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N.41 - Ottobre 2001

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Sudan

Il petrolio rende tutti complici

Di Matthias Muindi

La decisione del Kenya di importare petrolio dal Sudan ha suscitato indignazione. Le donne sudanesi in esilio hanno protestato per quest'operazione, organizzando riunioni di preghiera dove espongono le sofferenze, causate dallo sfruttamento del petrolio, nelle loro regioni meridionali.

Le donne del Sudan meridionale costrette dalla guerra a lasciare il loro paese e a risiedere in Kenya hanno chiesto al governo kenyota di rivedere la sua recente decisione di avviare l'importazione di petrolio dal Sudan in guerra. Soffermandosi sul fatto che il Kenya è il Presidente di turno dell'Agenzia Intergovernativa per lo Sviluppo (IGAD), un organismo che sta cercando di porre fine alla guerra sudanese, le donne hanno chiesto al Kenya di evitare di importare il petrolio almeno fino a quando in Sudan non si raggiungerà una pace giusta e consolidata. Esse affermano che il petrolio sudanese viene sfruttato a spese di migliaia di vite umane, di gente uccisa, schiavizzata e spostata di forza dalla sua terra per mano di forze governative e milizie arabe che fanno di tutto pur di liberare più territorio possibile per dare spazio alla prospezione e allo sfruttamento del petrolio.

Padre Paul Yugusuk della Chiesa Anglicana Sudanese, parlando durante un servizio religioso carico di emozione, organizzato a Nairobi dall'SSWC ( Donne e Bambini del Sudan Meridionale ) ha condannato le intenzioni del Kenya affermando che i kenyoti hanno compromesso la loro posizione di arbitri nel conflitto sudanese. Yugusuk ha affermato: " Come può il Kenya che si proclama mediatore nel nostro conflitto mettersi ad importare quel maledetto petrolio che ha generato il caos nel nostro paese? "definendo, poi, venduti, quei paesi che collaborano con Khartoum negli affari petroliferi. Diverse persone si sono disperate e persino, venendo meno, si sono accasciate per terra quando il Padre ha ricordato le sofferenze che affliggono la popolazione del Sudan meridionale. La portavoce dell' SSWC, Suzanne Jambo, fortemente alterata dall'emozione, ha chiesto: " Come si spiega il fatto che non ci importa niente dei nostri fratelli e sorelle africani? Sollecitiamo chiunque a non fare più affari di questo genere, con questo petrolio ed aprire gli occhi e le orecchie per rendersi conto delle uccisioni di massa e dello sradicamento forzato della nostra gente dovuti a questo maledetto bene infernale."

Alcuni giorni prima del servizio religioso le donne avevano emesso un comunicato nel quale riaffermavano la loro fiducia nell'iniziativa di pace dell'IGAD, dicendo che si trattava dell'unico consesso diplomatico affidabile su cui poter contare per raggiungere una pace duratura nel Sudan. In particolare avevano detto: " Il ruolo dell'IGAD è altamente apprezzabile…siamo di fronte ad una sua iniziativa assai rispettabile ed accettata molto positivamente dalla gente del Sudan, ma questo accordo petrolifero fra il Kenya ed il Sudan provocherà ancora più morte fra la nostra gente, ancor più gente africana verrà presa di mira e colpita nel Sudan meridionale." Le donne hanno affermato che è una vergogna vedere paese africani stringere la mano di Khartoum con un atto che assicura al governo sudanese credibilità e contatti utili per acquistare altri armamenti per proseguire la guerra in quella parte meridionale del paese considerata secessionista. Hanno aggiunto che i loro connazionali del sud hanno buone ragioni per combattere e che alla luce di tutto questo non dovrebbe essere permesso alcuno sfruttamento petrolifero perlomeno fin quando la gente del Sudan meridionale non sarà diventata libera.

Le donne del SSWC hanno ampiamente argomentato sulla questione, dicendo: " Nel Sudan è sempre stato così: se sei nero e non musulmano sei un cittadino di serie B. La guerra di oggi rappresenta l'estremo tentativo di aggrapparci alla nostra identità africana e di proteggerla, la salvaguardia delle nostre abitudini e della nostra cultura come popolazione, la difesa della nostra terra da ulteriori abusi e sfruttamento. Rappresenta il tentativo di garantire ai nostri bambini una vera e propria patria dove vivere fieri di essere dei veri africani. La guerra in Sudan non è causata dal fatto che degli africani prevalentemente non musulmani hanno deciso di imbracciare le armi per puro amore della guerra, ma è la conseguenza di centinaia di anni di sopportazione e straordinaria pazienza da parte dei nostri antenati di fronte alla dominazione e allo sfruttamento dei sudanesi del nord. I governi arabi del Nord Sudan, uno dopo l'altro, hanno fatto schiavi i nostri avi, hanno sfruttato le nostre risorse naturali come l'oro, l'avorio, il bestiame, l'acqua ed i prodotti della terra, ad esclusivo beneficio dello sviluppo del nord. La nostra terra è stata tenuta deliberatamente fuori da ogni sviluppo."

