Fonte: il manifesto 10 giugno 1999
Traduzione di Marina Impallomeni
I l 24 marzo le forze aeree Nato guidate dagli Stati uniti hanno iniziato a bombardare la Repubblica Federale di Jugoslavia, incluso il Kosovo, che la Nato considera una provincia della Serbia. Il 3 giugno, la Nato e la Serbia hanno raggiunto un accordo di pace. Gli Usa hanno dichiarato vittoria, avendo concluso con successo la loro "battaglia di 10 settimane per costringere il signor Milosevic ad arrendersi", come ha scritto Blaine Harden sul New York Times. Non sarebbe perciò necessario usare forze di terra per "ripulire la Serbia" come Harden aveva raccomandato nell'articolo "Come ripulire la Serbia". Una raccomandazione naturale alla luce della storia americana, dominata dalle sue origini e fino ad oggi dal tema della pulizia etnica. Ma con una avvertenza: il termine "pulizia etnica" non è del tutto appropriato. Le operazioni di pulizia condotte dagli Usa sono ecumeniche: l'Indocina e l'America centrale ne sono due esempi recenti. Pur avendo dichiarato vittoria, Washington non ha ancora dichiarato la pace: i bombardamenti continueranno finché i vincitori riterranno di aver imposto la loro interpretazione dell'accordo sul Kosovo. Fin dall'inizio, i bombardamenti erano stati lanciati come una questione di significato cosmico, il test di un Nuovo Umanesimo, in cui gli "stati illuminati" (Foreign Affairs) aprono una nuova era della storia umana guidata da "un nuovo internazionalismo in cui la brutale repressione di interi gruppi etnici non sarà più tollerata" (Tony Blair). Gli stati illuminati sono gli Stati uniti e il suo alleato britannico, e forse anche altri iscritti alle loro crociate per la giustizia. A quanto pare, lo status di "stati illuminati" viene conferito per definizione. Non si tenta di fornirne prove o argomentazioni, certamente non derivanti dalla loro storia. Poiché in qualunque caso la storia non è giudicata pertinente dalla familiare dottrina del "mutamento di corso", invocata regolarmente per spedire il passato nei recessi più profondi della memoria, scongiurando così il pericolo che qualcuno faccia domande ovvie: se le strutture istituzionali e la distribuzione del potere sono sostanzialmente immodificati, perché aspettarsi un cambiamento radicale in politica, o qualunque cambiamento, fatti salvi gli aggiustamenti tattici? Ma simili domande non sono in agenda. "Fin dall'inizio la questione del Kosovo ha riguardato la nostra reazione a fatti negativi che accadono in luoghi non importanti", ha spiegato l'analista Thomas Friedman sul New York Times non appena è stato annunciato l'accordo. Egli poi loda gli stati illuminati per aver perseguito il principio morale secondo cui "una volta iniziate le deportazioni dei profughi, ignorare il Kosovo sarebbe stato sbagliato... e dunque ricorrere a una grande guerra aerea per un obiettivo limitato era la sola cosa che avesse senso". Una difficoltà di minore portata è che la preoccupazione sulle "deportazioni dei rifugiati" non avrebbero potuto essere la motivazione per la "grande guerra aerea". Il Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha dato notizia dei primi profughi registrati fuori del Kosovo il 27 marzo (4mila profughi), tre giorni dopo che erano iniziati i bombardamenti. Il bilancio è aumentato fino al 4 giugno, con un totale di 670mila profughi nei paesi confinanti (Albania, Macedonia), altri 70mila profughi in Montenegro (all'interno della Repubblica Federale di Jugoslavia), e 75mila partiti per altri paesi. Le cifre, sfortunatamente fin troppo familiari, non includono i numeri, sconosciuti, di coloro che si sono dispersi all'interno del Kosovo, circa 2-300 mila persone nell'anno precedente l'inizio dei bombardamenti secondo la Nato, moltissimi altri dopo. Indiscutibilmente, la "grande guerra aerea" ha fatto precipitare l'escalation della pulizia etnica e di altre atrocità. Lo hanno riferito ripetutamente corrispondenti locali e analisi retrospettive. Lo stesso quadro viene presentato