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Marcia Perugia Assisi 1999
Storia della Marcia per la Pace di Aldo Capitini - parte 3
Documento scritto da Aldo Capitini - 1963
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Il prefetto di Perugia aveva mandato alle amministrazioni comunali e provinciali una circolare proibendo di portare alla "Marcia della pace" i gonfaloni della citt�.
Come le gerarchie ecclesiastiche avevano dato ordine al clero di non partecipare, e nelle chiese era stato detto che quella era una marcia comunista e paracomunista da evitare; e tuttavia quando i marciatori incontrarono ecclesiastici, non un�offesa, non un fischio si lev�; cosi, mentre il prefetto aveva preso quell�iniziativa contro la volont� dei consigli comunali e provinciali ed aveva mobilitato un numero ingente di forze di polizia all�inizio, lungo la Marcia e sul prato, nulla, proprio nulla accadde, e non certamente perch� c�erano quelle "forze", ma per autodisciplina dei partecipanti, per fiducia negli organizzatori e perch� un entusiasmo e una fede potevano esprimersi in un modo cos� semplice e chiaro, senza la soggezione e l�inferiorit� che il popolo sente nei congressi. I giovani stessi, e la Marcia era piena di giovani, seppero frenarsi.
I frati di Santa Maria degli Angeli erano impressionati la mattina (cos� dissero ad una signora) dell�arrivo di tanta gente "rossa": quando videro quei popolani visitare i luoghi, interni al convento, dove visse San Francesco, e alcuni anche ascoltare la messa, si tranquillizzarono. Non vi fu un ubriaco. (...)
La Marcia ebbe i due momenti pi� alti quando, in quel luogo cos� ampio sotto la cupola di un cielo che impallidiva lentamente, Arturo Carlo Jemolo parl� della benedizione divina che certamente scendeva su quell�assemblea di pace, e quando io chiesi due minuti di silenzio per ricordare i morti nelle guerre o per causa delle guerre, e tutti si levarono in piedi, qualcuno si inginocchi�, e mi � stato detto che tutti gli appartenenti alla polizia si misero sull�attenti. Avevo scritto nel periodico mensile "Umbria d�oggi", prima della Marcia (nel numero distribuito alla Marcia, con la data 30 settembre 1961): " ... La Marcia � una decisione pratica, che si prende dopo aver pensato e parlato, come al sommo di un momento importante, � una celebrazione di solidariet� impegnata. Proprio settecento anni orsono da Perugia partirono quelle processioni religiose dei �Laudesi� che, al sommo di una tensione religiosa, manifestavano un sentimento �dal basso� che era maturato in decenni di alta spiritualit� dalla predicazione francescana. Ma la nostra Marcia ha qualche cosa di festoso e non di contrito, e di aperto perch� unisce persone di idee diverse, accomunate da un unico orizzonte universale. Non dimentichiamo che questa Marcia non � per la pace �nell�Umbria�, ma nel mondo intero, per le trattative tra i blocchi, per il superamento dell�ostilit� fredda e calda. Con questa Marcia gli umbri si pongono su un piano universale, si affratellano ai popoli di tutti i continenti, alzano la loro voce di amicizia, e tutti coloro che conoscano anche di sfuggita la nostra regione, sentiranno accresciuta la loro simpatia per questa terra che, manifestando tali esigenze universali, dimostra di avere abitanti all�altezza di un compito importante".
Realmente la Marcia � stata un�altra prova (e non sar� la sola) di quell�insieme di apertura religiosa umana e di esigenza di trasformazione sociale che fu cos� vivo in Umbria nel Duecento e Trecento, in grandi movimenti e grandi lotte. C�� stato chi ha scritto che si � sentito "qualche cosa di nuovo" nella Marcia. lo credo sia soprattutto questo insieme sociale e religioso che ritorna per allargarsi nella nostra storia attuale. Ecco che, a fatto avvenuto, si possono vedere le ragioni profonde della Marcia.
Essa � stata un atto importante, forse una svolta nel nostro paese. Alcuni giornalisti hanno paragonato il fatto a quello del luglio 1960, quando "dal basso" una manifestazione antifascista arrest� l�orientamento del governo a destra. La Marcia � stata una manifestazione "dal basso", che ne ha cominciate tante altre, per isolare i nuclei militaristici e reazionari. Con l�unione stabilita tra i pacifisti e le moltitudini popolari, si � presentato un metodo di lavoro non pi� minaccioso di violenza, e nello stesso tempo si � avviata un�unit� che � la massima che si pu� stabilire in Italia: quella nel nome della pace. Si � avviato un moto degli strati pi� profondi e dei sentimenti fondamentali del popolo italiano, un moto che non � senz�altro politico o di classe, ma � la premessa e l�addentellato per ogni lotta ed ogni educazione che voglia svolgersi in Italia per contrastare il patriottismo scolastico diffuso dai nuclei nazional-militari, e, insieme, il borghesismo edonistico che si ritrae da ogni lotta civile e sociale per la fruizione del benessere promesso dal neocapitalismo. La lotta per la difesa e lo sviluppo della pace porta preziosi elementi di coesione dal basso contro l�individualismo e il conformismo e per di pi� associa di colpo le donne, le famiglie, prima delle lotte politiche. E con l�accento posto sul superamento dei metodi violenti, sull�apertura e sul dialogo, non solo sollecita la nostra democrazia, e qualsiasi altra, ma preme sulle religioni esistenti, e particolarmente su quella tradizionale, perch� sia messo in primo piano il rapporto nonviolento con tutti gli esseri.
Aver mostrato che il pacifismo, che la nonviolenza, non sono inerte e passiva accettazione dei mali esistenti, ma sono attivi e in lotta, con un proprio metodo che non lascia un momento di sosta nelle solidariet� che suscita e nelle noncollaborazioni, nelle proteste, nelle denunce aperte, � un grande risultato della Marcia, durante la quale abbiamo distribuito tremila copie di un pieghevole di quattro pagine sulle idee e il lavoro del Centro per la nonviolenza. Non dico che tutto sia chiaro e acquisito, ma � certo che ora ci sono larghi gruppi di italiani che sentono che la nonviolenza ha una sua parola da dire. Con l�aggiunta della nonviolenza all�opposizione abbiamo dato vita a un fermento interno, ad uno scrupolo, ad un�autocritica; il risultato sar� che metteremo sempre meglio in luce ed isoleremo i gruppi reazionari, i loro sforzi crudeli e vani nel mondo, la loro irreligiosa difesa di una societ� sbagliata. Tanto pi� dopo gravissime denunce del pericolo di una distruzione atomica, l�impostazione di un altro metodo di lotta, quello nonviolento che mantiene il dialogo, la libert� di informazione e di critica e non distrugge gli avversari, diventa urgente; ed io credo che anche nelle scuole bisogner� insegnare il valore e le tecniche del metodo nonviolento. La resistenza alla guerra diventa oggi tema dominante, perfino con riferimenti teorici, filosofici, religiosi.
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