1. Introduzione
L'Ufficio di Presidenza, integrato dai
rappresentanti dei gruppi, della IV Commissione (Difesa), nella riunione
del 14 settembre 1999, ha concordato sull'opportunità di svolgere
un'indagine conoscitiva concernente gli episodi di violenza e la
qualità della vita nelle caserme delle Forze armate, sulla quale
è stata acquisita, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del
regolamento, l'intesa con il Presidente della Camera. L'indagine
conoscitiva è stata quindi deliberata dalla Commissione nella seduta
del 16 settembre 1999 e si è avviata, con la prima audizione, il 22
settembre 1999. L'obiettivo dell'indagine, nelle intenzioni della
Commissione, era sostanzialmente legato alla opportunità di valutare
i problemi esistenti in relazione alle condizioni di vita nelle caserme,
con particolare riferimento ai più recenti episodi di violenza ai
danni di giovani militari di leva verificatisi presso strutture delle Forze
armate, anche al fine di prospettare una serie di soluzioni a tali
problemi. In questo quadro generale, la Commissione Difesa ha ritenuto che
fosse un obiettivo prioritario per il Parlamento quello di conoscere in
maniera approfondita le principali questioni sul tappeto, mediante una
verifica dell'efficacia delle iniziative legislative ed amministrative
già avviate per far fronte a tali questioni.Il tema dell'indagine
conoscitiva svolta dalla Commissione, d'altra parte, non pone soltanto una
importante questione di natura giuridica e amministrativa, ma anche un
problema di ordine sociale di grande dimensione, atteso che il servizio
svolto dai giovani cittadini presso le Forze armate coinvolge, per un
verso, valori essenziali per lo stesso futuro della difesa e sicurezza
nazionale, e, per altro verso, diritti fondamentali che fanno capo alla
singola persona umana.Per consentire, dunque, al Parlamento di svolgere un
ruolo di controllo su tali fenomeni, la Commissione ha promosso l'indagine
conoscitiva, che ha favorito l'acquisizione di elementi informativi
particolarmente significativi ed importanti spunti di riflessione. Le
persone audite nell'ambito dell'indagine conoscitiva sono state
complessivamente 30, nel corso di 8 sedute. Sono state svolte le audizioni
del Ministro della difesa, del Capo di Stato maggiore della Difesa, del
Capo di Stato maggiore dell'Esercito, del Capo di Stato maggiore della
Marina, del Capo di Stato maggiore dell'Aeronautica, dei membri della
Commissione per la prevenzione e lo studio del fenomeno del
"nonnismo", del Segretario dell'Osservatorio permanente sulla
qualità della vita nelle caserme (istituito presso lo Stato maggiore
dell'Esercito), dei Procuratori militari della Repubblica presso i
Tribunali di Padova e di Roma, dei rappresentanti del Consiglio centrale
della rappresentanza militare (COCER-Interforze), dei rappresentanti delle
associazioni dei genitori dei militari di leva e di vittime di episodi di
violenza nelle caserme (ANGESOL e ANAVAFAF). L'indagine conoscitiva ha
consentito alla Commissione, in primo luogo, di delineare il quadro
normativo vigente e, inoltre, di verificare i problemi emersi e le
possibili soluzioni attuabili per affrontare due temi, che, sia pur
distinti, sono tra loro intimamente connessi: quello degli episodi di
violenza nelle caserme e quello della qualità della vita nelle
strutture delle Forze armate.Di tali aspetti si intende dar conto nelle
prossime sezioni del documento.
2. Gli episodi di violenza
(in particolare, il fenomeno del "nonnismo")
2.1. Il quadro della
disciplina vigente (la normativa penale)
Per quanto concerne il primo dei due
profili oggetto dell'indagine conoscitiva, relativo ai comportamenti di
sopraffazione e violenza nelle caserme, è evidente che questi
comportamenti si configurano come violazioni sia dei diritti inalienabili
della persona che dei principi della disciplina e dell'autorità
militare. Tali episodi vengono comunemente definiti con il termine di
"nonnismo" o, secondo alcuni soggetti auditi, con il termine di
"bullismo".Nel nostro ordinamento, non esiste una definizione
giuridica autonoma del fenomeno sopra descritto, né all'interno del
codice penale, né tanto meno all'interno del codice penale militare
di pace. Un concetto di natura generale è quello che lo stesso
codice penale militare di pace individua (articolo 43) con la definizione
di violenza. L'articolo 43 sancisce infatti che, "agli effetti della
legge penale militare, sotto la denominazione di violenza si comprendono
l'omicidio (....), le lesioni personali, le percosse, i maltrattamenti, e
qualsiasi tentativo di offendere con armi".Per il resto, il codice
medesimo disciplina specificamente le singole tipologie di reati, non
contemplando, tuttavia, in maniera autonoma il compimento di "atti di
nonnismo". Sebbene l'elencazione non possa considerarsi esaustiva, si
segnalano in particolare le seguenti disposizioni: l'intero Capo III del
codice (articoli da 222 a 229), che disciplina i reati di percosse, lesioni
personali, ingiuria, minacce, diffamazione; la requisizione arbitraria
(articolo 133); l'abuso nelle requisizioni (articolo 134); la violenza
contro un inferiore (articolo 195). Un caso particolare è inoltre
costituito dall'articolo 209 del codice, che stabilisce alcuni principi in
materia di duello tra militari, mettendolo in relazione alle pene stabilite
per l'insubordinazione, l'abuso di autorità, l'omicidio o la lesione
personale.Va infine ricordato che l'articolo 260, comma 2 del codice penale
militare di pace prevede che per questa serie di reati, per i quali la
legge stabilisce la pena della reclusione fino a sei mesi (tra tali reati
rientrano, pertanto, le fattispecie sopra evidenziate), i responsabili sono
puniti "a richiesta del comandante del corpo o di altro ente
superiore, da cui dipende il militare colpevole, o, se più sono i
colpevoli e appartengono a corpi diversi o a forze armate diverse, dal
comandante del corpo dal quale dipende il militare più elevato in
grado, il superiore in comando o il più anziano".
2.2. Le principali
iniziative adottate
Per quanto riguarda il versante operativo,
l'indagine conoscitiva ha potuto accertare che i vertici dell'istituzione
militare ed il Governo hanno iniziato a perseguire, soprattuttonel corso
dell'ultimo biennio, una specifica azione che unisce, all'osservazione e
alla repressione, l'adozione di iniziative volte a prevenire il fenomeno
della violenza nelle caserme anche attraverso l'analisi delle sue cause.
L'iniziativa di più vaste dimensioni
è quella attuata dalla struttura maggiormente interessata, in
termini numerici e quantitativi, dal fenomeno del "nonnismo", lo
Stato maggiore dell'Esercito, che nell'aprile 1998 ha incaricato una
"Commissione di esperti" di approfondire la tematica del c.d.
