Sud AfricaAnche i bianchi diventano poveriDi David Thomas
E' in qualche modo sorprendente che la spinta capitalistica si sia verificata in Sud Africa proprio sotto la guida del governo dell'African National Congress (ANC), andato al potere nel 1994. Durante i suoi anni di esilio ed opposizione l'ANC aveva viceversa evidenziato forti propensioni socialiste anche e soprattutto perché aveva fatto molta strada a braccetto del Partito Comunista Sudafricano. Comunque, una volta andato al governo, L'ANC ha abbandonato molto rapidamente il suo proto-socialismo e si è messo a perseguire politiche neoliberali classiche di fine ventesimo secolo, che comprendono privatizzazioni del settore pubblico, non molto aggressive o con effetti di ridimensionamento particolarmente marcato. Dal 1994 l'economia ha vivacchiato senza riuscire a mantenere la promessa e la speranza di uno sviluppo conseguente alla fine dell'apartheid, fornendo la spiegazione del fatto che l'apartheid stesso aveva cessato di esercitare un'importante impatto sull'economia parecchio prima che questa politica venisse abbandonata nel 1990. I problemi dell'economia sudafricana risiedono solo in una certa misura nella forte dipendenza dall'esportazione di materie prime, anche se nel contempo sta avendo luogo una certa espansione dell'industria manifatturiera. Questo stato di cose rende l'economia del Paese vulnerabile alle incertezze e fluttuazioni dei mercati internazionali delle materie prime, che regolarmente attraversano cicli di alti e bassi. Al riguardo, una delle analisi più significative dell'economia sudafricana è uscita all'inizio di quest'anno sotto forma di un rapporto preparato da un gruppo di consulenti che prendono in considerazioni dati dai censimenti del 1991 e 1996. L'analisi studia gli effetti dei cambiamenti nella distribuzione dei redditi e, senza grande sorpresa, dimostra che l'applicazione di forti politiche economiche liberali produce l'arricchimento dei ricchi e l'impoverimento dei poveri! L'unica differenza fra l'era pre-apartheid e oggi è che adesso i ricchi includono molti più neri ed i poveri molti più bianchi. Sotto l'apartheid il Sud Africa era noto per l'enorme scarto fra i redditi medi dei bianchi e dei neri ed uno degli obiettivi più importanti dell'ANC era quello di ridurre questa differenza, un obiettivo in parte raggiunto, anche se c'è ancora molta strada da fare. Uno degli autori del rapporto dei consulenti, Andrew Whiteford, afferma che per la prima volta nel secolo c'è stato uno spostamento significativo di redditi dai bianchi, divenuti più poveri, verso altri gruppi razziali. Perciò, mentre fino al 70 i bianchi guadagnavano 15 volte più dei neri, dopo il 96 questo rapporto si è ridotto a 9. Ciò è stato causato da perdite di posti di lavoro, in quanto, relativamente, sono stati persi più posti di lavoro da parte dei bianchi che dei neri. Fra il 91 e il 96 sono stati persi complessivamente 200.000 posti di lavoro dei bianchi, meno della metà dei neri e solo 16.000 di colorati e meticci. Ne risulta che la componente bianca del totale dei redditi è scesa da circa il 60% dei 344 miliardi di rand del 91 a circa il 52% dei 398 del 96. La componente nera, viceversa, nello stesso periodo, è passata dal 30 al 35% del totale in questo stesso periodo. Un risultato è che mentre il reddito pro capite dei bianchi è sceso da 40.490 a 39.050 rand (con una perdita del 3,5%) quello degli africani è salito significativamente del 25%. Gli autori del rapporto hanno calcolato che fra il 91 e il 96 il governo dell'ANC, con la sua politica economica, ha reso disponibili circa 59 miliardi di rand per una ridistribuzione dei redditi. Questi dati risultano essere ancor meno incoraggianti se analizzati in dettaglio. Infatti un'indagine più accurata dimostra che dei 59 miliardi di rand ridistribuiti solo l'1,5%, ovverosia 870 milioni, sono andati al 40% più povero di tutti i gruppi razziali, mentre il 61,4% corrispondente a ben 36 miliardi, è andato al 