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N.43 - Dicembre 2001

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Swaziland

Niente sesso, pantaloni e strette di mano, per favore!

Di James Hall

Re Mswati ha colto l’occasione della festa del suo 33° compleanno per proibire alle giovani donne di fare sesso prima del matrimonio, indossare pantaloni e perfino stringere la mano agli uomini. Una ragazza, molto contrariata, ha commentato, dicendo di non avere alcuna intenzione di abbandonare queste abitudini solo perché vecchi capi poligami vogliono aggiungere altre vergini alle loro collezione di mogli.

Nello Swaziland colui che è alla guida della cultura tradizionale del paese ha decretato regole ferree per tutte le giovani donne non sposate e pesanti condanne per quelle di loro che rimangono incinte, indossano pantaloni o anche si limitano a stringere la mano ad un uomo. Nell’ultima monarchia assoluta dell’Africa sub sahariana le donne sono considerate sul piano legale cittadine di serie B e le regole intese a riaffermare i valori tradizionali e la castità sono state introdotte senza assolutamente sognarsi di prendere in considerazione il punto di vista delle moderne giovani swazi interessate. A tutte le adolescenti e alle giovani nubili é stato decretato il divieto, per cinque anni, di svolgere qualsiasi attività sessuale. La misura è intesa a reintrodurre la castità ed i valori tradizionali. Inutile dire che, in concomitanza, non è uscito nessun decreto volto a ridurre la libertà degli uomini del regno.

Quando è stato dato l’annuncio alla festa di compleanno di re Mswati, festa nazionale tutti gli anni, questi si è rivolto agli uomini in questi termini: “Quelli di voi che avevano intenzione di fare l’amore con una giovane ragazza dovranno aspettare fino alla scadenza del periodo di cinque anni; per quella data la ragazza in questione sarà pronta e matura.” Tutte le ragazze swazi, per mostrare la loro verginità, dovranno d’ora in poi indossare un copricapo di lana con lunghi fiocchi penzoloni sulla schiena, perfino come componente della divisa scolastica. Queste specie di cappelli si chiamano “umcwasho”, lo stesso nome che viene dato al sistema di regole comportamentali tradizionali. Le ragazze fino a diciotto anni indosseranno un copricapo blu e le giovani donne dai diciannove anni in su, di colore rosso, invece.

Wusie Ginindza, la direttrice dell’edizione domenicale del Times of Swaziland ha fatto questo commento:” L’umcwasho che ciondola sulla nuca di una ragazza vestita modernamente può solo figurare come uno scarafaggio su una torta di nozze.” Lungile Ndlovu, una studentessa dell’Istituto Tecnologico dello Swaziland, tradizionalista ed a capo di un gruppo di coetanee con questa inclinazione, ha invece detto che le ragazze disobbedienti dovrebbero essere portate davanti ai tribunali dei capi tribù, senza assistenza di avvocati.

Nel regno tradizionalista, inoltre, è stato definitivamente messo al bando l’uso dei pantaloni da parte delle donne. Del resto, fin dall’indipendenza della nazione nel ’68, i leader tradizionali non hanno mai smesso di cercare di fare in modo di proibire alle donne l’uso dei pantaloni. Migliaia di ragazze in abiti tradizionali erano presenti alla cerimonia del compleanno del re, quando è stato dato l’annuncio delle nuove regole cui dovevano conformarsi. Hanno reagito a voce alta a queste novità che impediscono loro di indossare tute da ginnastica, pantaloni attillati o pantaloncini corti, oppure rasarsi il capo come è molto di moda in questi tempi.

Queste nuove norme sono intese a piegare le ragazze swazi all’obbedienza dell’autorità tradizionale, ma i portavoce del palazzo insistono a dire che ci sono anche ragioni di carattere sanitario. Uno studio delle Nazioni Unite ha appurato che fino ad un terzo della popolazione del paese è siero positiva. Specialmente nelle zone rurali, dove i capi faranno rispettare la castità, l’incidenza dell’infezione da HIV è molto alta. Una devastante superstizione, comune fra i giovani swazi, è che se fanno sesso con una vergine… guariscono dall'AIDS.