"nonnismo" in tutti i suoi aspetti, offrendo elementi per la
prevenzione e la soluzione del problema delle condizioni di disagio e
violenza all'interno delle caserme. La Commissione, composta sia da
soggetti interni che da esperti esterni all'amministrazione, ha
predisposto, al termine del suo lavoro (marzo 1999), una relazione
conclusiva, che individua una serie di aspetti problematici e definisce
soluzioni operative per affrontare la questione.Conseguenza di tale
relazione è stata l'emanazione di una circolare da parte del Capo di
Stato maggiore dell'Esercito, del 24 marzo 1999, che ha dettato una serie
di direttive per contrastare il fenomeno della violenza nelle caserme.In
particolare, con tale atto è stato istituito un "Osservatorio
permanente sulla qualità della vita nelle caserme e sui disagi
sofferti dal personale", quale diretto organo di consulenza del Capo
di Stato maggiore dell'Esercito. Tale organismo si avvale inoltre
dell'attività di un "Numero Verde". L'Osservatorio opera
con compiti di monitoraggio, elaborazione ed analisi di tutte le
informazioni relative ai casi di "nonnismo" verificatisi
nell'ambito dell'Esercito. L'attenzione delle indagini è peraltro
estesa alle condizioni oggettive che possano favorire o facilitare il
fenomeno, al fine di potenziare le azioni di contrasto. Il monitoraggio
avviene mediante segnalazioni dirette all'Osservatorio, da parte dei
Reparti presso i quali si verificano gli episodi, corredate da una
relazione dettagliata sull'evento.Inoltre, le eventuali notizie o
segnalazioni sono raccolte tramite il citato "Numero Verde", che
provvede alla ricezione delle denunce di fatti rilevanti da parte dei
singoli soggetti interessati. Il "Numero Verde" è gestito
da militari di leva: qualsiasi problema segnalato viene seguito dallo
stesso operatore che ha ricevuto la telefonata ed è lo stesso
militare di leva a comunicarne gli esiti agli interessati. Con la
circolare-direttiva del 24 marzo 1999 è stato inoltre predisposto un
questionario finalizzato a rilevare informazioni sulla qualità della
vita nelle caserme, che costituisce uno strumento informativo per lo stesso
Osservatorio e conoscitivo per i vertici di ciascun ente o reparto. Sulla
base dei dati del questionario, è stata successivamente predisposta
una check-list per il controllo di qualità della direttiva stessa,
anche al fine di misurare il grado di partecipazione e di motivazione della
linea di comando.Nell'ambito dello Stato maggiore della difesa opera,
inoltre, fin dal maggio 1998, un Osservatorio permanente sul nonnismo (OPN)
con modalità e compiti analoghi a quello dell'esercito, ma rivolto
verso tutte le situazioni di interesse delle tre Forze armate. Anche in
tale organismo interforze, le segnalazioni pervengono direttamente dai
reparti presso cui si sono verificati gli episodi, dettagliatamente
documentate. Tali segnalazioni consentono al Capo di stato maggiore della
difesa di disporre di dati sempre aggiornati che formano oggetto di una
specifica relazione sul fenomeno, presentata attualmente al Ministro della
difesa.Infine, lo stesso Ministro della Difesa, anche in seguito ad alcuni
gravi episodi verificatisi nell'estate del 1999, ha riunito (il 9 settembre
1999) gli alti gradi militari, per impartire e rafforzare alcune direttive
con l'obiettivo di contrastare il fenomeno del "nonnismo". In
particolare, il Ministro ha evidenziato 7 direttive di base da seguire
presso le diverse sedi interessate (enti, reparti, etc.):
2.3. La dimensione
complessiva del fenomeno
La Commissione ha unanimemente riconosciuto
che il verificarsi di episodi di "nonnismo" nelle caserme
costituisce un fenomeno di estrema gravità, nei cui confronti tutte
le Forze armate, senza alcuna distinzione, sono tenute a confrontarsi con
impegno e determinazione. Tale fenomeno, infatti, rappresenta un vulnus
all'organizzazione di moderne e strutturate Forze armate, che non
può avere alcuna valenza positiva e va, quindi, sradicato. Non
bisogna infatti trascurare che il fenomeno del "nonnismo"
rappresenta la palese violazione di una serie di principi di enorme
rilievo.Esso è, in primo luogo, un fenomeno di sub-cultura, che lede
i diritti dell'individuo ed i valori della persona umana. Come tale, il
fenomeno rappresenta una vera e propria minaccia per i valori umani ed
etici di una società che possa realmente definirsi democratica.
Inoltre, il "nonnismo" costituisce un elemento di sovversione
della stessa organizzazione delle Forze armate, minando la solidità
dell'istituzione militare e alterando, in qualche misura, il sistema dei
valori di riferimento dei giovani di leva. Esso tende infatti ad affiancare
(o addirittura a sostituire) alla figura dell'ufficiale o del
sottufficiale, quella del "soldato anziano", che non ha alcun
merito specifico se non quello, piuttosto casuale, dell'anzianità di
servizio. La Commissione, nel corso dell'indagine, ha pertanto potuto
verificare che il "nonnismo", come pratica sociale all'interno
delle strutture militari, si manifesta sostanzialmente nelle seguenti
modalità:
Pertanto, l'aspetto di maggiore disvalore del nonnismo si deve cogliere nella prevaricazione fondata sulla maggiore anzianità di servizio, che ispira il compimento di atti di violenza, minaccia, ingiuria o, comunque non qualificabili penalmente, realizzati, a danno di un soggetto più giovane, da militari di pari grado o anche di grado superiore.Definito in questi termini il fenomeno, la Commissione ha ritenuto importante valutare anche i dati relativi alla sua effettiva estensione. Lo Statomaggiore della difesa, in tutto il 1998, ha registrato 268 casi di violenza qualificabili come episodi di "nonnismo". Tali episodi hanno riguardato 391 militari di leva, di cui 375 denunciati all'autorità giudiziaria e 307 puniti disciplinarmente. Si ricorda in proposito che i dati relativi agli anni 1995, 1996 e 1997, precedenti alle iniziative messe in opera dagli Stati maggiori delle Forze armate, riportano rispettivamente 97, 85 e 99 casi denunciati. Per contro, considerando i dati definitivi del 1999, il computo complessivo si assesta su 122 casi (oltre il 50% in meno rispetto al 1998), coincisi con la denuncia all'autorità giudiziaria di 188 militari e la punizione di 109 militari. La tendenza è pertanto in regressione, anche considerando che, per il 1998, l'azione di sensibilizzazione sembrerebbe aver condotto ad un notevole aumento del numero di denunce: il dato relativo al 1999 sembra invece testimoniare una certa maggiore efficacia delle iniziative intraprese.Inoltre, sempre con riferimento al 1999, nel 46 per cento dei casi rilevati si è trattato di scherzo lieve, nel 9 per cento di scherzo grave, nel 7 per cento di violenza fisica lieve, nel 38 per cento di violenza fisica grave. Gli autori di questi atti sono esclusivamente soldati o caporali (o gradi equipollenti). Si evidenzia peraltro che la prevalenza di atti di nonnismo vede come autori militari con un basso livello di istruzione, tanto che nel 67,5% dei casi rilevati, tali atti sono stati compiuti da reclute con un titolo di studio non superiore alla licenza media. Passando ad una disaggregazione dei dati per Forza armata, l'elemento più rilevante riguarda l'Esercito, al cui interno sono stati accertati e sanzionati, per il 1998, complessivamente 235 episodi di "nonnismo". Pertanto, i casi registrati nel 1998 nell'esercito rappresentano, facendo riferimento al numero di militari di leva incorporati, meno di 2 casi su 1.000 presenti. Nel 1998, inoltre, il numero delle denunce all'autorità giudiziaria di eventi attinenti comunque alla prevaricazione risulta pari a 285 casi. Nel 1999, al contrario, risultano soltanto 108 episodi, ossia