LesothoOperai africani schiavi dei cinesiDi Thabo Motlamelle
Due collaboratrici del centro olandese di ricerca sulle multinazionali ( SOMO ) hanno scoperto che la schiavitù, abolita nell'800 nel resto del mondo, alligna, viceversa, sempre più viva nell'industria tessile taiwanese in Lesotho. La direttrice del gruppo di ricerca del SOMO, Esther De Haan, ha detto che il Lesotho non ricava gran ché da questi investimenti delle aziende taiwanesi, dal momento che solo una piccola parte dei profitti prodotti si ferma nel paese. Il grosso, al contrario, prende la strada di Taiwan insieme alle laute paghe dei supervisori taiwanesi. La De Haan ha poi spiegato che le condizioni di lavoro nelle fabbriche tessili in Lesotho sono a livello di schiavitù, per tutta una serie di gravi motivi. Straordinari obbligatori, restrizione della libertà dei lavoratori di lasciare le fabbriche, impedimenti alla sindacalizzazione ed, infine, paghe che non sono sufficienti neanche a vivere dignitosamente, per non parlare di poter fare qualche minimo risparmio. La ricercatrice Vivian Schipper prevede che tempo 10 anni, quando le aziende se ne saranno andate, avranno lasciato un paese pieno di invalidi e malati, capaci, nel migliore dei casi, di cucire e nient'altro. Infatti, queste aziende prima o poi se ne andranno, perché questa genere di industria è assai mobile e si sposta dove più le conviene e, non avendo bisogno di molti investimenti di capitale, le risulta molto facile spostarsi di paese in paese alla ricerca delle condizioni più favorevoli. Le analiste hanno tracciato i movimenti che l'industria tessile e di confezionamento ha compiuto, spostandosi negli anni settanta dall'Europa al Sud Est Asiatico per poi muoversi verso paesi dal costo del lavoro assai basso, come il Bangladesh e le Filippine. Spostandosi ancora, si è poi piazzata in Cambogia, Laos e più tardi Mauritius, ma, essendo quest'ultimo troppo caro, finendo in Madagascar ed in altri paesi dell'Africa dove ora si trova. Le analiste ritengono che questa industria sarebbe un buon investimento per il paese a condizione che il governo, i sindacati ed i lavoratori riuscissero a imporre un miglioramento di norme e condizioni di lavoro. Se l'unico vantaggio derivante dall'ingresso di investitori stranieri e se l'unico modo per far lavorare la gente è sottometterla a condizioni di schiavitù appare allora chiaro a chiunque che il governo deve subito ripensare la propria politica del lavoro. Il SOMO ha scoperto, fra l'altro, che il Lesotho offre vantaggi comparativi in grado di attrarre investitori nell'industria tessile, aziende che riescono a vendere bene sui mercati americani ed europeo, perché mette loro a disposizione lavoratori esperti, mal pagati, sindacati storicamente deboli ed un codice del lavoro che favorisce fortemente gli investitori. Fra le altre cose queste fabbriche hanno goduto di ogni sorta di incentivi come la drastica riduzione del carico fiscale. Lo studio ha scoperto che la legge del lavoro é difficile da mettere in pratica e da far rispettare; per esempio, è assai complicato il ricorso al tribunale del lavoro da parte di coloro che sono stati licenziati e le cause, anche una volta istruite, rimangono bloccate per molti anni prima di arrivare dal giudice. Molti lavoratori, in alcune fabbriche non ricevono neanche la paga minima, che a sua volta, a dire il vero, non è neanche sufficiente per campare degnamente. I lavoratori sostengono che una paga di sopravvivenza dovrebbe arrivare almeno a 1200 rand al mese. Le fabbriche in Lesotho si presentano come fortezze, sono chiuse e vigilate da guardiani. Nella maggior parte di quelle visitate dal team le uscite di emergenza erano bloccate, senza che i lavoratori sapessero chi aveva le chiavi, per aprirle e poter fuggire in caso di incendio dalla parte giusta e sicura. Risultato di situazioni del genere: un mese fa in Bangladesh cinquantaquattro persone sono morte per un incendio in una fabbrica le cui uscite erano bloccate, come in Lesotho. Sebbene la legge sul lavoro preveda gli straordinari, non viene rispettata. La gente lavora sabati e domeniche, senza un giorno di riposo, molti perfino durante la pausa pranzo. Tutto ciò significa che lavorano dalle 7 del mattino fino alle 5 del pomeriggio o anche più tardi senza ricevere alcun beneficio in termini di straordinari…. senza neanche avere il tempo, la pausa per mangiare. Le ricercatrici riferiscono di un incidente di cui sono state testimone. Hanno visto un gruppo di operaie sedute fuori da una fabbrica alle undici del mattino. Le operaie hanno riferito che stavano lì fuori dalle sette, quando una di loro si era ferita ad un braccio che stava ancora sanguinando.La lavoratrice si é ferita prima delle sette, si é recata dalla polizia perché certificasse che si era ferita, ma non le é stato permesso di affidarsi alle cure di un medico, venendole impedito di lasciare la fabbrica. Neanche dell'acqua le é stato permesso di avere! Alla sicurezza e alla salute non si bada in queste fabbriche. Gli operai non usano guanti protettivi e, pur lavorando in ambienti polverosi, non ricevono mascherine protettive. Anche se le ricevono, solo due volte all'anno, sono di infima qualità ed usa e getta, mentre la direzione afferma di fornirle, al contrario, ben due volte al mese. Alcune società fanno uso di molti avventizi, cioè di operai senza contratto che ogni giorno si fanno trovare davanti ai cancelli per cercare lavoro giornaliero, ma finiscono poi per lavorare per anni in queste stesse condizioni. I datori di lavoro non riconoscono loro alcuna sorta di beneficio, pagano il salario giorno per giorno impedendo ai dipendenti qualsiasi protesta facendoli sentire minacciati di licenziamento in ogni momento. Ma, il bisogno è tanto ed alcuni, si presentano addirittura al mattino e aspettano fino all'inizio del turno della notte per avere qualche possibilità di essere assunti. I direttori di fabbrica se ne infischiano della legge. La Sun Textiles ha licenziato undici operai perché indossavano berretti con il logo dei sindacati e, quando è scoppiato il caso, la direzione si era rifiutata di incontrare i sindacati, nonostante fosse stata invitata a farlo dal Commissario del Lavoro. Sia le fabbriche che il governo stesso ostacolano il lavoro del sindacato, non concedendogli accesso alle fabbriche, avvicinando i lavoratori. Alcuni operai vengono licenziati per aver semplicemente parlato coi sindacalisti o per essersi associati al sindacato. La lentezza e la lunghezza delle cause di lavoro impediscono ai sindacati di guadagnarsi la fiducia dei lavoratori. A questo punto non ci si può che augurare che i clienti di queste fabbriche e le campagne finalizzate ad una presa di coscienza e ad un cambiamento di questo stato di cose, sia in Europa che in America, utilizzino i risultati di questa ricerca per fare a loro volta la massima pressione perché questa deprecabile situazione possa migliorare. Dai clienti ci si aspetta che intervengano in qualche modo su queste fabbriche perché migliorino le loro condizioni di lavoro, pena il rischio di perdere i profittevoli ordini che attualmente ricevono.
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