TanzaniaCento alunni per classeDi Zephaniah Musendo
La Tanzania si è imbarcata un’altra volta in un nuovo esperimento educativo, conosciuto come Programma Nazionale di Sviluppo dell’Istruzione Elementare, mirato, fra le altre cose, a facilitare ed allargare l’ingresso al primo anno della scuola elementare. Dovrebbe, nei suoi intenti, cercare di risolvere i problemi creati e lasciati in eredità dal primo programma di Istruzione Elementare Universale (UPE), avviato 28 anni fa e considerato dai più una totale delusione, se non un fallimento. Uno schema finito, secondo i critici, con "L’universalizzazione dell’analfabetismo, piuttosto che del saper leggere e scrivere." La stampa, a suo tempo, ha criticato l’UPE per il decadimento degli standard educativi che ha portato con sé e per il caos che ha generato nelle scuole elementari. Sulla base dell’iniziativa i genitori dovevano costruire le scuole con le proprie risorse, per poi doverle inevitabilmente lasciare mal attrezzate e per di più gestite da personale scadente. Per la verità, con questo nuovo programma il governo sembra aver fatto considerevoli sforzi per evitare gli errori del passato. Mentre nel programma UPE del ’74 veniva apertamente richiesto ai genitori di sobbarcarsi l’onere dell’intera operazione, il nuovo programma 2002-2006 è interamente finanziato dal Fondo per l’Istruzione, creato l’anno scorso con una legge del Parlamento. Il governo ha messo a disposizione la somma di 10 dollari per ogni alunno della scuola elementare dell’età compresa fra i 7 e i 13 anni, mentre, purtroppo, i ragazzi del gruppo di età superiore a questo sono esclusi dal contributo, indipendentemente dal fatto che frequentino ancora le elementari o meno. L’Assemblea Nazionale ha approvato un budget di 6,5 milioni di dollari per l’anno finanziario 2001-2002, che dovrebbe risultare sufficiente a sostenere l’espansione ed il miglioramento dell’istruzione nel contesto, appunto, del nuovo Programma Nazionale di Sviluppo dell’Istruzione Elementare. Situazione, questa, ben diversa da quella del precedente UPE in cui il governo si era sobbarcato l’onere di soli 238.000 dollari, che, comunque, già rappresentavano il più importante contributo singolo mai sborsato per l’istruzione nel paese nella sua storia. In quel contesto ogni genitore doveva contribuire, ogni anno, al programma con 25 centesimi di dollaro per ogni figlio che aveva a scuola e con questo sistema, secondo le statistiche del Ministero dell’Istruzione, sono stati raccolti ben 750.000 dollari. Anche se, secondo il professor I. M. Omari dell’Università di Dar es Salaam, coautore di un libro sull’UPE, solo il 24% dei genitori ha effettivamente partecipato attivamente all’iniziativa, la tassa da pagare era iniqua, in quanto era dovuta nella stessa misura da ricchi e da poveri. In Africa, la storia dei tentativi di rendere l’istruzione elementare alla portata di tutti non è né lunga né complicata. Secondo il professor Omari pochi paesi ci hanno provato, agli inizi degli anni cinquanta: per esempio l’Egitto nel ‘50, il Ghana nel ‘51, la Nigeria ( solo gli stati orientali ed occidentali) nel ‘54-‘56. Nel 1961 gli stati africani membri delle Nazioni Unite si sono riuniti ad Addis Abeba con la volontà precisa di esaminare a fondo la situazione dell’istruzione nel loro Continente e prendere provvedimenti . Ma, da allora, si è riusciti a far entrare nelle scuole si e no il 16% dei bambini in età scolare e la proporzione di quelli rimasti fuori ha superato l'80%. La Conferenza di Addis si risolse sostanzialmente con un bell’incoraggiamento dell’UNESCO a montare una desiderabile piramide educativa ed addestrare il corpo insegnante necessario per raggiungere un’istruzione universale di alta qualità, ma anche obbligatoria e gratuita, entro il 1980. L’istruzione avrebbe dovuto, fra le altre