nei due principali documenti che cercano di descrivere i bombardamenti come una reazione alla crisi umanitaria nel Kosovo. Quello più esteso, fornito dal Dipartimento di stato a maggio, è appropriatamente intitolato "Cancellare la storia: la pulizia etnica in Kosovo"; il secondo è l'incriminazione di Milosevic e dei suoi soci da parte del Tribunale Internazionale sui crimini di guerra in Jugoslavia dopo che Usa e Gran Bretagna "hanno spianato la strada a ciò che sembrava un'incriminazione alquanto veloce fornendo (alla procuratrice Louise) Arbour l'accesso all'intelligence e ad altre informazioni che a lungo le erano state negate dai governi occidentali", come ha riferito il New York Times in due intere pagine dedicate all'incriminazione. Entrambi i documenti sostengono che le atrocità sono iniziate "il o intorno al 1 gennaio"; in entrambi, comunque, la cronologia dettagliata rivela che le atrocità sono continuate come prima finché i bombardamenti hanno condotto a una rapida escalation. E non si è trattato certo di una sorpresa. Il generale Wesley Clark ha descritto queste conseguenze come "del tutto prevedibili" - naturalmente un'esagerazione; niente negli affari degli uomini è così prevedibile, sebbene sia ora evidente che le conseguenze erano state previste. Un piccolo elenco degli effetti della "grande guerra aerea" è offerto da Robert Hayden, direttore del Center for Russian and East European Studies dell'Università di Pittsburgh: "Gli incidenti tra civili serbi nelle prime tre settimane di guerra sono stati di più di tutti gli incidenti da entrambe le parti avvenuti in Kosovo nei tre mesi che hanno condotto a questa guerra, e tuttavia quei tre mesi erano considerati una catastrofe umanitaria". Certo, queste particolari conseguenze non contano nel contesto dell'isteria sciovinista che è stata montata per demonizzare i serbi, raggiungendo altezze stratosferiche mentre i bombardamenti prendevano apertamente di mira la società civile e perciò richiedevano una difesa più fervente. Per caso, almeno lo spunto di una risposta più credibile alla domanda retorica di Friedman è stata data sul Times lo stesso giorno da Stephen Kinzer, in un servizio da Ankara. Egli scrive che "il più noto difensore dei diritti umani in Turchia è entrato in prigione" per scontare la condanna per aver "invitato lo stato a raggiungere un accordo pacifico con i ribelli kurdi". Pochi giorni prima, Kinzer aveva indicato obbliquamente che la storia è assai più complessa: "Alcuni (kurdi) dicono di essere stati oppressi sotto il regime turco, ma il governo insiste che a loro vengono garantiti gli stessi diritti degli altri cittadini". Ci si potrebbe chiedere se questo faccia veramente giustizia di alcune delle più radicali operazioni di pulizia etnica della metà degli anni '90, con decine di migliaia di morti, 3500 villaggi distrutti, da 2.5 a 3 milioni di rifugiati, e odiose atrocità riferite dettagliatamente dalle maggiori organizzazioni per i diritti umani, ma ignorate. Questi risultati sono stati ottenuti grazie a un massiccio sostegno militare da parte degli Usa, in aumento durante la presidenza Clinton, mentre le atrocità raggiungevano un picco massimo, inclusi jet, elicotteri da attacco, equipaggiamento per l'antiguerriglia, e altri mezzi di terrore e distruzione, insieme all'addestramento e alle informazioni di intelligence per alcuni dei peggiori assassini. Questi crimini, senza dubbio, sono solo un esempio della risposta fornita dagli stati illuminati alla profonda domanda "come dovremmo reagire quando fatti negativi accadono in posti senza importanza?". Le consegne da Washington, comunque, sono le solite: sottolinea i crimini del nemico ufficiale di oggi, e non permettere che ti distraggano altri crimini simili o peggiori che potrebbero facilmente terminare grazie al ruolo cruciale dei paesi illuminati nel perpetuarli. Obbediamo agli ordini, allora, e atteniamoci al Kosovo. Un'analisi minimamente seria dell'accordo sul Kosovo deve prendere in