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Versione italiana

N.10 - Dicembre 1998

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Kenia

Bomba: il dollaro vale più del sangue?

di Matthias Muindi

Duecentocinquantatre persone sono morte per l'esplosione di una bomba il sette agosto nell'ambasciata statunitense di Nairobi. Ma con uno strano capovolgimento delle priorità né le locali compagnie di assicurazione né la missione americana sono pronte a risarcire le vittime dell'esplosione. Altri potenti gruppi economici sembrano avere preso la stessa posizione.

E' passato poco tempo dall'esplosione della bomba all'ambasciata americana a Nairobi, ma l'attenzione e le priorità sono decisamente passate dalla sofferenza negli obitori e negli ospedali all'interesse finanziario della tragedia, grazie ai forti interessi economici. Con le parole di uno dei sopravvissuti, George Ngugi, sembra che sia una situazione in cui si dà maggior valore al dollaro che al sangue delle vittime. Inoltre, nonostante l'enorme copertura dei media sui duecentoquarantuno keniani tra i morti, la maggior parte delle vittime, adesso impotenti, sono state abbandonate e dipendono dai sussidi del fondo nazionale di recente istituzione.

Il Fondo per il Disastro della Bomba (Bomb Disaster Fund) è stato istituito dal governo subito dopo l'esplosione. I soldi vengono dati a chi è stato coinvolto per coprire, tra l'altro, le spese funerarie. Nei primi due mesi Fondo aveva accumulato circa tre milioni di dollari US (circa 5 miliardi di lire) provenienti soprattutto da sottoscrittori privati. Nonostante l'istituzione del Fondo, la maggior parte dei sopravvissuti all'esplosione sono ancora scettici, dopo che i medici del Kenyatta National Hospital, un ospedale pubblico, hanno chiesto loro di acquistare dei medicinali molto cari a proprie spese. Lo spostamento del centro dell'attenzione è stato causato dall'Associazione Keniana dei Produttori (Kenya Association of Manufacturers - KAM), che raggruppa prominenti industiali e altri produttori fondamentali del settore privato del paese. A questi si sono aggiunti la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) la Banca Centrale del Kenia (Central Bank of Kenya - CBK), il Gruppo Editoriale Nation e alcuni membri delle comunità donatrici e diplomatiche. Nonostante tutti abbiano promesso un fondo di assistenza per tutte le vittime nel corso di una cena privata, sembra che attualmente la loro priorità non siano i conti dei medici, bensì il destino delle imprese commerciali distrutte dall'esplosione.

Ecco un esempio: Harold Wackmann, della Banca Mondiale, ha approfittato dell'occasione non soltanto per condannare l'attacco, ma anche per prestare al Kenia circa ottanta milioni di dollari US (oltre 130 miliardi di lire). Secondo il presidente Daniel Arap Moi il danno ammontava a cinquecento milioni di dollai US. Pochi giorni dopo la Banca Preferential Trade Area (PTA) ha seguito a ruota e ha istituito il suo fondo di emergenza che ha immediatamente assicurato centosessantasettemila dollari US per l'assistenza alle imprese minori che sono state danneggiate dall'esplosione. Il presidente della banca, Martin Ogang, ha detto: "Dobbiamo muoverci in fretta, perché le persone coinvolte potrebbero perdere i contatti di affari oltre che l'appetito." Ma la situazione è stata deteriorata dal Dipartimento di Stato americano e dalle compagnie di assicurazione locali. Hanno ambedue dichiarato che non avrebbero risarcito le vittime. Secondo quanto riportato dai media, gran parte delle vittime, che sono state tutte colte alla sprovvista dall'esplosione mentre sostavano o passavano sugli adiacenti viali Moi e Haile Selasie, non erano assicurate. Ma con una presa di posizione rigida, l'istituzione dell'Associazione degli Assicuratori Keniani (Association of Kenyan Insurers - AKI) ha affermato, una settimana dopo la tragedia, che non avrebbe offerto un pagamento generale, ma che avrebbe risarcito soltanto quelle vittime che avevano delle polizze sulla vita. Il direttore generale dell'associazione George Okoth ha affermato: "l'AKI garantirà la copertura assicurativa sulla vita e di gruppo a chi ne aveva contratta una prima dell'esplosione." Le compagnie di assicurazione si sono nascoste dietro la Legge sull'Assicurazione del Kenia (Kenya Insurance Act) che, secondo loro, esclude un risarcimento per i danni causati da guerre, ribellioni, scontri, o altri atti di insubordinazione. "E poiché il terrorismo di solito non è coperto dai contratti delle polizze, ogni decisione di pagare tutte le vittime è unicamente nelle mani delle singole compagnie," ha aggiunto.

