comitato
promotore per la istituzione di un contingente italiano di "Caschi Bianchi", potrebbero sostenere
le iniziative dei suoi componenti:
1. Curando e aggiornando un elenco ragionato delle iniziative italiane, che indichi le
competenze, le risorse e i contatti di ciascun attore;
2. Mettendo in collegamento domanda e offerta di competenza in seguito alla segnalazione
tempestiva di un conflitto o alla richiesta di aiuto di un componente della piattaforma,
secondo il principio che i punti di forza e le competenze di un attore possono valere a coprire
i limiti di azione di un altro;
3. Fornendo ai diversi attori - sia ai partner della piattaforma che ad attori governativi o
organizzazioni internazionali - consulenze ed informazioni per garantire la massima efficacia
possibile degli interventi.
In particolare, il coordinamento dovrebbe creare una sensibilità per la dimensione di
lungo periodo delle attività connesse con la prevenzione dei conflitti e la costruzione per la pace,
ad esempio nella mobilitazione umanitaria, nelle attività di ricostruzione o nelle politiche di
cooperazione allo sviluppo. Una politica degli aiuti errata può favorire il perpetuarsi di conflitti
violenti o, in casi estremi, diventare essa stessa causa di conflitti (Anderson 1996 a, 1996 b).
Un'attività che riunirebbe lobbying, consulenza e azione sarebbe la promozione del
progetto di istituzione di un corpo di "Caschi Bianchi" e/o di un Servizio Civile di Pace Europeo,
promosso da diversi gruppi italiani di azione e ricerca per la pace.
2. 5. Conclusioni e prospettive.
E' indispensabile un'autoanalisi dei bisogni, delle potenzialità e dei progetti delle ONG
che vorranno partecipare all'iniziativa "Caschi Bianchi", per stabilire il profilo ideale del
coordinamento.
Due considerazioni generali vanno aggiunte a quanto detto finora. Anzitutto, bisogna
riconoscere che l'azione dal basso non può sostituire le decisioni pubbliche di politica
internazionale e della difesa essenziali per un'efficace prevenzione della violenza nei conflitti. Di
certo l'impegno sul campo, la maturazione lenta di conoscenze ed esperienze a livello di base
non potranno che influenzare positivamente le decisioni governative ed intergovernative. I
segnali di interesse e disponibilità dati dai vertici del Ministero degli Esteri fanno ben sperare
sulle prospettive dello Stato-Italia come agente di pace.
L'ultima considerazione riguarda la necessità di impostare correttamente il rapporto con
le società in conflitto. In ultima istanza, il peso e la sfida che una trasformazione costruttiva del
conflitto porta con sé risiedono sui diretti interessati/sulle dirette interessate. Chi vive un
conflitto possiede anche gli strumenti per la sua soluzione, e tra le popolazioni colpite esiste
sempre un certo numero di persone disposte a lavorare per il dialogo, e con idee chiare su come
la pace potrebbe essere. I costruttori di pace non possono e non devono portare con sé nelle
situazioni di conflitto una "pace chiavi in mano" - così come uno "sviluppo chiavi in mano" è
una contraddizione in termini. Anche se siamo mossi dalle migliori intenzioni morali, non sarà la
nostra verità a creare la pace per loro. Il rapporto tra costruttori di pace e parti in conflitto - come
tutti i rapporti di crescita - dev'essere una relazione maieutica (Dolci 1988).
3 - RIFERIMENTI COSTITUZIONALI E PRINCIPI ISPIRATORI.
3.1. Articolo 11 della Costituzione italiana e Carta delle Nazioni Unite.
I Caschi bianchi sono uno strumento di attuazione dell'articolo 11 della Costituzione
italiana: "l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come
mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli
altri Stati alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la
giustizia fra e Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale
scopo."
Questi obiettivi sono simili a quelli previsti dalla Carta delle Nazioni Unite per l'intero
pianeta. (vedi allegato C).
