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N.30 - Ottobre 2000

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Congo Kinshasa

Il fallimento della politica americana provoca vittime nel Congo

Di Linda de Hoyos

Per la terza volta in un anno nella città di Kisangani sono scoppiati scontri tra le forze armate del Rwanda e dell'Uganda. Questo è il peggior segnale, a tutt'oggi, che la politica africana del dopo guerra fredda, architettata dai servizi inglesi e dagli interessi americani alleati, è fallimentare.

Nuovi scontri sono scoppiati nella città di Kisangani, nella Repubblica Democratica del Congo, fra le forze armate del Rwanda e dell'Uganda. In sei giorni di combattimenti le due forze militari hanno raso al suolo la città congolese di Kisangani, uccidendo più di cinquecento civili congolesi. Il conflitto tra i due ex-alleati è il segnale più significativo, finora, che la politica post guerra fredda di inglesi e americani va a rotoli. Dal 1990, quando il presidente ugandese Yoweri Museveni sostenne l'invasione del Rwanda da parte del Fronte Patriottico Rwandese di Paul Kagame, gli eserciti di Rwanda e Uganda si sono alleati due volte per invadere il Congo. La prima volta nel 1996-97 per imporre Laurent Kabila come Presidente, la seconda, nell'agosto del 1998, per accaparrarsi il Congo orientale, considerandolo loro zona d'interesse per depredarvi diamanti, oro e legname per conto dei loro sponsor finanziari del Commonwealth britannico. Questa invasione venne sostenuta dalla cosiddetta comunità dei donatori e diretta "diplomaticamente" dagli Stati Uniti.

A Washington i principali protagonisti di questa politica volta ad annettere il Congo orientale al Rwanda e all'Uganda sono stati il Segretario di Stato Madeleine Albright, il suo Assistente Segretario di Stato Susan Rice, il Deputato Repubblicano Donald Payne del sottocomitato parlamentare per l'Africa e l'assistente di Payne, Roger Winter, del Comitato Americano dei Rifugiati. Ora, però Museveni e Kagame sono avversari in un'aspra battaglia per la divisione delle spoglie, combattendo per Kisangani, per i depositi di diamanti e oro della regione che si trovano fuori da ogni controllo politico. La politica africana di Londra e Washington, centrata sul partenariato fra Uganda e Rwanda, si è dimostrata è un vero disastro.

Questo disastro ha portato la morte di centinaia di migliaia di congolesi. In giugno, infatti, mentre le truppe rwandesi e ugandesi imperversavano a Kisangani, il Comitato di Salvezza Internazionale (IRC) una importante agenzia umanitaria che opera sotto contratto del governo americano, ha riportato i risultati di un'indagine sul numero di vittime della guerra, condotta nel Congo orientale. L'indagine ha dimostrato che dall'agosto del 1998, quando l'Uganda ed il Rwanda hanno invaso il Paese, ci sono stati più di un milione e settecentomila morti nelle province orientali del Congo. Si tratta di una stima che non prende in considerazione i milioni di congolesi che hanno lasciato la regione e vivono in condizioni terribili, in campi per rifugiati in Tanzania, Zambia e Repubblica Centrafricana.

L'indagine di IRC, condotta dall'epidemiologo Dr Les Roberts dal 18 aprile al 27 maggio di quest'anno, ha avvicinato 1.011 famiglie, per un totale di 7.339 residenti, che hanno segnalato la morte di 606 loro membri, a partire da gennaio 1999. Il Dr Roberts ha affermato di essere rimasto sbalordito rendendosi conto che un buon 7% delle famiglie di questa popolazione aveva perso la vita negli ultimi sei mesi. Il Presidente di IRC Reynold Levy ha affermato, invece, che la perdita di vite umane nel Congo è stata allucinante e che è come se l'intera popolazione di Houston fosse stata spazzata dalla faccia della terra in pochi mesi! L'indagine ha rilevato infine che gli sfollamenti forzati di intere popolazioni e le estreme difficoltà economiche provocate dagli scontri armati hanno influito in maniera diretta o indiretta sul tremendo numero di morti di cui si è detto sopra.

Le informazioni raccolte dall'indagine di IRC hanno dimostrato che:

  • a) negli ultimi 22 mesi si sono verificati più di un milione e settecentomila decessi legati ai combattimenti nella RDC. Ciò equivale a settanta settemila decessi al mese.
  • b) donne e bambini costituiscono il 47% delle morti violente registrate mentre il tasso di mortalità complessivo, nel corso del 2000, è superiore a quello del 1999.

