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CHI VENDEMaggiori esportatori di armi convenzionali dal 1985 al 1989 (in bilioni di dollari):URSS 66.2 USA 52.8 Francia 15.8 Gran Bretagna 7.7Ma nel 1990 gli USA si sono accaparrati il primo posto: USA 40% URSS 29% Comunita' Europea 21% Altri 10%Il Terzo Mondo e' responsabile solo dell'1% dell'esportazione di armi. CHI COMPRAMaggiori importatori di armi dal 1985 al 1989, in bilioni di dollari:India 17.3 Iraq 11.9 Giappone 10.5 Arabia Saudita 8.7Ma nel 1990 l'Arabia Saudita e' balzata in testa. (Fonte: Azione Nonviolenta, dicembre 1992) L'Associazione per la Pace, nel suo recente congresso di Bologna, ha criticato il documento del 5 febbraio scorso di Fim-Fiom-Uilm in cui i sindacati chiedevano piu' commesse militari e la promozione di esportazioni di armi italiane nel Golfo Persico. (Fonte: Mario Pianta, Il Manifesto 16/2/93) La Cee puo' concedere finanziamenti per la riconversione dell'industria bellica; cio' sarebbe subordinato alla costituzione - entro aprile - di un "fondo nazionale per la riconversione" da parte del governo italiano. Lo sostiene Luciano Marengo, dirigente del Pds piemontese. (Il Manifesto 2/3/93) Intanto la lista dei licenziamenti previsti nell'industria bellica appare come un vero e proprio "bollettino di guerra". La "contabilita'" e' tenuta dal Coordinamento degli osservatori dell'industria bellica ("Lettera" n.5). Secondo l'esperto Alberto Castagnola "la realta' internazionale presenta drastici ridimensionamenti del mercato delle armi, non compensati dal gruppo di forniture alle 'aree calde'." E neanche il 'nuovo modello di difesa', per Castagnola, e' in grado di "rappresentare una base economica significativa". (Liberazione 22/1/93) Va inoltre tenuto presente che il "limitato" impegno bellico italiano nel Golfo (rispetto ad Usa, Gran Bretagna e Francia) ha comportato il restringimento di esportazione di armi in quelle aree (gli sceicchi hanno premiato chi ha bombardato di piu') e a cio' va aggiunta la normativa italiana per l'esportazioni di armi (del 1990) abbastanza restrittiva (divieto di esportazioni di armi in paesi che violino ripetutamente i diritti umani), anche se largamente aggirata. I MAGGIORI FORNITORI DI ARMI AL TERZO MONDO1987 1991 1994 TOT. 87-94 USA 6234 14592 6113 91557 URSS\RUSSIA 27296 6878 4600 83960 FRANCIA 3522 3027 11400 34463 GRAN BRETAGNA 629 324 600 33326 CINA 5912 649 500 15610 GERMANIA 2642 1189 0 6443 ITALIA 252 108 200 2217 ALTRI EUROPA 3145 1297 1000 14102 RESTO DEL MONDO 3145 1297 1000 15164 TOTALE 296 843i dati sono in milioni di dollari del 1994 fonte:rapporto per congresso USA LA CLASSIFICA DEI VENDITORI NEL 94FRANCIA +++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++11 400 USA ++++++++++++++++++++++++6113 RUSSIA +++++++++++++++++4600 G.BRETAGNA ++++600 CINA +++500 UCRAINA ++200 OLANDA ++200 CANADA ++200 ITALIA ++200 SVEZIA ++200 INDONESIA ++200 SIPRIIl prestigioso SIPRI, l'istituto di ricerca svedese nel campo del controllo degli armamenti, e' ora su Web, all'indirizzo:http://www.sipri.se/ LE ESPORTAZIONI DI ARMI ITALIANE NEL 1994di Claudio Di Blasi (e-mail: CDIBLASI@LINK-BZ.comlink.apc.org)NOTA: il seguente articolo comparira' nei prossimi giorni sui periodici "CONFRONTI" e "FOGLI DI COLLEGAMENTO DEGLI OBIETTORI". Vista l'importanza dell'argomento ritengo essenziale immetterlo sin da ora in rete. Siete autorizzati a farne cio' che volete, compreso la pubblicazione, riportando sia il nome dell'autore che le rivista a cui e' stato destinato. Buona lettura!! Nel corso del 1994 il governo italiano ha rilasciato autorizzazioni all'esportazione di armi per oltre 2.926 miliardi, con un incremento dell'85% rispetto al 1993. E' questo il primo preoccupante dato che emerge dalla relazione