SudanFiotti di sangue e petrolioDi John Deng
La caccia al controllo dei giacimenti petroliferi, da poco scoperti nelle regioni del sud del Sudan, è la ragione di fondo del conflitto armato che senza sosta continua a devastare l'esistenza di innumerevoli civili nel paese. Questo è il dato di fatto secondo un rapporto di ventidue pagine pubblicato dalla sezione londinese di Amnesty International. Secondo il rapporto di Amnesty, intitolato: "Il petrolio in Sudan incide negativamente sui diritti umani", nella regione del Western Upper Nile decine di migliaia di persone dall'inizio del 1999 sono state terrorizzate al punto da farle fuggire dalle loro abitazioni. Per esempio, si riporta che intorno alla città di Bentiu truppe governative abbiano sgombrato l'area dai residenti usando elicotteri armati, alcuni forse pilotati da irakeni, nonché ricorrendo a bombardamenti d'alta quota utilizzando bombe a grappolo lanciate da aerei Antonov. Questa regione ospita alcune delle installazioni petrolifere di cui si parla. Nello stesso tempo i cinesi di una società costruttrice dell'oleodotto sono stati apparentemente coinvolti, durante i lavori, nell'allontanamento forzato e senza alcun compenso di civili. Infatti, civili sudanesi, scampati agli attacchi, hanno riferito che i cinesi erano armati e sembravano decisi ad usare le loro armi. Si parla anche del fatto che le società impegnate nella costruzione dell'oleodotto siano ricorse, per difendere il personale e gli impianti, a mercenari Mujahedin afgani e a malesi. Elicotteri pilotati da stranieri sono stati usati per trasportare reparti militari stavolta dell'opposizione in aree di combattimento, mentre queste stesse truppe si sarebbero macchiate in seguito di atrocità nei confronti dei civili. Aggiungendo il danno alla beffa, si riferisce anche che truppe governative hanno cacciato diversa gente dalle loro case commettendo gravissime violazioni dei diritti umani, eseguendo omicidi di massa degli uomini e inchiodando agli alberi donne e bambini. In altri villaggi si dice che i soldati abbiano squarciato la gola dei bambini ed ucciso gli uomini, dopo averli interrogati, martellandogli chiodi nella fronte. Il rapporto di Amnesty condanna anche delle forze ribelli che sono state accusate di aver attaccato e saccheggiato civili nel tentativo di garantirsi il controllo di aree ricche di petrolio. Un loro ex-comandante, del resto, ha confermato che questi reparti hanno perpetrato esecuzioni sommarie di civili, violentato e sequestrato le donne e distrutto le loro case appiccando il fuoco. Il rapporto asserisce categoricamente che il petrolio risulta essere "il combustibile" che alimenta questa guerra che ha già causato quasi due milioni di vittime dal 1983. D'altronde è un dato di fatto che le operazioni militari con cui iniziò l'attività della guerriglia d'opposizione erano dirette contro i tecnici della compagnia petrolifera Chevron che aveva intenzione di costruire un oleodotto che andasse dai campi petroliferi del sud fino alle raffinerie del nord, localizzate a Port Sudan. Pubblicando il rapporto, Amnesty, l'organizzazione internazionale che lavora in difesa dei diritti umani, intende mettere in luce il legame esistente fra le massicce violazioni dei diritti umani messe in atto nel paese dalle forze governative in collaborazione con varie milizie che le spalleggiano e l'attività di ricerca e sfruttamento delle società petrolifere. A questo proposito, Maina Kiai, direttore per l'Africa di Amnesty International, ha dichiarato che la popolazione civile residente nelle aree petrolifere è stata deliberatamente oggetto di tremende violazioni dei diritti umani, di deportazioni, bombardamenti aerei, mitragliamenti da elicotteri, omicidi, torture, stupri e rapimenti. Amnesty, ancora, accusa le società petrolifere straniere di chiudere un occhio davanti a queste violazioni dei diritti umani commesse dalle forze di sicurezza governative e dai loro alleati, in nome della salvaguardia della sicurezza nelle zone di estrazione. Il rapporto a questo proposito afferma che il rispetto dei diritti umani dovrebbe essere fondamentale per ogni impresa che opera in un contesto di guerra come quello del sud Sudan e che il silenzio di potentissime società petrolifere di fronte all'ingiustizia non può essere tollerato. Fra le multinazionali che estraggono petrolio in Sudan c'è la GNPOC (Great Nile Petroleum Oil Corporation) i cui principali azionisti sono la CNPC (China