Violenze nelle città sedi di guarnigioni militari
Relativamente poche sono le persone che sono riuscite a
fuggire dalle recentemente istituite città sedi di
presidio e dai campi profughi. Ma i racconti fatti da
coloro che sono stati là indicano che le violenze comuni
fin dai primi anni continuano, compresi stupri, botte,
coscrizioni forzate, islamizzazione forzata e privazioni.
Inoltre gli internati nei campi sono usati per prestare
aiuto nei saccheggi.
Koma Brema, una donna di 55 anni di Shwaya, fu catturata
in aprile mentre si procurava l'acqua. Un gruppo di
razziatori provenienti da Debi e che stava rubando
animali si imbatté in Koma ed in un'altra persona: furono
catturati entrambi. Koma raccontò cosa le successe a
Debi:
Siamo stati messi sotto un albero che funga da casa.
Quando i soldati fanno una missione ci dicono di uscire
ed il nostro compito é di prelevare l'erba dai tetti
delle case e di portarla a Debi. Per far ciò sono dovuta
andare a Eri. Poi abbiamo dovuto aiutare a costruire case
per i governativi. Talvolta ho visto dei soldati
prendere delle giovani donne per trascorrere la notte.
Molestie sessuali e stupri sono all'ordine del giorno. Un
uomo fuggito da Debi si lamentò che i soldati
rinchiudevano gli uomini e si prendevano le donne e le
ragazze, abbracciandole perfino in presenza dei loro
uomini. Un'altra donna, Khadija (non è il suo vero nome)
fu rapita in aprile.
Sono stata presa in casa mia di notte. Quando arrivarono
c'erano delle truppe del SPLA dall'altra parte che
combattevano contro i soldati governativi e ne uccisero
due. A quel punto i soldati si diressero dalla mia parte
e mi catturarono con altre nove donne. Quattro uomini
riuscirono a scappare via correndo. I soldati stavano
saccheggiando mucche, capre, ecc. Ci riunirono, quindi,
in uno stesso luogo e ci ordinarono di andare a Debi.
Fummo picchiate durante il tragitto ed anche violentate.
Dieci uomini erano soliti abusare di una stessa donna di
fronte a tutti. Non la portavano nemmeno un poco in
disparte. Ciò accadde a tutte noi, dalle più giovani alle
più vecchie. Anche due bambine di nove e dieci anni
furono violentate da un soldato. Le donne più vecchie fra
noi avevano superato i cinquanta. Furono tutte
violentate. Noi stavamo ad un'ora di strada da Debi.
Quando arrivammo là ci diedero dei vestiti " vi abbiamo
detto di venire e non siete venute; é meglio che restiate
qui per essere più comode. Anche se non venite, noi
possiamo inseguirvi e trovarvi."
Siamo state messe sotto un albero. Si rimane sotto
l'albero finché una non si costruisce una casa. Io non mi
sono costruita la casa perché progettavo di scappare. Due
volte siamo state portate coi soldati, a Choromba ed a el
Goz, a prendere erba per la costruzione. Se ti rifiutavi
di andare ti picchiavano. Uomini e donne erano separati,
anche se marito e moglie. I soldati erano soliti venire a
parlare la sera e di notte potevano entrare in qualsiasi
casa. Se una donna si rifiutava veniva picchiata.
Successe anche a me. Durante il giorno i nostri uomini
possono venire a parlarci, ma sono sempre controllati.
Dopo il tramonto é loro proibito. Talvolta i soldati
riuniscono le giovani e dicono: "Andiamo a raccogliere
manghi nei giardini. Così se ne vanno nei giardini, là si
dividono le donne e ne approfittano".
La descrizione delle condizioni di vita nei presidi
militari é stata resa tristemente nota fin dalle prime
inchieste di African Rights. I commenti più frequenti da
parte dei fuggitivi erano che la fame era aumentata ed
era stata imposta una nuova pratica " di andare in
missione e di sequestrare tutto ciò che si trova davanti
a voi". Giovani catturati e portati a Debi riferirono di
essere stati costretti a diventare membri del PDF.
I sospettati di essere membri del SPLA, vengono
quotidianamente assoggettati a torture ed analoghe
violenze. Iskial Mahjoub, un giovane di vent'anni di
Adol, fu catturato nel dicembre 1995.
Mi portarono a Heiban. Fui picchiato, legato ed
interrogato in prigione. Chiunque mi passava vicino mi
gettava pietre o mattoni o prendeva dei bastoni per
picchiarmi. Alcuni usavano perfino bastoni come fruste.