sul commercio di armi consegnata al Parlamento nei giorni scorsi dalla Presidenza del Consiglio. Ma da un prima analisi del rapporto governativo si evincono altri pericolosi segnali. Infatti l'industria bellica italiana compie un'inversione "ad U" rispetto ai paesi destinatari della produzione bellica nostrana. Se nel 1993 l'81,26% dell'export era diretto verso paesi aderenti alla NATO, nel 1994 oltre il 58% delle esportazioni varca i confini italiani in direzione di paesi in via di sviluppo e situati in aree a rischio: la conseguenza e' che se nel 1993 il primo paese destinatario di armi italiane era la Gran Bretagna (con 821 mld), nel 1994 il nostro cliente piu' affezionato diviene l'Arabia Saudita (con oltre 761 miliardi). L'esportazione di armi verso paesi non NATO acquista una ancora maggiore rilevanza economica se si tiene conto del fatto che esse rappresentano cessioni "nette", che presuppongono una propensione verso la scelta di contenuti tecnologici e merci "made in Italy", mentre le esportazioni verso paesi dell'Alleanza Atlantica sono spesso da inserire all'interno di coproduzione o collaborazioni internazionali con conseguenti acquisti di sistemi d'arma da parte delle Forze Armate italiane. Il governo ha sicuramente tenuto conto dei lamenti elevati in questi anni dall'industria bellica nazionale sul non sufficiente appoggio dato alle esportazioni nostrane. Dalla relazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri veniamo cosi' a sapere che nonostante la Turchia sia all'esame dell'opinione pubblica internazionale per la "guerra sporca" che sta conducendo nei confronti della minoranza kurda, il governo italiano ha autorizzato esportazioni di armi verso questo paese per oltre 76 miliardi di lire. Ma l'incredibile viene raggiunto per cio che riguarda l'Indonesia: nel 1993 verso questo paese vengono bloccate le esportazioni di armi, anche per cio' che riguarda contratti definiti negli anni precedenti, e questo per rispettare la condanna delle Nazioni Unite verso questo regime, responsabile di non rispettare i diritti umani ed internazionali nella illegittima occupazione di Timor Est. Ma nel 1994 l'Indonesia si piazza misteriosamente nei primi quindici paesi destinatari di armi italiane, con per un importo di oltre 54 miliardi. Anche le modalita' con cui il Governo ha fornito i dati sono sintomo di una preoccupante volonta' di occultare la realta dell'export bellico italiano. Infatti sino all'anno scorso il Ministero delle Finanze e quello del Tesoro allegavano tabelle da cui risultavano chiaramente per ogni singola operazione le armi esportate, il paese di destinazione, la somma esborsata, gli eventuali compensi per intermediazioni, la banca su cui le operazioni finanziarie erano effettuate. Da quest'anno questi dati sono forniti separatamente: la conseguenza e' che sappiamo quale arma viene esportata e da quale azienda viene prodotta, ma non viene piu' comunicato qual'e' il paese destinatario per ogni singola operazione. Un'analoga reticenza la si riscontra per i movimenti finanziari inerenti la compravendita di armanenti: i dati vengono in questo caso aggregati per singolo istituo bancario, rendendo impossibile l'individuazione di chi ha pagato intermediazioni, per quale vendita specifica d'arma ed a chi tali compensi sono stati versati. L'incredibile si raggiunge nella parte, curata dal Ministero del Commercio con l'estero, relativa all'esportazione di "materiali strategici". L'ignaro lettore scopre che il governo italiano ha "inventato" due nuovi stati: l'Antartide, verso cui sono andati materiali strategici per oltre 32 miliardi di lire, ed un ancor piu misterioso "Mare Aperto", destinatario di materiali startegici per oltre 93 miliardi. Ma il Ministero del Commercio con l'estero, dopo