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N.11 - Gennaio 1999

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Burundi

I campi di concentramento di Buyoya

di Mathias Muindi

Nel 1996, il regime militare del Burundi ha evacuato a forza centinaia di migliaia di agricoltori, in maggioranza hutu, in campi speciali dove la vita è a repentaglio, dichiarando di volerli proteggere dai ribelli. Ma le relazioni scritte due anni dopo mostrano che queste località sono che campi di concentramento dove regna la morte.

Sebbene il leader militare del Burundi, il maggiore Pierre Buyoya sia stato dichiarato un Tutsi "moderato", i rapporti più recenti dimostrano il contrario, dato che, a partire dal colpo di stato del luglio 1996, il suo regime ha ucciso migliaia di civili in campi disseminati nelle campagne. In maggior parte le vittime sono civili di etnia hutu uccisi con esecuzioni sommarie, torture, fame o malattia. A quanto sembra queste morti sono iniziate poche settimane dopo il colpo di stato, quando le nuove autorità hanno agito in fretta per rastrellare gli Hutu nelle aree rurali per poi internarli in campi speciali, ufficialmente per proteggerli dagli attacchi degli insorti hutu e tutsi che si oppongono al colpo di stato. I campi fanno parte di una 'soluzione' chiamata 'raggruppamento' che Buyoya ha iniziato per "spezzare il circolo vizioso della violenza".

Ma secondo il gruppo Human Rights Watch/Africa, con sede a Londra, in un rapporto del 1998 intitolato "Bersagli per procura: i civili nella guerra nel Burundi" questi campi sono stati realizzati esclusivamente per "concentrare, controllare e selezionare una popolazione civile caratterizzata etnicamente". I campi, secondo le parole di un operatore sanitario religioso straniero sono simili a campi di concentramento. "E' più realistico dire che sono campi di sterminio. Mancano solo le camere a gas. E guardi i tuoi famigliari morire lentamente di tubercolosi, malaria, dissenteria e di fame", conclude.

Secondo diversi gruppi per la tutela dei diritti umani, per portare la gente nei campi le forze armate hanno attaccato indiscriminatamente i civili, bruciando le loro case e ricorrendo alla tortura su larga scala. Di fatto secondo il gruppo Rigths Watch accanto ai campi non è rimasta in piedi nessuna abitazione civile. Chi resiste al trasferimento nei campi viene ucciso. Secondo un rapporto di Amnesty International del 1996, quando il programma è stato avviato nel distretto centrale di Giheta sono morte oltre 5.040 persone.

Un internato del campo di Nyarurama nella regione di Kayanza ha raccontato a un gruppo per i diritti umani in visita. "Ci hanno stanato dalle nostre case con il fuoco e siamo stati inseguiti dai soldati che poi ci hanno circondato e ci hanno portato nel campo". Una tragedia rievocata da un altro internato in un altro campo a Rutegama: "I soldati hanno creato i campi. Quando sospettavano che in un'area i ribelli erano attivi, i soldati arrivavano e ordinavano alla gente di riunirsi in un punto preciso e hanno ucciso chiunque si rifiutasse."

Sebbene le diplomazie, i gruppi per i diritti umani e le organizzazioni religiose abbiano denunciato i campi come parte essenziale della strategia del regime militare, le autorità continuano a negare che questa sia la loro natura e reclamano invece che la gente vi si è recata spontaneamente per essere protetta. Il maggiore Buyoya stesso l'anno scorso, nel corso di un'intervista al New York Times ha dichiarato: "Siamo obbligati a riunire la gente per proteggerla: dobbiamo metterla da qualche parte dove possano vivere insieme sicuri...", posizione ribadita dal suo ministro per le comunicazioni, Pierre Claver Ndayicariye. Il comandante del campo di Nyarurama, il colonnello Daniel Nengeri li ha giustificati dicendo che rappresentano una tappa obbligatoria nella "re-sensibilizzazione e ri-educazione delle popolazioni cadute sotto una cattiva influenza". Ma quando l'anno scorso sono aumentate le critiche ai campi, le autorità hanno risposto chiudendone alcuni nelle regioni settentrionali del paese ma riaprendone altri a sud, dove si dice che i margini di sicurezza si siano ridotti.

