SudanIl Sudan torna a ribollireDi Matthias Muindi
Il governo sudanese ha deciso di buttarsi nella mischia del conflitto mediorientale, annunciando recentemente la creazione di campi militari disseminati nel paese, destinati all’addestramento di volontari pronti a schierarsi al fianco dei Palestinesi nell’Intifada che attualmente si oppone all’occupazione israeliana della West Bank. Il Generale Ahmed Abbas, comandante della milizia pro-governativa, la Forza di Difesa Popolare (PDF), ha annunciato alla televisione del Sudan che i campi di addestramento sono pronti, da subito, a ricevere combattenti volontari. Sebbene sull’operazione, nel suo insieme, non si scenda in troppi dettagli, c’è ragione di ritenere che i generali islamici intendano rilanciare il loro impegno a sostegno del movimento islamico internazionale, offrendo il dispiegamento di combattenti sudanesi e di altre brigate islamiche straniere nel teatro mediorientale. Stranamente però, nonostante i fondamentalisti islamici di Khartoum abbiano espresso il loro entusiasmo per i campi di addestramento, il governo ha riaffermato il suo deciso rifiuto a liberare il guru islamico nazionale, Hassan al Turabi, che è agli arresti domiciliari da due anni. La detenzione di Turabi lascia perplessi sulle invocazioni alla guerra santa contro Israele, ed alcuni osservatori ritengono che il governo sudanese stia usando la crisi medio orientale per distogliere l’attenzione dai problemi interni. Nel frattempo il generale Abbas fa un gran chiasso impartendo istruzioni relative alle operazioni dei campi. Nella sua dichiarazione del 6 aprile ha espresso l’augurio che la PDF, che è stata ritenuta responsabile di alcune delle peggiori atrocità della guerra civile sudanese, riesca a mobilitare tutta la popolazione del paese, donne comprese, per proteggere i palestinesi e liberare Gerusalemme. " Questo è un appello a tutti i partiti, istituzioni, sindacati, studenti e giovani, uomini e donne, a partecipare ai campi, a prepararsi" ha affermato solennemente. Abbas ha fatto sapere che i campi sono stati istituiti sulla base di una direttiva del Presidente Omar Assan al- Bashir in persona. Ed è verosimile che sia così, anche se non ha mai commentato pubblicamente l’iniziativa. Si sa che Bashir è molto vicino alla PDF, una milizia che è stata istituita nel novembre del 1989 ed è sempre stata uno strumento importante nelle mani dell’esercito governativo nelle operazioni condotte contro l’SPLA nella guerra civile nazionale. Ragion per cui ci sono ottimi motivi per ritenere che Bashir sostenga effettivamente la decisione di rendere operativi i campi di addestramento. Khartoum, fiduciosa che gli Stati Uniti non le scaglino un’altra volta addosso una pioggia di missili, si permette di lanciare chiari segnali di voler gradualmente riprendere la sua fanatica politica pro islamica, che comporterà una ripresa del movimento islamico internazionalista all’interno dei suoi confini. La struttura organizzativa di questo movimento stava per essere smantellata, specialmente dopo gli atti terroristici dell’11 Settembre negli Stati Uniti, ma è del tutto evidente che ora si intende procedere nella direzione contraria. Il primo e più sicuro effetto di tale operazione di ricostruzione sarà la sospensione dell’attuale trend di miglioramento delle relazioni fra il governo sudanese e quello degli Stati Uniti; disgelo dei rapporti che aveva avuto inizio dopo che Khartoum aveva collaborato all’identificazione della rete Al Qaeda di Osama bin Laden, partecipando alla coalizione anti terroristica internazionale formata dal Presidente Bush. Già si è manifestato un primo segnale in questo senso; un importante esponente dei servizi segreti americani ha dichiarato il 9 Aprile al Wall Street Journal che gli ultimi sviluppi sudanesi hanno generato ansietà a Washington, facendo rinascere i dubbi riguardo la sincerità di Khartoum nell’impegno dichiarato di voler combattere il terrorismo internazionale. Il giornale, riferendosi al funzionario americano dei servizi segreti che opera in Kenya, ha affermato che, di certo, le ultime mosse non aiutano, ma che non si può ancora essere sicuri che si tratti di una manovra tattica del governo sudanese per dare sfogo alla crescente rabbia del paese verso Israele o piuttosto di un vero e proprio piano per mettere in atto qualcosa di davvero avventato, insensato e pericoloso. Dovessero persistere queste sensazioni o, peggio ancora, dovessero ricevere conferma i timori degli americani, la normalizzazione delle relazioni fra i due paesi si bloccherebbe ed il Sudan si vedrebbe riconfermare nella lista nera del Dipartimento di Stato dei paesi schierati coi terroristi. Un simile evento potrebbe riaccendere l’animosità e la retorica anti-sudanese negli Stati Uniti, specialmente da parte di leader neri del Congresso inorriditi dal disprezzo dei diritti umani e degli evangelisti, furiosi per la persecuzione religiosa che ha luogo ai loro danni nel paese. Il governo degli Stati Uniti non ha finora commentato ufficialmente ed in pubblico la questione dei campi, ma i giornali americani hanno fatto sapere che Washington ha chiesto a Bashir dei chiarimenti. Non è dato di sapere che tipo di risposta ha dato quest’ultimo, ma una cosa è certa: il protrarsi di un atteggiamento ambiguo e tentennante non può che danneggiare, sul lungo periodo, gli sforzi di riabilitazione diplomatica di Khartoum. Non solo, alcuni commentatori