SudanIl riscatto degli schiavi in Sudan: verita' o imbroglio?di Renato Kizito Sesana
Dal 1995 la Christian Solidarity International (CSI) e, più recentemente, la Christian Solidarity Worldwide (CSW) comprano la libertà per gli schiavi in Sudan. L'Associated Press, la Reuters, la CBS e altre fonti giornalistiche e televisive hanno riferito sulle iniziative di questi gruppi. L'UNICEF e diverse altre istituzioni hanno invece sollevato serie obiezioni contro questa iniziativa, sostenendo che comprare la libertà degli schiavi ne alimenta il mercato, promuove nuove razzie e incrementa il circolo vizioso. Sostengono inoltre che questo riscatto tanto pubblicizzato mina gli sforzi di chi invece agisce in modo meno eclatante, in particolare nelle aree controllate dal governo. Soprattutto, il principio stesso di comprare un essere umano, anche allo scopo di liberarlo, è inaccettabile. Desidero aggiungere che focalizzare l'attenzione solo sul riscatto degli schiavi possa distogliere l'attenzione dal fatto che il governo di Khartoum tratta letteralmente come schiavi i sudanesi del sud sotto il suo controllo. Questi sudanesi non godono di nessun diritto umano di base. Le obiezioni riportate qui sopra, sono estremamente serie e non placano ma piuttosto rafforzano le mie riserve sulla capacità del CSI e del CSW a intervenire significativamente sulla questione degli schiavi. Dobbiamo denunciare senza mezzi termini che in Sudan esiste la schiavitù e che il primo colpevole è il governo di Khartoum. Non possono esistere dubbi sul fatto che l'attuale governo sudanese incoraggi la milizia popolare e gruppi simili a razziare le proprietà e le persone nelle aree sotto il controllo dell'Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese (SPLA). Ho parlato con persone che sono state tenute in schiavitù; ho visto i risultati dei raid delle truppe governative sulle montagne Nuba e in altre regioni del Sudan. Proprio perché è un atto orribile, dobbiamo lottare nel miglior modo possibile. E ogni passo falso fa gioco al governo di Khartoum. Temo che il "riscatto degli schiavi" potrebbe essere un'operazione organizzata da persone con pochi scrupoli esclusivamente per fini economici. Il primo motivo che mi rende perplesso sui rapporti del CSI e del CSW è il silenzio dello SPLA sulla questione. L'acquisto degli schiavi avviene nelle aree controllate dallo SPLA. Com'è possibile che a questi trafficanti di schiavi sia consentito operare? Ovviamente la pratica della schiavitù è contraria alla politica dello SPLA. Conoscendo l'odio manifesto nei confronti dei commercianti di schiavi, è anche difficile credere che in questo caso specifico la popolazione locale li consideri dei mediatori solidali. Lo SPLA non può permettersi di rischiare il sostegno della popolazione locale permettendo la pratica della schiavitù. Un commento ufficiale dello SPLA a questo proposito chiarirebbe qualsiasi malinteso. I servizi dei giornali descrivono il riscatto di centinaia di schiavi, in un'occasione specifica oltre un migliaio. Questo solleva ulteriori questioni. In quella regione del Sudan la popolazione vive disseminata sul territorio e un migliaio di persone rappresenterebbe un gruppo veramente grande. Per riunire un tale numero di schiavi, anche se i commercianti di schiavi godono di molti contatti, richiederebbe molte settimane. Quando gli schiavi vengono presi, come vengono sfamati e controllati? Per sfamarli, anche considerando solo una pura dieta di sopravvivenza, mentre vengono spostati di villaggio in villaggio per raccogliere altri schiavi per il riscatto, oggi non sarebbe un problema minore per il Sudan. Il cibo è scarso e la gente non lo cederebbe per nessuna quantità di denaro. E come vengono sorvegliati gli schiavi? Perché non fuggono, specialmente quando si avvicinano ai loro villaggi natali? Ci sono uomini armati a sorvegliarli? Quante guardie servono per controllare un migliaio di schiavi? E, di nuovo, lo SPLA consente che questo avvenga sul territorio sotto il suo controllo? Tutta l'operazione sembra poco credibile a chiunque conosca le condizioni attuali del Sudan. In una relazione della CBS del 2 febbraio 1999, la corrispondente Sarah Carter ha assistito all'acquisto della libertà da parte della CBS per oltre un migliaio di schiavi. Ha raccontato che una schiava recentemente riscattata, Angath Yel Anei, aveva incontrato il marito durante una marcia di mezza giornata verso il suo villaggio. Di nuovo, perché non è scappata prima del riscatto se era così vicina a casa sua? Lo spostamento di 1.000 persone verrebbe senz'altro segnalato in un'area vasta di una settimana di marcia. Una marcia di mezza giornata è solo una passeggiata. Certamente la gente sapeva delle migliaia di schiavi che tornavano a casa con settimane di anticipo. Perché suo marito non l'ha cercata quando ha saputo - e senza dubbio deve aver saputo di un migliaio di schiavi a mezza giornata di cammino. Nello stesso servizio la Carter cita John