Come conseguenza di tutto ciò che avevano detto, le donne hanno contraddetto le affermazioni di Khartoum secondo le quali c'era la possibilità che le risorse ricavate dalle vendite di petrolio sarebbero state usate per sviluppare il Sudan Meridionale, facendo presente che anche nel periodo di pace non si sono mai visti seri tentativi dei governi nordisti di fare qualcosa per lo sviluppo del sud. Aggiungendo poi che ora che c'è la guerra non è nemmeno pensabile che si intraprenda alcuna azione finalizzata allo sviluppo. Al contrario, le donne hanno rivelato che il governo si sta dando un gran da fare a sfruttare il petrolio per migliorare la sua efficienza bellica nella guerra del sud, dove migliaia di persone sono state uccise o sradicate dalle loro terre per facilitare, a sua volta, lo sfruttamento petrolifero. E quei civili che sono abbastanza fortunati da essere riusciti a scappare da qualche parte sono ora sparsi qua e là nei territori del sud, con poco cibo, quando ne hanno e senza tetto. Le donne, alcune delle quali lavorano con la Chiesa e le ONG nel Sudan meridionale, hanno anche rimproverato le società petrolifere straniere attualmente presenti in Sudan accusandole di essere complici di genocidio, condannandole pesantemente per la cecità e la sordità che dimostrano davanti all'oro nero, arrivando a chiudere i loro occhi e le loro menti davanti alla realtà che sta al di fuori dei campi petroliferi.

Le donne sudanesi in esilio hanno programmato un altro servizio religioso, da tenersi presso la Basilica della Sacra Famiglia di Nairobi ed officiato dall'Arcivescovo dell'Arcidiocesi di Nairobi Ndingi Mwana A'zeki. Si tratta di un servizio che vuole rispondere all'affermazione del Ministro degli Esteri kenyota Chris Obiure che il suo governo non ha niente a che fare con l'importazione di petrolio dal Sudan, un'iniziativa del mondo degli affari privato. Gli articoli dei media hanno riportato che il governo ha ratificato l'importazione di petrolio nel timore che Khartoum potesse fare una ritorsione sospendendo quella di caffè e tè kenyota, che fa guadagnare al Kenya 150 milioni di dollari all'anno. Al momento di chiudere questo articolo le importazioni di petrolio sudanese avevano già raggiunto il mercato kenyota ed il prodotto veniva venduto a meno di quello commerciato dalle compagnie petrolifere internazionali.

Il Kenya è così divenuto il secondo membro dell'IGAD che ha cominciato ufficialmente a importare petrolio dal Sudan. E' stato il Ministro dell'Energia Raila Odinga ad affermare che alcune compagnie petrolifere locali avevano firmato accordi con Khartoum per la fornitura di greggio. L'annuncio è arrivato pochi giorni dopo che il Kenya aveva anche comunicato che il paese intendeva chiedere assistenza a Khartoum per rilanciare la propria industria saccarifera attualmente in difficoltà per problemi tecnici e commerciali. Il giorno dopo dell'annuncio del Ministro il primo carico di greggio è arrivato al porto di Mombasa ed è stato detto che le maggiori compagnie petrolifere sono in attesa di ulteriori istruzioni dal Ministero dell'Energia riguardo le modalità con cui si continuerà ad importarne dal Sudan altri lotti.

L'Etiopia è stato il primo paese a rompere gli indugi e a farlo quando in giugno Khartoum ha preso accordi con Addis Abeba per la fornitura di derivati del petrolio con consegne mensili a partire da novembre di quest'anno. Sulla base di questo accordo il Sudan fornirà all'Etiopia 120.000 tonnellate di benzina e 36.000 tonnellate di kerosene all'anno consentendo al contempo all'Etiopia di costruire un deposito di carburante su territorio sudanese in modo da assicurare la fornitura costante di questi carburanti via strada. Christian Aid, che recentemente ha prodotto un rapporto scottante sui campi petroliferi sudanesi ha condannato da parte sua l'accordo petrolifero fra il Kenya e Khartoum, così come ha fatto la Commissione dei Diritti Umani del Kenya, un gruppo indipendente che si batte per i diritti umani che ha commentato affermando che queste importazioni compromettevano seriamente il ruolo del Kenya nella mediazione del conflitto sudanese.

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