regionali temono che possa anche compromettere o addirittura interrompere gli sforzi attualmente profusi dagli Stati Uniti per porre fine alla guerra civile che entra, ora, nel suo 19° anno. In questi giorni Washington sta analizzando una proposta di pace preparata da Khartoum che il Ministro degli Esteri, Mustafa Ismail, ritiene possa essere bene accetta dal governo degli Stati Uniti. Ma, non ci sono dubbi, che le attuali iniziative rumorose ed eclatanti del governo sudanese rischino di compromettere seriamente l’impegno americano. Un destino simile potrebbe essere riservato anche agli sforzi di un rispettabile gruppo d’opinione internazionale che punta a sfruttare l’attuale "finestra di opportunità" per porre fine alla guerra. In un recente documento l’International Crisis Group (ICG) di Bruxelles ha infatti sostenuto che questo è il momento giusto per cogliere l'occasione di giungere alla pace, prima che le due parti decidano ancora una volta di risolvere la più lunga guerra civile africana sul campo di battaglia. Purtroppo, iniziative del genere rischiano di cadere nel vuoto. La richiesta di mobilitazione di Abbas continua ad infiammare gli animi degli estremisti islamici di Khartoum, dove si susseguono massicce dimostrazioni di piazza. La marcia più impressionante è stata quella del 7 Aprile, cui hanno partecipato centinaia di migliaia di sudanesi di ogni colore politico, uniti nel condannare Israele e gli Stati Uniti per gli eventi mediorientali. I manifestanti gridavano: " Colpisci ancora, Bin Laden!", chiedendo al nemico numero uno dell’America di lanciare un altro attacco, sui due paesi, stavolta: la marcia era stata indetta dall’Organizzazione Popolare per il Sostegno all’Intifada palestinese, un comitato appoggiato dal partito al potere, dai sindacati di stato e dal clero islamico. Nel corso della manifestazione ha fatto sentire la sua voce anche il sindacato degli addetti alla sanità, che ha chiesto con veemenza il boicottaggio dei prodotti americani. Ahmed Bilal Osman, Ministro della Sanità, marciando con migliaia di medici, infermieri, farmacisti, studenti, verso la sede delle Nazioni Unite della capitale, ha affermato: "Tutti gli addetti della salute hanno deciso un boicottaggio popolare dei prodotti americani: dalle bevande, al cibo, ai mezzi di trasporto." Una volta giunti alla delegazione delle Nazioni Unite hanno consegnato una lettera di protesta in cui si chiedeva all’organismo internazionale di muoversi con decisione e mettere in pratica tutte le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, pretendendo inoltre che ottenesse un immediato ritiro di Israele, pena la perdita della sua credibilità. Ma, la più drammatica era stata un’altra manifestazione svoltasi il 3 Aprile. In questa occasione il vice preside dell’Università Islamica di Omdurman , Mohamed Osman Saleh, ha informato il rappresentante palestinese a Khartoum , Mahmud Abu Rajai, che migliaia di volontari erano pronti a partire ed aspettavano solo istruzioni. Mentre i dimostranti marciavano al grido di: " No alla pace, si alla Jihad ( la guerra santa)" Saleh ha solennemente dichiarato che migliaia di studenti dell’Università di Omdurman ed altre migliaia dell’Università Holy Kuran erano pronti e a disposizione della causa arabo palestinese. Nel contempo sono stati incrementati gli sforzi per raccogliere denaro per i palestinesi, con delle campagne. tuttora in corso, in tutte le moschee e luoghi pubblici del Sudan. Il quotidiano Al Anbaa ha fatto sapere che la Federazione del Sindacato dei Lavoratori ha donato ben 400.000 dollari per la causa. Intanto, 44 dotti islamici sudanesi hanno diffuso una dichiarazione estremamente ferma in cui si fa appello a tutti gli eserciti islamici a non rimanere con le mani in mano mentre Israele compie il genocidio dei fratelli palestinesi. Arrivando anche a raccomandare il contrabbando di armi verso i territori palestinesi per sostenere la guerra. Questo clima estremamente surriscaldato ha sicuramente complicato la vita del Ministro degli Esteri Ismail che, sulla sollevazione pro palestinese in atto nel suo paese, è stato costretto a fare imbarazzanti salti mortali diplomatici. Per esempio, solo poche ore prima che Abbas affermasse che i campi di addestramento erano pronti, Ismail restava fermo sulla posizione che solo una soluzione politica avrebbe potuto porre fine alla crisi medio orientale. Il Ministro ha anche manifestato, senza mezzi termini, contrarietà all’idea fatta circolare dall’Iraq che i paesi arabi avrebbero dovuto ricorrere alle sanzioni e al petrolio come valide armi per far fronte alla crisi. Affrettandosi a sottolineare il fatto che il Sudan non era d’accordo ad usare sanzioni economiche, boicottaggio o il petrolio in funzione anti israeliana, ha affermato di non credere che fosse il caso di intraprendere tali iniziative, giudicandole controproducenti. D’altra parte e inesorabilmente, però, davanti ai fanatici sviluppi della situazione a Khartoum, Ismail è stato costretto a cambiare registro ed affermare: "Il primo passo concreto da compiersi per aiutare i palestinesi a riacquistare i loro diritti é che noi paesi islamici si tronchi decisamente e immediatamente ogni rapporto con Israele." Queste sono parole che potrebbero significare una drastica svolta politica di Khartoum, con conseguenze che potrebbero rivelarsi drammatiche nell’immediato futuro.
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