Gruppi di donne ed organizzazioni che si occupano di diritti umani hanno già protestato facendo presente che l’imposizione esercitata sui comportamenti personali non trova posto nell’era moderna. Doo Apane, una avvocatessa della sezione dello Swaziland delle Donne di Legge Africane ha affermato che: “ Il paese e le sue ragazze sono oggi ben lontani dai tempi in cui tutte le donne swazi rimanevano nelle case dei loro genitori fin quando matrimoni combinati non le introducevano in situazioni poligame in casa dello sposo. Quelli erano gli anni precedenti l’avvento dell’istruzione.”

Inoltre, l'avvocatessa fa notare che la proibizione di fare sesso colpisce solo le ragazze. Secondo le nuove regole una ragazza incinta dovrebbe essere portata davanti ai tribunali tradizionali e multata di una vacca, il cui valore corrisponde al salario medio mensile di un lavoratore. L’uomo che l’ha messa incinta dovrebbe essere punito allo stesso modo, ma, in un paese in cui il test del DNA è totalmente sconosciuto, sarà ben difficile in casi di contestazione provare qualsivoglia paternità.

Dal momento che in questo paese le vacche sono considerate uno status symbol, e nessuno swazi è disposto a perderne neanche una, i sanitari temono che le ragazze, per paura della collera dei padri, costretti a pagare la multa sulla gravidanza, possano ricorrere agli aborti clandestini. Una certa Thabsile Dlamini, infermiera a Manzini, afferma inoltre che il divieto di fare sesso, piuttosto che contenere la diffusione dell’AIDS, può piuttosto aumentarla, perché alcune ragazze potrebbero chiedere ai loro compagni di non usare il preservativo, “ nascondendo”, per così dire, la prova dell’atto incriminato.

Il Gruppo di Azione dello Swaziland Contro gli Abusi, un’organizzazione non governativa che assiste le vittime di violenza sessuale ed incesto, è viceversa allarmata per il divieto sui pantaloni. L’organizzazione ha rilasciato un documento in cui si afferma che vi sono casi documentati in cui tentativi di violenza su donne sono stati prevenuti proprio dall’uso di questo indumento. I pantaloni avevano infatti ritardato a sufficienza l’azione dei violentatori tanto da scoraggiarli a continuare, mettendoli in fuga. Ma intanto la violenza contro le donne continua. Uno dei quotidiani del regno ha portato in prima pagina la storia di alcuni autisti di taxi che, alla stazione degli autobus di Mbabane, hanno spogliato una donna che indossava una minigonna, probabilmente con l’intenzione di redarguirla insegnandole a rispettare i dettami della tradizione locale, senza che la polizia operasse alcun arresto.

Comunque, le ragazze, di sesso parlano poco. Forse perché il divieto di fare sesso sembra loro irreale, poche ragazze hanno parlato della questione, o, forse, come dice un genitore della capitale Mbabane, le ragazze swazi non parlano di sesso, ma, semplicemente… lo fanno. La stessa cosa vale per gli uomini, che sono riluttanti a parlare di qualsiasi argomento che abbia a che fare col sesso, ma che sono riusciti a fare di uno dei più piccoli paesi africani un campione di crescita demografica e al contempo di popolazione affetta dal virus dell’AIDS.

Sulla proibizione dell’uso dei pantaloni, contravvenendo alla quale si è soggetti, anche in questo caso, al pagamento della multa di una vacca, le ragazze stanno riempendo di lettere i giornali, dicendone di tutti i colori. Le ragazze swazi apprezzano molto i jeans importati, costosi ed attillati, indossando i quali, a dire il vero, stanno molto bene. Le giovani non condividono affatto che regole comportamentali tradizionali perfino precedenti ai tempi coloniali vengano imposte ora, dopo molti anni, senza la minima consultazione. Una lettrice ha scritto di non avere nessuna intenzione di abbandonare la moda, solo perché alcuni vecchi capi poligami vogliono disporre di un numero maggiore di vergini per la loro collezione di mogli.

In questo regno conservatore un linguaggio del genere e delle prese di posizione tanto decise da parte di giovani donne non avrebbe potuto aver luogo, fino a pochi anni fa. E ciò costituisce il segnale, più chiaro possibile, che la re introduzione di vecchie e sorpassate usanze non può essere imposta senza il consenso di coloro che ne subiscono le conseguenze.

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