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22 febbraio 2002 Missione di Pace in Palestina
"Tra l'uccidere e il morire c'e' una terza via: vivere" Ho conosciuto Mohammed quando avevo 18 anni. Un'amicizia nata per caso in un ritrovo universitario "Sono palestinese" Ed io "Perche', esiste la Palestina?" Cosi' si e' seduto e per due ore mi ha spiegato che la Palestina esiste, certo che esiste. La mia generazione con la "Questione Palestinese" ci e' nata, ci ha vissuto convissuto -, e spesso dubito davvero che potra' vederne una soluzione. Tra gli slogan degli anni del liceo "Palestina libera" era uno dei piu' inflazionati. Questo, sull'onda della passione e dell'emotivita', e' sicuramente uno dei motivi che mi spingono a partire per Gerusalemme e i Territori. Ma non e' l'unico. C'e', in questo momento piu' che mai una necessita' di Testimonianza, c'e' bisogno, con umilta' e impegno di trovare un modo per stare al fianco di quelle realta', palestinesi ed israeliane, che sono davvero stufe e schifate da questo conflitto, che credono in un'alternativa, una strada diversa da quella attuale i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti giornalmente. Quest'onda di opposizione che comincia a farsi largo nella societa' civile israeliana, con il no dei riservisti a prestare servizio nei Territori Occupati, il venire allo scoperto dell'obiezione di coscienza, le aspre critiche di alcuni intellettuali e giornalisti, e' davvero un dato molto importante. E proprio queste sono le esperienze che vanno appoggiate in qualsiasi modo. Anche se per ora sono piccole, e la loro voce e' flebile (del resto non e' questa la strategia lillipuziana?), mi piace pensare che come in un meccanismo ad incastro basta una piccolo impulso perche' tutto il macchinario cominci a funzionare. Secondo un sondaggio, quasi un terzo della popolazione ebrea ha sostenuto i disobbedienti e centinaia di israeliani hanno fatto visita a Ramallah nell'assurda prigione di Yasser Arafat. Poi ci sono tante donne palestinesi, che per la prima volta si scoprono, si sfogano, non vogliono piu' i figli kamikaze, e la colpa non e' solo di Sharon, di questa guerra, ma anche di chi li spinge, con falsi miti, con fanatismi allucinati, al suicidio rituale con "riti" che innescano spirali di altri "riti" fino alla devastazione dell'umanita'. Stavolta c'e' davvero la sensazione che un processo sia cominciato. Va appoggiato, non ci stancheremo mai di ripeterlo. E' un momento decisivo, se la protesta verra' seppellita con lei se ne andranno le esili speranze di pace. E va appoggiato stando li' per osservare, raccontare, capire, sostenere; qui per informare, capire, sostenere, manifestare. Fare pressione nei luoghi idonei. Andare oltre la cortina fumogena dei media e delle facili classificazioni e dei comodi slogan. Terrorismo. Guerra. I Tanks di Sharon. I kamikaze. La striscia di Gaza. Ramallah. E mille altri termini che il linguaggio mediatico ci ha imposto, violentandoci come sempre, e ai quali, al di la' della familiarita' del suono, e' davvero difficile dare un contenuto. Questione Palestinese, appunto. Questi sono i motivi per cui, con Giovanni, Luca, Andrea, Fabrizio, Alberto, abbiamo deciso di andare in Palestina-Israele. Confidiamo che la nostra voce, possa fare da tramite tra la voce di tante persone che rimangono qui a continuare il loro lavoro quotidiano di Testimonianza, e chi sta li' a subire gli effetti dell'ulteriore imposizione di un modello di sviluppo scellerato, di cui la guerra, ogni guerra, non e' che un corollario inscindibile. Francesca Ciarallo
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