Speciale
Marcia Perugia Assisi 1999
3° Assemblea dell'ONU dei popoli
Il ruolo della società civile globale e delle comunità locali
per la pace, un'economia di giustizia e la democrazia internazionale.
Perugia, 23-25 settembre 1999
Introduzione di Flavio Lotti coordinatore nazionale della Tavola della pace
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Siamo giunti alla terza edizione dell'Assemblea dell'Onu dei popoli. Cinque
anni di lavoro intenso, frutto di una intuizione e della collaborazione di
centinaia di persone, associazioni, Enti Locali e Regioni. Frutto del
lavoro generoso di un gruppo di persone che hanno gestito con grande
impegno un progetto davvero complesso. A tutti loro, vorrei estendere il
mio personale ringraziamento. Niente di tutto questo era scontato.
Un sincero "grazie" lo devo in particolare -a nome di tutte le centinaia di
associazioni e degli enti locali che compongono la Tavola della pace- alle
istituzioni umbre, alla Provincia e al Comune di Perugia e alla Regione
dell'Umbria senza il cui appoggio costante e incondizionato sarebbe stato
impossibile dare continuità al nostro impegno. L'augurio è che presto, in
Umbria, si possano approntare strutture adeguate per proseguire questo
cammino. Ma un ringraziamento particolare lo dobbiamo a quasi un centinaio
di Comuni, Province e Regioni che hanno deciso di sostenere economicamente
questa Assemblea senza chiedere nulla in cambio. E' la terza volta che
accade ed è uno di quei segni che ci incoraggiano a guardare avanti con
fiducia.
Questa "alleanza" tra società civile e istituzioni locali -soggetti di
natura diversa ma particolarmente vicini, con ruoli diversi ma molti
interessi comuni- è una delle leve più importanti su cui dovremo agire
sempre più per raggiungere i nostri obiettivi di pace, giustizia e democrazia.
Non è un caso, dunque, che quest'Assemblea sia dedicata alla società civile
e alle comunità locali. Anche questa non era scelta scontata. In questo
passaggio di fine secolo non mancano certo i motivi per riflettere sul
passato e sul futuro che ci attende. A noi, invece, è sembrato doveroso
proporre una riflessione non sui "fatti" ma sui "soggetti".
Quali sono i soggetti del futuro? Non c'è alcun dubbio sul fatto che il
"Mercato" sia il soggetto dominante: è lui che attualmente determina le
regole, fissa i criteri di applicazione, decide chi abbia diritto e a che
cosa. Accanto al Mercato ci sono gli Stati nazionali e le istituzioni
internazionali loro emanazione. Nonostante la perdita di potere che li
caratterizza, essi non sono dinosauri in via di estinzione ma continueranno
a svolgere un ruolo di primo piano ancora per un lungo periodo. Se poi
consideriamo che il loro numero anzichè diminuire continua ad aumentare è
difficile prevedere la loro morte.
Accanto a questi due soggetti ne esiste un altro con cui tutti -nel bene e
nel male- stanno cominciando a fare i conti. Il terzo soggetto è la società
civile: una fitta rete di cittadini che si associa nei modi e per gli
obiettivi più diversi, presente ormai in quasi tutto il mondo, agendo a
tutti i livelli e nei confronti di tutte le istituzioni.
Qual'è il posto della società civile nell'era della globalizzazione? Qual'è
il suo ruolo nel mondo che sta cambiando? Quali sono le sue responsabilità?
Che cosa propone per affrontare le grandi crisi del nostro tempo? In che
modo può contribuire all'affermazione della pace, dello sviluppo e della
democrazia internazionale? Quali sono le sue risorse? Di quale cultura è
portatrice? E, infine, che relazioni vuole stabilire con le istituzioni,
con i governi, con il "Mercato"?
A queste domande cercheremo di rispondere con il contributo di tutti voi
che siete venuti da più di cento paesi di tutti i continenti. Per
facilitare il dibattito, abbiamo predisposto la bozza di un documento che
vi è stato distribuito e che sarà alla base dei gruppi di lavoro di domani.
Il documento che approveremo sabato pomeriggio sarà portato alle due
Assemblee del Millennio (quella dei popoli e quella degli stati) convocate
dalle Nazioni Unite nel 2000. Ma, soprattutto, il nostro augurio è che
possa aiutare il nostro cammino comune.
Nessun intento celebrativo della società civile, quindi. (Sappiamo quali
sono i limiti, i problemi e le contraddizioni che attraversa il nostro
mondo, e che dobbiamo cercare di superare) Ma la volontà di accrescere la
consapevolezza del nostro ruolo e delle nostre responsabilità in una fase
particolarmente critica della vita sul pianeta.
Ci muove la preoccupazione per un mondo che sembra andare fuori controllo,
dove si parla di pace ma si rilancia l'istituto della guerra giusta e
"umanitaria", dove si parla di giustizia ma si condannano interi paesi ai
margini della sopravvivenza; dove si parla di libertà e democrazia ma poi
si straccia la Carta dell'Onu e la si usa come il menù di un ristorante;
dove si moltiplicano le crisi guerreggiate, le crisi politiche, economiche,
sociali, ambientali, alimentari, sanitarie. Ci muove la preoccupazione per
la crisi della democrazia che tocca anche i paesi, come l'Italia, dove più
solide sono le sue radici. Ci muove la preoccupazione per il progressivo
svuotamento di potere e la perdita di credibilità che colpisce le sue
istituzioni elettive a tutti i livelli a vantaggio degli esecutivi e dei
poteri forti. Ci muove la preoccupazione per un processo di globalizzazione
governato da uomini senza scrupoli, senza alcun vero controllo democratico.