Le forze coinvolte nelle crisi internazionali sono potenti. Anziché illudersi di poter
costruire facilmente la pace laddove c'è crisi, conviene dunque un approccio pragmatico di
assistenza umanitaria a cui siano aggregati esperti di monitoraggio dei diritti umani e di
creazione delle condizioni di dialogo. In tal modo si potrà lavorare per una progressione delle
capacità di intervento.
Lo spazio che si presenta nella relazione del Segretario Generale di cui al cap. 1.4.
riguarda una delle funzioni prospettate da Ramsahai Purohit per i corpi di pace, quella di
contribuire a creare condizioni favorevoli al negoziato e parteciparvi eventualmente anche come
elemento di moderazione e di mediazione. Le funzioni di contribuire, in certe situazioni ed a
certe condizioni, a separare gli antagonisti, e quella di creare una zona cuscinetto fra i
contendenti, non viene per ora nominata in documenti ufficiali.
E' necessario sfruttare l'opportunità che si offre e svolgere bene questa funzione
aumentando a livello internazionale, la forza contrattuale delle forze che si rifanno alla
collaborazione piuttosto che alla competizione.
3.2. Democratizzazione mondiale ed ONU dei Popoli.
Una ulteriore ed importante funzione dei "Caschi Bianchi", sarà quella di fungere da
catalizzatori della democrazia internazionale. I caschi bianchi coordinati dai governi nazionali,
potrebbero convogliare maggiore energia da parte della società civile al ruolo di "governo
mondiale" e di garante di pace e giustizia delle Nazioni Unite per la attuazione della Carta delle
Nazioni Unite.
Per gli stessi volontari sarà un rinforzo motivazionale avere il senso della
inrterconnessione, la consapevolezza di partecipare con il proprio contributo ad un ideale più
completo.
Ma anche le popolazioni colpite vedendo lavorare dei volontari rinnovano la fiducia
degli ideali dichiarati dalla carta dcelle N.U. e vedono rinforzate le prospettive per un futuro
migliore.
Tutti questi aspetti sono un surplus, la plusvalenza che può scaturire da una azione
coordinata fra i diversi soggetti attivi per la civiltà umana. Portare la prima assistenza nelle
catastrofi naturali ed in quelle generate dalla conflittualità fra gruppi, oppure portare la assistenza
nella ricostruzione, uniti agli esperti nella tutela dei diritti umani e del dialogo lascerà minore
spazio ai governi ed al governo centrale di rimanere indifferenti dinnanzi alle persecuzioni ed
alle violenze che sono - ribadiamo- causa e/o conseguenza delle crisi.
Le Nazioni Unite hanno sempre più bisogno dele ONG nella gestione delle crisi. A fronte
di questo, pur doveroso e scontato contributo, si dovranno creare maggiori spazi per chiedere
che l'ONU si impegni di più nella applicazione di condizioni di giustizia e democrazia (Papisca).
4 - CONDIZIONI E LIMITI DELL'INTERVENTO. LA SINERGIA FRA LE
ORGANIZZAZIONI NONGOVERNATIVE.
La formulazione utilizzata dal Segretario Generale delle Nazioni Unite : "Il contribuire a
creare condizioni idonee al dialogo" è una formulazione interessante. Essa implica l'utilizzo di
risorse multiple:
- Le attività d'assistenza e di ricostruzione,
- L'impiego delle conoscenze della psicologia relazionale,
- Il lavoro pedagico di tessitura della tolleranza attraverso numerosi tipi di intervento
anche creativi e di animazione.
Tutto ciò necessita di un approccio di ascolto, rispetto e di pazienza.
I movimenti della assistenza umanitaria, per i diritti umani, per la cooperazione e per la
pace sono, anche per questo motivo, chiamati a cooperare ed a integrare i propri programmi.
Le ricerche sulla sicurezza sociale sono tutte incentrate su questa necessità della
collaborazione e della sinergia fra le diverse funzioni della solidarietà, nonché sulla necessità di
una applicazione corretta della prassi democratica come elementi di garanzia della pace. Si tratta
di superare la logica degli "orticelli" e dare un segno di capacità operativa per evitare l'attuale
spreco di risorse umane ed il senso di parzialità e di frammentazione degli interventi.