poco meno della metà degli episodi rilevati nell'equivalente periodo dello scorso anno, con 150 militari denunciati e 71 puniti. Quanto alla Marina militare, negli ultimi tre anni sono stati formalmente rilevati soltanto 17 casi riconducibili ad episodi di "nonnismo": 4 nel 1997, 11 nel 1998, 2 nel 1999 (con 7 militari denunciati e puniti). Tutti i casi sono stati denunciati all'autorità giudiziaria militare. In quattro casi, quelli più gravi, i comandanti hanno avanzato richiesta di procedimento penale. Dopo la diramazione di nuove disposizioni, che prevedono tra l'altro garanzia di massima tutela dell'eventuale vittima di atti di "nonnismo", non è stato rilevato alcun incremento del fenomeno, neppure al Numero Verde in funzione presso l'ufficio generale del personale della Marina dal 1991 (in proposito, si ricorda che si tratta di un Numero Verde di carattere generale, non specificamente destinato al fenomeno del "nonnismo", che dà informazioni ai militari ed è gestito da un impiegato civile). Va inoltre rilevato che nella realtà della Marina militare il nonnismo sembra manifestarsi per lo più negli enti di terra, dove soggetti già inclini alla violenza possono cogliere circostanze favorevoli per affermare la loro pseudo-superiorità con atti dispotici o aggressivi, a danno di altri militari meno anziani in servizio. Sulle navi, dove peraltro il numero di marinai di leva è contenuto nel 15-20 per cento del totale dell'equipaggio, vi sono alcuni fattori che tendono a ridurre i presupposti e rendono oggettivamente difficile l'atto di nonnismo.All'interno della Aeronautica militare, nel 1999 sono stati rilevati 12 casi di nonnismo, che hanno coinvolto 31 militari. I dati, che dimezzano sostanzialmente i valori del 1998 (23 casi, con 47 militari coinvolti), sembrerebbero avere un'estensione piuttosto limitata, spiegabile anche con il fatto che l'Aeronautica, a differenza delle altre Forze armate, si trova a gestire un numero di coscritti più ristretto. Lo stesso Capo di Stato maggiore dell'Aeronautica, nel corso della sua audizione, ha affermato che il fenomeno del nonnismo, almeno per l'Aeronautica, appare di per sé poco significativo.Una annotazione aggiuntiva meritano infine i dati riguardanti l'attività del Numero Verde creato presso lo Stato maggiore dell'Esercito. Dall'istituzione del servizio al novembre 1999 (19 mesi), sono giunte circa 2.700 telefonate, 412 di militari (per lo più in servizio di leva) e circa 2.300 di varie persone. Tra queste telefonate, soltanto 57 attengono ad atti di prevaricazione: 22 sono risultate lamentele generiche o correlate a precisi episodi di nonnismo; 20, anonime, hanno consentito un effettivo riscontro presso i reparti, portando all'individuazione di precise responsabilità, che sono state perseguite; 15, non anonime, sono risultate attinenti a reali episodi di prevaricazione (questi casi sono stati oggetto di denuncia e di provvedimenti disciplinari). Va peraltro rilevato, in questa sede, che dati parzialmente difformi rispetto ai precedenti sono quelli forniti nella "Relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario", presentata all'Assemblea generale della Corte militare di appello, il 27 gennaio 2000, dal Procuratore generale militare della Repubblica presso la stessa Corte militare di appello. Secondo tali dati, infatti, i reati originati da atti di "nonnismo", di cui le Procure militari si sono occupate nel 1999, risultano complessivamente 861 (contro i 122 episodi rilevati dal Ministero della difesa). In particolare, ben 271 casi hanno riguardato ipotesi di lesioni personali (articolo 223 del codice militare di pace), anche se soltanto in 3 occasioni si è trattato di lesione grave o gravissima. Sono invece stati 144 i casi in cui è ricorsa l'ipotesi del reato di percosse (ai sensi dell'articolo 222). In proposito, occorre segnalare che il Ministro della difesa, nel corso della sua audizione, nell'osservare che l'aumento delle denunce è da considerarsi un effetto positivo della maggiore vigilanza operata dalle strutture militari, ha chiarito i tre motivi che sembrano stare all'origine di tale difformità:
2.4. I problemi rilevati
Un primo ordine di questioni rilevate nel
corso dell'indagine conoscitiva ha riguardato l'inquadramento giuridico del
fenomeno del "nonnismo" e, più in generale, degli episodi
di violenza che si verificano all'interno delle strutture militari.Molti
soggetti intervenuti nel corso delle audizioni hanno lamentato la mancanza
di un inquadramento penale dei reati di "nonnismo". A causa di
tale lacuna normativa, infatti, diventa spesso impossibile punire in modo
adeguato i responsabili dei reati commessi, anche perché la
magistratura competente si trova generalmente a dover ricorrere, in tali
occasioni, ad adattamenti interpretativi dei diversi reati previsti dal
codice penale militare di pace.Ne consegue concretamente che le condotte
ispirate al nonnismo, o vengono punite con pene assolutamente inadeguate
(le stesse previste per reati non determinati da alcuna motivazione), o non
possono essere in alcun modo perseguite in quanto la loro rilevanza non
raggiunge la soglia minima del "penalmente apprezzabile", o
addirittura finiscono per rientrare nel reato comune - di competenza del
giudice ordinario - di violenza privata, essendo perciò sottratte ad
una pronta perseguibilità dinanzi agli organi della giustizia
militare, per essere affidati alla cognizione della giustizia ordinaria,
oberata dal lavoro e perciò spesso costretta a svalutare la
specifica rilevanza di tali comportamenti. Un'ulteriore distorsione
è costituita dal fatto che attualmente, per il mite trattamento
sanzionatorio stabilito per le figure di reato previste - tutte punite con
pena detentiva non superiore a sei mesi - la perseguibilità dei
reati è subordinata esclusivamente alla richiesta del comandante di
corpo (ai sensi dell'articolo 260, comma 2, del codice penale militare di
pace), sicché la parte lesa è di fatto espropriata della
facoltà di presentare querela. La vittima del reato, in altre
parole, può ottenere la tutela delle proprie ragioni solo attraverso
la volontà del comandante, il quale, nell'ottica del codice, deve
valutare preminentemente l'interesse militare, posponendovi eventualmente
quello della parte lesa, che si deve perciò attenere a tale
insindacabile decisione. E' di tutta evidenza che l'impianto del codice
risponde a valutazioni obsolete e non più condivise da gran parte
della collettività, che giudica ormai superata l'idea di una
separatezza delle regole giuridiche del mondo militare rispetto a quello
civile. Connesso a tale ultimo profilo, vi è inoltre il problema
della mancanza di un referente unitario del controllo giudiziario della
vita di caserma. Tutto quello che ha a che fare con il diritto penale,
infatti, è attualmente compreso in parte nel codice penale militare
di pace e in parte nel codice penale comune, così come il controllo
giudiziario della vita di caserma era affidato, fino a poco tempo fa, prima
dell'istituzione del giudice unico, alla procura presso la pretura, alla
procura presso il tribunale e alla procura militare, senza che tra le tre
sfere di competenza ci fosse una linea di demarcazione razionale. Quindi,
il sistema presenta degli scollamenti, delle antinomie, delle
contraddizioni: si pensi ad esempio che, fino a quando i fatti penalmente
rilevanti commessi da un militare nei confronti di altro militare
pari-grado si traducono in percosse o lesioni personali, la competenza
è dell'autorità giudiziaria militare; quando arrivano
all'omicidio, o anche semplicemente all'estorsione o al sequestro di
persona, la competenza passa all'autorità giudiziaria ordinaria.
