LE PROSPETTIVE
La  situazione attuale in  Cecenia non  e' tale  da far  prevedere una
soluzione a breve  termine del conflitto. Dal punto  di vista militare
si  e' creato uno  stallo con  l'individuazione di  due nette  zone di
influenza controllate dalle due parti in conflitto. Il nord e la parte
pianeggiante   centrale  della   Cecenia   sono  ormai   completamente
presidiate dalle  forze armate russe, mentre la  zona montagnosa nella
parte   meridonale   viene   descritta   come  la   roccaforte   della
guerriglia. Anche se lo scontro armato non e' piu' cosi' violento come
nei  mesi precedenti,  la  guerra continua  a mietere  quotidianamente
nuove vittime tra  militari e civili. Il problema  dei profughi non e'
certamente di facile soluzione,  anche in considerazione del fatto che
interi  villaggi   sono  stati  completamente  rasi  al   suolo,  e  i
sopravvissuti ai raid aerei compiuti  su quei villaggi ormai non hanno
piu'  una casa dove  ritornare. Anche  per gli  abitanti di  Grozny il
rientro si prospetta difficile e non immediato, dal momento che interi
quartieri  della citta',  soprattutto  nel centro,  sono diventati  un
ammasso  di  rovine  e  il  grado  di  distruzione  e'  altissimo.  Le
aspirazioni dei  civili e dei  profughi sono ormai  lontanissime dalle
posizioni   dei   guerriglieri.  L'unico   desiderio   e'  quello   di
ripristinare la pace e di vivere in condizioni di sicurezza.
Per  il  raggiungimento di  una  pace  dignitosa  in Cecenia  e'  poco
realistico sperare  che il nostro Paese eserciti  delle forme efficaci
di  pressione sulla  Federazione Russa,  che  vadano al  di la'  delle
semplici dichiarazioni di principio.
I  legami politici,  economici  e militari  che  legano l'Italia  alla
Russia  sono  ormai troppo  saldi  per  essere  spezzati dal  "piccolo
contrattempo" rappresentato dal sangue  di migliaia di vittime civili,
da duecentomila profughi ammassati  in Inguscezia e da altre centinaia
di migliaia di  civili che in Cecenia vivono  nel terrore praticamente
al  limite   della  sopravvivenza.  Le   recenti  visite  diplomatiche
effettuate  da  Vladimir  Putin  e l'ottima  accoglienza  ricevuta  in
Vaticano e al  Quirinale non potranno far altro  che rafforzare questi
legami.
L'Eni,  Ente  Nazionale  Idrocarburi,  e'  attualmente  il  principale
partner industriale e commerciale della Russia, con un flusso annuo di
capitali  pari a  circa 2  miliardi di  dollari. Nel  corso  della sua
visita  a  Roma  Vladimir  Putin ha  piacevolmente  chiacchierato  con
Vittorio   Mincato,  presidente   dell'Eni,  del   futuro   di  questa
collaborazione. Putin,  inoltre, ha appena firmato a  nome del governo
russo un  accordo con  Mediobanca per la  concessione di una  linea di
credito da  1 miliardo e mezzo  di dollari, destinato  a finanziare la
creazione  di societa' a  capitale misto.  Il 7  giugno 2000  Putin ha
incontrato  a  Roma  anche   Gianni  Agnelli,  Paolo  Fresco  e  Paolo
Cantarella  per  discutere  degli  accordi commerciali  relativi  alla
produzione di  tre modelli Fiat  (Palio, Siena e Palio  Weekend) nelle
fabbriche russe  di Nizhnj Novgorod.  A questo bisogna  aggiungere gli
accordi di  cooperazione militare con la Russia  ratificati a dicembre
del 1999  dalla Camera dei Deputati,  proprio mentre erano  in corso i
bombardamenti con cui la Russia ha devastato Grozny e molte altre zone
della  Cecenia, causando  migliaia di  vittime civili  e  centinaia di
migliaia di profughi.