Ci muove la preoccupazione per quei miliardi di persone senza diritti di
cittadinanza che sono sparsi per il mondo: persone che compaiono e
scompaiono di tanto in tanto, quando succede qualche inevitabile tragedia;
persone che "esistono" solo se diventano "opportunità di riduzione di
costi" per qualche azienda multinazionale. Ci muove la preoccupazione per
una società civile sempre più sotto pressione, colpita da una profonda
crescita dell'insicurezza (insicurezza economica, relativa al posto di
lavoro e al reddito, sanitaria, culturale, personale e collettiva,
ambientale e politica) e dalla sensazione che stia venendo meno ogni
certezza, che siamo al tramonto di ogni regola. Ci muove la preoccupazione
per i tanti campanelli d'allarme che continuano a suonare ma che pochi
sembrano sentire.
Ci muove il senso di responsabilità che ci portiamo dentro: noi che abbiamo
il privilegio di avere il tempo e i soldi per poter pensare, per ragionare
sul nostro futuro, per tentare di modellarlo... Miliardi di uomini e donne
sono privati anche di questo.
Ci muove la responsabilità di appartenere a quel blocco di paesi (l'Europa,
l'Occidente,...) che potrebbe fare cose straordinarie per il mondo. Per
esempio: non sostenere più i dittatori, non vendergli più le armi; non
vendere le armi a quei governi che opprimono il proprio popolo; fargli
sapere che nessun crimine contro l'umanità, nessun genocidio rimarrà
impunito, che saranno catturati e processati; mettere al bando i
nazionalisti e gli speculatori; mettere al bando la guerra e tutti quelli
che ci vivono sopra.
Oppure, qualche cosa di molto semplice come dar da bere agli assetati:
portare l'acqua a quei due miliardi di persone che non ce l'hanno (bastano
9 miliardi di dollari); sfamare gli affamati: dar da mangiare agli 840
milioni che soffrono la fame (bastano 13 miliardi di dollari); istruire i
900 milioni di analfabeti che abitano il pianeta (bastano 7 miliardi di
dollari).
Apparteniamo a un blocco di paesi che avrebbe la possibilità di fare tante
cose straordinarie per sè stesso e per il mondo: ma che, invece, sembra
percorrere ciecamente i sentieri dell'egoismo e dell'indifferenza.
Ci muove, infine, la consapevolezza che la società civile e le comunità
locali non possono limitarsi alla denuncia o alla testimonianza, alla
protesta o al soccorso umanitario. Occorre imparare ad agire in modo meno
frammentato, ricollocando ogni azione settoriale dentro un orizzonte
comune. Se vogliamo essere efficaci, se vogliamo essere incisivi, occorre
costruire un'alleanza tra tutti i cittadini, le organizzazioni della
società civile e le comunità locali impegnati non solo a "dire" ma anche a
"fare" in prima persona. Un'alleanza fra tutti questi soggetti e i
Parlamenti, che sono colpiti da un progressivo svuotamento di poteri a
vantaggio degli esecutivi. Un'alleanza con le Nazioni Unite e quella parte
dei governi e delle istituzioni internazionali che condivide le nostre
preoccupazioni e non ci guarda con fastidio. (A questo proposito, nei
giorni scorsi abbiamo scritto una lettera aperta al nostro Presidente del
Consiglio D'Alema, ma fino a questo momento non abbiamo ricevuto alcuna
risposta)
Un'Alleanza per fare cosa? Noi proponiamo quattro obiettivi di fondo:
1. contrastare il virus dell'indifferenza e della rassegnazione. Affermare
che questo mondo non è il solo possibile. Che, per quanto negative, non
esistono tendenze irreversibili. Che le alternative esistono: hanno solo
bisogno di trovare più persone e istituzioni convinte e disponibili ad
attuarle;
2. promuovere il ripudio definitivo della guerra, a tutti i livelli.
Smantellare le sue istituzioni, riconvertire le sue fabbriche, fermare i
suoi traffici, sradicare le sue radici nella nostra cultura. E, insieme,
costruire un adeguato sistema di prevenzione, un'adeguata forza di polizia
internazionale, un corpo nonarmato della società civile e un efficente
tribunale internazionale;
3. sradicare la povertà dalla terra, rispondendo alle grandi emergenze
sociali, alimentari e sanitarie, rilanciando la cooperazione
internazionale, garantendo a tutti l'accesso ai diritti sociali di base;
intervenendo sulle cause che accrescono gli squilibri; democratizzando
l'economia globale; orientando il mercato in modo da soddisfare i bisogni
fondamentali delle persone;
4. democratizzare e rafforzare l'Onu e tutte le istituzioni internazionali
che hanno la responsabilità di promuovere la governabilità del pianeta, di
ridurre il disordine, di garantire il rispetto delle regole democratiche
della convivenza, di promuovere e difendere i diritti umani di tutti.
Questa è la proposta politica che vi consegnamo: perchè, in questi giorni,
se ne possa discutere e valutare insieme il cammino da intraprendere. E'
utopia? Siamo dei sognatori? degli idealisti?
C'è una storia, che viene dall'Africa, dal Ghana -paese di schiavi e
predatori un tempo chiamato Costa d'oro- che racconta di un'aquila allevata
come una gallina. L'aquila, abituata a pensare di essere una gallina, non
sapeva volare. Il contadino che l'aveva imprigionata da piccola la
considerava a tutti gli effetti una gallina. Ma un giorno, dopo tanti
tentativi, un naturalista la portò con sé in cima ad una montagna. La puntò
verso il sole e, l'aquila, abbagliata, aprì le ali e iniziò a volare,
sempre più in alto.
Ognuno di noi ha un'aquila dentro di sè. E, se smetteremo di pensare di
essere delle galline, anche noi riusciremo ad aprire le ali. E' il mio
augurio a tutti voi.
Buon lavoro.