aver proclamato solennemente l'esistenza della Repubblica dei Pinguini e del Regno di Atlantide, ci informa piu' sommessamente di aver esportato materiali strategici (cioe' utilizzabili ad esempio per la fabbricazione di armi chimiche) in paesi come la Croazia (3,5 miliardi di lire il valore dei materiali esportati) e la Slovenia (oltre 1 miliardo di export). Siamo di fronte ad un quadro estremamente preoccupante: in nome del profitto di poche aziende non solo si mette a rischio la sicurezza del nostro paese, ma non si rispettano nemmeno le indicazioni di organismi internazionali quali le Nazioni Unite. A questo si accompagna un'accurata operazione di non informazione da parte del Governo, in stridente contrasto con lo spirito della legge 185 del 1990, nei confronti del Parlamento e dell'opinione pubblica. Stiamo forse assistendo ad un ritorno ai peggiori stili del passato per cio che riguarda il commercio d'armi italiane?PER MAGGIORI INFORMAZIONI: CLAUDIO DI BLASI C/O ASSOCIAZIONE OBIETTORI NONVIOLENTI VIA SCURI 1/C 24128 BERGAMO TEL 035-260073 FAX 035-403220 Ancora bombe H in Italiadi Alessandro Marescotti (e-mail: a.marescotti@peacelink.it)"Greenpeace ha denunciato, in polemica con la conferenza ONU, un certo ritardo nello smantellamento previsto di ordigni nucleari e ha ricordato - le 500 bombe atomiche dimenticate - in Europa. L'Italia ne avrebbe 120 nelle tre basi dei caccia americani F-16 e Tornado di Aviano, Ghedi-Torre e Rimini. L'ambasciatore italiano all'ONU Fulci ha precisato, a proposito delle bombe H, che il loro smantellamento - non era previsto -." (Il Quotidiano 19/4/95) Aeronautica&Difesa (aprile '95) riporta un servizio su "Le armi nucleari in Europa". A pag.53 c'e' una breve scheda su "Il nucleare italiano". Gli aerei destinati a trasportare le bombe nucleari aerolanciate (Mk.7, B-43, B-57, B-28, B-61) sono stati: F-84G F-84F F-104G F-104S/CB TornadoI vettori di lancio: "Nike" terra-aria, "Terrier" mare-aria, "Honest John" e "Lance" suolo-suolo. Da aggiungere poi: proiettili atomici per l'artiglieria, mine atomiche, cariche atomiche antisommergibili. La rivista non si sbilancia molto sui numeri: "Oggi, a quanto e' dato sapere, il munizionamento navale dovrebbe essere enormemenete ridotto: da tempo per ragioni tecniche ed ecologiche si era deciso di rinunciare a quello navale, mentre per i "Lance" e' previsto l'uso di testate convenzionali (gli "Honest John" non ci sono piu' ed i "Nike" sono in radiazione). Anche le mine atomiche che proteggevano la "soglia di Gorizia" sono state tolte. In pratica rimane la dotazione dei reparti CBOS (Caccia-Bombardieri Ognitempo Speciali) che, se non andiamo errati, dovrebbero essere il 102' ed il 154', chiamati "dual", in quanto incorporano le due vocazioni, convenzionale e nucleare. Entrambi sono basati a Ghedi." La rivista militare non fornisce cifre sulla presenza di armi nucleari in Italia ma termina citando - cosa curiosa - "stime degli ambientalisti" e su questi dati di fonte non ben precisata calcola una riduzione di bombe atomiche (indicate come B-61) "da 45-55 all'epoca della Guerra Fredda a 25 a cavallo degli anni Ottanta e Novanta per ridursi, oggi, a due." Quindi - differentemente da Greenpeace - la rivista valuta in "due" atomiche l'arsenale a disposizione in Italia. Non si e' mai capito quante bombe abbia ospitato l'Italia (e quante ne ospiti): le interrogazioni parlamentari hanno infatti ottenuto risposte rassicuranti che venivano poi smentite da fonti autorevoli e da informazioni tratte dagli archivi americani. L'ex ministro della Difesa Spadolini venne coinvolto in una di queste clamorose smentite. Gli abitanti di Rimini, ad esempio, non hanno appreso dalle risposte alle interrogazioni parlamentari se avevano le atomiche sulla