10% delle famiglie più ricche del paese. In termini più specifici ciò significa che all'interno di ogni gruppo di popolazione il 40% di famiglie più povero ha sofferto, in gran parte, del declino economico e che il reddito medio delle famiglie africane situate sul fondo della scala dei redditi ha visto una diminuzione del suo reddito. Le famiglie bianche più povere a loro volta hanno sofferto una contrazione del proprio reddito pari al 16%. Perciò, malgrado gli sforzi di ridistribuire la ricchezza, uno dei cambiamenti più appariscenti registratisi durante il periodo della ricerca consiste nel fatto che i neri poveri sono più poveri che mai, come risulta evidente dal calcolo dei redditi medi. Si dovrebbe tenere presente che l'inflazione del Sud Africa viaggia, oggi come oggi, all'8 - 9% annuo, che significa, naturalmente, che mentre il 10% di redditi neri più alti ha fatto meglio dell'inflazione, il 40% di redditi più bassi ne ha sofferto largamente le conseguenze, ben di più di quanto indichino i dati. Le cifre del rapporto riguardanti la popolazione bianca sono influenzate da elementi quali la "discriminazione al contrario", i risultati deludenti dell'economia e la crescita dell'impiego nel settore pubblico. Quest'ultima ha offerto protezione lavorativa soprattutto a lavoratori neri non qualificati, mentre molti bianchi con qualificazioni simili venivano mandati a casa dal privato. Mentre il numero di famiglie medie africane è aumentato di circa l'80% da circa 220.000 a quasi 400.000 nei cinque anni studiati dal rapporto, persistono tuttora enormi diseguaglianze, quali il fatto che più di due terzi dei neri vive in povertà contro meno di un decimo dei bianchi. Con il numero dei disoccupati destinato a raggiungere i 7 milioni, su circa 40 milioni di abitanti, entro il 2003, il numero di bianchi poveri aumenterà ed il futuro per i più deboli sul piano economico, siano essi bianchi o neri, non si presenta affatto ricco di speranze, soprattutto perché l'economia sudafricana non è in grado di sostenere niente di simile ad un accettabile sistema di assistenza sociale. I neri, grazie al robusto sistema della famiglia estesa che gli è peculiare, sono stati in grado di far fronte alle difficoltà, cui sono storicamente avvezzi, di gran lunga meglio dei loro concittadini bianchi. Questi ultimi, lasciati a casa dai licenziamenti, si sono invece trovati in gravissima difficoltà, nonostante abbiano ricevuto sussidi economici da loro descritti come "sussidi suicidi", in quanto, per mancanza di capacità economico gestionale, queste risorse sono state dissipate rapidamente, senza trarne alcun beneficio reale. D'altronde coloro che versano in povertà estrema sono purtroppo senza speranza e non si possono aspettare alcun aiuto risolutivo dallo Stato o qualsivoglia altra istituzione. Niente di tutto ciò, naturalmente, costituisce un segnale positivo rispetto alla violenza e al crimine, l'altra disgrazia della vita sudafricana di tutti i giorni. Tutto quanto si è detto finora sollecita a sua volta la domanda se il Sudafrica avrebbe potuto fare una scelta economica diversa dal neo liberalismo, domanda alla quale si potrebbe rispondere che è difficile nuotare senza bagnarsi. In altre parole che è molto difficile, se non impossibile, per qualsivoglia Paese al giorno d'oggi evitare gli effetti della globalizzazione, trovandosi piuttosto costretto ad approntare rapidamente adeguate politiche economiche per affrontarla. D'altronde, è vero, politiche di questo genere donano a certe economie, come quella americana, una certa brillantezza di superficie sotto forma di crescita del prodotto interno e mercati azionari in espansione, ma comunque al prezzo di un crescente impoverimento di coloro che meno possono sopportarlo, i poveri! Chi sa offrire alternative? (Fonte dell'articolo: "National Outlook", rivista ecumenica di prospettive cristiane su argomenti di attualità, pubblicata in Australia.)
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