Intervista a Ettore Masina

 

di Marina Beccuti e Nello Margiotta

 

L’intervista a Ettore Masina, giornalista e scrittore, esperto di alcune problematiche dell’America Latina, ci ha dato la possibilità di fare il punto riguardo situazioni attuali e passate del continente Latinoamericano. Ricordiamo che Masina, ex deputato italiano, ha scritto qualche anno fa un bel libro sulla storia e sull’assassinio di Mons. Oscar Romero “L’Arcivescovo deve morire” delle edizioni Gruppo Abele. Ringraziamo Ettore Masina per la sua gentile disponibilità e per la correttezza con cui ha risposto alle nostre domande.

 

 

Parliamo del libro che scrisse su Oscar Romero "L'arcivescovo deve morire". Lei conosceva Romero? E' stato difficile ricostruire la sua storia senza subire pressioni da chi non voleva che la verità venisse a galla?

No, non ho avuto la fortuna di conoscere “di persona” monsignor Romero. Ho invece avuto la fortuna di essere andato a San Salvador, nei primi giorni del febbraio 1992, nella mia qualità di presidente del Comitato per i diritti umani, a rappresentare la Camera dei Deputati italiani alla cerimonia della “juramentación”³ (insediamento) della Commissione di pace dopo l’accordo fra guerriglia e governo. Ho potuto allora visitare i luoghi della storia di Monsignore, parlare con i suoi collaboratori, raccogliere una grande quantità di documenti. Tutto questo in assoluta libertà: in quei giorni El Salvador stava vivendo un momento magico di riconquista della pace: rimanevano (e rimangono) gli spaventosi problemi di una atroce miseria, ma l’orrendo genocidio di dieci anni era stato finalmente fermato. Credo che pressioni di chi non vuole che la verità venga a galla siano state e siano piuttosto esercitate sul Vaticano da chi odiò Romero per la sua appassionata difesa dei poveri: il vescovo Revelo (unico superstite dei presuli salvadoregni dell’epoca), i nunzi apostolici che si succedettero nel Salvador, e che vedevano  in Monsignore un pericoloso rompiscatole che turbava i rapporti fra Stato (fascista) e Chiesa, il partito di estrema destra, A.RE.NA, tuttora al governo e naturalmente i terratenientes.

Passiamo al caso Pinochet. Lei é d'accordo che vada processato?

Naturalmente sono d’accordo. I delitti vanno riconosciuti come tali e sanzionati. Altrimenti non soltanto la giustizia rimane ferita ma la certezza dell’impunità favorisce la nascita di altri carnefici. Soltanto dopo che la sanzione è stata pronunziata, il delitto riconosciuto come tale, il colpevole proclamato tale, possono avanzare legittimamente i diritti della pietà. Mettere in carcere un vecchio di 85 anni sarebbe crudele; riconoscerlo come massacratore è doveroso.

Sono stati aperti gli archivi della Cia ed é stato diffuso ufficialmente il forte coinvolgimento del governo Usa nel golpe cileno, così come nella dittatura argentina di Videla. Uno dei principali sostenitori di queste sanguinose dittature fu Henry Kissinger, insieme a Nixon. E' giusto, secondo Lei, che l'ex Segretario di Stato degli Stati Uniti si fregi del Premio Nobel per la Pace, consegnatogli nel '73, per la sua missione di pace in Vietnam?
 

Che il Nobel per la pace sia stato attribuito a Kissinger ha minato profondamente la credibilità dell’istituzione. La pace per la quale ha lavorato Kissinger è stata, nel miglior dei casi, quella che dom Helder Camara chiamava “la pace velenosa delle paludi”: una semplice assenza di conflitto armato. E si direbbe che egli ha collaborato a chiudere un fronte (quello vietnamita) soltanto per aprirne altri. Il dolore dell’America Latina, le centinaia di migliaia di persone che sono state uccise o torturate e incarcerate, il predominio di una classe abietta di militari, il trionfo di ricchi ottusi e feroci, le distruzioni ecologiche che hanno marcato il Continente, persino l’introduzione di sette religiose come virus con cui indebolire la fede e la testimonianza della “Chiesa dei poveri”, tutto questo appartiene a Kissinger (o, almeno, anche a Kissinger). Quel Premio Nobel per la pace assegnato a lui è stato come un Premio della Bontà attribuito al generale Custer.

