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N.4 - Giugno 1998

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Africa

L'Africa nell'agenda di Clinton

di Paul Donohue

L'esitazione e la riluttanza sono lo stile del Presidente Bill Clinton nelle questioni internazionali: reagisce soltanto quando non può più evitare di farlo.

Il modello di esitazione di Clinton è in contrasto con la sua apertura africana. Ha orchestrato il giro di dodici giorni rendendolo il viaggio all'estero più lungo della sua presidenza. Fino a che Clinton non ha viaggiato in Africa, l'Africa non era una questione all'ordine del giorno in America. Clinton ora ce l'ha messa.

Sarebbe stato più facile e comodo per Clinton continuare a ignorare le promesse e i problemi della politica africana. I padroni euro-americani della 'comunità internazionale' hanno denigrato l'Africa e l'hanno rimossa dall'ordine del giorno. Philip Gourevitch ha però recentemente suggerito sul The New Yorker che questo ha "effettivamente contribuito a creare l'apertura nella quale Mr Clinton si è inserito."

Il Presidente Clinton ha affermato che il suo obiettivo era "di aiutare a introdurre il popolo degli Stati Uniti a una nuova Africa... un'Africa i cui traguardi politici e economici diventano più stupefacenti ogni mese che passa." La nuova Africa di cui parla Clinton è emersa del tutto indipendentemente dall'indifferenza dell'America in seguito alla fine della guerra fredda. "Una nuova generazione di leader africani ha visto il ritiro dell'Occidente come un'occasione per farsi carico della responsabilità dei propri destini politici," ha scritto Gourevitch, aggiungendo: "avendo tollerato sia l'apartheid che il genocidio, l'Occidente non godeva più di molta credibilità in Africa."

Richard Anthony Joseph, professore di scienze politiche alla Emory University e esperto di politica africana, ha detto al giornale Cincinnati Post che era personalmente "molto entusiasta" della scelta dei paesi. C'è un buon equilibrio regionale e la maggior parte sta cercando di democratizzarsi, ha detto. La visita in Africa "ci ha messo molto a arrivare," secondo Rae Shan Johnson, di ventiquattro anni, studente all'università di Cincinnati, ma d'altra parte: "una cosa è affrontare i problemi dell'Africa, un'altra cosa è risolverli." L'itinerario di Clinton ha evitato tappe nelle fabbriche che non hanno mai prodotto, alle strade che non portano da nessuna parte e a centrali elettriche che non sono state portate a termine - tutti progetti finanziati da nazioni donatrici che erano mal progettati e improduttivi. Queste spese sbagliate non hanno lasciato dietro di sé altro che il debito senza i mezzi produttivi per ripagarlo.

Clinton non ha affrontato il problema del debito estero, anche se i leader africani hanno sollevato l'argomento a una riunione in Uganda. I calcoli più recenti stimano che i paesi africani devono agli Stati Uniti circa 4,5 miliardi di dollari. Questa è una piccola porzione del carico totale del debito dell'Africa. Attualmente la legge degli Stati Uniti impedisce di annullare il debito di paesi che violano sistematicamente i diritti umani, che hanno eccessive spese militari o che sono coinvolti nel terrorismo o nel traffico di droga.

In Uganda, la dichiarazione di Clinton riguardo il coinvolgimento americano nel commercio degli schiavi è stata tipicamente blanda. "Tornando indietro ai tempi prima che diventassimo una nazione, gli americani europei hanno accolto i frutti del commercio degli schiavi, e in questo abbiamo sbagliato," ha detto Clinton. Questo, secondo l'editorialista di Washington Richard Cohen, non è stato un modo di chiedere scusa, bensì un'espressione di rimpianto.

Il Rappresentante del Texas Tom Delay, capogruppo dei deputati Repubblicani, è stato infastidito dall'osservazione estemporanea di Clinton. "Non ha proprio chiesto scusa per i capotribù in Uganda che vendevano i neri ai mercanti di schiavi, no?" Anche se gli schiavi del Nuovo Mondo venivano dall'Africa Occidentale e non da quella Orientale, il ragionamento di Delay è chiaro, cioè che le vittime in qualche modo erano anche complici. L'ex candidato alla presidenza Patric Buchanan vorrebbe che Clinton chiedesse scusa per avere detto che gli dispiace. "Quando gli europei se ne sono andati, per la maggior parte entro il 1960," ha scritto Buchanan, "hanno lasciato dietro di sé centrali elettriche, telefoni, telegrafi, ferrovie, miniere, piantagioni, scuole, una pubblica amministrazione, una forza di polizia e un tesoro." Buchanan sottointende che con la dipartita degli europei, la maggior parte dell'Africa sub-sahariana è tornata al caos.

Per altri però, il commercio atlantico degli schiavi africani è un grande crimine, e un crimine che non è mai stato riconosciuto fino in fondo. Una offerta di scuse, ha commentato Louis Menand sul New Yorker, "non è sostitutiva di un risarcimento materiale, ma potrebbe rendere il risarcimento materiale più facile."

Gli effetti secondari del viaggio africano di Clinton potrebbero essere molti. Sarà più facile per il gruppo dei deputati neri del Congresso sostenere che gli Stati Uniti devono riportare l'aiuto diretto all'Africa almeno al livello degli 800 milioni di dollari dei primi anni novanta.

Il deputato William Jefferson della Louisiana, uno degli autori dell'African Growth and Opportunity Act (Legge per la Crescita e l'Opportunità Africana), che ha viaggiato con Clinton, pensa che in base alla sua esperienza in Africa, Clinton potrebbe premere per fare passare la legge in Senato. Jefferson è pronto a lavorare per modificare la legge facendo spazio alle forti critiche del presidente sudafricano Nelson Mandela. In generale, gli africani hanno sostenuto che la legge non affronta in maniera adeguata il debito dell'Africa, la sua povertà e la sua diffusa crisi economica.

Grandi Organizzazioni Non Governative come l'Oxfam hanno fatto eco alle critiche di Mandela all'African Growth and Opportunity Act, in particolare sottolineando che il successo commerciale dovrebbe essere misurato attraverso il suo impatto sulla popolazione africana e non soltanto sugli affari statunitensi.

E' più che normale che l'elettorato del gruppo dei deputati neri del Congresso sia composto da persone con opinioni diverse. Così non è stato difficile trovare studenti dell'università di Cincinnati che erano contrari agli aiuti esteri all'Africa, ma un vero e proprio sondaggio d'opinione sistematico non è stato condotto.

Bryan Evans, di ventuno anni, ritiene che tali aiuti creino una dipendenza. Secondo lui l'Africa ha già le risorse di cui ha bisogno per il suo sviluppo. Scott Bryant, di ventuno anni, si dichiara contrario a una simile assistenza verso l'estero perché "la carità comincia a casa propria."

Adesso che l'enorme entourage di Clinton è tornato a casa dopo avere galoppato attraverso l'Africa, è utile ricordare, come fa Gourevitch, l'argomento che lo scrittore nigeriano Chinua Achebe ha affrontato quasi due decenni fa: "La Necessità di uno Scambio Culturale in uno Spirito di Comunanza Tra Nord e Sud." Achebe ha messo in evidenza che perché ci sia un dialogo di qualche portata tra Nord e Sud ci deve essere un cambiamento nel modo in cui ognuno percepisce l'altro. Promuovendo la collaborazione, Clinton e il suo entourage hanno scoperto che gli africani rispondono. Non è sufficiente che Clinton abbia portato l'Africa all'ordine del giorno. Gli africani dovranno essere sicuri che non vengono soltanto ascoltati, ma anche sentiti.

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