Come è facile notare, si tratta di contesto normativo alquanto
complesso, che peraltro non esaurisce l'intero ambito di questioni
esistenti sul tappeto. Infatti, l'indagine svolta dalla Commissione ha
consentito altresì di individuare tutta una serie di ulteriori
profili, di natura organizzativa, sociale ed ambientale, che contribuiscono
alla proliferazione di episodi di violenza e prevaricazione all'interno
delle strutture delle Forze armate. Tali problematiche sono state
segnalate, oltre che dagli stessi vertici militari, anche dagli esperti
esterni all'amministrazione della difesa, nonché dai rappresentanti
delle associazioni delle famiglie delle vittime e dai Consigli della
rappresentanza militare delle diverse Forze armate. Una prima valutazione,
emersa in diversi interventi, riguarda il livello di trasparenza delle
stesse Forze armate: secondo alcuni, infatti, le strutture militari
sarebbero ancora troppo chiuse nei confronti del mondo esterno e poco
attente ai profondi cambiamenti evolutivi intervenuti nella società
contemporanea e, in particolare, all'interno dell'universo giovanile. Si
tratta di riflessioni che fanno riferimento anche ad una sorta di disagio
psicologico diffuso nella società contemporanea che, entrando in
contatto con una realtà difficile e, per certi versi, impermeabile
come quella militare, tende a riverberarsi all'interno delle caserme. Un
altro aspetto di assoluto interesse, che andrebbe valutato con particolare
prudenza, riguarda poi la definizione, fornita da più soggetti
auditi, del "nonnismo" come elemento indiretto di ordine
all'interno delle caserme. In sostanza, da parte di alcuni è stato
affermato che la gerarchia insita nel fenomeno del "nonnismo"
sarebbe comunque una garanzia di mantenimento dell'ordine nelle strutture
militari e, come tale, sarebbe accettata (purché non raggiunga
livelli patologici) dagli stessi responsabili delle caserme. Contro questa
impostazione, si è affermato che, sebbene sia teoricamente possibile
che gli interessi di fondo coincidano, tuttavia il "nonnismo"
costituisce comunque una forma di "contro-potere" rispetto alla
gerarchia militare, che viene scardinata e sostituita da forme gerarchiche
anomale. Va peraltro sottolineato che la Commissione ha potuto rilevare
anche elementi di critica, sollevati da diversi soggetti intervenuti nel
corso delle audizioni, in relazione alle capacità di comando che
fanno capo ai responsabili operanti ai vari livelli all'interno delle
caserme. Si è in sostanza affermato che sarebbe piuttosto carente,
soprattutto ai livelli più bassi di comando, la propensione ad
esercitare una reale funzione direttiva e gerarchica.Un ulteriore punto
critico riguarda poi le misure di prevenzione concretamente adottate contro
i fenomeni di violenza nelle caserme. In tal senso, è stato
sottolineato come, anche per mancanza di incentivi di natura economica, si
tenda, soprattutto negli ultimi anni, ad una riduzione della copertura
oraria degli ordinari servizi di controllo e sorveglianza all'interno delle
caserme (che sarebbero tendenzialmente garantiti in misura sufficiente nei
soli giorni feriali e, di norma, fino alle 16,30). Soprattutto nelle ore
notturne, dunque, vi sono maggiori probabilità di proliferazione di
episodi di violenza e prevaricazione che, in assenza di un congruo servizio
di sorveglianza, possono trovare terreno fertile tra i militari più
anziani. Altro elemento problematico è poi costituito dalla relativa
impreparazione di molti giovani alla vita militare e dalla carenza di una
loro informazione e formazione costanti. Sono profili tra loro connessi e
complementari, che riguardano la scarsità di nozioni fornite ai
giovani che si avvicinano al mondo militare, i quali, spesso, conoscono
soltanto alcuni aspetti, talvolta marginali, della vita di caserma.
Strettamente collegato a tale profilo è poi quello, segnalato da
molti soggetti auditi, della mancanza di una specifica educazione civica in
buona parte dei giovani che si avvicinano al mondo militare: tale dato
contribuirebbe a ridurre la coscienza che ha il singolo cittadino di
svolgere un servizio a vantaggio dell'intera collettività. Ulteriori
problemi sono stati sollevati, infine, con riferimento agli aspetti
più direttamente attinenti alle modalità di manifestazione
dei fenomeni di violenza nelle caserme. In particolare, sono stati
individuati i seguenti profili patologici: difficoltà di contenere
nell'ambito della semplice "goliardia" il rituale di scherzi e di
atti che sono connessi alla convivenza di più persone all'interno
delle caserme. Da atti goliardici, infatti, essi tendono generalmente a
sfociare in ingiuste prevaricazioni e soprusi, che poco hanno a che vedere
con gli aspetti ludici e scherzosi della vita in comune tra commilitoni;
inesistenza di soggetti, esterni all'amministrazione della difesa, che
siano in grado di proteggere concretamente i giovani sottoposti ad atti di
nonnismo. Può infatti accadere che i giovani costretti a subire le
violenze non trovino adeguata tutela all'interno delle caserme, da parte
dei livelli più bassi di comando, che, invece di rendere noti ai
livelli superiori gli atti di nonnismo, possono tendere talvolta a
minimizzarli o ad impedirne materialmente la denuncia; scarso
coinvolgimento degli organi di rappresentanza sindacale nella
attività di prevenzione. Alcuni rappresentanti del Consiglio
centrale della rappresentanza militare (COCER-Interforze) hanno lamentato,
in sede di audizione in Commissione, le difficoltà ad intervenire in
modo incisivo sui problemi legati alla diffusione del fenomeno del nonnismo
nelle strutture delle Forze armate.
2.5. Le soluzioni
prospettate
Di fronte alle questioni sorte nel corso
dell'indagine conoscitiva, una prima serie di proposte ha riguardato il
versante giuridico e le connesse possibili riforme della normativa in
materia penale. In particolare si ritiene necessario, da parte di alcuni,
che il fenomeno del nonnismo trovi una regolamentazione penale
differenziata rispetto alle altre fattispecie previste dall'attuale
normativa, stabilendo che il compimento di atti di nonnismo sia punito in
modo specifico, o come figura di reato a sé, o come circostanza
aggravante. Andrebbe pertanto verificata la praticabilità di una
modifica dell'attuale quadro normativo, che fornisca il necessario
strumento penale per la repressione di comportamenti improntati a nonnismo.
A tale riguardo, sono state proposte due soluzioni alternative: la prima
soluzione ritiene auspicabile un intervento additivo, che configuri un
autonomo reato di "nonnismo", il quale dovrebbe operare sul
codice penale militare (nella forma della novella legislativa), mediante
l'aggiunta di uno o più articoli nel capo dei reati contro la
persona (articoli 222 e seguenti del codice penale militare di pace).