Ma più deprimente ancora è stata l'affermazione fatta dalla stessa associazione secondo cui le richieste di pagamento fatte in seguito alla tragedia sarebbero state accontentate a seconda delle caratteristiche del contratto, e cioè se questo fosse stato comprensivo di ogni evenienza o se avesse avuto dei limiti. Così, anche alcuni di coloro che sono effettivamente assicurati potrebbero non ricevere una lira. Ma Isaac Mbaru, un consulente delle assicurazioni locali ha detto che i riferimenti legali citati dall'associazione coprivano soltanto quelle che di solito vengono definite come ostilità, e che non escludono il terrorismo in quanto tale. Da parte statunitense questa presa di posizione negativa è stata una sorpresa, considerando il fatto che l'undici agosto, quattro giorni dopo l'esplosione, il governo americano a Washington ha assicurato che avrebbe istituito un fondo per tutte le vittime della tragedia, sia morti che vivi. Una posizione che pare fosse sostenuta dal Dipartimento di Stato nella persona del suo segretario, Madeleine Albright. Ma subito dopo, il Direttore Generale degli Affari Esteri dello stesso dipartimento, Edward Gnehm ha avuto un voltafaccia e ha dichiarato che il dipartimento avrebbe innanzitutto istituito una unità operativa speciale per dare vita a un fondo che avrebbe coperto soltanto il personale non americano nelle ambasciate distrutte di Nairobi e Dar es Salaam.

Questa presa di posizione ha provocato un'ondata di rabbia tra i keniani in lutto, che hanno accusato il governo americano di razzismo. Ma il fatto che la rabbia non abbia avuto nessun effetto a Washington è stato evidente dal modo in cui la signora Albright ha affrontato la questione nel corso della sua visita lampo in Kenia e in Tanzania. In termini generali e senza entrare nel merito, ha soltanto detto con riluttanza che il suo governo avrebbe spinto per avere ulteriori fondi per assistere le famiglie colpite e aiutare nella ricostruzione generale degli edifici distrutti. Questi fondi dovrebbero essere richiesti dal Congresso degli Stati Uniti. Fino a quel momento, gli unici contributi economici degli americani sono stati due milioni di dollari US in contanti offerti come taglia per l'arresto degli aggressori.

Cinquantacinque legislatori keniani, che la signora Albright ha rifiutato di incontrare, hanno ribattuto con una dichiarazione in cui accusavano il governo statunitense di arroganza e disprezzo, visto che si preoccupava solo della sorte dei suoi cittadini, dei testimoni e di dare la caccia ai presunti terroristi. La dichiarazione affermava: "Ci sembra che l'atteggiamento americano sia arrogante, sprezzante e degno delle accuse di razzismo che sono state mosse agli americani per il modo in cui hanno partecipato alle operazioni di soccorso." La dichiarazione accusava inoltre la signora Albright di avere volutamente, con la sua breve visita, evitato qualsiasi colloquio significativo sull'ammontare dell'obbligo di risarcimento alle vittime. "La signora Albright è riuscita soltanto a mostrare il vero atteggiamento dell'America nei confronti del Kenia e dell'Africa in generale: la sindrome del Grande Fratello. La sua visita ha come scopo di mandare a monte gli impegni." ha detto un altro legislatore, Aden Keynan.

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