AfricaDov'è il rinascimento africano?di Hassan Galana
Una settimana prima di Natale, nel clima di eccitazione generata dal millennio alle porte, un golpe piuttosto prevedibile ha avuto luogo in Costa d'Avorio. Il generale Robert Guei, ex Capo di stato maggiore, è tornato sulla scena politica e ha rovesciato il governo civile di Henri Bedie, mandandolo in esilio. Missione di Guei: salvare il paese! Anche se molte persone sono rimaste atterrite dal golpe, per la maggioranza del paese è stato benvenuto. Al di là del golpe, se si guarda più da vicino alla questione, il rovesciamento del potere non è stato una sorpresa. E' stato, al contrario, il finale perfetto di un anno in cui, secondo il rapporto sul mondo per il 1999 dell'organizzazione Human Rights Watch di New York, l'Africa è stata "intrappolata tra un sogno e un incubo." Un anno prima, nel 1998, il continente era stato elogiato perché mostrava di avere compiuto un cambiamento di marcia senza precedenti. Ma l'anno dopo l'Africa ha invertito la rotta, in direzione dell'abisso. Dice il rapporto: "il tanto elogiato 'rinascimento africano', un'equazione a tre incognite in cui fiorirebbero democrazia, cultura e crescita economica, sembra essere ridotto in brandelli. Il rendimento economico in calo, un freno al processo di democratizzazione e ad altre riforme che riguardano i diritti umani, e un aumento delle tensioni nazionali e regionali hanno invece minacciato buona parte del continente. In questi due anni, dice il rapporto, è scoppiata una nuova guerra nella Repubblica democratica del Congo (Rdc).E' stato un conflitto che ha coinvolto paesi tanto distanti quanto il Ciad e lo Zimbabwe. Purtroppo non è stata l'unica guerra. Nuovi conflitti hanno minacciato l'Etiopia, l'Eritrea, la Guinea-Bissau, la Sierra Leone e persino il piccolo Lesotho. Per non parlare delle guerre di lungo termine in Angola e Sudan. Tutto ciò ha minato alla base lo slogan di 'soluzioni africane per problemi africani', che comportava un nuovo paradigma che racchiudeva diverse qualità: impiego di risorse locali, coinvolgimento degli attori locali e razionalità economica. Purtroppo "la leadership africana ha più volte tentennato quando si è trattato di trovare delle soluzioni per i gravi problemi economici e di diritti umani del continente," dice il rapporto. I leader di paesi che avrebbero potuto svolgere un ruolo maggiore come la Costa d'Avorio, adesso in conflitto, il Ghana, il Kenya, la Nigeria, il Senegal e il Sud Africa si sono mostrati inefficaci. Anche i meccanismi continentali come l'Organizzazione dell'unità africana (Oua) sono stati comunque incapaci di raccogliere la volontà politica o le risorse economiche necessarie per fare fronte a queste crisi. Eppure, bene o male, i governi africani sono stati in grado di mobilitarsi e di intervenire quando sono scoppiati degli scontri in un paese vicino. In Africa occidentale le truppe Ecomog, guidate dalla Nigeria, hanno riportato il governo civile in Sierra Leone, mentre le stesse truppe erano di stanza in Liberia per l'ottavo anno consecutivo. Le truppe senegalesi e guineane sono intervenute anche in Guinea Bissau, e in nome della Comunità per lo sviluppo dell'Africa del sud (Southern African development community - Sadc) il Sud Africa e il Botswana hanno inviato truppe nel Lesotho per salvare un governo che era sull'orlo del crollo. Ma questi interventi sbiadiscono se confrontati con ciò che stava accadendo nella Rdc. Il coinvolgimento regionale in quel paese ha minacciato di dilaniare le regioni centrali e meridionali dell'Africa quando una mezza dozzina di paesi si sono schierati in maniera diversa nel conflitto. Il rapporto ne fornisce la spiegazione: "Nonostante si fosse reso evidente che le vecchie regole non si sarebbero più potute applicare, delle regole nuove che fornissero una base ragionevole per la stabilità della regione non erano ancora state definite. Il risultato è stato che gli obiettivi degli interventi erano distorti dalla visione a breve termine che ogni governo aveva di quello che riteneva il proprio interesse nazionale. Sono state convocate in tutta fretta riunioni dei leader per gettare acqua sugli incendi, ma non è stato programmato niente di serio sul lungo periodo, né sono state intraprese azioni effettive che affrontassero i problemi dell'Africa al livello del continente e che cercassero di prevenire un'altra crisi come quella del Congo." Il fallimento di maggiori proporzioni è stato quello del Meccanismo per la prevenzione, la gestione e la risoluzione dei conflitti dell'Oua, che è rimasto inattivo e scarsamente sperimentato. Anche l'organismo della Sadc per la politica, la difesa e la sicurezza si è mostrato incapace di intervenire a causa delle divisioni tra il Sud Africa e lo Zimbabwe riguardo l'intervento nella Rdc, e il dibattito nella Comunità economica degli stati dell'Africa occidentale (Economic community of West African states - Ecowas) per l'istituzione permanente di una forza di pace nella regione non ha prodotto nessun tipo di azione. I disordini nella Rdc, così