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N.3 - Maggio 1998

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Kenya

Quando muore un linguaggio

di George Odera Outa

Quando muore una lingua, la cultura del popolo che la parlava muore con lei. Il caso della lingua Suba in Kenya è illuminante per le sue implicazioni politiche.

Sui mercati africani non vengono sacrificati solo polli, capre e pecore; anche le lingue muoiono per pressioni sociali, economiche e persino politiche. Duncan Okoth Okombo, vivace professore di linguistica e letteratura all'Università di Nairobi, in una recente intervista, approfondita e ragionata, ha spiegato il caso dei Suba kenyoti, un gruppo Bantu che si è trasferito nella regione dei laghi in Kenya oltre duecento anni fa.

Okombo afferma di essere "un Omusuba". Le persone come lui sono state rinvigorite da un'ondata di consapevolezza etnica. La lingua del suo popolo, l'olusuba, è una delle lingue africane dichiarate ormai quasi scomparse dall'inchiesta di Gabriele Sommer del 1992, nel libro edito da Mathis Brenzinge.

Okombo riconosce la propria incapacità ad esprimesi in Olusuba ma suggerisce che "esistono altri fattori che possono acquisire maggiore prominenza come simboli di identità etnica, specialmente quando il fattore linguistico s'indebolisce a causa del mutamento linguistico". Insieme a Franz Rotland dell'Università di Bayreuth, in Germania, Okombo è impegnato nella ricerca sulla scomparsa delle lingue sin dal 1980.

Nel 1986 Rotland e Okombo hanno preparato uno studio sui Suba del Kenya, descrivendoli come uno strano caso di "crescente consapevolezza etnica con regressione delle competenze linguistiche". Oggi Okombo spiega: "in un paese come il Kenya, la lingua inglese ha penetrato quello che altrimenti sarebbe stato percepito come ambito tradizionale delle lingue etniche locali. La vita di una lingua dipende dal numero di soggetti che la utilizzano", aggiunge Okombo: "Siamo quasi l'unico continente sulla terra a gestire i propri affari nazionali in una lingua straniera".

Il senso delle parole di Okombo è chiaro per qualsiasi famiglia africana borghese che abiti i centri urbani come Nairobi, dove i figli delle "famiglie migranti" non parlano la lingua dei loro genitori. "Ci si potrebbe chiedere se questi bambini possano fondatamente rivendicare l'appartenenza etnica al gruppo dei loro genitori e in questo caso, in base a quali motivazioni?". Okombo afferma che l'uso dell'inglese nei centri urbani è un fattore che contribuisce in modo significativo alla morte della lingua e alla scomparsa imminente di molte lingue locali.

Il fenomeno dei bambini che non sono in grado di parlare la loro lingua etnica, non è limitato alle città, dichiara Okombo, "Si può essere certi che persino in località rurali e remote come Gwassi o l'isola di Rusinga, da dove provengo, l'inglese stia guadagnando terreno nei campi della comunicazione non ufficiale, dove viene diffuso non da inglesi in visita ma da locali come parte degli effetti indiretti del loro curriculum educativo".

Secondo Okombo, l'insegnante della scuola primaria locale picchierà sul didietro qualsasi bimbo che usi la propria madrelingua! Gli abitanti del villaggio stessi sono convinti che chi possa parlare una lingua straniera sia ovviamente superiore. Conseguentemente, continua Okombo, "stiamo parlando della morte o della quasi estinzione di molte lingue della nostra gente, generazioni che hanno subito l'influenza negativa dei mutamenti linguistici e culturali post-coloniali nelle nostre comunità indigene."

A proposito di queste generazioni, Okombo afferma che "il loro unico titolo di appartenenza alla lingua o comunità etnica in questione, deriva dai loro antenati o dalla storia, che potrebbero non avere un peso rilevante nella coscienza di un popolo, a meno che certe preoccupazioni politico-sociali riconoscano loro prevalenza, come abbiamo potuto osservare recentemente con i Suba del Kenya."

Messo a confronto con l'esigenza di realizzare degli interventi di natura politica nella provincia di Nyanza, nel 1992 il governo Kanu del presidente Daniel Arap Moi ha deciso di giocare la carta della consapevolezza etnica più di quanto fosse mai stato fatto nella storia del paese. La strategia seguita è stata quella di incoraggiare chi aveva una rivendicazione di natura storica o lontanamente ancestrale con gli Olusuba a farsi avanti e dichiarare l'indipendenza dai vicini Luo. Okombo ammette che, prima del 1992, per poter sopravvivere sul mercato nella provincia di Nyanza, la gente doveva conoscere il dholuo, la lingua dei vicini Luo.

"I pescatori Abasuba hanno imparato il dholuo per poter vendere il loro pesce secco ai Luo; le ragazze Abasuba, sposando un Luo, erano costrette ad imparare il dholuo, mentre le ragazze Luo che sposavano un Suba insegnavano il dholuo ai loro figli", spiega Okombo. Questo processo di assimilazione culturale "è stato rafforzato dai missionari cristiani e dagli amministratori coloniali che svolgevano il loro affari, tra cui le iniziative di alfabetizzazione, in dholuo", conclude Okombo.

La nazionalità Suba, a lungo ritenuta scomparsa, è stata recentemente riesumata da disposizioni presidenziali che hanno istituito un distretto e una divisione Suba. È stato insediato un apparato amministrativo completo ed è stata anche decisa la creazione di una stazione radio regionale e l'immediata produzione di materiale didattico in lingua Suba.

Attualmente i Suba non hanno mostrato interesse particolare o un cambiamento di tendenza, sembrano accettare che il loro destino politico sia legato indissolubilmente a quello della comunità Luo. Eppure se in effetti si verificasse un cambiamento di orientamento, uno degli effetti negativi, e intenzionali, sarebbe l'incoraggiamento di una dura animosità politica contro i vicini Luo. Questo porterebbe a scontri tribali, così comuni in Kenya dal 1990.

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