National Petroleum Corporation), la Petronas, una società statale malesiana e la canadese Talisman Energy. Un'altra grossa società presente è la IPC (International Petroleum Corporation), completamente di proprietà della Ludin Oil AB di Stoccolma. Operano anche l'AGIP, l'Elf Aquitane francese, la Gulf Petroleum Company del Qatar, la National Iranian Gas Company e la TotalFina francese. Per concludere, la Royal Dutch Shell, olandese, possiede una raffineria a Port Sudan. E ora, alcuni dati assai significativi. Si stima che le entrate petrolifere giornaliere del governo del Sudan, derivanti dall'attività delle società di cui sopra, ammontino ad un milione di dollari (oltre due miliardi di lire), la stessa cifra che lo stesso governo spende nella guerra del sud e che l'OLS (Operation Lifeline Sudan), l'organizzazione internazionale coordinatrice dello sforzo umanitario, impegna in aiuto alle popolazioni colpite dalla guerra del Sudan! Il rapporto inoltre denuncia la chiara connessione fra la disponibilità finanziaria derivante dalle vendite di petrolio e la parallela capacità del governo di spendere nell'acquisto di armi: lo stesso giorno della esportazione dei primi 600.000 barili sono stati sbarcati a Port Sudan venti carri armati polacchi T-55. Questa fornitura del governo polacco, secondo Amnesty, avveniva in aperta violazione di un vecchio embargo delle Nazioni Unite sulla fornitura di armi al governo sudanese. Del resto, sono state segnalate anche altre forniture di armi da parte di Cina e Bulgaria. Questo rapporto è stato pubblicato anche sulla base delle testimonianze oculari di Derek Hammond, responsabile di Faith in Action, un'agenzia umanitaria cristiana, che ha rivelato al mondo i contorni della tragedia che avviluppa il paese. La testimonianza di Hammond si riferisce ad una sua visita di una settimana nell'area petrolifera di Bentiu, così come pure in un'altra zona, quella di Melut, nel Northern Upper Nile. In questa regione egli ha visto migliaia di persone sfollate nascondersi sotto gli alberi della fitta boscaglia per proteggersi da continue incursioni delle truppe governative; gente senza cibo che si nutre di foglie, bacche e fiori acquatici. Hammond è stato testimone di tutto ciò e ne possiede la documentazione filmata. Egli aggiunge di aver visto, infine, bambini e vecchi in condizioni disperate, molti di loro, gravemente ammalati e senza la possibilità di ricevere alcuna assistenza medica, andare incontro alla morte. Derek Hammond, che ha viaggiato all'interno del Sudan una ventina di volte dal '77 e, solo quest'anno, otto volte sia nelle regioni petrolifere che nelle montagne Nuba, racconta lo stato di precarietà in cui vive la gente, che non costruisce ripari o capanne nel timore che questi diventino immediatamente obiettivo dei raids delle truppe governative o delle loro milizie. Qui i membri delle famiglie sono costretti a vivere separati, individualmente, cercando rifugio e protezione sotto gli alberi. Aggiunge di esser stato testimone in prima persona del fatto che questa povera gente attende il calare del sole e la protezione dell'oscurità per cercare un posto sicuro per dormire sotto un albero nella boscaglia. Sempre Hammond riferisce che nella regione dell'Upper Nile, solo nel corso delle ultime settimane, sono state uccise 105 persone mentre a 26 giovani, sospettati di essere fiancheggiatori dei ribelli, è stato dato il "buon viaggio sul fiume" mutilandoli degli arti e gettandoli nel Nilo legati in un sacco. Anche Derek Hammond, come il rapporto di Amnesty, ha testimoniato un legame netto fra il petrolio e l'abuso di diritti umani nel Sudan. Egli afferma infatti che è evidente che una crisi umanitaria da incubo sta sconvolgendo la regione dell'Upper Nile, mentre all'Ovest si stanno firmando contratti di sfruttamento petrolifero. E lo dice uno che ha girato in lungo e in largo la regione incontrando molti villaggi abbandonati e distrutti, riscontrando la mancanza di disponibilità di alimenti e la presenza di molti giovani e vecchi in pessime condizioni, sofferenti e malnutriti. Amnesty lancia un appello al governo del Sudan, all'SPLA (Sudan People's Liberation Army), ad altri gruppi dell'opposizione e alla comunità internazionale affinché condannino pubblicamente le violazioni dei diritti umani commesse contro i civili nelle regioni petrolifere del Western Upper Nile e dovunque nelle zone di guerra.
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