cose, prevenire o quantomeno mitigare la problematica migrazione di coloro che lasciano la scuola diretti dalle campagne alle città. Ma il professor Omari fa presente che:" Il guaio principale della Conferenza fu che con le sue risoluzioni invitò i paesi africani ad imbarcarsi in una massiccia espansione dell’istruzione media e superiore, sia in termini quantitativi che finanziari. Di conseguenza, i paesi, compresa la Tanzania, non si sono mossi nel senso giusto, di realizzare un’istruzione di base per tutti e si trovano ora alle prese con disoccupazione e sottoccupazione di diplomati e laureati." Con questa esperienza di fallimenti alle spalle il governo tanzaniano sembra aver preso, con l’attuale programma, alcune misure precauzionali. Per esempio, altra cosa importante, ha espresso l’intenzione di non incaricare più gli studenti delle classi più alte dell’insegnamento ai compagni più giovani delle classi inferiori, come era successo con l’UPE, bensì di voler reclutare 67.000 insegnanti veri entro la fine del programma quinquennale nel 2006 per raggiungere a quella data il rapporto standard di un insegnante ogni 45 alunni. Già nell’anno finanziario in corso 2001-2002 si prevede il finanziamento per la realizzazione di ben 14.000 classi e l’assunzione di 9.000 insegnanti. Questi sono dati riferiti lo scorso ottobre ad Arusha dall’ex vice presidente Omar Ali Juma, quando si è rivolto all’Associazione per lo Sviluppo dell’Istruzione (ADEA). All’avvio del programma, a Gennaio di quest’anno, non sono, però, mancate le sorprese. Mentre c’erano voluti quasi tre anni per vedere affiorare difficoltà nella gestione del precedente UPE, sono bastati due mesi per accorgersi dei problemi generati da questo nuovo schema d’istruzione primaria nazionale. Già nel ’78 il vecchio UPE funzionava ben al di sotto delle aspettative e dei piani, con classi, concepite per 45 alunni e affollate da 80, mentre tanti altri alunni facevano scuola sotto gli alberi. Ma, a Gennaio di quest’anno, una classe da 45 ne ospitava da 100 a 300 nel centro di Dar es Salaam, al punto che c’è stato un momento in cui il Ministro dell’Istruzione ha perfino pensato di ospitare le classi sotto le tende…. Alcune scuole hanno dovuto introdurre i turni ed altre non hanno potuto fare altro che tenere le lezioni all’aperto. Secondo Bujiku Sakila, vice Ministro dell’Istruzione e della Cultura, alla fine di Gennaio, 1,3 milioni di bambini si erano già iscritti, come un’ondata, alla prima elementare in tutto il paese. La valanga di iscrizioni sembra aver causato sconcerto e disappunto sia nei genitori che nelle autorità. I genitori, i cui figli hanno dovuto tornare a casa per mancanza di spazio, si sono lamentati ed uno di loro ci ha detto: " Hanno chiesto ai miei due figli di tornarsene a casa e ritornare l’anno venturo perché sono troppo vecchi, ma, mi domando, come potranno essere più giovani l’anno prossimo, al nuovo appuntamento?" Il triste risultato è che molti bambini sono ora sulle strade ad arrangiarsi con dei lavoretti, quando non sono costretti a mettersi a mendicare. Molti di loro sono ancora a casa che aspettano una possibilità di andare a scuola, e il 60% di loro sono bambine. È lecito domandarsi quanto, alla bisogna, il governo sia capace di estrapolare dati attendibili sulla popolazione infantile del suo paese, quando è risaputo che gli ideatori del programma sono ricorsi ai risultati del censimento dell’88 nello stimare, malamente, il numero di richieste di iscrizione che avrebbe indotto il programma di "universalizzazione" dell’istruzione elementare. D’altronde, per il prossimo censimento, si sarebbe dovuto aspettare fino a Settembre di questo anno e le alternative erano, ritardare l’operazione, oppure arrischiare complesse proiezioni demografiche. Una situazione simile ed altrettanto incresciosa si era verificata