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N.17 - Luglio 1999

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Kenya

Gli uomini contro la violenza sulle donne

di Stephen Mbogo

Da più parti viene chiesto un mutamento nell'atteggiamento riguardantela circoncisione femminile e la violenza sulle donne in Africa. E' giunto inoltre il momento di incoraggiare l'uguaglianza delle donne nella società e in politica.

La signora Beatrice Kwamboka Ageta, madre di tre figli, è stata circoncisa da bambina e non vuole che la stessa pratica venga compiuta su sua figlia Roberta, che ha nove anni e frequenta la quarta classe elementare. In quanto vittima della mutilazione genitale femminile ha preso un'iniziativa personale per fare pressione politica contro questa pratica. Con una marcia da Nairobi a Nyamira spera di sensibilizzare la comunità di Nyamira sulle conseguenze negative della circoncisione femminile e la mutilazione genitale femminile sulla salute fisica e psicologica delle bambine e sui diritti delle donne alla salute e alla riproduzione.

Alla fine della marcia di dieci giorni in cui ha percorso 325 chilometri, Beatrice ha convocato una riunione dei leader della comunità (leader religiosi di tutte le confessioni, capi e rappresentanti del dipartimento dell'educazione) Sono stati invitati a partecipare anche il commissario distrettuale, il Ministro della Sanità, un funzionario del Ministero della Cultura e altri direttori responsabili di dipartimenti per discutere degli effetti della circoncisione femminile e della mutilazione genitale femminile come pratica tradizionale deleteria. Ha invitato chi è impegnato nella sanità, l'educazione e lo sviluppo nella comunità affinché spiegassero gli effetti negativi di questa pratica e, se fossero stati d'accordo, per progettare una strategia operativa per eliminarla, proponendo allo stesso tempo la partecipazione a progetti che allevino i problemi che le bambine devono affrontare nella comunità.

Diverse sono le circostanze in cui si trova Lena Kadeya Seme, una madre divorziata di 29 anni, uscita traumatizzata dal matrimonio due anni fa. Per sua fortuna è sopravvissuta, a differenza delle altre 138 donne che sono morte l'anno scorso in Kenya a causa delle violenze degli uomini, a quanto dice una statistica della Commissione per i Diritti Umani in Kenya (Kenya Human Rights Commission).

"Eravamo felicemente sposati - dice Lena - con la fortuna di avere due bambini. Nel corso del matrimonio, sono sorte delle divergenze. Mio marito ha fatto ricorso alla violenza. Mi ricordo che una volta è venuto in ospedale, dove stavo lavorando, dicendo che mi voleva vedere. Quado sono arrivata all'accettazione dell'ospedale, ha cominciato a picchiarmi, lì sul posto. Un paziente in attesa di essere curato si è fatto male con gli oggetti che mio marito mi tirava addosso. Sono stata licenziata immediatamente".

Sono i casi di Roberta e di Lena, due tra le tante donne in tutto il paese, che hanno dato il via in Kenya a una decisa campagna contro la violenza sulle donne e sulle bambine da parte di chi ha il coltello dalla parte del manico. Le violenze comprendono lo stupro, le botte, la mutilazione dei genitali, l'eredità della moglie e l'omicidio da parte di parenti e amici maschi. Ma il fatto preoccupante è che buona parte delle violenze non vengono denunciate a causa dei legami che hanno con la tradizione e la cultura. Per esempio, il maltrattamento fisico della moglie e la mtilazione dei genitali sono pratiche accettate in alcune comunità africane.

Il Reverendo Timothy Njoya, Ministro della Chiesa Pentecostale dell'Africa Orientale (Pentecostal Church of East Africa - PCEA) in Kenya, è dell'opinione che "la violenza degli uomini sulle donne è una disfunzione della mascolinità ed è necessario il contributo degli uomini per porvi fine."

A marzo il Reverendo Njoya ha organizzato una processione a Nairobi dal nome Marcia degli Uomini per Porre Fine alla Violenza contro le Donne e le Bambine. La processione ha preso il via dal centro, ha attraversato Nairobi, per finire nel parco della città, Uhuru Park. E' stata accolta con entusiasmo dagli uomini, e l'umore, anche tra gli uomini, era buono, "Sono colpito dalla partecipazione, in particolare quella degli uomini, che mostra quanto siano disposti ad assumersi la responsabilità", ha commentato il Reverendo Njoya.