considerazione le opzioni diplomatiche del 23 marzo, il giorno prima che fosse lanciata la "grande guerra aerea", e confrontarle con l'intesa raggiunta dalla Nato e dalla Serbia il 3 giugno. Qui dobbiamo distinguere due versioni: (1) i fatti e (2) il colpo a effetto - cioè, la versione Usa/Nato che racchiude resoconti e commenti negli stati illuminati. Anche l'occhiata più superficiale rivela che i fatti e l'effetto differiscono grandemente. Così il New York Times ha presentato il testo dell'accordo con un inserto intitolato: "Due piani di pace: come differiscono". I due piani di pace sono l'intesa di Rambouillet presentato alla Serbia il 23 marzo come ultimatum prendere-o-essere-bombardati, e l'accordo di pace sul Kosovo del 3 giugno. Ma nel mondo reale ci sono tre "piani di pace", due dei quali erano sul tavolo il 23 marzo: l'intesa di Ranbouillet e le risoluzioni dell'Assemblea Nazionale Serba che ad esso rispondevano. Cominciamo con i due piani di pace del 23 marzo, chiedendoci come essi differivano e quanto abbiano in comune con l'accordo di pace sul Kosovo del 3 giugno, tornando poi rapidamente a ciò che che potremmo ragionevolmente attenderci se infrangiamo le regole e prestiamo attenzione agli (ampi) precedenti. L'accordo di Rambouillet prevedeva l'occupazione militare completa ed il controllo politico del Kosovo da parte della Nato, ed una efficace occupazione militare Nato del resto della Jugoslavia. La Nato avrebbe dovuto "costituire e guidare una forza militare" (Kfor) in Kosovo e intorno ad esso, "che opererà sotto l'autorità e soggetta alla direzione e al controllo politico del North Atlantic Council (Nac) attraverso la catena di comando della Nato"; "il comandante del Kfor è l'autorità ultima sul campo". Entro breve tempo, tutte le forze armate jugoslave e la polizia alle dipendenze del ministero degli interni dovranno rischierarsi in "siti di acquartieramento approvati", poi ritirarsi in Serbia, salvo piccole unità assegnate a incarichi di sorveglianza delle frontiere con armi limitate (e specificate in dettaglio) che avrebbero il solo compito di difendere i confini da attacchi, e "controllare attraversamenti illeciti dei confini", senza permesso di muoversi in Kosovo al di fuori di queste funzioni. "Tre anni dopo l'entrata in vigore di questo accordo, si dovrà tenere un meeting internazionale per un accordo definitivo per il Kosovo". Questo periodo è stato costruito in modo da preparare un non menzionato referendum sull'indipendenza. Per quanto riguarda il resto della Jugoslavia, i termini per l'occupazione sono espressi nell'appendice B: Status della forza di implementazione militare multi-nazionale. Il periodo cruciale recita: "8. Il personale Nato avrà l'accesso pieno e senza restrizioni, insieme ai propri veicoli, navi, aerei ed equipaggiamento, attraverso la Repubblica Federale di Jugoslavia compreso lo spazio aereo, e le acque territoriali. Compresi i diritti di bivacco, di manovra, di alloggio, e di utilizzo di qualunque area o infrastrutture necessarie per il sostegno, l'addestramento, e le operazioni". Il testo detta le condizioni che permettono alle forze Nato di agire come credono attraverso il territorio della Repubblica Federale di Jugoslavia, senza obbligo o preoccupazione per le leggi del paese o la giurisdizione delle sue autorità, che dovranno, comunque, seguire gli ordini della Nato "su una base di priorità e con tutti i mezzi appropriati". Un articolo prevede inoltre che "tutto il personale della Nato rispetterà le leggi applicabili nella Repubblica federale di Jugoslavia...", ma con una definizione tale da renderlo vuoto: "Senza pregiudizio per i loro privilegi e immunità come previsto in questa Appendice..." Si è speculato che la scelta delle parole fosse stata fatta in modo da garantire un rifiuto. Forse è così. E' difficile immaginare che qualunque paese accetterebbe tali termini, se non in caso di resa incondizionata. Il secondo piano di pace è stato presentato in risoluzioni dell'Assemblea