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N.11 - Gennaio 1999

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Kenya

Ritorno alle religioni tradizionali

di Maurice Onyango

Gli anni '80 hanno visto la nascita in Kenya di una setta che si è battezzata "Tenda del Dio Vivente". La setta propugna un revival degli antichi riti della tradizione Kikuyu. Attualmente questo fenomeno conosce un nuovo impulso per l'emergere di nuove sette.

Thai Ngai Thai Ngai Thai Ngai. La comunità che si è battezzata "Tenda del Dio Vivente" canta divisa in piccoli gruppi indossando l'antico costume tradizionale Kikuyu, un kanzo bianco, la cintura intorno alla vita e i sandali aperti 'akala', fatti con vecchi pneumatici di macchina o camion e una canna o un bastone da passeggio. Secondo il governo, si tratta di un movimento regressivo ma sebbene sia stato proibito negli anni '90, vive ancora.

Negli slum di Nairobi si sono sviluppati gruppi pseudo-cristiani, come i 'Sobrinsk'. Quando ci si avvicina alla porta di queste 'chiese', si nota il sangue, secco o ancora fresco, che macchia il terreno antistante l'entrata oppure accanto alla costruzione. Si vedono brandelli di pelliccia animale, penne e i resti di ossa bruciate. Eppure tutti negano di praticare i riti africnai tradizionali.

"I nostri insegnamenti si basano sulla Bibbia, sul Vecchio Testamento", si difende un 'vescovo' che preferisce non dire il suo nome. "Queste pratiche sono comuni in tutto il mondo. E' nostra responsabilità, in quanto leader religiosi, scacciare i demoni, per questo sono necessari i sacrifici. Noi non fingiamo come fanno altre chiese. Guardate pure intorno, signori, ma non fate fotografie", conclude il 'vescovo' uscendo dalla 'casa', una stanza ricavata nel fango schiacciata tra tante altre abitazioni uguali.

Non chiedono alcun compenso ma i malati comprano animali da sacrificare, uccelli o candele. Diversi cristiani appartenenti alle chiese maggiori vanno a trovarli di notte per non farsi vedere. Senza contare i "diviners" (divinatori), gruppi o persone che operano da soli, senza avere alcun riconoscimento di status e raramente accettano di parlare di sé. Per nascondersi, indossano uniformi multicolori e spesso vengono scambiati per militanti della African Independent Churches (AICs) (Chiese Africane Indipendenti). E' loro compito affrontare problemi spirituali irrisolti, tra cui l'interpretazione dei sogni, la causa e la cura degli incubi, la risoluzione di controversie matrimoniali, aiutare gli scapoli a trovare moglie, eliminare feticci e malocchio.

Tutti questi gruppi hanno la loro base negli slum ma tutti sono in una situazione leggermente migliore di chi negli slum è nato e vive. Avvicinandosi a uno dei loro laboratori si vedono i 'pazienti' seduti sulle panchine in attesa del loro turno. All'interno dieci o venti pazienti aspettano seduti sulle sedie. Le stanze sono più spaziose. Generalmente i "preti" siedono davanti al loro cliente. I diviners presentano una parcella per i loro servizi, di solito da 3$ a 83$ USA, a seconda della gravità dei problemi del cliente. "Dobbiamo far pagare l'onorario, le chiese sono cieche, non hanno la forza spirituale di risolvere i problemi imprevisti o le malattie di origine maligna della loro congregazione", spiega l'alto sacerdote Meliko Duala.

Tra le donazioni, i loro strumenti di commercio, tipica l'acqua in bottigliette, vassoi, bibbie e candele bianche. Sebbene la loro attività si svolga negli slum, tra i clienti appaiono membri molto abbienti della società, politici. Infatti entrando negli slums si notano macchine di lusso di tutte le forme e autisti in attesa del padrone. Sono disponibili stanze particolari per le questioni più complesse. Il sacerdote ha delle stanze separate dagli ambulatori. Sul muro è appeso l'orario dei programmi settimanali: un giorno per la meditazione, uno per la riflesisone e per ritemprare i poteri esauriti.