come il conflitto di frontiera tra Etiopia e Eritrea hanno anche mostrato la rapidità con cui la cosiddetta 'nuova stirpe di leader' di Uganda (Yoweri Museveni), Ruanda (Paul Kagame), Etiopia (Meles Zenawi), Eritrea (Isayas Afewerki) e Repubblica Democratica del Congo (Laurent Kabila) ha perso il suo lustro. Questa ombra ha sollevato dubbi sull'effettiva capacità di qualunque uomo forte dispotico di contribuire a una rinascita africana nel lungo periodo. Il documento osserva: "Nonostante il fatto che tutti questi leader avessero sostituito regimi brutali e corrotti, e nonostante tutti i loro discorsi sulla solidarietà, i loro interessi divergevano in maniera evidente, raggiungendo a volte lo scontro aperto tra ex compagni d'armi." Al di là dei fronti di guerra, la valutazione del processo di democratizzazione nel continente ha continuato a essere dominata da banchi di prova fuorvianti, come il fatto che si tenessero 'elezioni pluripartitiche'. I brogli elettorali, le irregolarità procedurali, il ritiro dei partiti di opposizione, i boicottaggi sono proseguiti, e le operazioni elettorali viziate, apparentemente progettate al fine di assicurare la vittoria al partito in carica, hanno continuato a essere un motivo di crisi profonde. Crisi di questo tipo sono scoppiate in Lesotho, Togo e Mali. In paesi quali l'Angola, il Burkina Faso, il Camerun, il Ciad, la Costa d'Avorio, la Guinea Equatoriale, il Gabon, la Gambia, la Guinea Bissau, il Kenya, il Niger, la Tanzania, il Togo, la Zambia, e lo Zimbabwe, dove il panorama politico è stato storicamente dominato da strutture legate a un partito unico, sono state mantenute delle restrizioni sull'ingresso e la partecipazione nella vita politica. Questo è avvenuto nonostante la liberalizzazione dei sistemi a partito unico di questi paesi: i partiti di opposizione sono rimasti sostanzialmente in una posizione di svantaggio, e le autorità hanno continuato a abusare e imprigionare i loro oppositori. In Sudan ad esempio, un ritorno dei partiti politici vietati dal golpe del 1998 è stato impedito quando una clausola fondamentale nella proposta di Costituzione è stata modificata dal leader del Fronte islamico nazionale Hassan al Turabi. La legge ha sostanzialmente ridotto ogni speranza di una autentica transizione verso la democrazia. In Liberia, il neoeletto governo di Charles Taylor ha mostrato una crescente inolleranza nei confronti dei suoi oppositori, mentre il presidente della Zambia, Fredrick Chiluba ha continuato a tradire il nome del suo partito, il Movimento per una democrazia pluripartitica. La situazione era uguale anche in Kenya e in Zimbabwe. Dice il rapporto: "Sia in Kenya che in Zimbabwe il governo era nel pieno di una crisi di fiducia riguardo la sua capacità di gestire l'economia, e ambedue (i presidenti) Daniel arap Moi e Robert Mugabe sembravano avere optato per una combinazione di carota e bastone: fare concessioni politiche e economiche limitate, avventandosi allo stesso tempo contro alcuni dei loro critici più virulenti." La guerra civile, spesso generata da violazioni dei diritti umani di lunga data, e alimentata da armi fornite dall'esterno, ha minacciato molti paesi e ha provocato migrazioni forzate di grandi dimensioni. Le notizie più devastanti sono giunte dalla Sierra Leone, dove i civili sono stati mutilati, stuprati e uccisi dalle forze ribelli. "I bambini sono stati vittime di violazioni sostanziali di diritti umani a opera di ambedue le parti in conflitto, sia prima che in seguito al ritorno al governo del Presidente Ahmed Tejan Kabbah. Le forze ribelli che combattevano il governo hanno rapito un numero imprecisato di bambini, usandoli come lavoratori, combattenti, e, nel caso delle bambine, abusandone sessualmente. C'erano molti bambini soldato tra i combattenti delle forze ribelli, e nonostante le promesse del governo di smobilitare tutti i combattenti sotto i diciotto anni di età, gli alleati di governo hanno continuato a reclutare bambini almeno fino a luglio," afferma il rapporto. Neanche i media sono stati risparmiati. I media controllati dallo Stato hanno continuato a essere usati come strumenti di propaganda nella maggior parte dei paesi, e la televisione e la radio sono rimaste saldamente sotto il controllo governativo. Le autorità hanno continuato a minacciare i giornali critici e le stazioni radio indipendenti che sfidavano gli abusi del governo. Questa situazione ha costretto i giornalisti a praticare l'autocensura. Ci sono però state delle eccezioni. Il processo di transizione in Sud Africa è rimasto in piedi, nonostante qualche difficoltà. Allo stesso tempo la democrazia in Botswana e in Mauritius è rimasta stabile, e questi paesi sono sopravvissuti come isole nella turbolenza della regione. Benin, Ghana, Malawi, Mali e Mozambico, di recente democratizzazione hanno proseguito in quella direzione, nonostante la strada sia a tratti accidentata. Solo queste sono le storie che possono essere considerate le storie di successo dello scorso anno.
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