La guerra e il silenzio delle donne

01-06-99 - Leggi anche il documento precedente - CONTRO LA GUERRA: DISERZIONE CONTRO LA GUERRA: DISOBBEDIENZA CIVILE




Assemblea su "La guerra e il silenzio delle donne" 
c/o Libera università delle donne di Milano
Corso di Porta Nuova, 32 
Milano, aprile-maggio 1999

CONTRO LA GUERRA
SULLA COMPLESSITÀ DELL'OPPORSI


Di fronte a questa guerra non basta dire che siamo contro le guerre.

Si può pensare che le donne siano in quanto tali contro le guerre solo
se si vede la guerra come fenomeno che appartiene alla vita pubblica e
che perciò ha avuto storicamente come protagonista esclusivo il sesso
maschile. Se invece consideriamo come profondamente intrecciati
privato e pubblico, individuo e collettivo,  femminile e maschile, è
chiaro che in guerra la parte sostenuta più o meno consapevolmente
dalle donne è sempre stata grande.  Sono le donne a garantire
solidarietà e affetti a chi agisce in un teatro di odio e distruzione.
E ancora, in tempo di guerra, sono le donne a sopportare un sovrappiù
di violenza: gli stupri, la prostituzione coatta, la riduzione alla
funzione di cura e assistenza.

Siamo contro questa guerra perché chi la fa - i governi dell'Europa
unita guidati da leader che in alcuni casi si dichiarano di sinistra -
mira a coinvolgerci in nome di una "comune appartenenza" e di
altrettanto comuni "valori" . Si agisce in nome di presunti diritti
universali, che le donne non hanno partecipato a definire e che non le
comprendono. Per passività o per scelta, abitiamo la scena sociale
come cittadine senza città. Non abbiamo elaborato noi le regole che
presiedono al vivere associato. In questo senso, da sempre, viviamo in
una democrazia dimezzata, che vede le donne, cancellate dalla vita
pubblica, prestare un sostegno omologato alle regole elaborate
dall'altro.

Siamo contro questa guerra perché essa, presentata come etica, come
atto di ingerenza umanitaria per la difesa di diritti violati, è di
fatto l'esatto contrario. Chi detiene il potere a livello mondiale sta
violando tutte le regole poste a garanzia del rispetto democratico dei
limiti del potere stesso. Nel fare ciò distrugge l'economia e le
infrastrutture di un paese che ci è vicino, nel cuore stesso
dell'Europa che abitiamo, e soprattutto distrugge vite umane, vita
civile, aggregazioni di donne e uomini che da anni lottano contro i
tiranni balcanici per affermare la possibilità di una convivenza
pacifica tra culture e popolazioni diverse. Siamo davanti a una
paradossale finzione. Si dice di combattere per affermare principi che
nei fatti vengono smentiti, rinnegati, rettificati sulla base di
mutevoli convenienze.

Dunque questa guerra viene fatta in nome di diritti universali che
universali non sono, dal momento che continuano ad escludere le donne
e altri "diversi", e che vengono utilizzati contro le stesse leggi che
governano sia il nostro paese sia la comunità internazionale. 

Scopo di questa guerra non è la difesa dei diritti umani, ma
l'imposizione di un modello economico unico: il  mercato, che è
conflitto di tutti contro tutti. Non solo fra settori produttivi, ma
anche fra soggetti messi al lavoro e, in particolare, fra donne e
uomini. È la cosiddetta logica imparziale del mercato a stabilire che
l'attribuzione delle risorse e il godimento dei diritti vengano
prioritariamente riconosciuti ai maschi della specie. Un aspetto non
secondario di un secolare dominio. 
Per l'Europa, scopo di questa guerra è garantirsi un'effimera
sicurezza rispetto a una "destabilizzazione" che essa stessa ha
contribuito a creare. L'Europa, oltre a bombardare i propri errori,
come dice Christa Wolf, sta cercando, in modo uguale e contrario a
Milosevic, di affermare una propria superiorità, purezza e identità
contro la "barbarie" - impersonata dai popoli balcanici - annidata
dentro i suoi stessi confini.
Basta guardare ai fatti: Milosevic opprime e stermina i kosovari per
affermare i confini di uno stato "etnicamente" puro; l'Occidente
colpisce indiscriminatamente con macchine e strumenti tecnologici le
popolazioni kosovare e serbe contribuendo a trasformare le prime in
profughi senza nome e riducendo le seconde ad anonime liste di morti.

Come non vedere l'assoluta continuità tra la logica della violenza che
governa la nostra vita privata e sociale quotidiana e quella che
governa l'"eccezionalità" di questa guerra. Entrambe hanno come
modello la violenza che viene agita sulle donne con la loro riduzione
a corpo-natura e successivamente a oggetto di scambio. Entrambe si
legittimano con la demonizzazione e la disumanizzazione del "nemico"
su cui vengono spostati tensioni, odi e conflitti interni divenuti
esplosivi. Questa guerra appare oggi, nella sua veste umanitaria, come
l'espressione di una passione prima - quello spirito "guerriero" che
attraversa la vita sociale a tutti i livelli - di una comunità storica
di uomini che non sembra aver trovato,  per convivere col diverso,
altro modo che l'espulsione, l'annientamento o l'assimilazione. 

Se affermiamo che è possibile dichiararsi contro i bombardamenti senza
perciò essere automaticamente con Milosevic, se rifiutiamo la falsa
logica dell'aut aut, è perché abbiamo già praticato altre vie e altri
modi di vivere il conflitto, negoziandolo e cercando mediazioni che
garantiscano la possibilità dei rapporti. Nel conflitto primario
uomo/donna abbiamo scelto di vivere e tentato di trovare altre
soluzioni: connessioni e non divisioni, comprensione in luogo di
sopraffazione, capacità di dubitare e coscienza del limite in luogo
della fede nella propria onnipotenza. 

Questa nostra esperienza possiamo ora metterla a frutto rifiutando
ogni complice sostegno a chi decide la guerra e a chi la combatte,
costruendo una rete di relazioni capaci di sfidare le censure e
l'arbitrio dei soggetti forti belligeranti. 

Possiamo e dobbiamo assumerci il compito di smascherare sia i giochi
di guerra in senso stretto - dall'uso della violenza
all'"innocenza"umanitaria - sia i meccanismi economici che li
sottendono. 

Possiamo intervenire manifestando il nostro pensiero critico verso
questa organizzazione sociale e verso le istituzioni cosiddette
rappresentative, senza fare eccezione per le poche donne cooptate
negli apparati del potere maschile, che fino a oggi hanno scelto un
imperdonabile silenzio.

Partecipiamo alla campagna per le elezioni del parlamento europeo
negando apertamente l'avallo del nostro voto ad un simulacro di
istituzioni democratiche che praticano il dominio mistificandolo come
diritto. 
Invitiamo all'astensionismo attivo, che nulla ha a che vedere con la
rinuncia qualunquistica al diritto di voto. Scegliere di esercitare il
diritto di voto astenendosi dal voto non rappresenta per noi un passo
indietro, ma una precisa assunzione di responsabilità e una
manifestazione di coerenza.
Quello che intendiamo compiere è  un gesto che serva a modificare una
pratica della cittadinanza che autorizza chi ha il potere a non dare
conto del suo operato. 


FERMIAMO LA GUERRA
DISERTIAMO LE URNE
NON ANDIAMO A VOTARE



Assemblea su "La guerra e il silenzio delle donne" 

per adesione scrivere a: 
Libera università delle donne
Corso di Porta Nuova, 32 - 20121 Milano - fax 02.6597727 - 
e-mail: universitadelledonne@iol.it