La sinergia ovvero l'affiatamento delle diverse anime di questo movimento è allo stesso
tempo condizione ed obiettivo della costituzione di un contingente italiano di "Caschi Bianchi".
La costituzione di un contingente dall'alto, come operazione di vertice non avrebbe lo spirito di
un contingente costituito dal basso.
La condizione è che vengano messi a disposizione di un progetto comune le diverse
risorse e competenze.
Le organizzazioni dell'assistenza umanitaria e della cooperazione intervengono finora
nelle situazioni più drammatiche, ma non sono attrezzate per monitorare e tantomento per
intervenire sui diritti umani, né per lavorare sulla riconciliazione dei conflitti che sono allo
stesso tempo causa e conseguenza delle crisi stesse.
Le organizzazioni a favore dei diritti umani hanno più esperienza delle manifestazioni
che segnalano l'emergere dei conflitti ("early warning"), della cautela necessaria nell'agire
laddove si evidenziano poteri forti. Esse dispongono di metodi di lavoro che vanno dalla
semplice denuncia alla sensibilizzazione della opinione publica ed alla pressione e la
diplomazia popolare a tutti i livelli: locale, nazionale ed internazionale.
Il movimento della protezione civile invece è più orientato finora all'intervento interno e
può fornire importanti completamenti delle competenze tecniche.
Infine, i movimenti pacifisti di diverse provenienze hanno diverse esperienze creative
(riuscite o meno), simboliche o di testimonianza e di richiamo dell'attenzione pubblica, laddove
gli spazi di soluzione costruttiva del conflitti apparivano ridottissimi o esauriti (l'esperienza di
mediazione per esempio della Comunità di Sant'Egidio di Roma sono un prezioso precedente per
i caschi bianchi). Inoltre esiste comunque un arcipelago di gruppi che talvolta attivano grandi
risorse. Esiste inoltre una rete di obiettori di coscienza che necessita di ritrovare il giusto spirito
per esprimere tutte le proprie potenzialità.
5 - IL PERCORSO PROGETTUALE.
5.1. La creazione di un primo nucleo di volontà operativa intorno ad un
appello.
Il CSDC dall'autunno del 1996 ha rilanciato il progetto di costituire il contingente italiano
di forze di pace sotto l'egida dell'ONU e lo ha questa volta chiamato progetto "Caschi Bianchi",
aderendo alla progettualità ONU e riconoscendo la significativa testimonianza degli obiettori di
coscienza italiani che sotto tale nome hanno operato negli ultimi anni in Jugoslavia anche
attraverso scelte di disobbedienza civile.
La prima fase è consistita nel far circolare l'appello (vedi pag. 4), richiamando
l'attenzione sulla opportunità esistente e raccogliendo le firme di esponenti del mondo pacifista e
nonviolento.
E' previsto che tale prima fase termini con la costituzione di un Comitato promotore più ampio.
5.2. La estensione del progetto fra le ONG.
La seconda fase progettata dal CSDC consiste nel raccogliere adesioni anche di
personalità al di fuori dell'area, con esponenti e organizzazioni dei movimenti per i diritti umani,
per la solidarietà, la cooperazione, fino a raggiungere una rappresentanza più estesa. Deve essere
ribadito che l'area pacifista e nonviolenta non ha la forza e le competenze per realizzare da sola
questo progetto. La sinergia con gli altri movimenti è fondamentale ed ineludibile. Una ulteriore
possibilità è quella di raccogliere adesioni anche nel mondo della cultura, dello spettacolo, dello
sport, della politica, dell'arte ecc.
5.3. La presentazione dell'appello.
La terza fase consisterebbe nella presentazione dell'appello, con le adesioni raccolte, al
Parlamento, al Governo ed alla opinione pubblica. Inoltre vanno previste delle iniziative
legislative, come l'inserimento del concetto nelle leggi di riforma della obiezione di coscienza e
della cooperazione allo sviluppo ed una mozione di parlamentari che impegni il governo a
realizzare quanto già dichiarato in sede ONU.
