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Versione italiana

N.19 - Ottobre 1999

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Kenya

Un popolo diseducato dai leaders

di Clement Njoroge

In Kenya i media e le autorità hanno la responsabilità di educare la società sulle diverse problematiche politiche e sociali che la condizionano ma i recenti avvenimenti hanno dimostrato che molte persone non conoscono i loro diritti e ne sono tenuti all'oscuro.

La democrazia garantisce il diritto del popolo di partecipare alla gestione e alla determinazione del proprio destino. Quindi il popolo ha il diritto di scegliere, quello di esprimersi e il diritto di chiedere conto a chi è depositario di responsabilità di governo. Pur apprezzando quanto la democrazia del multipartitismo ha portato in Kenya deploro tuttavia gli ostacoli che, in certi settori, vengono utilizzati per frustrare la marcia delle masse verso la realizzazione di una società realmente democratica.

Nel febbraio 1986 fu l'emittente cattolica Radio Veritas a lanciare un appello al popolo perché bloccasse il cammino ai carri armati governativi, evitando un brusco epilogo della rivolta contro il dittatore filippino Marcos. Milioni hanno seguito l'appello del cardinale Sin, di altri leader politici e di altre chiese, fermando le truppe fedeli a Marcos. Alla fine il dittatore non ha avuto altra scelta se non l'esilio negli USA. Il "potere del popolo" aveva trionfato su un dittatore.

Il successo dei filippini dovrebbe incoraggiare i kenioti ad aver fiducia in se stessi e a sfidare le armi dei potenti. Le esperienze storiche in Africa e in tutto il mondo dimostrano che, all'alba del nuovo millennio, nessun governo può governare indefinitivamente contro la volontà del popolo. Come sappiamo, i governi di altri paesi hanno dovuto sperimentare personalmente questa realtà; basti pensare alla dittatura di Amin Dada in Uganda, di Mobutu Sese Seiko nello Zaire, Samuel Doe in Liberia: tutti hanno perso il potere nello stesso modo in cui l'avevano conquistato: con le armi.

La caduta del governo delle Filippine era stato preparata con anni di iniziative di formazione e di attività mediatica da parte della chiesa e delle ONG, che hanno prodotto audiocassette, diapositive, giornali di distretto o cittadini o fondando gruppi di teatro politico per promuovere la democrazia e la giustizia. Il popolo veniva così esaurientemente educato sui propri diritti. In alcune regioni, i tabelloni dove vengono affisse le informazioni, si sono rivelati uno strumento molto apprezzato con cui la gente comune ha potuto esprimere le proprie preoccupazioni. Questi piccoli mezzi di informazione venivano spesso messi fuori uso dai raid della polizia e dell'esercito, ma con l'aumento del numero di questi "giornali" e con il rafforzamento del movimento di opposizione, la gente era ormai meno disposta a lasciarsi intimidire.

Il fallimento del tentativo del "potere del popolo" di introdurre cambiamenti radicali nello scenario politico del Kenya è evidente anche nel recente passato. Dove hanno fallito i leader dell'opposizione? In Kenya il cittadino comune ha un forum dove può esprimere le sue preoccupazioni? O non gli è stato invece insegnato ad ascoltare, incitare e lasciarsi intimidire dai leader? I leader dell'opposizione sostengono di avere a cuore l'interesse dell'uomo comune e sembrano conoscere i bisogni della gente comune, anche se non la consultano mai.

I leader politici sono figure importanti nella nostra società. Le loro scelte sono vitali per lo sviluppo e il miglioramento delle condizioni della popolazione. La priorità assoluta è l'educazione dei concittadini, offrire loro l'opportunità di acquisire conoscenza perché la conoscenza è potere. Secondo le parole di William Shakespeare, "l'ignoranza è una maledizione di Dio. La conoscenza regala le ali con cui voliamo in paradiso". La conoscenza è una risorsa umana essenziale. E dare potere al popolo con la conoscenza è quanto i nostri governanti hanno trascurato. Quando le persone sono istruite sono libere. Che dire di un membro del Parlamento che non considera prioritaria l'educazione dei suoi votanti? I leader hanno il dovere di sensibilizzare le persone sulle questioni che le riguardano direttamente.

