AfricaMa i poveri interessano a qualcuno?di Padre Renato Kizito Sesana
L'anno scorso la ricchezza prodotta dall'economia mondiale è stata di sei volte superiore rispetto al 1950, doppia rispetto al 1975. Dovremmo forse dedurne che lo standard di vita della popolazione mondiale sia migliorato? No, risponde categoricamente un rapporto diffuso nel settembre scorso dalla UNDP (United Nations Development Programme - Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite). E il motivo non è che nel frattempo anche la popolazione mondiale è aumentata, sebbene in percentuale di molto inferiore a quella della ricchezza; la ragione principale è che la ricchezza viene sempre più prodotta e consumata da una minoranza. Il venti per cento della popolazione mondiale possiede l'86 per cento della ricchezza e all'80 per cento della popolazione rimane il 14 per cento. Oltre un miliardo di persone non sono in grado di soddisfare i bisogni umani più elementari, come, ad esempio, avere cibo a sufficienza. Nel suo messaggio nella Giornata della Pace, Papa Giovanni Paolo II, dopo aver illustrato come la negazione dei diritti umani fondamentali sia un grave ostacolo alla costruzione della pace, fa seguire un lungo paragrafo intitolato "Progresso globale nella solidarietà", dove afferma: "E' urgente l'esigenza di sviluppare una nuova ottica di progresso globale nella solidarietà, in modo da permettere a chiunque di realizzare il proprio potenziale. E' necessario uno sforzo immediato ed energico per garantire che il più alto numero possibile di nazioni sia in grado di liberarsi da questa situazione intollerabile". Solidarietà è un termine sempre più usato da predicatori e operatori sociali. Suona bene, deriva dalla stessa radice di solido. Quando si parla di una nazione o di una società che pratica la solidarietà, pensiamo a un corpo dove le persone sono responsabili l'uno dell'altro, e anche alla forza, perché l'unione sviluppa la forza. Ma la solidarietà non è una soluzione che può essere imposta. Implica la libera partecipazione, deve scaturire dal cuore delle persone. Siamo solidali con i membri della nostra famiglia estesa senza nessuna imposizione, perché siamo stati educati a farne parte e alla fine l'abbiamo scelta. Anche la solidarietà che va oltre la famiglia estesa, il clan, la tribù, la nazione, può essere sviluppata solo con una scelta personale e un processo educativo. L'educazione per sviluppare la solidarietà è importante, ma sinora sono stati fatti solo tentativi isolati. Naturalmente le Chiese e le religioni dovrebbero educare alla solidarietà. In modi diversi, tutte le religioni insegnano il rispetto e l'amore per gli altri. Eppure non tutti accettano il linguaggio religioso e sfortunatamente i messaggi religiosi non vengono sempre compresi in tutte le loro implicazioni. Basti pensare a cosa è successo in Ruanda, dove la maggioranza delle persone coinvolte nel genocidio del 1994 era cristiana e tuttavia, a quanto sembra, l'accettazione del messaggio di Cristo non ha aiutato a superare l'odio. Corriamo il rischio di redigere un lungo elenco di buoni pensieri e nobili intenzioni. Invece dovremmo cercare di esprimere la solidarietà con il comportamento e atti che siano concreti e pratici. Imparare a vedere. Per la maggior parte del giorno, i nostri occhi sono aperti ma non vediamo veramente cosa ci circonda. Ad esempio non prestiamo attenzione a cose che vediamo spesso o abitualmente. La banda di bambini di strada accanto alla fermata dell'autobus, il cassiere del centro commerciale, o i troppo frequenti mucchi di immondizia disseminati in tutta la città. Potremmo persino aver preso consapevolmente la decisione di non parlare o coinvolgerci con i rifugiati o gli sfollati che sono venuti a stabilirsi non lontano da noi. Imparare a vedere significa guardare tutte le persone e gli eventi che ci circondano con la volontà di capire. Vogliamo essere una parte attiva e consapevole della vita sociale che ci circonda, non solo a livello episodico o superficiale. Vogliamo capire le cause degli eventi sociali importanti, come le migliaia di rifugiati che vivono in Kenya, i turisti che vengono a trovarci e le conseguenze del loro comportamento, l'animosità nei confronti di certe classi della popolazione. Vedere significa voler conoscere le motivazioni degli altri attori sociali. Con empatia, che significa apertura alla comprensione, ma senza rinunciare al nostro giudizio critico, valutando i fatti e le persone in base alle nostre convinzioni e valori. Il mondo è uno ma è composto da popolazioni, istituzioni, nazioni