L'inserimento nel corpo del codice consentirebbe di qualificare le nuove
figure come reato militare, secondo la nozione estremamente formale fornita
dall'articolo 37 del codice penale militare di pace, e nel contempo
garantirebbe l'applicazione anche a tali nuovi reati delle disposizioni
generali del codice penale militare, in un'ottica di organicità e
coerenza del sistema. La nuova norma, nel qualificare il reato, dovrebbe
essere formulata nel senso di prevedere che ricorre il "nonnismo"
in tutti i casi in cui il militare, che offende altro militare, si avvale
della forza intimidatrice derivante dalla maggiore anzianità di
servizio; l'impostazione alternativa propone invece una modifica del codice
penale militare di pace, nel senso di sancire, pur senza alcun riferimento
esplicito agli atti di "nonnismo", una sorta di
"militarizzazione" del reato di violenza privata, con
l'inserimento nel codice penale militare di tale nuova figura, analogamente
a quanto avviene per il codice penale comune, prima del reato di minaccia
(articolo 229 del codice penale militare di pace). La modifica dovrebbe
prevedere che il militare che, con violenza o minaccia o con abuso del
grado o della maggiore anzianità in servizio, costringe altro
militare a fare, tollerare o omettere qualcosa, sia punito con la
reclusione militare. Dovrebbe peraltro essere prevista, accanto alla norma
generale, un'aggravante facoltativa, da applicarsi su valutazione del
giudice, in considerazione della gravità in concreto del fatto e
della sostanziale plurioffensività del reato militare. Secondo i
sostenitori di tale proposta, la prospettata soluzione sarebbe preferibile,
in quanto non implicherebbe la cristallizzazione normativa della nozione di
"atti di nonnismo", ma lascerebbe alla giurisprudenza il compito
di individuare le fattispecie concrete di nonnismo rilevanti penalmente,
discriminando - compito di non facile portata - i comportamenti di
cosiddetta "goliardia", ammissibili e tollerabili anche nella
vita militare, dagli atti di prevaricazione tout court, meritevoli di essere sanzionati penalmente.
Va inoltre segnalato che, con riferimento ad e
ntrambe le soluzioni, è stata comunque rilevata, da più
parti, l'assoluta opportunità di inserire un'aggravante speciale
consistente nel compimento del fatto da parte di più militari
riuniti, in quanto tale circostanza concretizza una forte soggezione del
soggetto debole e rende, in definitiva, maggiormente anti-giuridico il
fatto stesso. Vi è poi la questione relativa all'articolo 260 del
codice penale militare di pace, che prevede la procedibilità dei
reati solo su segnalazione del comandante di corpo. Su tale argomento sono
state presentate, di recente, diverse proposte di iniziativa parlamentare
(nonché una proposta avanzata dal Consiglio della magistratura
militare), che sembrano prospettare una duplice soluzione: una prima
ipotesi prospetta l'idea di modificare radicalmente la disposizione di cui
all'articolo 260, prevedendo che l'azione giudiziaria sia procedibile
d'ufficio o, comunque, a richiesta del soggetto o dei soggetti lesi;
un'altra ipotesi, invece, prevede di integrare l'attuale formulazione
dell'articolo 260, aggiungendo, in via alternativa, alla richiesta di
procedimento da parte del comandante, la condizione di procedibilità
costituita dalla querela del soggetto leso.
Entrambe le soluzioni prospettate sembrerebbero
idonee a colmare una evidente lacuna dell'ordinamento, che si era
evidenziata già da diversi anni, allorché l'istituto della
richiesta di procedimento era stato portato al vaglio della Corte
costituzionale per la ritenuta illegittimità, con la sola notazione
che sembrerebbe eccessivo stabilire la procedibilità d'ufficio anche
per fatti cosiddetti "bagattellari" (quali ingiurie tra pari
grado e simili), che ben possono sottostare alla decisione della parte di
volere o meno la punibilità penale. Infine, sempre dal punto di
vista giuridico, è stata prospettata una soluzione di natura
organizzativa, che consiste nella complessiva razionalizzazione del sistema
della giurisdizione militare, che, nella sua attuale configurazione,
comporta il verificarsi di una serie di problemi (emersi anche in sede di
Commissione bicamerale per la revisione della Costituzione, in cui si
è svolto un dibattito sul futuro delle giurisdizioni speciali in
genere e della giurisdizione penale militare in particolare). Tale
intervento di razionalizzazione, attuabile anche mediante un ampliamento
della nozione di reato militare prevista dall'articolo 37 del codice penale
militare di pace, consentirebbe di risolvere le antinomie esistenti, che
sono non solo negative dal punto di vista della completezza e della
razionalità del sistema, ma in qualche caso addirittura foriere di
confusione, proprio perché si registra una polverizzazione di
interventi tra autorità giudiziarie (militare e ordinaria), che
certamente rende meno incisivo l'intervento della giustizia in un settore
così delicato. Passando al versante delle soluzioni di natura
operativa, sono stati prospettati alla Commissione diversi interventi, per
lo più di natura non legislativa, che vengono di seguito illustrati.
In linea generale, si è proposto di favorire, per tutte le Forze
armate, un processo di maggiore apertura verso l'esterno delle istituzioni
militari. Si tratta, in sostanza, di ridurre quella che è stata
definita una sorta di "opacità" dell'istituzione militare,
che fa sì che essa appaia ai cittadini come un qualcosa di separato,
che si contraddistingue anche per luoghi fisici chiaramente
delimitati.L'istituzione militare avrebbe bisogno di quello che è
stato efficacemente definito un "intervento di marketing
sociale", che la collochi su posizioni di apertura più prossime
alla collettività nazionale. In questo quadro, i fenomeni di
nonnismo non possono e non debbono essere tollerati dal mondo militare,
neanche nell'accezione, che si è in precedenza individuata, di
"sotto-forma" di ordine gerarchico all'interno delle caserme. Il
principio di gerarchia insito nell'istituzione militare, infatti, non
può essere scardinato da forme "fittizie" di ordine
gerarchico, basate su regole e principi non condivisi.E' a tal fine
opportuno, secondo quanto segnalato da molti intervenuti, garantire un
significativo aumento del controllo nelle strutture delle Forze armate,
rafforzando ogni possibile forma di sorveglianza nelle caserme, che miri
alla efficace prevenzione dei fenomeni di violenza e, se del caso, alla
loro tempestiva repressione. Il raggiungimento di tale obiettivo è
possibile, non soltanto con la concessione di incentivi ed indennità
di natura economica al personale destinato alla sorveglianza, ma anche con
una razionalizzazione dei turni di presenza nelle caserme e con
l'introduzione di meccanismi di flessibilità nell'orario di
lavoro.
Ciò potrebbe avvenire, ad esempio,
prevedendo controlli a sorpresa o senza preavviso, in tutte le ore (anche
notturne) all'interno delle caserme, nonché creando una specie di
"codice di auto-disciplina" per i comandanti di caserma che
devono sorvegliare e garantire le condizioni di vita di tutti i militari.
Va poi lanciata una potente campagna di informazione e di formazione per i
giovani che si avviano al servizio militare. I canali che vengono
utilizzati per dare possibilità alle giovani reclute di apprendere
modalità, regole, costumi e consuetudini all'interno della caserma
(o eventualmente sapere a chi rivolgersi quando ci sono problemi di
qualsiasi tipo) sono palesemente insufficienti. La figura del consigliere
militare o quella del cappellano, ad esempio, presentano una serie di
limiti evidenti, essendo molto dubbio che queste siano le figure più
adatte a raccogliere eventuali richieste o lamentele, nonché a
cogliere il clima che si è instaurato all'interno di una struttura.
