SudanPetrolio, guerra e paceDi Charles Omondi
Per chi per decenni ha dovuto fare i conti con un'economia malconcia, l'inizio dello sfruttamento dei grandi giacimenti di petrolio dovrebbe essere certamente una buona occasione da festeggiare. In fin dei conti, il petrolio non è forse una merce di gran pregio richiesta ovunque! Non in Sudan, il più grande stato africano, in guerra ormai sin dai tempi della liberazione dal giogo coloniale nel 1956. L'inizio dell'esportazione di petrolio dal Sudan, lo scorso agosto, ha suscitato nuove preoccupazioni per l'eventualità che i leader possano non essere più interessati a concludere il prolungato conflitto fra Nord e Sud. Gli analisti ora temono che per le grandi entrate di cui il governo usufruisce grazie alle esportazioni di petrolio Khartoum non abbia più molti incentivi per concludere pacificamente i negoziati. Le entrate quotidiane dalle esportazioni petrolifere ammontano a 2 milioni di dollari USA. Con una risorsa finanziaria simile l'acquisto di armi non sarebbe più un problema per Khartoum, senza contare che questi nuovi sviluppi riconquisteranno l'esitante fiducia degli investitori stranieri e rafforzeranno il valore del credito. La Talisman Energy Inc., una società canadese, dopo il completamento di un oleodotto di 1.500 chilometri che la multinazionale gestisce in associazione con società statali cinesi, malesi, e sudanesi, lo scorso agosto ha esportato 600.000 barili di greggio dal Sudan. L'oleodotto si estende dai campi petroliferi del Sudan meridionale a Porto Sudan. Attualmente ha una capacità di 100.000 barili al giorno ma tra due anni, quando sarà completamente operativa, sarà in grado di operarne il doppio. "Per quale motivo una giunta brutale, che ha violato letteralmente ogni diritto umano previsto dalla Convenzione, dovrebbe fare la pace se ha le risorse per vincere e imporre la sua soluzione finale?", chiede Mel Middelton, direttore della ONG canadese Quest International, "I dittatori non sono famosi per la loro magnanimità o dovremmo presumere che si sia verificata una sorta di epifania collettiva e che i governanti sudanesi si siano tutti pentiti e purificati nelle acque del Mar Rosso?": Freedom Quest International è membro del Gruppo di Riferimento Inter-Agenzia sudanese (SIARG), un forum per le agenzie canadesi che operano in Sudan. Tra gli altri membri del SIARG ricordiamo il Canadian Friend Service Committee, il Canadian Labour Congress, Emmanuelle International, Steelworkers Humanity Fund e Inter-Church Coalition On Africa. La guerra civile sudanese, da molti considerata un'eredità del colonialismo, ha attraversato fasi diverse. La fase attuale è iniziata nel 1983 quando i ribelli del sud, sotto il colonnello John Garang, hanno impugnato le armi per protestare contro la dominazione del governo a maggioranza araba e islamica di Khartoum. La guerra è stata spiegata in modi diversi - africani neri contro arabi; sudanesi settentrionali contro meridionali, cristiani contro musulmani. Eppure uno dei fattori meno riconosciuti ma fondamentali per il conflitto è il controllo delle risorse - acqua, terreni agricoli, bestiame e, più recentemente, petrolio. La maggior parte delle risorse del Sudan sono nel Sudan meridionale a prevalenza africana e cristiana, eppure il potere è sempre stato in mano al settentrione arabo e musulmano. Middelton dichiara, "Per anni le diverse giunte di Khartoum hanno aspirato al controllo di queste risorse, che considerano essenziali per il loro principio di uno "sviluppo" arabo e musulmano. Eppure questo "sviluppo" raramente ha lasciato spazio alle culture e stile di vita dei sudanesi del sud." Il presidente sudanese Omar El-Bashir sostiene che le entrate derivanti dal petrolio verranno usate per il bene del Sudan e non per finanziare la guerra. Recentemente il presidente ha dichiarato all'Assemblea Nazionale che le rendite derivanti dalle esportazioni petrolifere verranno utilizzate per costruire le infrastrutture del paese, "con speciale considerazione per gli stati del sud e le altre regioni coinvolte nella guerra". In un discorso diffuso alla televisione nazionale ha affermato che la politica governativa si sarebbe concentrata sull'elettricità, sull'irrigazione, sulle strade, l'edilizia, la ricerca scientifica e i programmi sociali, con speciale attenzione per il sud del paese e le altre regioni che hanno subito la guerra. Durante i recenti festeggiamenti per il 10° anniversario del regime, Bashir ha annoverato la produzione petrolifera tra i maggiori successi del proprio governo. D'accordo con il presidente Bashir è il signor Altereifi Ahmed Kormino, dell'ambasciata sudanese di Roma,. "Le entrate del petrolio porteranno ricchezza in Sudan e, come si sa, i ricchi non combattono", ha dichiarato Kormino ad un recente convegno a Milano sul conflitto sudanese. "Perché non c'è guerra negli USA, in Canada o in Italia?" ha chiesto Kormino spiegando che, contrariamente ai timori di Middelton, il governo sudanese userà le entrate delle esportazioni petrolifere per sviluppare le infrastrutture, combattere l'ignoranza e le malattie, ridurre il tasso di mortalità infantile e migliorare le aspettative di vita nel paese. Secondo John Luku, rappresentante dello SPLA (i ribelli del Sud) per le regioni settentrionali, non può esistere giustificazione alcuna perché Khartoum sfrutti le risorse del sud prima di affrontare la questione dei diritti dei sudanesi delle regioni meridionali. "Tutte le società petrolifere in Sudan sono obiettivi militari legittimi, questa è la posizione dello SPLA. Che nessuno si faccia illusioni a proposito", dichiara Luku. Forse la conferma è arrivata prima del previsto quando, un'esplosione ha distrutto l'oleodotto nei pressi di Atbara, a circa 275 chilometri a nordest dalla capitale. Il tenente generale Abdel Rahman Said, portavoce dei ribelli, avrebbe dichiarato più tardi che loro avevano fatto saltare l'oleodotto per inviare un messaggio a Khartoum. "Abbiamo voluto dimostrare al governo che siamo in grado di fare quello che vogliamo".
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