testa: lo hanno appreso "di rimbalzo" dalla stampa estera che riportavano informazioni "volate via" dagli archivi militari USA. L'ambasciatore italiano all'ONU Fulci ha tenuto a precisare che le atomiche italiane hanno la "doppia chiave". "Aeronautica&Difesa" si sofferma un'attimo sulla "doppia chiave", quel sistema per cui il lancio era vincolato al consenso del governo italiano che "detiene la seconda chiave": "La catena di comando - afferma a questo proposito la rivista - da parte italiana non fu mai a punto." L'affermazione della rivista militare - molto grave - rivelerebbe l'inconsistenza del vincolo condizionante italiano. Da tempo si era saputo che Washington avrebbe consultato Roma in caso di lancio "solo se c'era tempo", ma non era fino ad ora emerso cosi' pubblicamente che lo stesso sistema di comando (e di diniego) non era stato mai messo a punto da parte di Roma. Come a dire: al Parlamento si diceva che i bottoni atomici erano due, ma uno funzionava, l'altro (quello italiano) era finto e non contava nulla ne' nell'assenso ne' nel diniego. Infine "Azione Nonviolenta" (marzo '95) riporta un articolo di Giorgio Nebbia ("L'Italia contro l'ONU) in cui si parla della prossima sentenza della Corte Internazionale di Giustizia (prevista per la 2' meta' del 1995) circa la "legalita'" dell'uso delle armi nucleari, viste come armi "indiscriminate" da mettere al bando perche' violerebbero le Convenzioni internazionali a tutela dei civili. "L'uso delle armi nucleari rappresenta una violazione delle nurme del diritto internazionale, compresa la Costituzione dell'ONU?" Questo semplice quesito e' ora all'attenzione della Corte Internazionale di Giustizia, il cui parere e' consultivo ma di alto valore sotto il profilo del diritto internazionale. "Importante - scrive Giorgio Nebbia - notare la doppiezza del goveno italiano. Il 23 ottobre 1993 rispondendo a varie interrogazioni parlamentari il sottosegretario agli esteri aveva dato l'assenso del governo per un voto dell'Italia all'ONU a favore - della richiesta del parere della Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja sulla legittimita' dell'uso, e della minaccia dell'uso, delle armi nucleari - (Atti Camera, XI Legislatura)." Come ha votato poi l'Italia? "Ha votato contro la richiesta del parere della Corte di Giustizia", conclude Nebbia. Questa doppia faccia del governo italiano non ha tuttavia bloccato la risoluzione 49/75k che ha messo in moto il processo circa l'illegalita' delle armi atomiche presso la Corte Internazionale di Giustizia. Attendiamo l'esito. Nuovo Modello di Difesadi Annalisa Marini (e-mail: ISA@LINK-BZ.comlink.apc.org)Il documento che segue e' stato elaborato durante il seminario di studio nazionale dell'Associazione Obiettori Nonviolenti, tenutosi ad Albino (Bg) l'11 e il 12 marzo scorsi. Durante il prossimo coordinamento nazionale dell'Associazione Obiettori Nonviolenti (di cui diamo informazione nell'area "obiezione") questo documento verra' ridiscusso e approvato, e diverra' la piattaforma nazionale della Associazione sul Nuovo Modello di Difesa. MODELLO ALTERNATIVO DI DIFESAINTRODUZIONE Nel corso degli ultimi anni si e' verificata una profonda trasformazione nel concetto di difesa che sottende l'utilizzo della forze armate. Motivo preponderante di tale cambiamento e' stato il crollo del sistema internazionale bipolare, dato dal dissolvimento dell'URSS e del Patto di Varsavia, che ha mutato radicalmente i cosi' detti "scenari internazionali". Lo Stato Maggiore della Difesa, rimasto senza il tradizionale nemico da osteggiare, ha comunque trovato in una serie di "rischi", provenienti prevalentemente dal Sud del mondo, le ragioni per puntare su un modello di difesa piu' efficiente. Inoltre, alla difesa del territorio viene