È quindi futile che questi stessi leader sollecitino il popolo a impegnarsi nelle proteste di piazza, dimostrazioni e scioperi che poi il governo dichiara illegali. La gente deve sapere fino a che punto può spingersi e come esercitare ed esigere il rispetto dei propri diritti. Deve conoscere il ruolo del potere giudiziario, del parlamento, della Costituzione, qual è la posta in gioco, poter scegliere quando impegnarsi o meno, e le ripercussioni, i pro e i contro dell'impegno nell'attività politica. È importante che la gente venga sensibilizzata sulle questioni dei diritti civili di base. Ma quanti dei nostri leader s'impegnano in iniziative di sensibilizzazione nei villaggi che rappresentano in Parlamento?

La mia personale valutazione dei cambiamenti in Kenya è che sia un fenomeno che si muove intorno a promesse, potere, politica e povertà. Se questo sembra un giudizio duro e affrettato, gli avvenimenti successivi lo hanno più che giustificato. Quello che è più evidente in Kenya è la natura del processo politico stesso - un processo che si basa su politiche di partito tribali. Poi c'è la politica del potere, una politica di élite a spese delle masse, che si manifesta con una carenza di un'ideologia portante e di flessibilità nell'avvicendamento delle personalità all'interno dei partiti politici.

L'attuale élite politica ha adottato un modello in cui i politici sono anche uomini di affari. Questo è perfettamente legittimo ma può anche rappresentare un fattore fortemente limitante per lo sviluppo se l'élite è impegnata in attività commerciali al dettaglio/all'ingrosso in confronto alle iniziative produttive/manifatturiere. E possiamo osservarne le conseguenze: il Kenya è stato trasformato in un magazzino per il Sud Africa e per le merci di importazione. Sembra che non siamo in grado di produrre neanche sigarette decenti e dobbiamo importare persino le uova. Gli stessi leader che gridano allo scandalo per questa situazione, sono quelli che gestiscono attività commerciali lucrative per ditte di spedizione che importano prodotti di qualità scadente a spese dei prodotti locali. Non rientra forse nei poteri dei nostri leader realizzare progetti di auto-aiuto dove le comunità rurali costruiscono dighe e ponti, diversificano le colture, aumentano la coltivazione di mango e di agrumi, costruendo scuole e assistendo la popolazione locale nella gestione della propria terra senza aspettare che élite estranee arrivino a comprare tutto?

Il caso di 263 membri del Faith in Action Self Help Group è illuminante a questo proposito. Il gruppo sta costruendo un ponte di 50 metri sul fiume Thika. Il gruppo ha deciso di impegnarsi direttamente nella costruzione del ponte dopo che i politici e il governo locale non avevano fornito alcuna assistenza.

Contrariamente a un'opinione largamente diffusa, esistono prove sostanziali a dimostrare l'esistenza di una tradizione africana di rispetto dei diritti umani. Nonostante le ampie divergenze dei sistemi politici dell'Africa ex-coloniale, è possibile proporre alcune sicure generalizzazioni sui principi base dei diritti umani. Un fattore comune a diversi sistemi africani tradizionali è l'esistenza di forme di controllo ed equilibrio. Il re o il capo è soggetto alla legge e il mancato rispetto delle norme può implicarne la detronizzazione.

Quanti dei nostri leader liberamente eletti dichiarano che il popolo ha detto questo e quello quando di fatto non hanno consultato l'elettorato? Quanti di loro hanno consultato i loro elettori sulla Riforma Costituzionale, ora in fase di stallo? Qualcuno di loro si è forse mosso per sollecitarli a lottare per i loro diritti? Hanno ritenuto di dover spiegare i loro diritti? Oggi è evidente che alla fine è sempre l'uomo comune a dover soffrire senza avere nessuno cui rivolgersi.

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