nazionale Serba il 23 marzo. L'Assemblea ha rigettato la richiesta di un'occupazione militare Nato, e ha chiesto all'Osce e alll'Onu di facilitare un accordo diplomatico pacifico. Ha condannato il ritiro della Missione di verifica in Kosovo dell'Osce ordinato dagli Usa il 19 marzo in preparazione del bombardamento del 24 marzo. Le risoluzioni richiedevano negoziazioni che portassero al "raggiungimento di un accordo politico su un'ampia autonomia di Kosovo e Metohija, con la garanzia di una piena parità di tutti i cittadini e delle comunità etniche e nel rispetto della sovranità e dell'integrità territoriale della Repubblica di Serbia e della Repubblica Federale di Jugoslavia." Sebbene "il parlamento serbo non accetta la presenza di truppe militari straniere in Kosovo e Metohija", è pronto a discutere qualità e quantità della presenza internazionale in Kosmet (Kosovo/Metohija) nel momento stesso della firma dell'accordo politico sull'auto-governo concordato e accettato dai rappresentanti di tutte le comunità nazionali che lì vivono. I punti essenziali di queste decisioni sono riportati dai principali servizi di comunicazione e perciò certamente conosciuti in tutte le sale stampa. Numerose ricerche su database hanno rilevato che raramente vengono menzionati. I due piani di pace del 23 marzo rimangono così sconosciuti per l'opinione pubblica. Per quanto riguarda il significato delle Risoluzioni dell'Assemblea Nazionale Serba, le risposte sono note ai fanatici fiduciosi. Gli altri avrebbero pure un modo di trovare le risposte: esplorare le possibilità. Ma gli stati illuminati hanno preferito bombardare. Torniamo all'accordo del Kosovo del 3 giugno. Come ci si sarebbe potuti attendere, è un compromesso tra i due piani di pace del 23 marzo. Sulla carta, almeno, gli Usa/Nato hanno abbandonato le loro richieste principali, che avevano condotto al rifiuto dell'ultimatum da parte della Serbia. La Serbia a sua volta ha acconsentito ad una "presenza di sicurezza internazionale con una partecipazione consistente della Nato schierata sotto il comando e il controllo unificati... sotto l'egida delle Nazioni Unite". Un'aggiunta al testo affermava che "la posizione della Russia (secondo cui) il contingente russo non dovrà essere sottoposto al comando Nato e la sua relazione con la presenza internazionale sarà governata da rilevanti intese addizionali". Non è consentito alla Nato o alle forze di "sicurezza internazionale" l'accesso al resto della Jugoslavia. Il controllo politico del Kosovo non è affidato alla Nato ma al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, che istituirà "un'amministrazione provvisoria del Kosovo". Il ritiro delle forze jugoslave non è specificato in dettaglio come a Rambouillet, ma è simile, anche se accelerato. Il resto rientra nell'ambito dei piani del 23 marzo. L'esito suggerisce che il 23 marzo si sarebbe potuto continuare nelle iniziative diplomatiche. Certo la situazione attuale non è quella del 23 marzo. Un titolo del Times il giorno dell'accordo del Kosovo lo dimostra: "I problemi del Kosovo stanno appena cominciando". Tra i "problemi sconcertanti", osservava Serge Schmemann, c'è il rimpatrio dei rifugiati, "nella terra di cenere e di tombe che era la loro casa", e la "costosa sfida di ricostruire le economie del Kosovo, della Serbia e dei loro vicini".Questi "problemi sconcertanti" sono nuovi. Sono "gli effetti dei bombardamenti" e la crudele reazione serba ad essi, sebbene i problemi che precedevano il ricorso alla violenza da parte degli stati illuminati fossero sufficientemente scoraggianti. Spostandoci dai fatti all'effetto, i titoli hanno salutato la grandiosa vittoria degli stati illuminati e dei loro leader, che hanno costretto Milosevic a "capitolare", ad "arrendersi", ad accettare una "forza guidata dalla Nato", e ad arrendersi "in modo tanto prossimo a una resa incondizionata quanto chiunque avrebbe potuto immaginare", sottomettendolo a "un accordo peggiore di quello di Rambouillet, che aveva