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Alex LangerDialogare |
Questo intervento è del 1991 ed è stato pubblicato su "Terra Nuova
Forum". Alex traccia un quadro molto efficace delle nuove sfide che
attendono il variegato popolo della pace. Pure l'analisi è molto
profonda e meditata. Il Langer pacifista conosce, si documenta, tiene
alto e vigile il suo sguardo sulla storia, ne ascolta i battiti del
polso e scruta all'orizzonte le nuove minacce alla pace. Contro la guerra, cambia la vita: come si sa, le guerre scoppiano "a valle", quando tutta una infausta concatenazione di soprusi, violenze e fallimenti si è già prodotta e sembra diventata irrimediabile, i popoli, la gente comune, sono poi chiamati a pagare il conto finale senza essere potuti intervenire sulle singole voci che lo hanno via via allungato. Ma dinanzi al fallimento della politica e delle negoziazione, che sfocia nella guerra, bisognerà pur rafforzare gli "anti-corpo" a disposizione di ogni singola persona per prevenire le guerre e non lasciarsene, comunque, catturare, una volta che sono scoppiate. Se tutto uno stile di vita (consumi, produzioni: trasporti, energia, banche...) nel quale siamo largamente coinvolti, per potersi perpetuare ha bisogno di condizioni assai ingiuste che regolano le relazioni tra i popoli e con la natura, e contengono dunque delle spinte immanenti alla guerra, bisognerà intervenire "a monte" e mettere in questione la nostra partecipazione (anche individuale) a un "ordine" economico, politico, sociale, ecologico e culturale che rende necessarie le guerre che lo sostengono. Se il consenso alla guerra (anche sotto forma di nazionalismi, razzismi, pregiudizi, stereotipi, ecc.) può con tanta facilità diventare maggioritario - non certo soltanto tra "fondamentalisti islamici!", - si dovrà intervenire anche qui "a monte" e disintossicando cuori e cervelli. Se è considerato scontato che, una volta scoppiata la guerra non resta che allinearsi e arruolarsi (materialmente e culturalmente) bisognerà purché qualcuno lavori per suscitare e consolidare scelte di "obiezione alla guerra". Sono dunque tante le forme di azione che si possono scegliere per "cambiare la vita di fronte alla guerra", nel senso di negarle ogni consenso e sostegno e nel senso di farle mancare - ognuno - almeno un pezzettino di apparente giustificazione. Più difficile appare oggi la seconda delle linee proposte: sviluppare strumenti "di forza", ma il meno possibile violenti e comunque non bellici. Di fronte all'occupazione violenta del Kuwait da parte dell'Iraq e alla sistematica azione degli USA e di alcuni fra i loro alleati per arrivare comunque alla guerra con l'Iraq e realizzare una globale "resa dei conti" per impedirgli di muovere in futuro, la scelta nonviolenta a molti sembra andata improvvisamente in crisi. La "guerra giusta" è riapparsa solennemente all'orizzonte - questa volta con tanto di voto a schiacciante maggioranza nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU e quindi con la legalità internazionale assicurata. Non poteva mancare qualche vescovo, qualche moralista e qualche elzevirista a benedire il tutto. L'argomento più forte dei sostenitori della "guerra giusta" (magari ribattezzata "azione di polizia internazionale") è di ordine storico morale: "Se Hitler fosse stato fermato già nel 1934, al momento dell'occupazione della Renania, si poteva forse risparmiare al mondo intero la tragedia del nazismo e della seconda guerra mondiale". Dove per "fermare Hitler" si dà per scontato che si debba leggere "fare la guerra a Hitler". E dove si dimentica che la coalizione anti-Hitler avrà, sì, battuto l'incubo del totalitarismo nazifascista, ma rifondato anche - su 40 milioni di morti - un ordine internazionale che ha tranquillamente consegnato mezza Europa a un altro totalitarismo e l'intero Sud del pianeta allo sfruttamento e, in molti casi, a vecchi o nuovi colonialismi e totalitarismi. Se quindi è giusto fare tutto il possibile per fermare aggressioni, ingiustizie e soprusi, a partire dal chiamarli per il loro nome e identificarli come tali, non mi sembra invece nè giusta, nè risolutiva l'idea di farne derivare con una sorta di funesto automatismo la sanzione bellica. Piuttosto la guerra nel Golfo (che fin d'ora appare - a dispetto di tutte le censure nell'informazione - ben più "sporca" di quanto non sia stata presentata, camuffata in geometrica potenza dell'azione chirurgia elettronica) dimostra che si devono inventare nuovi strumenti alternativi e non-violenti, persuasivi ed efficaci, per ridurre il tasso di violenza nel mondo e per risparmiare bagni di sangue (che si chiamino guerra o repressione, che siano internazionali o interni. Ne provo ad indicare quattro, di cui mi sembra ci sia bisogno (potendoli qui appena accennare naturalmente):
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