Eibner, il dirigente americano della CSI Svizzera, che annuncia agli schiavi : "Sono lieto di dichiarare che i miei negoziati con itrafficanti hanno avuto esito positivo e che siete liberi di tornare a casa". Non si può fare a meno di chiedersi che cosa sarebbe successo se le trattative non avessero avuto successo ed Eibner fosse tornato a Nairobi senza aver riscattato gli schiavi. Che cosa avrebbero fatto i trafficanti di schiavi, bloccati nel cuore del Sudan con un migliaio di persone? Un altro dubbio nasce dal fatto che né Eibner né nessuno dei collaboratori e giornalisti che lo accompagnavano parlassero arabo o dinka e hanno quindi dovuto affidarsi a traduttori locali. Chiedendo l'anonimato, un missionario che parla sia l'arabo che il dinka, ha espresso seri dubbi sul riscatto degli schiavi. Qualche anno fa, per caso si trovava in una località dove avveniva il riscatto. Sebbene non fosse stato invitato ad aggiungersi all'équipe che se ne occupava, poté rendersi conto che l'accuratezza dell'interprete era dubbia. Più tardi quella sera vide alcuni degli schiavi "riscattati" tornare a casa con un sacco di grano. Era forse il pagamento di una recita per mezza giornata? Inoltre, nella regione dove la pratica del riscatto continua, a parte il personale ecclesiastico, diverse organizzazioni internazionali non governative (ONG) operano sotto l'egida delle Nazioni Unite nel programma della Operation Lifeline Sudan (OLS), come Medecins Sans Frontières (MSF) o OLS esterne, come il Norvegian People Aid (NPA). Queste organizzazioni hanno personale esperto che capisce la situazione del posto e svolge un notevole lavoro di appoggio in Europa. Perché non sono stati coinvolti, almeno per un ruolo di sostegno? Sono forse stati consultati e hanno rifiutato di collaborare? Sarebbe interessante saperlo. In questo contesto, lo stile mordi e fuggi delle operazioni solleva un dubbio finale. E' comprensibile che la CSI e la CSW voigliano mantenere i loro contatti confidenziali. Eppure è insolito che qualcuno senza una buona organizzazione di base possa monitorare le situazioni a rischio, le implicazioni e i risultati, che possano svolgere un'operazione così complessa. Non dubito assolutamente dell'onestà e serietà dell'impegno del CSI e del CSW. Temo solo che possano essere caduti vittime di qualche frode perpetrata dai locali, probabilmente con la connivenza di soggetti che vivono all'estero e che hanno interessi più o meno legittimi nell'area. Solo l'agenzia svizzera del CSI è impegnato del riscatto degli schiavi. L'agenzia tedesca e quella austriaca, anche loro inizialmente impegnate, si sono ritirate. Per quale motivo? Io sono italiano, a Roma ho sentito storie, raccontate con grande divertimento, di truffatori che, alla fine della Seconda Guerra Mondiale vendevano falsi titoli di proprietà del Colosseo ai soldati occupanti. In Italia ci sono truffatori, molti. Potrebbero essercene anche nella terra dei Dinka? Se è così, presto o tardi verrà alla luce e allora la reputazione degli abitanti del sud del paese ne sarà intaccata, e al regime di Kartoum sarà facile dire che il problema della schiavitù è un'invenzione dei loro nemici e detrattori. Sul Sunday Nation del 2 febbraio 1999 ho scritto che "è triste, sebbene non sorprendente, che certe persone siano pronte a fare affidamento sulla miscela di disagio, compassione e complesso di colpa che la sola menzione della parola schiavitù suscita". Ho aggiunto i miei dubbi circa i rapporti citati qui sopra: "Quando si conosce la realtà del Sudan sul terreno, non è possibile credere che sia possibile arrivare a Nairobi dalla Svizzera, il giorno dopo noleggiare un aereo al Wilson Airport, volare da qualche parte in Sudan con una borsa di denaro e riscattare 1.050 schiavi. Qualcuno, da qualche parte gioca un gioco sporco". Sono stato accusato di minare un'iniziativa lodevole senza fornire spiegazioni. Ora le ho date. Per la tranquillità di tutte le persone coinvolte, soprattutto quelle che erogano il denaro, CSI e CSW dovrebbero consentire agli esperti dei diritti umani e ai giornalisti con posizioni critiche, che perlomeno parlano arabo e che sono in grado di porre le domande giuste al momento giusto, oltre a qualche traduttore Dinka adeguatamente selezionato, di accompagnarli in viaggio. Questo viaggio non dovrebbe limitarsi a uno scoop mordi-e-fuggi sul riscatto degli schiavi, ma dovrà dare il tempo alla équipe di esaminare la zona limitrofa e intervistare approfonditamente le persone che incontrano. Se dopo questo viaggio i miei dubbi si dimostreranno completamente infondati, sarò certamente il primo ad esserne felice. Spero solo che lo sforzo impegnato per questa problema particolare, non distolga l'attenzione dall'obiettivo principale dell'azione di chiunque abbia a cuore il destino di tutti i sudanesi: sostenere i sudanesi oppressi perché prevalga una pace equa e liberare 8 milioni di schiavi.
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