rifiutato". La storia non è andata proprio così. Passando ad un significato più ampio, l'"eminente storico militare" britannico John Keegan "vede la guerra come una vittoria non solo per le forze aeree ma per il 'Nuovo ordine mondiale' che il presidente Bush dichiarò dopo la guerra del Golfo", riferisce l'esperto militare Fred Kaplan. Keegan ha scritto che "se Milosevic è davvero un uomo sconfitto, tutti gli aspiranti-Milosevic in giro per il mondo dovranno riconsiderare i loro piani". La valutazione è realistica, sebbene non nei termini che Keegan può aver avuto in mente: piuttosto, alla luce degli obiettivi e del significato del Nuovo ordine mondiale, così come è rivelato da un importante documento degli anni '90 su cui non è mai stato riferito, ed una pletora di prove fattuali che ci aiuta a capire il vero significato dell'espressione "Milosevic in giro per il mondo". Per attenersi soltanto alla regione balcanica, le critiche non tengono conto delle ampie operazioni di pulizia etnica e delle terribili atrocità all'interno della Nato, sotto la giurisdizione europea e con il decisivo e crescente sostegno degli Usa, che non sono state condotte in risposta ad un attaco da parte della forza militare più temibile del mondo e alla minaccia di una imminente invasione. Questi crimini sono legittimi secondo le regole del Nuovo ordine mondiale, forse anche meritorie, come lo sono le atrocità commesse altrove che si conformano agli interessi osservabili dei leader degli stati illuminati e sono regolarmente attuati da loro quando necessario. Questi fatti, non particolarmente oscuri, rivelano che nel "nuovo internazionalismo... la brutale repressione di interi gruppi etnici" non sarà semplicemente "tollerata", ma attivamente favorita - esattamente come nel "vecchio internazionalismo" del Concerto dell'Europa, gli Usa stessi, e molti altri autorevoli predecessori. Mentre i fatti e l'effetto differiscono profondamente, si potrebbe obiettare che i media a i commentatori sono realistici quando presentano la versione Usa/Nato come se questi fossero i fatti. Essa diventerà i fatti, come semplice conseguenza della distribuzione del potere e della volontà di di articolare le opinioni in funzione dei suoi bisogni. E' un fenomeno preciso. Esempi recenti includono il Trattato di pace di Parigi del gennaio 1973 e gli accordi di Esquipulas dell'agosto 1987. Nel primo caso, gli Usa furono costretti a firmare dopo il fallimento dei bombardamenti di Natale per indurre Hanoi ad abbandonare l'accordo Usa-Vietnam dell'ottobre precedente. Kissinger e la Casa Bianca improvvisamente annunciarono lucidamente che avrebbero violato ogni elemento significativo del Trattato che stavano firmando, presentandone una versione differente che fu adottata in resoconti e commenti, cosicché quando il Vietnam del Nord rispose alle gravi violazioni Usa, diventò l'aggressore incorreggibile che andava punito. La stessa tragedia/farsa avvenne quando i presidenti dell'America Centrale giunsero all'accordo di Esquipulas (spesso chiamato "Piano Arias") superando la forte opposizione degli Stati Uniti. Washington improvvisamente avviò un'escalation bellica in violazione dell'unico "elemento indispensabile" dell'accordo, quindi procedette a smantellare gli altri articoli con la forza, riuscendovi in pochi mesi, e continuando a minare ogni ulteriore sforzo diplomatico fino alla vittoria finale. La versione di Washington dell'accordo, che differiva profondamente dal testo in alcuni aspetti cruciali, divenne la versione accettata. L'esito poté perciò essere annunciato nei titoli come una "Vittoria per il fair play degli Stati Uniti", con gli americani "Uniti nella gioia" oltre le devastazioni e lo spargimento di sangue, sopraffatti dall'estasi "in un'epoca romantica" (titoli sul NYT). E' superfluo analizzare le ricadute in questi e in numerosi casi simili. C'è poca ragione di attendersi che questa volta si dipani una storia diversa - alla solita, e cruciale, condizione: se noi lo permettiamo.