affiancata la difesa degli "interessi vitali" ovunque essi si manifestino. In base a tali principi diviene necessario intervenire con forze di spedizione la' dove siano messi in dubbio gli interessi che incidono sul nostro sistema economico e produttivo. Da qui, la necessita' di passare ad un esercito di professionisti (senza peraltro eliminare la leva) e di potenziare gli "strumenti operativi" (esigendo maggiori stanziamenti per gli armamenti). Il potenziamento dell'esercito e' quindi la paradossale reazione alla perdita della tradizionale minaccia. La pace diviene un alibi per garantire il benessere nazionale e perde cosi' ogni legame con l'idea di giustizia alla quale dovrebbe essere indissolubilmente legata. Andando oltre la critica di questo modello di difesa, l'Associazione Obiettori Nonviolenti, ha voluto pensare ad un modello alternativo, che guardasse a cio' che e' attualmente realizzabile e dall'altro riprendesse l'impostazione costituzionale rapportando i principi ad una evoluta situazione internazionale. LA COSTITUZIONE Recuperare i valori della carta costituzionale significa pensare ad una politica di Difesa o meglio di Pace che non sia impostata sul concetto di sicurezza come tutela di interessi particolari, ma sulla promozione e salvaguardia dei principi della solidarieta' e cooperazione interna ed internazionale. L'opzione internazionalista e pacifista dei nostri costituenti, sviluppata in tre scelte di fondo: il ripudio della guerra (art. 11), il rispetto del diritto internazionale (art. 10) e la disponibilita' dello Stato a partecipare ad organizzazioni internazionali aventi come scopo la pace e la giustizia tra le nazioni (art. 11), puo' trovare una piena espressione solo adottando un modello di difesa che ponga tali principi come basi. Altri tasselli per completare il quadro teorico di riferimento sul quale costruire un modello di difesa sono l'articolo 52 della Costituzione "la difesa della Patria e' sacro dovere del cittadino" e la sentenza della Corte Costituzionale n. 164 del 1985 la quale precisa che il dovere di difesa della Patria e' ben suscettibile ad adempimento attraverso la prestazione di adeguati comportamenti di impegno sociale non armato. Questo allargamento nella concezione di difesa spalanca la porta alle ragioni degli obiettori di coscienza che da piu' di vent'anni sono impegnati non nella difesa dei "sacri confini" della Patria, ma nella promozione della cultura, nel sostegno sociale agli emarginati, nella salvaguardia del patrimonio ambientale. Vi sono quindi i presupposti costituzionali per introdurre a pieno titolo nel modello di difesa una cultura e un modo di agire che si discostino dalla tradizionale concezione militare. PARI DIGNITA'' TRA DIFESA CIVILE E MILITARE Non e' possibile pretendere oggi che l'impegno civile, la cultura e le tecniche della nonviolenza si sostituiscono agli apparati di difesa e sicurezza militari, ma i tempi sono maturi per mettere su uno stesso piano difesa armata e non armata, dando a quest'ultima il riconoscimento e la valorizzazione che sono stati fino ad ora negati. Difesa attraverso un servizio non armato significa, oltre ad impegno in attivita' utili e vicine alla popolazione, soprattutto nei suoi strati piu' disagiati, anche preparazione ed addestramento ad una risoluzione non distruttiva dei conflitti. Educare alla nonviolenza rende possibile, il ricorso (o non solo) alle forze armate ma alla difesa non militare. In tale ottica il controllo egemonico della difesa da parte dei militari non ha piu' ragione di esistere. E' necessario che il Ministero della Difesa e la struttura operativa affrontino un radicale processo di civilizzazione e democratizzazione. Il vertice della difesa deve essere civile, sotto il diretto controllo