Iqbal aveva 150 milioni di fratelli

Il lavoro infantile nel mondo: la realtà, le cause e le proposte di Mani Tese

E L'ITALIA?

Fino a pochi decenni fa il lavoro infantile era comune in Italia. Si trattava di un paese povero. Poi la legge 977 del 1967 fissò l'età minima di ammissione al lavoro a 15 anni, 14 per il lavoro agricolo estivo. L'istruzione obbligatoria, i miglioramenti salariali e dei sistemi di sicurezza sociale, una maggiore consapevolezza fecero il resto. Ma sono sempre rimaste, nelle grandi città e nelle zone rurali del Sud, rilevanti sacche di lavoro infantile legate talvolta a un'economia familiare di sopravvivenza, talaltra a meccanismi di sfruttamento di manodopera a buon mercato, in agricoltura, nell'artigianato, nel terziario e nella famosa industria dell'imitazione. Secondo uno studio dell'Azione Cattolica, in Campania lavorano illegalmente 90.000 bambini, di cui 35.000 nella sola Napoli. La Confcoltivatori di Reggio Calabria ha denunciato nel 1994 la presenza di 15.000 baby-braccianti impiegati stabilmente al nero nella provincia, in aziende che ricorrono al lavoro minorile anche per non pagare i contributi.

La crisi economica e quella dello stato sociale ha fatto lievitare i casi di lavoro infantile. I ragazzi costano meno degli adulti e in certi settori lavorano allo stesso modo. Inoltre, poiché aumenta la disoccupazione dei genitori, ci vogliono i bambini a compensare la caduta del reddito familiare. Non passa quasi settimana che non si scopra un laboratorio tessile illegale dove ragazzine italiane o cinesi sono ipersfruttate come le loro colleghe in Indonesia. Per non parlare dei racket di bambini schiavi costretti a far l'elemosina su commissione. Sono numerosi anche i casi di ragazzini marocchini ambulanti; lavorano con il loro padre, ma a scuola non vanno. Ultimamente se ne vedono tanti anche come lavavetri ai semafori.


Alcuni brani dal libro "Sulla pelle dei bambini" del Centro Nuovo Modello di Sviluppo




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