Questi campi sono stati paragonati a quelli aperti negli anni '50 in Algeria dai francesi e dai britannici in Kenya. Con i programmi di raggruppamento, i civili vengono controllati da vicino dalle autorità, in modo da tagliare qualsiasi legame sospetto con i gruppi ribelli. Nel Burundi, il gruppo ribelle principale, le Forces for the Defence of Democracy - FDD (forze per la difesa della democrazia) è in maggioranza di origine hutu, quindi la maggior parte dei detenuti è hutu. Il primo di questi campi è stato aperto dal governatore della provincia di Karuzi, il tenente colonnello Gabriel Gunungu, un estremista tutsi. Tra l'agosto 1996 e il febbraio 1997 altri campi sono sorti nelle provincie rurali di Kayanza, Babaza, Cibitoke, Bururi e Bujumbura. Secondo il ministro degli interni e della pubblica sicurezza, il colonnello Epitace Bayaganakandy, entro il mese di luglio dell'anno passato nei campi erano presenti 300.000 persone ma un'altra valutazione del Dipartimento per gli Affari Umanitari delle Nazioni Unite ha fatto salire quella cifra a 570.000, il 10% della popolazione del paese.

Ora i circa 250 campi 'ospiterebbero' oltre 600.000 persone e secondo le agenzie la vita al loro interno è l'inferno in terra. Oltre al dramma politico, diplomatico e militare secondo il rappresentante UNICEF residente, Michelle Sidibe, 'i campi sono una vera tragedia'. La situazione viene riassunta da un operatore di una ONG: "Ufficialmente in questi campi l'esercito protegge gli hutu dai ribelli. In realtà li tiene prigionieri."

Secondo il rapporto del 1996, il settanta per cento della popolazione dei campi è composta da donne e bambini e per questo l'istruzione a livello primario e secondario è crollata. Stando all'UNICEF, il 40% dei bambini delle scuole primarie ha già lasciato la scuola, come gli studenti delle superiori, e il 40% degli insegnanti ha rinunciato.

Le abitazioni sono scarse e cresce il sovraffollamento nelle strutture di fango e foglie di banano. Per questo e per il fatto che i contadini non possono lavorare nelle loro fattorie, la combinazione di denutrizione e malattie ha mietuto migliaia di vittime. Sebbene non esistano cifre conclusive, le agenzie di assistenza e quelle per i diritti umani le hanno valutate in decine di migliaia. Nel rapporto del gruppo di crisi internazionale del 1998 i bambini gravemente denutriti sono circa 40.000 e altri 300.000 adulti soffrono la fame. Il tasso di mortalità è aumentato perché molti campi sono realizzati in ex-postazioni militari dove viene prestata poca attenzione alle forniture di acqua potabile, alla sanità e all'igiene in generale. Quindi, secondo l'ultimo rapporto dell'Organizzazione Sanitaria Mondiale (WHO) nei campi le epidemie imperversano.

Il rapporto denunciava i casi più seri di tifo, colera e morbillo che avevano aggravato i casi di malaria, scabbia, malattie respiratorie e altre affezioni generalmente connesse al sovraffollamento e alla scarsa igiene. I campi colpiti più duramente, secondo il World Food Programme, sono nelle zone di Kayanza, Bubanza, Karuzi e Muramvya. Secondo il Dipartimento per gli Affari Umanitari delle Nazioni Unite il tasso di mortalità è compreso tra i 500 e i 1000 casi al giorno. La situazione è stata ulteriormente aggravata dall'assenza di qualsiasi sicurezza alimentare nel paese, come afferma un'altra relazione congiunta pubblicata l'anno scorso dallo WHO e dalla FAO (Food and Agriculture Organization). Nonostante i lanci di derrate alimentari dell'anno passato effettuati dal World Food Programme, l'agenzia di settore delle nazioni Unite, nei campi regna la fame.

"La denutrizione infantile generalmente non è insolita ma quando riscontriamo denutrizione negli adulti, allora la situazione è seria", spiega uno degli operatori. Per nascondere questa tragedia le truppe hanno deciso di sopprimere le vittime di grave denutrizione. E, in certi casi almeno, secondo i gruppi per i diritti umani, nei campi donne e bambini devono rasarsi i capelli imbiancati (a causa della denutrizione) per non essere uccisi dalle truppe che ritengono che stiano mostrando le sofferenze patite.

Le agenzie umanitarie hanno chiesto l'eliminazione del divieto governativo contro i partiti politici e colloqui aperti tra il governo e i ribelli, ma non hanno esercitato pressioni per un'indagine sulla situazione dei campi, e questo ha permesso al governo di Bujumbura di stravolgere la realtà, dato che possiede anche l'unica stazione radio e televisiva del paese. Persino quando l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Sadako Ogata, ha visitato il paese nel febbraio scorso, non ha mai sollevato la questione, a quanto pare perché il conflitto nel paese viene considerato una questione interna.

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