Lo studio di IRC conclude affermando che il costo di settanta settemila vite umane, pagato mensilmente per questa guerra, non da segni di diminuire, mentre venti seimila morti al mese, ovverossia il 34% del totale, è costituito da bambini sotto i cinque anni. Sottolinea infine che l'avvallo dello status quo nella RDC così come il tollerare lente soluzioni diplomatiche implica l'accettazione di questa ecatombe senza fine. Il rapporto di IRC è stato ampiamente nascosto all'opinione pubblica, sebbene l'Associated Press abbia redatto un rapporto a proposito dell'indagine, affermando che la mancanza di attenzione politica alla denuncia dell'olocausto in Congo è un ulteriore conferma dell'accettazione di questo genocidio che non accenna a fermarsi grazie alle attuali linee politiche ispirate dal Dipartimento di Stato statunitense.

L'inganno di Lusaka.

In risposta alla distruzione vandalica di Kisangani, il Segretario Generale della Nazioni Unite Kofi Annan aveva chiesto, in giugno, al Consiglio di Sicurezza di imporre sanzioni sia all'Uganda che al Rwanda, se non avessero ritirato immediatamente le loro truppe dal Congo. La richiesta di Annan in realtà contravveniva agli accordi di Lusaka, firmati nel luglio del 1999.

Infatti sulla base di questi accordi, sostenuti dalla diplomazia americana, ad Uganda e Rwanda era consentito di rimanere in Congo fintanto che non avessero risolto i loro problemi di sicurezza. Gli accordi, per disarmare le forze ribelli nella regione, contemplavano inoltre la costituzione di una forza di pace delle Nazioni Unite e di una Commissione Militare Congiunta composta sia dagli eserciti di Uganda, Rwanda e RDC, che da quelli di Zimbabwe, Angola e Namibia che difendevano il governo di Kabila. Solo una volta che questi gruppi ribelli fossero stati militarmente neutralizzati, ovverosia sconfitti, Rwanda ed Uganda avrebbero ritirato le loro truppe dal Congo orientale. Si tenga comunque presente che un buon numero di gruppi presenti nella lista dei "non" firmatari da disarmare non era neanche operante nel territorio congolese.

In realtà gli accordi di Lusaka collocarono la comunità dei donatori dalla parte dei fautori del proseguimento dell'annessione del Congo orientale, nonché del suo saccheggio per mano degli eserciti di Uganda, Rwanda e Burundi. L'inganno di Lusaka continuava a essere perpetrato anche dopo che le truppe rwandesi e ugandesi avevano preso a scontrarsi per Kisangani, lo scorso agosto, un evento che aveva chiarito agli occhi di tutti il dato di fatto, cioè che lo scopo principale dell'invasione non era la sicurezza nazionale, bensì l'accaparramento dell'oro, dei diamanti e del legname del Congo! L'ultima tornata di scontri sanguinosi a Kisangani ha impedito il dispiegamento di una forza di pace delle Nazioni Unite nella regione, forza che avrebbe dovuto essere composta principalmente da truppe sudafricane.

La richiesta di Annan di un ritiro immediato di Rwanda e Uganda è stata attesa a lungo, ma ha colliso con l'atteggiamento dilatorio e depistante dell'Ambasciatore statunitense alle Nazioni Unite, Richard Holbrooke. Nel corso del suo intervento al Consiglio di Sicurezza Holbrooke, aveva infatti affermato che:

  • a) il ritiro di tutte le forze straniere dalla RDC era mandatorio
  • b) c'era un urgente necessità che tutte le parti abbandonassero ogni supporto a tutti i non firmatari degli accordi di Lusaka, specialmente gli ex-FAR Interhamwe (denominazione scorretta per Hutu rwandesi che si oppongono al regime di Kagame)
  • c) discutere il ritiro delle forze ugandesi e rwandesi non sminuiva l'obbligo della RDC di partecipare al dialogo nazionale.
  • d) Rwanda ed Uganda avevano legittimi problemi di sicurezza.

In breve, egli ripeteva lo schema dell'inganno di Lusaka dimostrando al mondo che gli Stati Uniti supportavano pienamente il permanere dell'occupazione terrorista del Congo orientale da parte di Rwanda, Uganda e Burundi, mentre la sicurezza di venti milioni di congolesi residenti in questi territori occupati non preoccupava nessuno.

Nel suo discorso, Holbrooke si congratulava con Sir Geremy Greenstock, Presidente inglese di turno al Consiglio di Sicurezza lo scorso dicembre e con l'ambasciatore Eldon per aver dato avvio al processo. In questo modo gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, perfino di fronte alla notizia che un milione e settecentomila congolesi erano morti negli ultimi 22 mesi dell'occupazione rwandese e ugandese, erano riusciti a bloccare le sanzioni che il Segretario Generale delle Nazioni Unite aveva richiesto. La risoluzione del Consiglio di Sicurezza del 16 giugno sul Congo ricalcava i contenuti degli accordi di Lusaka, richiedendo che il ritiro delle truppe ugandesi e rwandesi dal Congo fosse reciprocamente accompagnato da quello delle altre parti, in conformità col calendario operativo. Il dispiegamento della forza di pace veniva presentato come un'opzione, mentre il suo impiego immediato appariva essere vanificato dai combattimenti a Kisangani e dal blocco dei fondi per finanziarla da parte del Congresso degli Stati Uniti. In conclusione, a meno che la comunità internazionale non avesse imposto il ritiro degli invasori dal Congo ci si poteva aspettare che la guerra sarebbe continuata.