Mi ferirono in testa. Mi cavarono quasi i denti. Dopo
l'interrogatorio mi dissero: " Stai nascondendo la
verità, non vuoi dircela, ti spareremo". Così mi
portarono all'aperto, mi legarono le mani dietro la
schiena ed i piedi. Non mi bendarono, ma mi legarono ad
un albero caduto. Incominciarono a sparare, ma non
sparavano per colpirmi. Era presente un predicatore, che
disse loro:" Quest'uomo non ha niente da dire perchè é
stato arruolato a forza nel SPLA, anche se non era sua
intenzione unirsi a loro; perciò non ha nulla da dire".
Ciò non era vero era un parente che diceva quelle cose
per aiutarmi. Allora fui messo in prigione per tre mesi.
Fui gettato sul pavimento della prigione ancora legato.
Agli altri prigionieri fu ordinato di slegarmi. I soldati
venivano a prendere le prigioniere per picchiarle. Per
esempio, una certa Miriam (non è questo il suo vero
nome) venne a Heiban e fu messa in prigione. Ella era
nostra vicina di casa ad Abol. C'era un soldato, Ahmed,
che tutte le notti la tirava fuori dalla prigione e ve la
riportava al mattino presto. Egli era un caporale di
servizio nella prigione che aveva l'abitudine di dare
ordini severi alle altre guardie: di far lavorare sodo i
prigionieri e di trattarli male. Dopo qualche tempo fummo
portati ad Um Birembeita. In se guito Miriam fu liberata,
ma per tutto il tempo che passò in prigione fu picchiata.
Se non lo faceva Ahmed, lo facevano altre guardie della
prigione. Poichè avevano paura degli ufficiali e dei
comandanti della guarnigione, l'andavano a rendere tardi
alla sera e la riportavano presto al mattino così da non
essere visti. Talvolta Miriam e le altre due donne
dovevano far da mangiare per i prigionieri. Eravamo
dodici in tutto. Le altre due donne, Awadiya ed Elizabeth
(i loro veri nomi non sono questi) fecero anche loro la
stessa esperienza.
Ahmed ci costringeva a lavorare tutto il giorno. Arrivava
anche a ridurre la razione (di cibo). A volte, se
capitava di ammalarsi, per esempio: un attacco di
diarrea, egli ci rifiutava il permesso di andare al
gabinetto. Il nostro lavoro consisteva nel trarrre
l'acqua da una pompa (detta "cavallino")
e nel fabbicare mattoni e muretti. Talvolta dovevamo
lavorare dalle sei del mattino fino a mezzogiorno e poi
dalle tre alle cinque del pomeriggio. Avevamo solo due
ore di riposo in tutto il giorno. Ahmed si approfittava
di una o della altra delle tre donne.
Non ho visto uccidere nessuno. Ma ho sentito di due
militari dell'SPLA che dopo la cattura non furono portati
in prigione, ma furono uccisi. Attraverso la porta della
prigione si potevano vedere delle persone che
rumoreggiavano come per far festa, e persino dei soldati
che sparavano in aria. Alcune guardie uscivano dalla
prigione e quando tornavano indietro dicevano: "abbiamo
avuto a che fare con gente che abbiamo catturato".
A Um Birembeita si disse che le tre donne avevano preso
un camion per Khartoum dove sarebbero state liberate.
Schiavitù
La questione della schiavitù ha provocato dibattiti ed
emozioni intense in Sudan. Mentre non ci sono dubbi che
Sud Sudanesi, in particolare Dinka del Bahr el Ghazal
settentrionale, sono stati catturati e ridotti in
schiavitù da miliziani favorevoli al governo, rimangono
deboli le conferme di riduzione in schiavitù sui Monti
Nuba.
Nel 1995, agli osservatori di African Rights è stato
chiesto specificamente di cercare casi di sospetta
schiavitù. Nel luglio del 1995 è stato riportato un caso
sospetto ma non confermato dalla provincia di Delami. Ci
sono anche dei rapporti dalla zona di Lagowa: si dice
che, durante i periodo di carestia (1984\85 e 1990\91)
alcune famiglie particolarmente povere abbiano dato i
propri figli ai pastori Baggara, scambiando il lavoro dei
ragazzi con il loro mantenimento, ma dopo un anno, quando
i ragazzi avrebbero dovuto ritornare, i pastori avrebbero
preteso che non era possibile perchè i ragazzi erano
fuggiti. Gli osservatori hanno anche registrato che
alcuni ragazzi Dinka prigionieri erano passati da Lagowa,
tenuti da miliziani Baggara.
Gli osservatori hanno identificato un ulteriore caso di
sospetta schiavitù. Nell'aprile 1995, nella provincia di
Delami, Fatima Abdel Rahman è scomparsa con i suoi tre
figli. Si teme che sia stata rapita da pastori di
cammelli.