AfricaIl dilemma dei giovani africaniDi Padre Kizito
Temo che il numero dei kenyoti afropessimisti stia rapidamente aumentando. Senza dubbio le serate e le notti senza luce di queste ultime settimane hanno contribuito a far crescere un senso di disperazione. La scarsità d'acqua ha aumentato a sua volta la sensazione di estremo disagio. Insieme, la mancanza di energia elettrica ed acqua, hanno demoralizzato la gente ancor più della lunga lista di scandali e corruzione del recente passato. Dopo tutto quando leggi sul giornale che il tale è stato accusato di aver rubato milioni di scellini puoi sempre ritenerti non direttamente colpito dall'evento, ma quando a casa tua non puoi ascoltare la radio, vedere la televisione o farti un bagno, ti senti toccato personalmente. Nessuna meraviglia quindi se questi nuovi scontenti fanno soprattutto parte della classe media cittadina. Il commento più comune che capita di sentir fare dai kenyoti di classe media è che si sta andando di male in peggio. Il pessimismo sul futuro del Paese si trasforma sul piano pratico in preparativi per lasciarlo. Non so se la gente se ne rende conto, ma ho l'impressione che stiamo per essere testimoni di un esodo di grandi proporzioni, di gente preparata, di professionisti; una fuga di cervelli che il Kenya non ha mai visto. Si tratta di un fenomeno già in corso di cui nessuno vuole parlare ad alta voce, ma fra i giovani professionisti l'argomento più interessante di conversazione riguarda il quando e il come di una imminente partenza. Non stiamo parlando di stranieri, bensì di kenyoti delle etnie Luo, Kikuyu, Luhya, Kamba ecc, di gente nata qui la cui preparazione è costata denaro al Paese e che rappresenta un importante investimento per l'economia nazionale. Giusto l'altro giorno un giovane giornalista di alto livello professionale mi ha parlato dei suoi preparativi di partenza. Con le sue qualifiche non gli dovrebbe essere difficile trovare un lavoro da qualche parte, nel mondo anglofono. Quando gli ho domandato perché volesse lasciare ora, avendo di fronte una brillante carriera in Kenya ed essendo in grado, a breve, dopo aver risparmiato, di comprarsi una casa per la famiglia, mi ha risposto che avrebbe sempre potuto affittare la casa o darla agli anziani genitori e tenerla per il futuro. Aggiungendo che non se la sentiva più di vivere in una situazione da incubo come questa e chiedendomi se sapevo una serie di cose, del genere che trascrivo di seguito. L'Africa Sub-Sahariana è la regione più povera del mondo, dove metà della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno ed il cui reddito pro capite attuale è più basso che nel lontano 1970. La distribuzione del reddito è la più iniqua del mondo, l'educazione e la sanità sono a pezzi e l' AIDS è alle stelle. Un africano su cinque vive in una situazione di guerra civile o di guerra, l'Africa sta per essere tagliata fuori dalla rivoluzione informatica, mentre il resto del mondo non si occupa minimamente di lei ed il condono del debito non avverrà mai. Ad una recente riunione dei G-8 in Giappone i leaders dei tre paesi africani più importanti sono stati trattati da scolaretti ignoranti e scortesi, che il mondo ha ignorato e perfino ridicolizzato. Il giornalista ha concluso questo terrificante elenco affermando che l'Africa non è un continente, ma una barca che affonda, con la quale non vuole affondarci sopra insieme alla sua famiglia e che abbandonerà quanto prima possibile! Ho cercato di convincerlo che in Africa ci sono anche sviluppi positivi e che è proprio in un momento come questo che l'Africa ed il Kenya hanno bisogno della presenza dei suoi figli più competenti ed onesti, ricevendo la risposta più ovvia:" Perché dovrei sacrificare la mia vita quando i politici continuano senza vergogna a saccheggiare il paese senza che io possa avere alcun controllo su di essi? In ogni democrazia moderna le accuse che sono state fatte ad alcuni nostri ministri avrebbero causato le loro dimissioni o la loro rimozione. Non qui. Questa è una società malata. Lei crede veramente che la ripresa degli aiuti internazionali farà alcuna differenza? Non la farà. Io ho il dovere di pensare al mio futuro e a quello dei miei figli. Voglio che frequentino una buona scuola e possano godere di una buona assistenza medica. Voglio che essi siano dei cittadini responsabili del mondo di questo nuovo secolo e non degli eterni sconfitti e dei poveri derelitti". Con ogni probabilità niente farà cambiare opinione al mio amico in quanto la sua profonda frustrazione, che scaturisce dal fatto di sentirsi tradito dai suoi stessi leaders, non può essere modificata da nessuna buona argomentazione. Questa ondata di malcontento potrebbe diventare una tempesta, con una reazione a catena stimolante la pulsione ad andarsene in coloro che vedono gli altri che se ne vanno. Questo stato di cose rinforza anche, pericolosamente, la percezione, nell'inconscio della gente, che la soluzione di ogni problema possa essere trovata all'estero, facendo aumentare la dipendenza psicologica dall'estero stesso. Facendo pensare che sono sempre e solo gli altri che possono cancellare i nostri debiti, finanziare il nostro sviluppo, decidere se le medicine che curano l'AIDS saranno disponibili ad un prezzo più abbordabile, gli altri che ci possono offrire una vita migliore. Sto esagerando? Per capirlo ho chiesto ad un gruppo di giovani: "Se domani vi fosse data l'opportunità di emigrare in Europa o negli Stati Uniti, lo fareste?" C'erano 19 persone presenti, e 17 di loro immediatamente hanno alzato la mano per manifestare la volontà di andarsene. I 2 rimanenti hanno esitato nel dare una risposta solo perché preoccupati per il futuro della loro famiglia. Questi giovani pronti a lasciare il Kenya sui due piedi manifestano un terribile atto d'accusa della classe dirigente, il segnale più evidente del suo fallimento. In fin dei conti, sono un afropessimista o un fautore del Rinascimento africano? Come cristiano non posso essere afropessimista, dal momento che noi crediamo nella potenzialità positiva di ciascun essere umano e siamo perciò la gente della resurrezione, che spera, contro ogni speranza. D'altra parte credere che sia in corso un Rinascimento africano potrebbe voler dire essere un ingenuo senza speranza, dal momento che i relativi segnali, che devono essere di natura culturale, sociale ed economica, semplicemente non esistono. Possiamo perdonare Nelson Mandela per il fatto di credere che il Rinascimento africano è già un dato di fatto, dal momento che egli è un sognatore e come tale può confondere il futuro con il presente! La speranza deve essere basata su qualcosa di solido, altrimenti si può confondere con uno vacuo sogno ad occhi aperti. Io credo invece che una solida base di speranza per l'Africa esista e risieda nell'enorme potenziale umano che osservo ogni giorno nella gente che mi sta attorno, gente che non molla mai, che tira avanti, ridendo e facendo festa per le cose positive dell'esistenza. Francis Bebey, un musicista e scrittore del Camerun, ha sintetizzato bene la sua fede in questo potenziale umano, scrivendo: " Noi africani daremo il nostro contributo al resto del mondo, saremo i fedeli del futuro, quando gli altri non crederanno più. Certamente porteremo la vita con noi, perchè noi africani crediamo in una vita che non ha fine. E' questa fede nella vita che aiuta a sopravvivere dopo secoli di schiavitù e dolorose vicissitudini." La sopravvivenza dell'Africa sarà assicurata da coloro che credono nella vita, che non fuggono, che vivono dei propri principi, senza lasciarsi andare ad imitare servilmente gli altri.
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