KenyaLa rivolta delle donne è cominciatadi Beatrice Akinyi
Agnes Syonkai Risa, una giovane Masai, è una donna senz'altro rara secondo i canoni kenioti. La decisione di denunciare per maltrattamenti il marito dopo 12 anni di matrimonio, rivela molto coraggio da parte di una donna che vive in una comunità rurale, ed invia un segnale raggelante alla società Masai, fortemente patriarcale. La causa presso il tribunale di Kajiado è un indicatore dei crescenti casi di violenza domestica, usanza profondamente radicata nella società keniota. Che una contadina proveniente da una comunità dove le donne non hanno voce per ribellarsi ai pesanti maltrattamenti chieda aiuto al tribunale, dimostra che anni di campagne intense delle attiviste stanno dando i loro frutti. In Kenya le donne hanno alzato il tiro della lotta contro questi atti odiosi spezzando il silenzio. Un numero crescente di keniote oggi esprime liberamente grande preoccupazione per l'aumento dei casi di violenza domestica riportati dai quotidiani, soprattutto perché la violenza subita assume forme più gravi e brutali. Uno studio delle Women's Information Network for Development (network informativo delle donne per lo sviluppo), un progetto del Women's Resource Centre, mostra che i casi di violenza domestica sono aumentati dai 4.546 del 1993 ai 5.480 del 1994 e 4.889 del 1995. Le statistiche indicano che 3.674 casi di violenza contro le donne sono stati denunciati nella seconda metà del 1996, e che la maggior parte sono avvenuti in ambiente domestico. Stando ai rapporti di polizia, circa dieci donne keniote su cento denunciano casi di violenza domestica. Secondo le informazioni della polizia, è principalmente diretta contro le donne nel ruolo di mogli. Un'indagine preliminare condotta nel 1995 sotto gli auspici dell'Istituto di Diritto Pubblico, secondo un'analisi degli incidenti di violenza domestica riportati nei principali quotidiani locali, il 52,3 per cento dei casi di aggressione avvenuti nel paese riguarda violenze esercitate dal marito ai danni della moglie. Il rapporto indica che nel 1995, 55 donne sono state uccise dal marito nell'ambito familiare. Da parte sua, la Coalition on Violence Against Women (coalizione sulla violenza contro le donne) (COVAW), un movimento di donne che ha indotto le ONG impegnate nelle problematiche di discriminazione sessuale a esercitare pressioni contro la violenza sulle donne, afferma che i casi più comuni di violenza domestica si presentano soprattutto sotto forma di percosse, maltrattamenti a minori, stupro, incesto e abbandono, violenza psicologica e verbale. Le forme di violenza compiute contro le donne, in gran parte dei casi esercitata dai mariti, sono spesso brutali e rapide, variano dal semplice pugno alla spinta o a pizzicotti, bruciature, bastonature o mutilazioni del corpo. Spesso vengono usate armi : coltelli, spade, martelli, bastoni da passeggio, oggetti contundenti, paraffina o acqua bollente. I motivi che scatenano la violenza sono spesso inconsistenti - un ritardo nel pranzo o l'aver bruciato una pannocchia di mais. In caso di sospetta infedeltà, la brutalità con cui si scatena la violenza spesso provoca la morte. Il COVAW, che porta avanti una campagna contro la violenza sulle donne in regioni diverse del paese, spiega che il problema attraversa i confini di clan, tribù, cultura, razza, educazione, classe e religione. Secondo Anne Gathumbi, presidente del COVAW, per quanto la violenza contro le donne rappresenti una violazione contro i diritti umani, le autorità hanno fatto ben poco per farla cessare. Le autorità giudiziarie e i responsabili dell'applicazione della legge si sono dimostrate riluttanti nel tutelare le donne che cercano la loro protezione. I due dipartimenti sostengono che il ritiro delle denunce da parte delle donne è un fattore importante alla base dello scoraggiamento della polizia, che non si occupa di questi casi facendo poi seguire un procedimento giudiziario. Il COVAW denuncia i maltrattamenti alla moglie come una tradizione propria di ciascuna comunità. Secondo la Gathumbi, la società africana tradizionale giustificava i maltrattamenti alla moglie come mezzo punitivo. Sottolinea che molti uomini picchiano la moglie per aver abbandonato il suo ruolo di 'cuoca', per 'tagliarle le ali' e rimetterla al suo posto. In certe società, come quella Masai, le donne sono considerate inferiori agli uomini e rientrano nella stessa categoria dei bambini e come i bambini devono essere disciplinate, per farle rigare diritto. Nella comunità Borana, una donna picchiata dal marito non deve gridare. Questa cultura del silenzio è estremamente pericolosa dato che perpetua la violenza domestica e nega alle vittime l'accesso a qualsiasi forma di sostegno. La Gathumbi dichiara di voler incoraggiare le donne a spezzare il muro di silenzio che ha fatto diventare questi atti brutali una questione privata. "Il silenzio ha impedito ai kenioti di riconoscere le donne come persone che meritano rispetto e che vogliono abbattere il muro di silenzio che per troppo tempo ha ostacolato lo sviluppo sociale, economico e politico delle donne", conclude, aggiungendo che dovrebbero essere rifiutate le leggende associate ai maltrattamenti alle mogli, quali ad esempio, che un uomo che non picchia la moglie viene dominato oppure che è un debole o che i maltrattamenti alla moglie sono un modo di esprimere il proprio amore coniugale. La International Federation of Women Lawyers (federazione nazionale delle donne avvocato) (FIDA), sezione Keniota, un'organizzazione non governativa che riunisce le donne avvocato impegnate nel rafforzamento dello status giuridico delle donne keniote attraverso il supporto legale, ha iniziato il monitoraggio dei diritti e della difesa delle donne ed è sul piede di guerra contro la violenza domestica. Oltre a rappresentare in tribunale la sig.ra Risa, le legali dell'organizzazione stanno seguendo 2.000 casi di donne in tutto il paese che variano dallo stupro all'omicidio, aggressione, divorzio, separazione, custodia, alimenti, successione e ripudio illegale. L'organizzazione ha anche un gruppo di sostegno per le donne vittime di violenza, il primo del genere in Kenya. Il legale della FIDA, Jacqueline Anam, impegnata nell'informazione legale per sensibilizzare le donne sui loro diritti afferma che il cosume dei maltrattamenti alla coniuge tende a prosperare perché la società tende a penalizzare le vittime invece che il colpevole. Anche quando la donna ha riportato lesioni, generalmente i parenti la convincono a tornare a casa e cercare di diventare una moglie migliore. Aggiunge che chiedere giustizia nei casi di violenza domestica, sia fisica che sessuale, è un processo spesso lento e complesso e che bisogna essere forti per affrontare la disapprovazione pubblica.. Nansy Baraza, presidente del FIDA, dichiara che ormai sono maturi i tempi perché il governo criminalizzi i maltrattamenti nell'ambito familiare e a sottolinea che il sistema legale non criminalizza nello specifico le percosse alle moglie, indipendentemente dalla loro gravità, ma le classifica come aggressioni comuni, un fattore che tende a minimizzare il reato. Tuttavia afferma che le donne potrebbero comunque denunciare le aggressioni che provocano danni gravi, che comportano un massimo di cinque anni di prigione.
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