Questa guerra di ugandesi e rwandesi contro la popolazione del Congo continua ad essere finanziata dalla comunità occidentale dei donatori. In maggio il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale hanno designato l'Uganda quale primo paese africano avente diritto ad ottenere l'immediato condono del debito, nell'ambito di un pacchetto che concederà al paese 1.3 miliardi di dollari di cancellazione. Lo stesso giorno il governo italiano aveva annunciato la cancellazione di altri 99 milioni di dollari di debito di Kampala. Solo due settimane prima, il 24 aprile, l'East African di Nairobi aveva scritto che il presidente Museweni stava operando acquisti di lanciatori missilistici multipli, carri armati e missili terra aria nell'ex stato sovietico della Belorussia. Secondo Andrew McLean, analista di armamenti inglese, l'Inghilterra ha venduto armi all'Uganda e si sospetta che alcune di queste siano state usate in Congo dal momento che non esiste alcuna sorveglianza da parte inglese sui certificati di utilizzo finale.

All'interno del Congo orientale stesso gli interessi finanziari del Commonwealth rappresentati da Banro Resources, Barrick Gold e Lonrho sono direttamente attivi nel canalizzare fuori dall'Africa le vaste ricchezze minerarie della regione, ricorrendo ad operazioni di contrabbando condotte dalle truppe ugandesi e rwandesi, senza naturalmente alcun beneficio o profitto per i congolesi.

La "nuova razza" smascherata.

A dispetto del supporto americano alla conquista del Congo orientale da parte di ugandesi e rwandesi, ostentato da Holbrooke, i combattimenti fra i due alleati suonano come una campana a morto per la politica che gli Stati Uniti hanno portato avanti nell'ultimo decennio nell'Africa orientale. Una politica centrata sul portare al potere e sostenere una cosiddetta nuova razza di leader africani, guidata dal presidente ugandese Yoweri Museweni. Una razza che ha incluso Paul Kagame del Rwanda, il presidente dell'Eritrea Isayas Aferwerki, il presidente dell'Etiopia Meles Zenawi e, nell'ombra, il presidente del Burundi Pierre Buyoya. Ciò che caratterizzava questa nuova razza era l'avvento al potere con la forza, preferibilmente con la ribellione di una sola etnia e la pervicace propensione ad un geometrico saccheggio delle economie nazionali, servendosi della globalizzazione e del Fondo Monetario Internazionale. A questa "nuova razza" in Africa orientale vennero assegnati due compiti da parte di tutta la comunità dei donatori: l'eliminazione del presidente dello Zaire Mobutu Sese Seko e del governo del Fronte Islamico Nazionale del Sudan.

La guerra contro il Sudan, condotta per molto tempo da Uganda, Etiopia ed Eritrea non ha centrato l'obiettivo della comunità dei donatori, ma piuttosto ha portato come risultato la morte per fame e guerra di centinaia di migliaia di sudanesi. La coalizione dei paesi del Fronte contro il Sudan è caduta a pezzi, mentre l'Egitto portava avanti un'iniziativa di pace per il sud Sudan ed Etiopia ed Eritrea entravano in guerra nel corso degli ultimi anni.

Oggi ci ritroviamo con settecentomila ugandesi in campi di internamento per sfollati all'interno dell'Uganda; quattrocentomila rwandesi in campi di internamento all'interno del Rwanda, cinquecentomila persone in campi di internamento in Burundi e due-tre milioni di sfollati interni nel Congo orientale. Questa gente, specialmente bambini sotto i cinque anni, rischia la vita. Non si fa fronte ai loro bisogni, le loro voci sono inascoltate. Costoro e altri milioni di persone nelle aree di belligeranza in Uganda, Burundi, Rwanda e Congo sono stati silenziosamente sacrificati alla politica di saccheggio imperialista dell'Africa orientale.

Quanto ad avidità per le ricchezze minerarie, a spese della vita di esseri umani, la politica del dopo guerra fredda di inglesi, americani e loro alleati nella comunità dei donatori non teme confronti con gli stermini di massa perpetrati da re Leopoldo del Belgio all'inizio del 1900. Si tratta di una politica che ha portato all'Africa tanta rovina ed agli Stati Uniti ignominia politica e diplomatica. Una politica che dovrebbe essere subito del tutto abbandonata, sostituita, al contempo, da un accurato lavoro di ricostruzione di una politica estera africana statunitense basata su principi repubblicani non colonialisti volti a salvare le vite e non a distruggerle.

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