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Alex LangerStile di vita |
In questo articolo, apparso il 9 novembre 1992, viene evidenziata
l'urgenza di uno stile di vita più austero; l'austerità di cui ci parla
Langer, tuttavia, non è quella pesante, quasi autopunitiva, funzionale
al raggiungimento del benessere economico e destinata ad essere
abbandonata nel momento in cui questo benessere fosse raggiunto;
l'austerità di Langer è un valore in se stessa, è colei che ci sottrae
al circolo vizioso dell'usa-e-getta, è amica dell'uomo e dell'ambiente. Capita, di questi tempi, di sentir citare il richiamo berlingueriano del 1977 all'austerità con un sospiro nostalgico. Dove si mescola la nostalgia verso Enrico Berlinguer a quella per il messaggio in favore di uno stile di vita più modesto, meno spendaccione e di una vita più ardua, fatta anche di sacrificio, di rinuncia, persino di fatica e di noia (Berlinguer lo diceva a proposito dello studio). La "intuizione dell'austerità", come viene qualche volta chiamata, la si evoca con sottolineature morali, ma anche come riferimento ad un diverso tenore di vita, ricco di implicazioni economiche e persino ecologiche. Se Berlinguer, a suo tempo, non è riuscito a sfondare con il suo discorso sull'austerità, ciò è dovuto ad una fondamentale ambiguità: era (e resta) difficile capire se l'allora segretario del Pci, pur così ricco di connotazioni etiche, intendesse sostanzialmente la stessa cosa che a quei tempi una larga parte del movimento sindacale (con Lama in testa) proclamava, o se si riferisse ad una diversa accezione di austerità. Nel primo caso era un "tirare la cinghia oggi per rilanciare la crescita domani", una politica dei due tempi che non metteva veramente in discussione l'obiettivo del "rilancio dell'economia", e che quindi esigeva uno sforzo di accumulazione per ripartire da una base più solida: meno consumi e più investimenti, meno soddisfazioni immediate e più risparmi, meno cicale e più formiche. Difficile entusiasmante, allora come oggi. Una diversa e più profonda accezione di "austerità", che probabilmente era presente in Berlinguer, ma non realmente esplicitata a quel tempo, avrebbe significato qualcosa di non così facilmente riducibile alle esigenze politico-economiche dominanti allora... ed oggi. Vediamo dunque se il termine "austerità" può caratterizzare oggi uno stile di vita ed un'opzione sociale accettabile e persino desiderabile, o se invece si tratti sempre e di nuovo di un involucro mistificante per arrivare poi al solito dunque, quello di ri-capitalizzare e di dare impulsi a quella che chiamiamo ripresa economica. Ci sono alcune verità assai semplici da considerare: nel mondo industrializzato si produce, si consuma e si inquina troppo, si spreca troppa energia non rinnovabile, si lasciano troppi rifiuti non riassorbili senza ferite dalla natura, ci si sposta, si costruisce e si distrugge troppo. Naturalmente sappiamo bene che la distruzione sociale di quei danni è inversamente proporzionale alla ricchezza: i ceti opulenti e benestanti esagerano più dei poveri, i quali hanno poco da sprecare perché mancano dei necessari presupposti economici. Ma essi non sono meno influenzati dalla cultura dominante, per cui aspirano - assai sovente a diventare al più presto esattamente come i più ricchi, e trovano spesso insopportabile l'idea che la felicità non esiga l'automobile, il video-recorder e le vacanze a Madagascar. Accettare oggi la positiva necessità di una contrazione di quel "troppo" e di una ragionevole e graduale de-crescita, e rilanciare, di fronte alla gravissima crisi, un'idea positiva di austerità come stile di vita compatibile con un benessere durevole e sostenibile, sarà possibile solo a patto che essa venga vissuta non come diminuzione, bensì come arricchimento di vitalità e di autodeterminazione. E ciò dipende, ovviamente, da tutto un intreccio di scelte personali e collettive, di condizioni culturali e sociali, di sinergie ed intese. Ma qualcuno dovrà pur cominciare, e indicare un privilegio diverso da quello della ricchezza e dei consumi: il privilegio di non dipendere troppo dalla dotazione materiale e finanziaria, il privilegio di preferire nella vita tutte le cose che non si possono comperare o vendere, il privilegio di usare con saggezza e parsimonia l'eredità comune a tutti, senza recinti e privatizzazioni indebite. L'austerità di una vita più frugale meno riempita da merci usa-e-getta, più ricca di doni, di servizi mutui e reciproci, di condivisioni e co-usi a titolo gratuito, di ricuperi e riciclaggi, di soddisfazioni senza prezzo. Ristabilire e rendere desiderabile questo genere di austerità come possibile stile di vita, liberamente scelto e coltivato come ricchezza, comporterà una notevole rivoluzione culturale ed una cospicua riscoperta della dimensione comunitaria. Perché con meno beni e meno denaro si può vivere bene solo se si può tornare a contare sull'aiuto gratuito degli altri, sull'uso in comune di tante opportunità, sulla fruizione della natura come bene comune, non riducibile a merce. Tutto ciò non potrà essere proposto se lo si intendesse e lo si organizzasse come strada verso il rilancio del meccanismo perverso di accumulazione e crescita economica che ha generato l'inflazione selvaggia di natura, di piaceri e di valori che stiamo sperimentando: una "svalutazione" ben più grave di quella della lira (così come assai più grave appare il buco d'ozono rispetto al buco nelle finanze dello Stato) alla quale non si deve rispondere volendo "tornare nello Sme", cioè riprendere al più presto possibile l'economia degli sprechi, del degrado, dello svuotamento dei valori.
L'austerità potrà invece essere vissuta con piacere e come miglioramento
della qualità della vita, se ci farà dipendere meno dai soldi, da
apparati, da beni e servizi acquistabili sul mercato, ed esigerà che
ognuno ridiventi più inter-dipendente: sostenuto dagli altri, dalla
qualità delle relazioni sociali ed interpersonali, dalle conoscenze ed
abilità, dall'arte di adattarsi ed arrangiarsi, dalla capacità non
ottenibili con alcuna carta di credito, nè chiavi in mano, pronte ad
essere passivamente consumate.
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