Assemblea su "La guerra e il silenzio delle donne" c/o Libera università delle donne di Milano Corso di Porta Nuova, 32 Milano, aprile-maggio 1999 CONTRO LA GUERRA SULLA COMPLESSITÀ DELL'OPPORSI Di fronte a questa guerra non basta dire che siamo contro le guerre. Si può pensare che le donne siano in quanto tali contro le guerre solo se si vede la guerra come fenomeno che appartiene alla vita pubblica e che perciò ha avuto storicamente come protagonista esclusivo il sesso maschile. Se invece consideriamo come profondamente intrecciati privato e pubblico, individuo e collettivo, femminile e maschile, è chiaro che in guerra la parte sostenuta più o meno consapevolmente dalle donne è sempre stata grande. Sono le donne a garantire solidarietà e affetti a chi agisce in un teatro di odio e distruzione. E ancora, in tempo di guerra, sono le donne a sopportare un sovrappiù di violenza: gli stupri, la prostituzione coatta, la riduzione alla funzione di cura e assistenza. Siamo contro questa guerra perché chi la fa - i governi dell'Europa unita guidati da leader che in alcuni casi si dichiarano di sinistra - mira a coinvolgerci in nome di una "comune appartenenza" e di altrettanto comuni "valori" . Si agisce in nome di presunti diritti universali, che le donne non hanno partecipato a definire e che non le comprendono. Per passività o per scelta, abitiamo la scena sociale come cittadine senza città. Non abbiamo elaborato noi le regole che presiedono al vivere associato. In questo senso, da sempre, viviamo in una democrazia dimezzata, che vede le donne, cancellate dalla vita pubblica, prestare un sostegno omologato alle regole elaborate dall'altro. Siamo contro questa guerra perché essa, presentata come etica, come atto di ingerenza umanitaria per la difesa di diritti violati, è di fatto l'esatto contrario. Chi detiene il potere a livello mondiale sta violando tutte le regole poste a garanzia del rispetto democratico dei limiti del potere stesso. Nel fare ciò distrugge l'economia e le infrastrutture di un paese che ci è vicino, nel cuore stesso dell'Europa che abitiamo, e soprattutto distrugge vite umane, vita civile, aggregazioni di donne e uomini che da anni lottano contro i tiranni balcanici per affermare la possibilità di una convivenza pacifica tra culture e popolazioni diverse. Siamo davanti a una paradossale finzione. Si dice di combattere per affermare principi che nei fatti vengono smentiti, rinnegati, rettificati sulla base di mutevoli convenienze. Dunque questa guerra viene fatta in nome di diritti universali che universali non sono, dal momento che continuano ad escludere le donne e altri "diversi", e che vengono utilizzati contro le stesse leggi che governano sia il nostro paese sia la comunità internazionale. Scopo di questa guerra non è la difesa dei diritti umani, ma l'imposizione di un modello economico unico: il mercato, che è conflitto di tutti contro tutti. Non solo fra settori produttivi, ma anche fra soggetti messi al lavoro e, in particolare, fra donne e uomini. È la cosiddetta logica imparziale del mercato a stabilire che l'attribuzione delle risorse e il godimento dei diritti vengano prioritariamente riconosciuti ai maschi della specie. Un aspetto non secondario di un secolare dominio. Per l'Europa, scopo di questa guerra è garantirsi un'effimera sicurezza rispetto a una "destabilizzazione" che essa stessa ha contribuito a creare. L'Europa, oltre a bombardare i propri errori, come dice Christa Wolf, sta cercando, in modo uguale e contrario a Milosevic, di affermare una propria superiorità, purezza e identità contro la "barbarie" - impersonata dai popoli balcanici - annidata dentro i suoi stessi confini. Basta guardare ai fatti: Milosevic opprime e stermina i kosovari per affermare i confini di uno stato "etnicamente" puro; l'Occidente colpisce indiscriminatamente con macchine e strumenti tecnologici le popolazioni kosovare e serbe contribuendo a trasformare le prime in profughi senza nome e riducendo le seconde ad anonime liste di morti. Come non vedere l'assoluta continuità tra la logica della violenza che governa la nostra vita privata e sociale quotidiana e quella che governa l'"eccezionalità" di questa guerra. Entrambe hanno come modello la violenza che viene agita sulle donne con la loro riduzione a corpo-natura e successivamente a oggetto di scambio. Entrambe si legittimano con la demonizzazione e la disumanizzazione del "nemico" su cui vengono spostati tensioni, odi e conflitti interni divenuti esplosivi. Questa guerra appare oggi, nella sua veste umanitaria, come l'espressione di una passione prima - quello spirito "guerriero" che attraversa la vita sociale a tutti i livelli - di una comunità storica di uomini che non sembra aver trovato, per convivere col diverso, altro modo che l'espulsione, l'annientamento o l'assimilazione. Se affermiamo che è possibile dichiararsi contro i bombardamenti senza perciò essere automaticamente con Milosevic, se rifiutiamo la falsa logica dell'aut aut, è perché abbiamo già praticato altre vie e altri modi di vivere il conflitto, negoziandolo e cercando mediazioni che garantiscano la possibilità dei rapporti. Nel conflitto primario uomo/donna abbiamo scelto di vivere e tentato di trovare altre soluzioni: connessioni e non divisioni, comprensione in luogo di sopraffazione, capacità di dubitare e coscienza del limite in luogo della fede nella propria onnipotenza. Questa nostra esperienza possiamo ora metterla a frutto rifiutando ogni complice sostegno a chi decide la guerra e a chi la combatte, costruendo una rete di relazioni capaci di sfidare le censure e l'arbitrio dei soggetti forti belligeranti. Possiamo e dobbiamo assumerci il compito di smascherare sia i giochi di guerra in senso stretto - dall'uso della violenza all'"innocenza"umanitaria - sia i meccanismi economici che li sottendono. Possiamo intervenire manifestando il nostro pensiero critico verso questa organizzazione sociale e verso le istituzioni cosiddette rappresentative, senza fare eccezione per le poche donne cooptate negli apparati del potere maschile, che fino a oggi hanno scelto un imperdonabile silenzio. Partecipiamo alla campagna per le elezioni del parlamento europeo negando apertamente l'avallo del nostro voto ad un simulacro di istituzioni democratiche che praticano il dominio mistificandolo come diritto. Invitiamo all'astensionismo attivo, che nulla ha a che vedere con la rinuncia qualunquistica al diritto di voto. Scegliere di esercitare il diritto di voto astenendosi dal voto non rappresenta per noi un passo indietro, ma una precisa assunzione di responsabilità e una manifestazione di coerenza. Quello che intendiamo compiere è un gesto che serva a modificare una pratica della cittadinanza che autorizza chi ha il potere a non dare conto del suo operato. FERMIAMO LA GUERRA DISERTIAMO LE URNE NON ANDIAMO A VOTARE Assemblea su "La guerra e il silenzio delle donne" per adesione scrivere a: Libera università delle donne Corso di Porta Nuova, 32 - 20121 Milano - fax 02.6597727 - e-mail: universitadelledonne@iol.it