Secondo quanto emerso nel corso dell'indagine, dunque, una iniziativa di
rilancio del sistema di informazione può essere condotta su due
distinti versanti: formazione interna, nel senso di creare figure in grado
di istruire il militare alla vita di caserma, rafforzarne la preparazione
specifica, accrescere il grado di educazione civica al servizio della
collettività, aumentarne le conoscenze sui valori costituzionali e
su quelli fondamentali della nostra società, sensibilizzarlo alle
impegnative trasformazioni in atto nel mondo militare (missioni
internazionali, volontariato, etc.); comunicazione esterna, intervenendo su
tutti i livelli di informazione, al fine di far comprendere, a chi si
presenta in caserma, cos'è il fenomeno del nonnismo e come
combatterlo in concreto. Tali iniziative potrebbero essere accompagnate
dalla diffusione sui giornali, o dalla trasmissione a livello televisivo
nazionale, di spot pubblicitari, che contribuiscano a sviluppare un
giudizio negativo del fenomeno, non solo all'interno delle caserme, ma
anche nell'intero tessuto sociale.
Sul versante operativo, inoltre, occorre che i
responsabili della catena di comando sappiano fissare, con la giusta
flessibilità, una netta e invalicabile linea di demarcazione tra
goliardia e nonnismo. Pur tollerando un certo spazio per gli aspetti ludici
della vita di caserma, che possono anche rappresentare momenti di
rilassamento e serenità tra i commilitoni, è infatti
necessario che non si travalichi quel confine che, il più delle
volte, comporta l'esplosione di gravi fenomeni di violenza e
prevaricazione. Da tutti o quasi i soggetti intervenuti nel corso
dell'indagine, è inoltre considerata altamente auspicabile
l'adozione di un provvedimento, preferibilmente di natura legislativa, che
preveda l'istituzione di un "garante" o di un "difensore
civico" dei militari di leva. Il ruolo di garante dovrebbe essere
ricoperto da un soggetto esterno all'amministrazione della difesa, dunque
non incardinato nello Stato maggiore della difesa o delle diverse Forze
armate, con caratteristiche di indipendenza e imparzialità e con
compiti di raccolta delle segnalazioni provenienti dai giovani che
subiscono atti di nonnismo o di violenza in generale. In proposito, si
ricorda che è attualmente all'esame della Commissione Difesa della
Camera il testo unificato di varie proposte di legge (A.C. 345 e abb.),
finalizzato a introdurre modifiche alla legislazione vigente in materia di
leva, il cui articolo 10 prevede l'istituzione del Garante per la tutela
dei cittadini che prestano servizio di leva. Tale norma potrebbe essere
rivista e migliorata nel corso dell'esame in Commissione, cogliendo gli
opportuni suggerimenti avanzati nelle audizioni.Un ulteriore elemento di
prevenzione dei fenomeni di violenza nelle caserme delle Forze armate
può inoltre essere costituito dal rafforzamento degli organi di
rappresentanza, i quali rappresentano un istituto fortemente democratico,
che ha costituito un'innovazione di impatto molto rilevante dal punto di
vista simbolico sulla vita militare, quando fu creato alla fine degli anni
settanta. Si tratta tuttavia di un istituto che è stato spesso
svuotato di efficacia e, in taluni casi estremi, addirittura piegato
all'interno di modalità di esercizio del nonnismo. La partecipazione
agli organi di rappresentanza, talvolta, non è un compito che si
esercita attraverso una consapevolezza del valore democratico di questa
funzione, e lo si assume mediante modalità di elezione che si
svolgono rapidamente e informalmente, e attraverso procedure spesso
puramente burocratiche. In tal senso, è apparso opportuno a molti
segnalare l'esigenza di un rafforzamento di tali organismi, nel quadro di
una revisione complessiva dei processi legislativi in atto. Infine,
è stato proposta, da parte di alcuni soggetti auditi, la adozione di
uno "Statuto dei diritti del soldato", che dovrebbe garantire il
rispetto di una serie di requisiti minimi a favore dei giovani militari,
con particolare riferimento alla possibilità di istituire,
all'interno di ogni caserma, servizi psicologici e psichiatrici, non
soltanto per i soldati di leva, ma anche per sottufficiali e ufficiali, che
dovrebbero controllarli.
3. La qualità della vita nelle
caserme
3.1. La definizione
dell'argomento
La Commissione, nel corso dell'indagine, ha
potuto rafforzare il convincimento che la soluzione ai problemi della
violenza nelle strutture delle Forze armate è strettamente collegata
e, per certi versi, non può prescindere, dall'obiettivo del
miglioramento della qualità della vita nelle caserme. Le Forze
armate necessitano, infatti, di una radicale trasformazione organizzativa,
di una sorta di riconversione, passando da una "produzione di
massa" di forze umane soltanto potenzialmente operative, ancorate ai
confini nazionali ed impiegabili dopo un congruo tempo di mobilitazione, ad
una produzione di moduli operativi, impiegabili in contesti multinazionali,
imperniati su unità permanentemente addestrate. Questo è un
processo molto impegnativo, che richiede un lungo periodo di lavoro, con
sforzi organizzativi da condurre in diversi settori. In sostanza, è
indispensabile investire sulla qualità delle condizioni generali di
vita nelle strutture delle Forze armate. Come rilevato nel corso delle
audizioni svolte, infatti, vi sono su questo versante seri problemi, che
abbracciano più settori:
In questo contesto, l'attenzione della Commissione si è concentrata su alcuni aspetti della qualità della vita nelle nostre caserme, anche al fine di valutare le iniziative già avviate presso le Forze armate.
3.2. I problemi rilevati
In primo luogo, si è potuto rilevare
che all'Osservatorio permanente, costituito presso lo Stato maggiore
dell'Esercito, è già stato affidato il compito di studiare,
proporre ed utilizzare gli strumenti più efficaci per monitorare la
qualità della vita nelle caserme. In particolare, l'Osservatorio ha
ritenuto di rendere operativo un "questionario sulla qualità
della vita", finalizzato a verificare i profili attinenti alle
condizioni in cui i giovani di leva svolgono il servizio militare. Dopo
un'attività sperimentale, finalizzata alla stesura definitiva del
questionario e all'ottimizzazione delle modalità di gestione, sono
stati trasmessi, al novembre 1999, 1.544 questionari presso 16
unità. I risultati, immessi in un "data base" presso il
centro elaborazione dati dell'Esercito, sono stati consegnati ai
responsabili dello studio, che provvederanno alla loro analisi ed alla
stesura del rapporto finale. Il gruppo preposto alla predisposizione del
questionario ha anche valutato presso i reparti interessati il grado di
conoscenza e di compartecipazione del personale relativi alla direttiva
permanente del marzo 1999, più volte citata. Inoltre, l'Esercito sta
perseguendo alcuni specifici programmi nei diversi settori. Le
attività individuate per assicurare un soddisfacente standard delle
condizioni di vita riguardano i seguenti aspetti: infrastrutture, per
quanto attiene alla ripartizione ed organizzazione degli spazi
nonché delle funzionalità e dei servizi offerti, anche al
fine di rendere le disponibilità abitative pienamente funzionali ed
idonee ad ospitare reparti a prevalente componente professionale;
casermaggio e sistemazione degli alloggiamenti, con particolare riguardo
alla composizione ed alla qualità delle serie di mobili, ai servizi
forniti nelle infrastrutture per quanto attiene alla pulizia dei locali ed
al loro mantenimento in efficienza; dotazione di impianti sportivi moderni
ed adeguati allo svolgimento delle attività sportive per il
mantenimento degli indispensabili standard di efficienza fisica, ma anche
per offrire idonee strutture per il tempo libero; strutture ricreative
interne; vettovagliamento, inteso come miglioramento della qualità
del confezionamento, degli ambienti e delle modalità di
distribuzione nonché le indispensabili alternative alla razione
viveri; vestiario ed equipaggiamento, intesi come numero e tipo dei capi in
distribuzione, tipologia e qualità dei tessuti e materiali;
normative di servizio, in merito alla definizione di aspetti in materia di
orari, permessi e licenze, viaggi, turni, facoltà concesse;
trattamento economico accessorio, quali indennità, compensazioni,
rimborsi; provvidenze, intese come forme di tutela e di incentivazione del
personale.Quanto alla Marina militare, è stato segnalato che essa
dispone di un parco di edifici destinati ad alloggi per il personale che,
per la maggior parte, risale agli anni cinquanta e risponde agli standard
di allora. Inoltre, per assicurare la presenza della Marina lungo le coste,
sono stati dislocati nelle principali località di mare piccoli
nuclei di uomini, anche di leva. Sono circa 220 uffici marittimi minori
(Locamare e Delemare) collocati in edifici che, in qualche caso, non
consentono di offrire al marinaio sistemazioni decorose. Da un esame del
parco alloggi destinato al personale di leva della Marina (15 mila uomini,
compresi i militari in ferma breve), si constata che 3 mila 500 giovani
circa sono sistemati in strutture di capienza inferiore a 100 unità;
gli altri 11 mila 500 sono alloggiati in caserme capaci di accogliere
più di 100 unità; tra queste, la maggior parte hanno una
capacità di accogliere una forza media compresa tra 130 e 170
marinai di leva, sistemati in camere da 8-10 posti letto con servizi
igienici annessi. Delle caserme destinate ad alloggiare il personale di
leva almeno il 30 per cento richiede urgenti lavori di ristrutturazione e
adeguamento agli standard moderni. Il restante 70 per cento può
essere considerato rispondente a tali standard, a meno di modesti
interventi di adeguamento e della normale manutenzione.