Mungiki è l'ultima arrivata e il suo carattere distintivo è l'appello rivolto agli africani perché "ritornino" alle loro radici, vale a dire la vita comunitaria. Hanno infatti fattorie collettive dove coltivano, tra l'altro, il tabacco che amano fiutare. Nelle loro proprietà hanno luoghi sacri per il culto. Professano pratiche uniche ma la più bizzarra è l'appello per la reintroduzione della circoncisione femminile. Spesso la circoncisione viene praticata a forza su bambini e bambine ingannati in vario modo. Ultimamente, i membri della Mungiki entrano ed escono di prigione e dalle aule di tribunale accusati di aver obbligato a subire la circoncisione e ai voti forzati.

Il problema centrale è capire cosa abbia favorito la nascita di gruppi del genere, capire se sono fuoriusciti dalle chiese principali, se il Cristianesimo in Africa stia vivendo in silenzio grandi difficoltà e che cosa stia facendo il resto della comunità cristiana per salvare la situazione. Sebbene siano aumentati i programmi televisivi religiosi - che generalmente mostrano grandi congregazioni , queste non rappresentano affatto un esempio reale della situazione. Un gran numero dei "clienti", nella maggior parte dei casi proviene dalla massa di crociati delle Chiese Cristiane principali.

Quando "la pioggia ha cominciato a sferzare i cristiani in Africa"? "Immediatamente", dichiara il reverendo John Gichimu, un colto teologo coordinatore dei corsi di formazione teologici per la Organisation of the African Instituted Churches (OAIC) (organizzazione delle chiese africane riconosciute). "I primi missionari non hanno mai mostrato rispetto per i valori culturali africani", spiega, "persino suonare il tamburo era considerato "pagano", a volte addirittura "maligno". L'Africa è entrata nella Chiesa con spirito lacerato".

Questo conflitto in seguito ha portato alla fondazione della African Independent Churches (AICs) dove invece i valori africani vengono rispettati. Nella maggioranza, le chiese ben amministrate contano una popolazione di circa 40.000 aderenti. La comunità cristiana ha tollerato ma non ha mai realmente integrato l'AICs in Africa. Se queste chiese non sono state bene accette o riconosciute, che dire dei nuovi movimenti nati negli slums?

"Pregiudizi, opinioni preconcette e mancanza di ricerca", spiega il reverendo Daniel Oguso, direttore del Theological Training per l'OAIC (Organisation of African Insittuted Churches), "Raramente la ricerca su questi gruppi è mirata. Le relazioni non vengono mai prese sul serio. Non ci sono interventi e le sette diventano sempre più diffuse", conclude.

Secondo il dottor Humphrey Ojwang, professore presso il dipartimento di linguistica dell'Università di Nairobi, "Potrebbe anche trattarsi di persone demoralizzate, che cercano una chiesa che risolva i loro problemi sociali immediati. Devono uscire dalla povertà. In cuore desiderano solo amicizia, una sistemazione ed essere accettati della società, vogliono ritrovare la loro dignità, avere un alloggio, servizi sanitari e istruzione. La loro teologia può essere insufficente ma i motivi alla base non sono maligni".

Invece altri criticano le nuove chiese pentecostali fondamentaliste. "Sono gruppi pentecostali estremisti che offrono soluzioni immediate ai problemi della loro congregazione, soprattutto questioni relative alla povertà, alla salute, ecc. Se poi questo non si verifica cercano altre alternative nei gruppi pseudo-cristiani degli slum". Come è stato sottolineato dal reverendo dottor José Chipenda, ex-segretario generale della African Conference of Churches (AACC), una parte delle persone che si rivolgono alle nuove chiese pentecostali proviene dalle chiese maggiori e raramente torna al gruppo religioso originale. Durante questo periodo di confusione sono costretti ad aggrapparsi a qualsiasi cosa sembri offrire una soluzione ai loro problemi, come fanno le sette.

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