5.4. Finanziamento del progetto.
Poi dovrebbe essere costituito un ufficio "Caschi Bianchi" presso il Ministero Affari
Sociali o quello degli Esteri. In alternativa lo stesso ufficio del Servizio civile nazionale potrebbe
ottenere tale incarico purché possa contare sulla ampia collaborazione degli altri Ministeri
competenti in materia di crisi internazionale.
Tale ufficio dovrebbe disporre di adeguato finanziamento, ed attivare immediatamente la
selezione ed i corsi di formazione per i volontari o collegarsi a quelli già esistenti e predisporre
un progetto pilota insieme alle ONG disponibili.
6 - LA FORMAZIONE.
E' in preparazione un dossier specifico, da parte del CSDC, sulla formazione: esso
prevede le indicazioni del Segretario Generale, un programma dettagliato, una valutazione delle
risorse attivabili in Italia.
Eventuali segnalazioni sono gradite.
Intanto offriamo alla riflessione i seguenti spunti:
6.1. Formazione per la prevenzione dei conflitti. (a cura di Giovanni Scotto.
Il lavoro di prevenzione della violenza e di costruzione della pace richiede l'impegno di
persone assai qualificate. La formazione di personale esperto e adeguatamente preparato
costituisce, quindi, una dimensione chiave per ottenere la massima efficacia degli interventi di
prevenzione della violenza e costruzione della pace. In questo campo le esperienze italiane non
sono eccellenti, anche se esiste una base di partenza con cui interagire.
Le principali esperienze europee di formazione cui potersi ricollegare sono:
- il Corso IPT per la formazione di personale in missioni di peacekeeping civile e di
peacebuilding di Schlaining (Austria),
- il programma inglese Responding to Conflict,
- il corso per operatori di pace nell'ex Jugoslavia finanziato dal Land Nord-Reno
Westfalia in Germania.
Quest'ultima esperienza ha la particolarità di essere diretta sia a operatori di pace tedeschi
che della ex-Jugoslavia. Una durata più breve (1-2 settimane) hanno i corsi di preparazione per i
volontari delle PBI e del Balkan Peace Team, che si tengono in diverse parti del mondo.
In Italia esiste da tre anni il Corso di formazione al peacekeeping civile di Pisa. Il corso
offre un programma per certi versi simile a quello di Schlaining, ma presenta alcune limitazioni
fondamentali:
1. la figura di peacebuilder civile a cui esso fa riferimento è complementare al peacekeeping
militare e non ha un profilo veramente autonomo. Tale impostazione andrà quindi integrata
con la cultura specifica dei movimenti della solidarietà e della pace, il cui riconoscimento
favorirà la indispensabile collaborazione sul campo fra i Caschi Bianchi ed i Caschi Blu.
2. la formazione è orientata principalmente alle modalità di azione delle Organizzazioni
Internazionali;
3. manca la dimensione dell'analisi sociale, politica ed economica dei conflitti;
4. il rapporto formativo è in buona parte quello classico (e superato) delle lezioni dalla
cattedra. Nonostante queste limitazioni, il corso rimane di buon livello.
Un'altra inizativa è l'Università dei Popoli per la Pace, a Rovereto, che è un po' il rovescio
di Pisa: orientata alle attività di ONG e società civile, sembra comunque meno "operativa", meno
orientata alla problematica degli interventi. Infine, va ricordata l'esperienza della Scuola di
Specializzazione in Istituzinoi e Tecniche di Tutela dei Diritti Umani di Padova.
Una formazione alla prevenzione della violenza e alla costruzione della pace dovrà
orientarsi ai diversi tipi di compiti descritti sopra, ma soprattutto al lavoro svolto dalle ONG,
valorizzando le competenze e conoscenze dei partecipanti in un rapporto formativo "maieutico",
orientato alla crescita personale dei partecipanti e all'acquisizione di capacità specifiche.
