La guerra del Golfo ha segnato una svolta importante, a livello mondiale, circa l'idea e la pratica della guerra, la quale viene da quel momento fatta circolare nella comunicazione-produzione mondializzata come "giusta e necessaria", come "azione di polizia", e persino come "intervento umanitario". Presentata, soprattutto nel momento della decisione di intraprenderla, in termini di "velocità", "precisione", "alto livello tecnologico", "bassi costi", la guerra inizia, come ogni ciclo produttivo, con la prospettiva, l'assicurazione, della fine quale condizione per poter ricominciare. Dopo pochi mesi la guerra del Golfo del 1991 era già "finita". In realtà essa proseguiva con le vittime dell'embargo (Italia partecipante), con la continua minaccia di bombardamenti, di fatto poi effettuati (1998) ormai senza più bisogno della copertura dell'Onu, direttamente dagli Stati Uniti con l'appoggio del governo inglese, e di fronte a una opinione pubblica resa sempre più indifferente anche ad opera dei pacificatori della buona coscienza, politici, giornalisti, opinionisti, esperti di strategia militare, sempre pronti, e sempre con minore fatica argomentativa, a sostenere l'inevitabilità della guerra - "dolorosa ma necessaria". Fra il 1991 e il 1999 una serie di azioni militari tengono viva l'idea dell'intervento militare umanitario, e, per quanto concerne l'Italia, oltre all'intervento dell'esercito in Albania, va ricordata (non se ne parla quasi più) la ingloriosa spedizione Restore Hope in Somalia. Da parte dell'Italia la partecipazione (non solo con gli aereoporti ma con i bombardieri) all'intervento militare in Iugoslavia, non è neppure presentata come una "guerra" che però è "ingerenza umanitaria" o che, in quanto concerne la Nato è una "guerra difensiva": no, non è neppure guerra, la quale infatti da parte dell'Italia non è mai stata dichiarata alla Iugoslavia, come non è stato mai deciso "lo stato di guerra" con le conseguenze stauali previste. "La guerra è la pace" è il paradosso della sperimentazione orwelliana di un sistema socio-politico produttivistico spinto alle estreme conseguenze della sua totalizzazione. Ma nella nostra realtà non è più un paradosso, e i veri pacifisti diventano coloro che sono per l'intervento militare "doloroso ma inevitabile" in difesa della regione serba del Kosovo, che dalla Nato viene colpita insieme al resto della Iugoslavia con bombe all'uranio "esaurito" o "impoverito" (quello - micidiale e con capacità di durata di gran lunga maggiore dell'intervento ghirurgico di questa "guerra"- delle scorie nucleari) - "tuttavia in piccole dosi". Per quanto riguarda il coinvolgimento dell'Italia in questa guerra, i precedenti, le adesioni graduali, sono quelli della sua politica estera del periodo indicato, ma risalendo più indietro si possono ricordare le sue pronte risposte di disponibilità alla Nato in fatto di basi militari: è sintomatico l'episodio (siamo nel giugno del 1988) dello stazionamento di 72 cacciabombardieri americani F16, sfrattati dalla Spagna (Solana lo sa!), nell'aereoporto di Gioa del Colle: nell'appoggio logistico veniva privilegiata la Puglia la cui posizione geografica, a detta degli esperti di allora, rappresentava quanto di meglio si possa pensare per garantire la "difesa avanzata" della Nato. Per quanto riguarda il coinvolgimento dell'Unione Europea nell'ingerenza umanitaria degli Usa in Europa e alla sistematica distruzione di ingenti risorse di una parte di quest'ultima, è evidente che lo "sviluppo" e la "competitività" dell'Europa a cui lavora la programmazione della Commissione Europea nei confronti di altri paesi fra i quali gli stessi Stati Uniti richiede un ordine mondiale che possa garantire l'arena, quella di un mercato mondializzato, in cui gli "sviluppi" e le "competività" si possano incontrare e misurare. Certo per non compromettere certe sue influenze e certi suoi "protettorati", sarebbe stato meglio, ha detto Dini, che l'Unione Europea avesse avuto, essa stessa da sola, la forza necessaria per l'intervento in Iugoslavia (ed è meglio che si dia da fare per avere al più presto questa forza!) invece di dover mostrare agli stessi paesi che intende aiutare la necessità dell'aiuto Usa. Ma in questo momento l'unico mezzo efficace per manterenere l'ordine necessario alla comunicazione-produzione mondializzata è quel patto trasversale rispetto all'Unione Europea, la Nato, che unisce Unione Europea e Stati Uniti, la maggiore potenza militare mondiale. La Nato è un organismo di guerra difensiva. E questa è una guerra difensiva: Difensiva dell'ordine mondiale - checché ne dica il buon Chomsky, che in un intervento ( in italiano dentro a "Internazionale" di aprile), ingenuamente stabilisce un rapporto di opposizione fra guerra, e questa guerra, e ordine mondiale, umanisticamente inteso - e della "cooperazione" e della "pace" in Europa e nel Mediterraneo. Una guerra, dichiarata o non dichiarata che sia, è sempre "difensiva" di "sé" o di "altri". Dunque c'è poco da meravigliarsi che un patto difensivo come la Nato venga impiegato nell' attacco, "per ingerenza umanitaria", alla Iugoslavia. Come c'è poco da meravigliarsi, se si capiscono bene certi interessi, non solo che gli Usa non si scompongano di fronte ad altre "pulizie etniche" comprese quelle della Turchia (facente parte della Nato dal 1952) ma che, come faceva notare Marcuse, ne L'uomo a una dimensione, mostrando "l'astuzia della ragione" (che si nasconde, accanto all'esigenza di brevità, nell'uso di certe sigle al posto dei termini interi), facciano parte di una alleanza, appunto la "North Atlantic Treaty Organization", nazioni che non si affacciano sull'Atlantico del Nord. La comunicazione-produzione mondializzata richiede forme di controllo altrettanto mondializzate funzionali all' ordine mondiale che ne permetta la riproduzione. Accordi, patti e unioni maggiormente in grado di garantire tale ordine, per il loro carattere strategico e per la loro portata "difensiva", hanno evidentemente priorità e, malgrado la loro non recente stipulazione, maggiore attualità rispetto a quelli più recenti che, per quanto utili in fatto di "sviluppo" e "competitività", ne richiedono altri capaci di fare spazio allo svolgimento dello "sviluppo" e della "competitività" richiesto dalla comunicazione-produzione mondializzata. Si comprende così la subalternità alla cinquantenne Nato dell'Unione Europea e l'"inevitabilità" della sua partecipazione al "disastro umanitario" di quest'altra "guerra giusta e necessaria", secondo la concezione della guerra affermatasi dal 1991 al posto di quella precedentemente dominante in Europa a partire dal secondo coflitto mondiale ed espressa nella Conferenza di Helsinki col principio dell' assoluta non giustificabilità del ricorso alla minaccia o all'uso della forza sia fra gli Stati partecipanti all'accordo, sia nei confronti di quelli non partecipanti. ------------------------------------------------------------- Istituto di Filosofia del Linguaggio Via Garruba, 6 70100 Bari, Italy phone: ++80/5571503 fax: ++80/5717515 ponzio@mlx.pandora.it http://www.pandora.it/ifl/ -------------------------------------------------------------