Tornando indietro negli anni, quali errori di Unidad Popular e di Allende facilitarono il golpe dei militari? La lotta interna di potere, gli errori di carattere economico finanziario, la forte ostilità americana o la negazione dei fondi da parte dell'Urss di Breznev?

Tutte queste cose insieme. In modo particolare l’estremismo di alcuni compagni di Allende, il “tanto peggio tanto meglio”; e il settarismo al quale le forze di sinistra (in Italia come in Cile) cedono con tanta facilità. Ma nessuna di queste componenti sarebbe bastata a far fallire il socialismo di Allende se non ci fosse stata la vera e propria violenza degli Stati Uniti e delle multinazionali.

Cuba resiste con Fidel Castro, la sua fu una vera rivoluzione, con guerriglia armata, mentre Allende ottenne il potere in modo democratico e non sanguinoso, ma durò poco e fu rovesciato in modo cruento. Questo vuol dire che in America Latina, almeno fino a vent'anni fa, si poteva ottenere una vittoria cosiddetta del popolo solo attraverso la rivoluzione armata e non usando metodi democratici? Il Venezuela appare vicino ad una svolta con l'elezione di Chavez, amico di Castro, che sembra voler riproporre il sogno di Allende. Sono maturi i tempi o anche Chavez durerà poco?

La situazione dell’America Latina negli anni ‘60 e ‘70 era abbastanza variegata. Il Cile non era paragonabile a Cuba, vi era una democrazia sia pure dimidiata, contrastata e  fragile. In Brasile, una democrazia allo sbando; a Cuba una dittatura feroce, così in Paraguay etc. Il problema non era tanto quello della borghesia, se con questa espressione ci riferiamo al “ceto medio”: esso era una componente abbastanza esigua; il problema era l’esistenza, quasi dovunque, di un binomio capitale-forze armate. La terza componente, in molti paesi, era la Chiesa, tradizionalmente alleata ai Poteri Forti.Quanto a Chavez: penso che non durerà a lungo. Conosco molto poco la situazione venezuelana ma credo che il Plan Colombia preveda, implicitamente, anche lo strangolamento dell’esperienza di questo personaggio, il cui castrismo mi pare assai dubbio.

Quali sviluppi ci sono in Salvador ed in Nicaragua dopo le parziali vittorie elettorali della sinistra?

Penso che tanto nel Salvador quanto in Nicaragua molta gente cominci a prendere consapevolezza della corruzione, dell’incapacità gestionale e della deriva ottusamente neoliberista delle forze al governo. Ciò che temo è che le sinistre non siano ancora capaci di deporre il proprio settarismo per dare vita ad una forza politica unitaria.

 

Cosa intravede dietro l'apertura di Fox agli zapatisti in Messico?

Naturalmente guardo ai provvedimentri presi con grande gioia, ma esito a lasciarmi andare a speranze che il personaggio, per il momento, non consente. Fox ha  nel suo DNA  politico una grande propensione al capitalismo. Credo sia bene ricordarsi che la miseria del Chiapas è una specie di enorme zattera su un oceano di petrolio. Dovunque questa situazione è stata identificata, lì gli indios sono ormai in pericolo di vita.

 

Quali scenari prevede per la politica nordamericana nel caso vincesse Bush e quali potrebbero essere i rapporti con l'America Latina? Bush che tende a destabilizzare Chavez, per i corsi e ricorsi storici?

Credo che Bush, se sarà eletto, continuerà la nefasta politica del “cortile di casa”. Se sarà eletto Gore, questa politica peggiorerà. I democratici, in politica estera, sono sempre stati più “duri” dei repubblicani.

Intravede qualche elemento di speranza in America Latina?

Sì, almeno tre. Il primo è la pressione, ormai costante, dei capitalisti USA sul loro governo per la conclusione dell'embargo per Cuba. Il secondo il compattarsi delle forze indigene con quelle tradizionalmente progressiste in tutta l'America Latina della zona andina. Il terzo la situazione peruviana: Toledo mi sembra essere un leader di tutto rispetto e i militari disposti a comprendere che non vi sono altre soluzioni pacifiche per un alleviamento delle condizioni economiche del Paese.