col programma UPE del ’74, quando l’ultimo censimento disponibile era vecchio di sette anni ed il successivo sarebbe stato svolto tre anni dopo. In nessuno dei due casi, comunque, il Ministero disponeva di dati realistici al momento di effettuare valutazioni , stime e proiezioni. Il professore G. A. Malekela dell’Università di Dar es Salaam scrive che: " Nei paesi in via di sviluppo, all’"universalizzazione dell’istruzione elementare" è stata attribuita storicamente così tanta importanza che i governi si sentono costretti a inserirla a tutti i costi nei budget e nei grandi piani economici". " Purtroppo, si tratta, però, di un concetto non ben definito che viene usato per indicare cose molto differenti fra loro, confondendo le idee". Per esempio, quando si parla di programma UPE si sottintendono comunemente una lunga serie di principi ed azioni che vi si riferiscono. Fra questi, la disponibilità di spazi scolastici per tutti i ragazzi in età scolare; la frequenza obbligatoria con relativi regolamenti; l’accessibilità universale, geografica, socio-economica e culturale; l’iscrizione di tutti i ragazzi in età scolare al primo anno delle elementari, o, infine, il saper leggere e scrivere, l’alfabetismo esteso a tutta la popolazione. Inoltre, secondo il professore, troppi politici offrono una attenzione meramente formale alla questione dell’istruzione elementare universale, mentre solo una minoranza di loro, disgraziatamente, vi si dedica seriamente, prendendosi cura di approfondirne i contenuti e garantirne i risultati. Malekela scrive inoltre che, generalmente, i politici, che desiderano sfruttare l’argomento nelle loro dichiarazioni pubbliche, esprimono un grandissimo interesse nel coinvolgimento di tutta la popolazione scolastica nell’istruzione elementare. Senza curarsi granché, viceversa, sia della "continuità" scolastica che spesso è disattesa, nonostante sia obbligatoria, sia della qualità stessa dell’istruzione. Quest’approccio poco serio da parte dei politici si è verificato in pieno nel corso del precedente programma. A volte hanno annunciato trionfalmente che con l’UPE la scuola era gratuita, quando, di fatto, le famiglie erano costrette a pagare tasse indirette e nascoste per le scuole e le relative attrezzature. In altri casi hanno affermato che tasse e contributi erano stati aboliti, quando le autorità scolastiche proseguivano per la loro strada, pretendendo rette e sovvenzioni. In ultima analisi si è chiaramente dimostrato che l’UPE, il Programma di Istruzione Universale, in qualsiasi modo lo si veda o lo si intenda, rappresenta un’importante questione politica in tutti i paesi in via di sviluppo. E, secondo il professor Omari, si dovrebbe fare il possibile perché i politici siano consapevoli degli aspetti pregnanti e qualitativi di un programma del genere, per essere in grado di indirizzarvi le risorse, non solo finanziarie, più adeguate. Altrimenti l’UPE rischia di diventare, subendo una grave degenerazione, un’operazione di cattiva istruzione forzata. Il nuovo programma, per la verità, sembra aver preso in considerazione, almeno sulla carta, sia gli aspetti di quantità che di qualità ed il governo sembra rispondere, prendendo provvedimenti per mantenere l’impegno coerente e in questi termini prefissati. Ad esempio, mentre il vice Ministro Sakila ammette che gran parte delle scuole elementari è tremendamente a corto di libri, il governo risponde mettendo a disposizione 5 milioni di dollari destinati ai Distretti perché affrontino il problema dei 6 - 15 alunni che, in alcune scuole, si dividono un solo libro di testo. L’intenzione del governo è di far scendere il rapporto libro di testo alunni a 1 a 3 entro la fine di quest’anno, per arrivare ad una situazione ottimale di un libro per alunno nel 2006.
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