A bordo delle navi la situazione è ancor
più delicata. La qualità degli alloggi e il livello dei
comfort varia molto in funzione delle dimensioni dell'unità,
dell'anno di costruzione, dei vincoli costruttivi, dello spazio destinato
agli alloggi (mediamente lo spazio personale a bordo di una nave è
molto scarso e sui sommergibili è ancora più ristretto), ai
locali mensa e di riunione, limitati dai volumi destinati all'armamento e
agli apparati. La vita a bordo resta quindi più disagiata di quella
nelle caserme, perché la ristrettezza degli spazi, la densità
di popolazione, il rumore di fondo dei macchinari, la mobilità della
nave, continuano ad essere caratteristiche non eliminabili della
destinazione su un'unità della squadra navale.
Per quanto concerne, infine, l'Aeronautica
militare, si è potuto rilevare che i problemi di qualità
della vita hanno caratteristiche parzialmente differenti rispetto alle
altre Forze armate. Ad esempio, negli aeroporti militari vi sono spazi
sufficienti e, soprattutto quelli più attrezzati, hanno alloggi per
il personale che resta all'interno della base. Inoltre, l'Aeronautica sta
costantemente riuscendo ad incrementare la percentuale di personale di leva
impiegato in enti vicini al comune di residenza (attualmente circa l'80 per
cento del personale di leva che presta servizio vive nel comune di
residenza; negli altri casi, i giovani prestano servizio per tre o quattro
mesi in basi più distanti, per poi essere alternati). Per quanto
riguarda il miglioramento della logistica dei servizi e, in termini
più generali, della qualità vita nei reparti, l'Aeronautica
sta peraltro cercando di ristrutturare e razionalizzare le infrastrutture
di supporto logistico e la gestione dei servizi includendo, ove possibile,
ausili multimediali.
Un problema ulteriore, emerso nel corso
dell'indagine e che interessa tutte le Forze armate, è poi quello
relativo all'uso di droghe o sostanze stupefacenti da parte dei giovani
militari di leva. Il Capo di Stato maggiore dell'Esercito ha riconosciuto
l'esistenza di un problema-droga, che costituisce un fenomeno difficilmente
controllabile: il rafforzamento dei controlli all'interno, nonché
all'entrata e all'uscita dalle caserme, non è sufficiente a
garantire una limitazione significativa del fenomeno. Su questi temi,
l'Esercito ha raggiunto nel 1997 un accordo con l'Arma dei carabinieri,
consistente in una attività di controllo all'interno delle caserme
per evitare la proliferazione e diffusione di droghe o anfetamine. Dati di
assoluto rilievo sono stati forniti dai Capi di Stato maggiore della Marina
e dell'Aeronautica. Per quanto riguarda la Marina, i dati relativi al 1998
dimostrano che, nel 92 per cento dei casi di assunzione di droga rilevati,
si è trattato di cannabis (nessun caso ha interessato l'assunzione
di anfetamine); il 3 per cento dei casi ha riguardato gli oppiacei e il 5
per cento la cocaina. Nel 1999 continuano ad essere assenti le anfetamine:
sono infatti aumentati i casi di assunzione di cannabis, dal 92 al 97 per
cento, e diminuiti quelli di oppiacei, 1 per cento, e di cocaina, 2 per
cento. I casi rilevati sono stati distinti tra terra e bordo.
Complessivamente si tratta di 226 casi: 164 a terra, di cui 147
unità del personale di leva, 11 della leva prolungata, 4
sottufficiali e 2 ufficiali; mentre per i 56 casi di bordo, 50 hanno
riguardato il personale di leva, 5 le unità appartenenti alla leva
prolungata e un sottufficiale. Presso l'Aeronautica, nel 1998 sono stati
segnalati 191 casi con 231 persone coinvolte, mentre nel 1999 sono stati
denunciati 24 casi. I casi riguardano tutto il personale: nel 1999
l'Aeronautica eguaglia, all'incirca, le percentuali della Marina, essendo
stato coinvolto un solo ufficiale nel 1998 e nel 1999 e due o tre
sottufficiali, di solito sergenti; per il resto degli episodi segnalati, si
tratta di personale di leva.
3.3. Le soluzioni
prospettate
L'indagine svolta dalla Commissione, sotto
un profilo generale, indica la necessità di affrontare con una nuova
ottica la problematica della qualità della vita nelle strutture
delle Forze armate. La garanzia di una migliore qualità è
infatti essenziale, non solo come misura preventiva nei confronti delle
diverse forme di scontento e di disagio esistenti nelle strutture militari,
ma anche per garantire un innalzamento del livello qualitativo delle nostre
Forze armate. Il miglioramento della qualità della vita nelle
strutture militari costituisce quindi un obiettivo di vitale importanza, e
deve portare all'adozione di iniziative tendenti a perfezionare le
strutture, l'organizzazione e le procedure attinenti al sistema di vita
delle caserme. Condizione fondamentale per il successo è peraltro un
decisivo cambio di mentalità, che deve essere consistente. Bisogna
porre al centro del problema un nuovo modello di soldato (che sia quello di
professione o, fino a quando il sistema resterà invariato, quello di
leva), che richiede una diversa concezione dello spazio e del tempo della
vita di caserma. In questo quadro, sono molte e diversificate le soluzioni
prospettate nel corso dell'indagine conoscitiva. Vi è, in primo
luogo, l'adozione di iniziative (peraltro già avviate da parte di
alcune Forze armate) di conoscenza del livello di qualità della vita
nelle caserme, come, ad esempio, la predisposizione di questionari. In tal
senso, appare opportuno istituzionalizzare la diffusione dei questionari,
prevedendo alcuni accorgimenti: i questionari dovrebbero essere
assolutamente anonimi e andrebbero compilati non soltanto all'inizio, ma
anche al termine del servizio militare, in quanto, se limitati all'inizio
della vita militare, rischiano di essere una rappresentazione delle
aspettative, mentre appare più importante avere, dalla diretta
esperienza degli interessati, segnalazioni circa disfunzioni,
disparità di trattamento, o anche suggerimenti, critiche, proposte
al fine di migliorare la qualità della vita. Da molti soggetti
intervenuti, vengono inoltre considerati prioritari i provvedimenti atti a
migliorare le condizioni strutturali legate alle esigenze alloggiative e di
convivenza, la cui soluzione rappresenta la premessa per conseguire gli
standard necessari per un'accettabile condizione di vita nell'ambito delle
caserme. Per ottimizzare gli interventi in tale settore, potrebbero essere
ipotizzati nuovi strumenti normativi, che consentano, in un quadro
legislativo omogeneo (eventualmente di concerto con il settore dei lavori
pubblici), di accrescere l'efficienza e di semplificare le procedure, in
tempi coerenti e compatibili con le nuove esigenze dell'esercito del 2000.