diverse, con collegamenti e rapporti che non sono sempre molto chiari. Per poter capire devo tenere gli occhi aperti e fare uno sforzo positivo. Questo è il primo passo, perché la solidarietà può basarsi solo sui fatti, eventi concreti, non sull'immaginazione. Il secondo passo è imparare a dare. Una volta conquistata un'idea più chiara della società, posso decidere cos'altro posso offrire per sviluppare la solidarietà con gli altri. Potrebbe trattarsi di tempo, denaro, professionalità, affetto, persino della vita. Qualsiasi cosa decida di dare, devo offrirla nel modo giusto. In effetti la scelta del modo giusto è altrettanto importante di quanto viene offerto. Un modo di dare che inchiodi l'altro nella posizione di eterno beneficiario è insostenibile e inutile, perché alla fine dopo il mio dono non avrò cambiato niente. Il mio dare deve sempre offrire all'altro la possibilità di diventare indipendente, anche se solo in un futuro lontano. Un buon educatore, che si tratti di un allenatore di calcio o di un educatore politico vuole che il suo allievo sia migliore, capace di essere autonomo ed eventualmente insegnare ad altri. È qui che molti falliscono. I genitori che non sviluppano nei loro figli il senso di responsabilità, gli insegnanti che non hanno fiducia nel potenziale dei loro allievi, il donatore che dà solo quanto basta a rendere dipendente il beneficiario che non avrà mai la forza di crescere per conto proprio, il leader che non è affidabile, finanziariamente o altrimenti, verso la sua gente. Un giorno questi genitori, insegnanti, donatori, leader si lamenteranno di essere stati abbandoanti dalle persone che hanno aiutato, ma l'errore è loro. Poi arriva il passo più difficile: imparare a ricevere. Vera solidarietà significa accettare il fatto che esistono settori dove devo essere disposto ad accettare l'aiuto degli altri. Siamo tutti membri pari della società e nessuno può essere superiore alla possibilità di ricevere dagli altri. I proverbi africani offrono molti esempi della stupidità delle persone che credono di sapere tutto e di non aver bisogno di nessuna istruzione o consiglio, che si mettono poi nei guai diventando lo zimbello del villaggio. Invece, nel ricevere con gratitudine dagli altri qualsiasi contributo possano offrire, noi riconosciamo la nostra umanità e il fatto che non siamo superiori in modo significativo a nessun altro. Nell'ultimo esempio dovrei essere in grado di capire che quanto offro diventa vero e genuino solo quando sono in grado di ricevere con spirito di semplicità quanto gli altri hanno da offrirmi. Solo se i miei atti di solidarietà seguono queste fasi, aiutano la società intorno a me a muoversi verso la vera solidarietà. Un'analisi rispettosa della situazione, un'attenta ricerca dei mezzi adeguati, in modo che gli altri si trovino con me su basi paritarie e possano finalmente dare il loro contributo, sono passi essenziali. Altrimenti avremo una "solidarietà" che lo è solo di nome, perché in realtà soppesa l'altro gravato dal pesante fardello della dipendenza emotiva, organizzativa o finanziaria Questo è valido anche per la richiesta di cancellazione del debito dei paesi poveri. Se viene fatta nel modo sbagliato, la cancellazione del debito può trasformarsi in un dono graziosamente concesso dall'alto. Non deve essere così; deve essere una decisione comune presa da partner paritari per il vantaggio comune. Solidarietà significa rispetto della dignità dell'altro. Di più, significa mettere in grado l'altro di dimostare il proprio valore. Significa spezzare lo stereotipo che rende l'altro l'handicappato, il rivale, il Luo, l'arabo, l'indiano, il pagano, il reietto e scoprire che è solo un altro essere umano. Da quest'ottica capiamo che essere poveri economicamente non è la forma di povertà peggiore. La povertà veramente ignobile è quella di una persona che sceglie di non partecipare o contribuire alla vita della sua comunità secondo le proprie possibilità. Forse in questo mondo i più poveri sono quelle 250 curiose persone che secondo le statistiche dell'UNDP, detengono oltre il 4 per cento della ricchezza mondiale. Come gruppo possiedono abbastanza da offrire accesso ai servizi sociali di base - sanità, istruzione e cibo - alla popolazione di tutto il mondo -. Ma hanno deciso di non farlo. Le mie notti sarebbero insonni se io fossi uno di loro.
I contenuti possono essere riprodotti liberamente citandone sempre la fonte. Spedire inoltre una copia dell'articolo alla redazione di Africanews.
AFRICANEWS versione italiana viene pubblicata da Amani, via Gonin 8, 20147 Milano
|