Dovranno essere individuate appropriate modalità organizzative, finanziatori e
formatori/formatrici qualificati/e.
In aggiunta, si può pensare all'offerta "in proprio" (a cura del coordinamento) di seminari
brevi, della durata di 2-7 giorni, destinati a personale già qualificato. Ad esempio, operatrici e
operatori della cooperazione allo sviluppo potranno seguire un'introduzione alla mediazione,
persone provenienti dall'area dei diritti umani potranno farsi un'idea della problematica dello
sviluppo.
L'obiettivo dovrà essere, nel medio periodo, la diffusione tra le ONG partecipanti al
progetto, delle competenze necessarie ad orientarsi con sicurezza nel campo degli interventi di
prevenzione della violenza e costruzione della pace, in particolare per quanto riguarda le sinergie
tra costruzione della pace, azione umanitaria e cooperazione allo sviluppo da un lato, e gli
interventi, finora trascurati, con le dirigenze intermedie delle parti in conflitto dall'altro.
6.2. Dinamiche personali e di gruppo (a cura di Francesco Tullio).
La formazione dei "Caschi Bianchi" dovrà essere incentrata oltre che sulla assistenza
umanitaria e le sue tradizionali tecniche, sulle conoscenze linguistiche e culturali del luogo,
soprattutto sulla capacità di gestione delle relazioni interpersonali in situazione di crisi umana
ed emotiva e su di una approfondita conoscenza delle dinamiche del conflitto e delle modalità
di mediazione.
1. I Caschi Bianchi devono saper riconoscere le manifestazioni del conflitto anche quando questo
non viene ancora apertamente espresso come tale, ma da adito a rapporti interpersonali ed
intergruppali squilibrati se non a vere e proprie violazioni dei diritti umani. In tali occasioni
d'attrito i volontari dovranno mantenere l'atteggiamento più costruttivo possibile, su cui esiste
ampia letteratura e che sarà oggetto approfondito della formazione. Essi dovranno disporre di
moduli comunicativi efficienti al loro interno in grado di raccogliere tali informazioni e
valutarle.
Esistono dei moduli di formazione che non sono solo cognitivi ma comprendono il piano
emotivo dei soggetti ed il piano relazionale. (L'Abate, Rete di formazione alla nonviolenza,
Centro psicopedagogico per la pace, Centro studi difesa civile).
2. Una partecipazione decisionale dei volontari, nei limiti delle scelte fatte e della chiarezza degli
obiettivi e degli impegni assunti, è un elemento di rinforzo della motivazione e delle capacità
operative. Un flusso informativo bidirezionale nella struttura organizzativa sul campo d'azione e
con le organizzazioni di provenienza è un altro elemento che va adeguatamente preparato a
priori.
3. I volontari vanno scelti e preparati anche in base alla consapevolezza introspettiva sulle
ragioni profonde del proprio impegno, sulla consapevolezza che hanno delle proprie emozioni ad
esempio della rabbia profonda o del senso di impotenza nelle situzioni di conflitto e di ingiustizia
e della capacità di gestirle in situazioni estreme.
7 - UN PROGETTO PILOTA
Ci limitiamo a dire che sarà necessario preparare un Progetto Pilota, che permetta di mettere
in campo tutte le competenze delle varie componenti che andranno a comporre un contigente
italiano dei Caschi Bianchi.
Questo Progetto Pilota dovrà rispondere a determinate caratteristiche per quanto riguarda:
- la scelta del paese ed il tipo di emergenza su cui intervenire,
- la ricettività del governo locale e delle parti in causa,
- la lingue (o le lingue) per poter comunicare efficaciemente con la popolazione locale,
- i "margini" di successo.
* sulla possibilità di coordinamento, di finanziamento, di facilitazione dei contingenti
nazionali,
* sulla selezione e formazione, impiego, stato giuridico nonché sulla sicurezza dei
volontari.