del Ministero. A tale vertice faranno capo, con pari dignita', le forze armate e non armate, le prime gestite dai militari, le seconde da personale civile. RESPONSABILIZZAZIONE AL DIRITTO/DOVERE DELLA DIFESA Se da un lato la struttura della difesa puo' compiere questa evoluzione aprendosi ad una cultura di pace non centrata sull'uso delle armi e dello strumento militare, dall'altro lato e' possibile avere dalla cittadinanza un maggiore coinvolgimento in tema di difesa. L'obbligo di leva puo' essere esteso alle donne distribuendo la responsabilita' della sicurezza collettiva a tutta la popolazione. A fronte di tale obbligatorieta' deve essere data la piena liberta' di scegliere quale tipo di servizio svolgere. L'opzionalita' tra servizio militare e servizio civile deve quindi assumere il valore di diritto soggettivo e intangibile. La pari dignita' rispetto al vertice della difesa puo' cosi' trovare riscontro anche a livello di scelta individuale. Tale logica puo' essere applicata anche all'aspetto finanziario della difesa. Essere liberi di scegliere il tipo di servizio da svolgere ed anche da finanziare attraverso i contributi, dara' un'impostazione alla difesa rispecchiante le necessita' della cittadinanza. La responsabilizzazione alla difesa ha quindi una ricaduta diretta sul modello di difesa che perde cosi' la sua astrattezza per divenire espressione popolare. Sara' poi compito delle strutture gestionali del servizio civile e del servizio militare impiegare al meglio la quantita' di persone che l'obbligatorieta' per uomini e donne e l'opzionalita' nella scelta, metteranno a disposizione dei diversi servizi. La responsabilizzazione al diritto/dovere della difesa deve trovare comunque rispondenza in una gestione che sia il piu' vicino possibile ai cittadini ed alle loro esigenze. INTERVENTI ESTERNI L'impostazione della pari dignita' tra militare e civile deve trovare espressione non solo nella difesa e quindi rispetto all'interno, ma anche nell'intervento esterno. Come intervento esterno, sono da intendere gli impegni da assumere nei confronti della salvaguardia del diritto e della legalita' internazionale. Non quindi spedizioni per tutelare interessi particolari ma impegno nella salvaguardia dei valori della liberta' e della democrazia. Tale impegno che puo' riproporre la scelta tra l'uso di forze armate e non armate o la loro copartecipazione, deve essere subordinato alle scelte delle organizzazioni internazionali, in modo da non entrare in contraddizione con gli articoli della Costituzione precedentemente citati. Si ripropone cosi' la questione della polizia internazionale, la quale deve mascherare gli interessi delle nazioni predominanti all'interno delle organizzazioni internazionali, ma salvaguardare il principio della pacifica convivenza tra i popoli. La partecipazione ad interventi di polizia internazionale richiama quindi il problema della gestione dell'ONU, rispetto al quale e' importante schierarsi a favore di una piena democratizzazione. Altro problema della polizia internazionale e' presentato dalla inadeguatezza del personale di leva (sia civile che militare) rispetto a interventi che ri- chiedono una certa preparazione. E' possibile pensare per queste situazioni a corpi volontari di militari e di nonviolenti. Introdurre una componente di volontariato nel modello di difesa non significa togliere valore al servizio di leva ma avere del personale che, attraverso un impegno per tempi prolungati, acquisisca le competenze necessarie ad attivita' particolarmente impegnative e pericolose. Il contributo che la nonviolenza puo' dare anche in questo ambito, come forza di interposizione non armata, completa l'impostazione di un modello di difesa centrato sulla pari dignita' tra civile e militare. |