Un altro settore oggetto di radicale trasformazione dovrebbe inoltre essere
quello dei "servizi di caserma", con particolare riferimento al
vettovagliamento, alla pulizia dei locali di uso generale e comune ed alla
vigilanza di talune infrastrutture. In una visione dinamica ed aperta
dell'ambiente di caserma, andrebbe approfondito il concetto della
"esternalizzazione" dei servizi, che molti altri Paesi europei ed
extra-europei hanno già risolto: il ricorso a ditte civili
specializzate, che possono efficacemente fornire servizi di catering per il
vitto, pulizie e funzionalità dei locali, consentirebbe di
ottimizzare efficacemente tali attività, liberando nel contempo
personale (di leva e soprattutto volontari) da incombenze mal sopportate,
in quanto estranee alla sfera professionale, operativa, addestrativa e
logistica, con un evidente recupero motivazionale e di orgoglio
professionale dei soggetti interessati. A tal fine, vanno intensificate
anche le iniziative che prevedono incontri con autorità civili
periferiche e locali, anche al fine di trovare una valida soluzione nella
ricerca di aree addestrative idonee e nella fornitura di servizi comunali,
con particolare riferimento a collegamenti urbani, sconti sui mezzi di
trasporto e simili. La Commissione ha poi potuto verificare l'esistenza di
una vera e propria questione relativa alle attività ricreative da
garantire al personale militare presente nelle caserme. Uno sforzo di
innovazione andrebbe infatti realizzato per fornire una serie di strutture
ai giovani di leva. Tali strutture potrebbero essere: organismi di
comunicazione sociale, incentrati sulle preesistenti sale bar, sale
convegno e sale gioco; sale TV, con relative videoteche; strutture e
attrezzature sportive; postazioni telefoniche ammodernate; sale attrezzate
con personal computer e collegamento ad Internet; sale supporto di
audio-visivi per lo studio delle lingue; sale hobby (ad esempio per il
modellismo, l'elettronica o altro); sale cinema-teatro; biblioteche e sale
polifunzionali per la lettura o per l'ascolto della musica; eventuali punti
di ristorazione alternativi al servizio mensa, quali pizzerie o
paninoteche, da affidare in appalto a soggetti esterni. Soluzioni
realisticamente perseguibili, per alcune di tali attività,
potrebbero essere convenzioni con enti o privati, presso cui i giovani
militari potrebbero recarsi per coltivare i loro hobbies o nuovi interessi,
con oneri a carico dell'amministrazione militare. Per altre iniziative
all'interno della caserma, come accennato in precedenza, si potrebbe
pensare al ricorso a servizi esterni per la condotta, la guardia e la
sorveglianza delle attrezzature e delle attività per il tempo
libero, così come sta avvenendo per i servizi di mensa e di pulizia.
Un cenno a parte merita la situazione sulle navi della Marina, per le quali
si è richiesta la disponibilità di locali di vita più
ampi e comodi, tali da soddisfare standard di comfort migliori, anche se
non paragonabili a quelli delle navi mercantili e da crociera, ampliando
eventualmente gli spazi da destinare alla ricreazione, alle attività
del tempo libero e a sale hobby e assicurando forme stabili di collegamento
e comunicazione tra i marinai e le proprie famiglie. In tal senso, la
tecnologia potrebbe dare un notevole aiuto, anche su navi già in
servizio. Si tratterà infatti di dotare le unità di
ricevitori satellitari con puntamento automatico, per captare le
trasmissioni televisive via satellite, nonché di destinare, almeno
in determinati periodi della giornata, alcuni canali delle comunicazioni
via satellite ad uso del benessere del personale, per telefonate private o
per collegamenti via Internet con le famiglie, da postazioni di computer
allestite nelle sale mensa della nave. Un'ultima soluzione prospettata
riguarda una maggiore flessibilità, da più parti ritenuta
auspicabile, nell'assegnazionedei "servizi di caserma" e nella
concessione di permessi e licenze ai giovani di leva, con particolare
riguardo a coloro che svolgono il servizio a molti chilometri di distanza
dal loro luogo di residenza. Si tratterebbe, in sostanza, di intervenire in
due direzioni: garantire una maggiore elasticità negli spostamenti e
nei viaggi, anche mediante permessi molto brevi, per tutti quei giovani
che, per varie ragioni, sentono il bisogno di avere più frequenti
contatti con le loro famiglie o, comunque, con il loro contesto sociale di
riferimento. Tale soluzione consentirebbe, forse, di allentare il senso di
solitudine psicologica che spesso grava sui giovani di leva, contribuendo
anche a rendere più praticabile, per questi giovani, lo svolgimento
del servizio militare; affidare la gestione dei permessi e delle licenze
(così come dello svolgimento dei "servizi di caserma")
direttamente al personale di carriera che esercita funzioni di comando
(preferibilmente agli ufficiali), sottraendone il controllo operativo ai
militari di leva e, in particolare, ai cosiddetti "furieri", i
quali, anche a causa della carenza di personale presente nelle strutture,
esercitano sempre meno compiti di segreteria ed intervengono, invece, in
modo via via più penetrante nei criteri di assegnazione dei servizi
e delle licenza ai giovani di leva. Tali figure, infatti, essendo
generalmente scelte tra i militari più anziani, rischiano di
riproporre le medesime logiche che stanno alla base degli episodi di
"nonnismo", penalizzando le reclute più giovani sia nelle
concessione dei permessi che nello svolgimento dei servizi.
Come si può notare dalla complessità
dei vari argomenti trattati nel corso dell'indagine, si tratta di una gamma
di settori tanto ampia da lasciar intendere chiaramente l'intensità
dell'impegno e dei relativi interventi strutturali e normativi da mettere
in atto. In questo quadro, il Parlamento è chiamato a dare il
proprio contributo di innovazione e di indirizzo, sulla base delle
acquisizioni della presente indagine e dell'impegno della Commissione,
lavorando proficuamente in collaborazione con il Governo e gli stessi
organismi militari, per portare avanti una battaglia di cultura e di
civiltà per il miglioramento della qualità della vita nelle
strutture delle Forze armate, che sappia coniugare la tutela dei diritti
individuali e il raggiungimento di uno strumento militare (sempre
più orientato in senso volontario professionale), che sia
efficacemente al servizio del Paese.