Dopo la processione, il reverendo Njoya ha detto, "abbiamo dimostrato che gli uomini accettano le responsabilità per l'eguaglianza e la partecipazione e concordano che l'ineguaglianza è alla radice della violenza. Essere ineguali è necessariamente essere violenti, poiché non ci sono altri strumenti per mantenere l'ineguaglianza che la violenza. Siamo qui per affermare l'impegno degli uomini per sradicare le tradizioni, le credenze e gli atteggiamenti che spingono gli uomini a fare violenza sulle donne."

Ha consigliato agli uomini di smettere di utilizzare istituzioni quali la famiglia, la scuola, la chiesa e lo stato per perpetuare il dominio maschile sulle donne, e per mantenere dei rapporti ineguali. "L'ineguaglianza non sta scritta nei nostri geni. Gli uomini sinceri non violano le donne. E' contrario alla natura insultare o maltrattare una bambina o una donna. Le cattive abitudini conducono all'intolleranza maschile e spingono gli uomini a fare violenza sulle donne. Un uomo che sfoga la sua frustrazione su sua moglie è messo male e ha bisogno di un aiuto professionale. Sfogare le proprie frustrazioni sulle donne più che elevare un uomo lo degrada. Gli uomini sicuri di sé non hanno bisogno di provare il proprio valore con la violenza, ma scelgono piuttosto di discutere i problemi", ha detto il Reverendo Nagoya.

Tra i partecipanti c'erano la Coalizione sulla Violenza contro le Donne (Coalition on Violence Against Women - COW), l'organizzazione keniana contro lo stupro, la Commissione per i Diritti Umani in Kenya e SUPREME, un'organizzazione di fedeli musulmani del Kenya. La signora De Gachukia, attivista del movimento delle donne, ha detto "i paesi africani hanno bisogno di leggi, legislazioni e di cambiare la testa della gente per porre fine alla violenza contro le donne". Ha sottolineato che le tradizioni africane propugnano la protezione delle donne e dei bambini.

La presidente di COVAW, la signora Adplina Mwau ha detto che la violenza degli uomini sulle donne dovrebbe essere considerata un reato e allo stesso tempo ha fatto appello agli uomini perché rispettino le donne come persone. "Dobbiamo guardare al processo di socializzazione nelle nostre comunità che riduce le donne a cittadine di seconda classe, e anche all'aspetto della divisione del potere in Africa che colloca le donne al di fuori del gioco dl potere."

Il presidente di SUPKEM, il signor Abdul Mohamed Slatch, ha chiesto la messa a punto di leggi severe che proteggano le donne, fondando il suo discorso sul libro sacro del Corano, ha affermato "il migliore fra voi è colui che è buono con sua moglie." Dopo avere intervistato dieci partecipanti su ciò che pensassero essere l'ostacolo principale che la campagna contro la violenza degli uomini sulle donne dovesse affrontare, sette persone hanno identificato le convinzioni culturali, mentre tre hanno parlato delle risorse limitate per pagare la campagna. In effetti le convinzioni culturali costituiscono un ostacolo principale che i promotori della campagna dovranno affrontare. Anche se le tradizioni africane non incoraggiavano atti come lo stupro e favorivano la protezione delle donne e delle bambine, la mutilazione genitale femminile (la circoncisione femminile) era in grande misura accettata in alcune comunità come rito di passaggio mentre la violenza fisica sulle donne veniva vista come un modo per 'disciplinare' le donne devianti. Allo stesso modo, le mogli in eredità erano una pratica culturalmente accettata in alcune comunità, come nel caso della comunità Luo del Kenya e dell'Uganda.

Il Reverendo Timothy Njoya, il promotore degli Uomini per l'Eguaglianza con le Donne (Men for Equality with Women - MEW), dice che la campagna dovrebbe essere portata a un livello di diffusione di massa, attraverso la chiesa e altri canali a disposizione. "E' l'unico modo di ottenere l'impatto più forte contro questa depravazione."

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