KenyaCarcerati, AIDS e preservatividi David Kuria
Di recente il pubblico kenyano sta assistendo a un dibattito acceso, in cui i fronti di battaglia sono delineati chiaramente. La guerra è tra due forze note per non essere buoni alleati, anche nelle migliori situazioni. Le due forze, da una parte i politici, dall'altra i leader delle chiese, non riescono ad accordarsi sull'opportunità per i kenyani di usare il preservativo come uno dei mezzi per proteggersi dal virus che causa l'Aids. Mentre i politici ne incoraggiano l'uso, la chiesa condanna questo invito e continua a insistere sull'astinenza e la fedeltà nel matrimonio come unico mezzo per garantire tale protezione. Qualunque sia l'esito di questo dibattito, c'è un settore della nostra società che viene completamente ignorato dalle due parti, e i membri di questo settore della società, poiché esclusi, ignorano il modo in cui il dibattito sta procedendo. Si tratta dei carcerati e delle persone nei centri di detenzione in attesa di giudizio. Vivono una situazione materiale che rende assurdo ogni suggerimento di astinenza o fedeltà, eppure i sostenitori dell'uso del preservativo non considerano conveniente che sia data loro la possibilità di usarne. I carcerati e chi è in attesa di giudizio negli appositi centri di detenzione, sono sempre più a rischio di contrarre l'Hiv-Aids tramite la pratica di rapporti omosessuali. Quando la società nel suo insieme si affretta a condannare tali atti, lo fa senza sapere che molte persone vi sono costrette (la natura dell'atto è segreta, al punto che cercare delle prove statistiche appare ridicolo). I mezzi per costringere un detenuto a queste pratiche sono numerosi e vari. Tra i più comuni sono l'uso della forza fisica, il ricatto o la promessa di favori. E' un dato di fatto che alcuni detenuti hanno contratto il virus. E in effetti, molto prima che il Presidente Daniel Moi dichiarasse l'Aids una catastrofe nazionale per il Kenya, il ministro degli interni del paese, Katana Ngala, aveva già ammesso che il tasso di contagio nelle nostre prigioni aveva raggiunto proporzioni allarmanti. Sarebbe naturalmente giusto pretendere che ogni persona sia protetta in maniera adeguata dal virus che causa l'Aids, compresi i carcerati. Ma forse ancora più di loro questo vale per gli imputati nei centri di detenzione in attesa di giudizio, se non altro perché il nostro sistema di giustizia li considera non colpevoli dei reati di cui sono accusati finché non siano stati giudicati tali. Tra l'altro alcune delle persone detenute in questi centri non meritano di starci in primo luogo. Una persona simile è Daniel Kimani. Anche se ormai è morto di una malattia legata all'Aids, Kimani sarà ricordato come una persona che non meritava di morire. Era un bigliettaio di matatu bravo e responsabile, e faceva il suo lavoro con impegno, finché una sera la sfortuna lo colpì. Il suo matatu Nissan venne rubato. Il proprietario della impresa di matatu lo sospettò, insieme al guidatore, di collaborazione con i malviventi. Poiché non c'erano prove chiare della presunta collaborazione però, il proprietario si accordò con dei poliziotti corrotti perché Daniel rimanesse nel centro di detenzione in attesa di giudizio per un intero terribile anno. Per sua sfortuna, nel corso della sua permanenza di un anno ha frequentato diversi benefattori che gli garantivano una scorta costante di sigarette, una quantità sufficiente di cibo e che lo proteggevano dalla minaccia onnipresente dei bulli più corpulenti. Uno dei suoi benefattori, o forse più di uno, era sieropositivo, e la sua stretta frequentazione di questa persona (o persone) per un anno lo ha reso vittima dell'Aids. Anche se Daniel è stato in seguito rilasciato per mancanza di prove, la sua permanenza nella casa di detenzione in attesa di giudizio lo ha consegnato alla morte. E' spirato il 25 dicembre del 1999 all'età di ventitre anni. Quello di Daniel non è un caso isolato. John Semakula, un detenuto politico di lunga data nella prigione Luzira Maximum, in Uganda, ha raccontato come i prigionieri anziani preferiscono i nuovi arrivati e se li spartiscono anche tra di loro, per questo legame innaturale. Per i nuovi arrivati non è una questione di scelta, dice. All'acquiescenza l'alternativa è affrontare l'aggressione di massa, troppo spesso con conseguenze fatali. All'inizio del mese, intanto, i media del paese hanno riportato le esperienze sconvolgenti per cui sono passati gli ex detenuti di Kodiaga, una delle prigioni più grandi del paese. Gli ex detenuti hanno raccontato le sofferenze cui vanno incontro i carcerati in questa prigione. George Okore, che ha scontato cinque anni in questa struttura, ha raccontato: "Alcune delle guardie a Kodiaga sono peggio di un gruppo di assassini hitleriani durante la seconda guerra mondiale. Usano delle fruste di pelle di ippopotamo grezza su detenuti indifesi sospettati di essere sieropositivi finché non sanguinano." Gli ex carcerati sostengono che le stesse fruste, macchiate del sangue fresco dei presunti malati di Aids, vengono usate su altri detenuti, finché, a causa dei colpi, non gli si aprono delle ferite. Hanno mostrato cicatrici e ferite che sostenevano essere state inflitte dalle guardie. Gli ex prigionieri, graziati dal presidente Moi il 12 dicembre, nel quadro delle celebrazioni per il giorno dell'indipendenza, hanno dichiarato ai giornali che la malattia e la morte erano in aumento nelle celle affollate, poiché le indicazioni dei medici non vengono mai seguite dalle guardie. Okore ha detto che la temuta frusta e un ampio spettro di torture fisiche e psicologiche brutali erano il marchio distintivo della vita nella prigione. "Stiamo dicendo che i giudici e i magistrati che condannano la gente a scontare delle pene a Kodiaga stanno direttamente firmando delle condanne a morte per persone che non meritano di morire, perché una volta ricevuta una singola frustata, si rischia di essere contagiati con il virus Hiv. Anche quando hai scontato la pena e esci, puoi solo aspettare la morte," ha detto. Un ufficiale di polizia, che ha chiesto che la sua identità non fosse rivelata, critica le condizioni delle prigioni kenyane e dei centri di detenzione in attesa di giudizio, in particolare del centro di detenzione in attesa di giudizio Industrial Area che, dice, è affollato, non igienico e terreno fertile per la diffusione di malattie. Lì, aggiunge, le persone sono apertamente esposte al rischio di contrarre il virus Hiv-Aids. Nel frattempo dei funzionari del governo e dei politici che non sono toccati dal problema ne discutono a fondo con i leader delle chiese, attraverso l'infruttuoso dibattito sui preservativi. Se la gente del governo crede realmente che i preservativi possano offrire una protezione effettiva contro l'Aids, non li dovrebbero offrire ai prigionieri? E per quanto riguarda i leader delle chiese, non dovrebbero applicare il principio del doppio regime nel momento in cui offrono i loro insegnamenti a questa categoria di persone, perseguendo il minore dei due mali?
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