Quanto vale la  vita dei profughi ceceni di  fronte a queste colossali
manovre ? Una  misura del valore economico della vita  ce l'ha data un
funzionario  delle  Nazioni Unite  che  abbiamo  incontrato al  nostro
rientro a Mosca.  Molto onestamente e senza mezzi  termini ci ha fatto
presente un  altro dei problemi  di sicurezza legati alla  presenza di
volontari  stranieri in  Caucaso "non  aspettatevi aiuto  dal governo
italiano o  dall'ambasciata. Se vi accade qualcosa  e' molto probabile
che decidano di sacrificare la vita  di tre o quattro italiani in nome
di un quadro piu' grande". Mentre dice queste parole indica la cartina
della  Federazione  Russa,  e  capisco  che  i  rapporti  diplomatici,
economici e politici che legano il  mio Paese ad un governo che ordina
bombardamenti a tappeto  su colonne di profughi in  fuga fanno davvero
parte di  "un quadro piu' grande", un  quadro in cui la  mia vita vale
meno di zero. Per la prima volta  dal mio arrivo in Russia la paura si
fa  strada dentro di  me. Fino  ad allora,  soprattutto prima  del mio
ingresso a Grozny, avevo  provato molta ansia, inquietudine e angoscia
di fronte ai rischi che correvo  e alla sofferenza dei profughi, ma la
vera  paura, un  vuoto nero  e orribile  che ti  riempie il  petto, mi
aspettava  in un  tranquillo ufficio  di  Mosca di  una agenzia  delle
Nazioni Unite.  Per la prima volta  da quando sono nato  ho una misura
molto reale e tangibile del valore  della vita umana e della mia vita,
una  piccola  vita che  per  il mio  Paese  vale  meno di  Mediobanca,
dell'Eni e della Fiat.
PARTE III - UNO SGUARDO ALL'ITALIA - CONSIDERAZIONI PERSONALI
La  guerra  in  Cecenia, con  le  sue  migliaia  di vittime  civili  e
centinaia  di migliaia  di  profughi, e'  tutt'altro  che un  semplice
"problema  interno" della  Federazione  Russa. Gli  effetti di  questa
combinazione  esplosiva di  interessi criminali,  politici, economici,
strategici e  legati al fondamentalismo religioso  possono essere tali
da  compromettere la  stabilita' di  tutta  la regione  del Caucaso  e
dell'intera Europa Orientale. Anche l'Italia, che ha appena ratificato
nuovi  accordi di  cooperazione militare  con la  Russia, e'  in parte
complice  di questa  situazione  per miopia  o  per calcolo  potremmo
renderci conto  delle nostre  responsabilita' solo quando  sara' ormai
troppo tardi.
Fermandomi a  riflettere sulle cause  sociali e sul  contesto politico
che hanno fatto  da sfondo alla guerra in  Cecenia, sono arrivato alla
conclusione che  il terreno fertile  che ha reso possibile  lo scoppio
della violenza  e' stato un clima sociale  caratterizzato, tra l'altro
da  questi fattori  sensazione  di insicurezza  dei cittadini  dovuta
all'illegalita' diffusa,  perdita di autorevolezza  delle istituzioni,
mancanza  di  partecipazione diretta  alla  vita  politica del  paese,
perdita di fiducia nelle autorita' dello Stato, assenza o inefficienza
degli  strumenti preposti  alla tutela  dei cittadini,  in  una parola
l'assenza o  la latenza  di quello che  in Italia viene  definito come
"stato di  diritto". E' questo il  clima che ha permesso  ad un potere
autoritario  di   insediarsi  stabilmente  alla   guida  della  Russia
trascinando la popolazione in due sanguinose guerre contro la Cecenia,
dove oltre a migliaia di civili  hanno perso la vita anche migliaia di
soldati russi.
In Italia lo stato di diritto  si esprime attraverso una fitta rete di
strutture e organismi  che proteggono e tutelano i  cittadini, come ad
esempio   le  istituzioni,  la   magistratura,  le   associazioni,  le
organizzazioni politiche e sindacali,  le forze dell'ordine, i servizi
di sanita'  pubblica, l'istruzione pubblica, le  strutture religiose e
le varie espressioni della societa' civile.
Indubbiamente, anche nel nostro Paese  tutti i soggetti dello stato di
diritto non sono  immuni dalla corruzione, dai problemi  dovuti ad una
cattiva gestione o dall'influenza dei grossi gruppi di potere politico
ed  economico. Tuttavia,  in  Russia  e nel  Caucaso  questa "rete  di
protezione" dei cittadini si e'  smagliata molto di piu' di quanto non
lo sia  in Italia, e ha  lasciato aperti dei buchi  dove hanno trovato
spazio  l'illegalita', il  malgoverno,  la violenza  privata e  quella
delle istituzioni.
Il sintomo piu' chiaro di questa  "assenza di stato" e' la mancanza di
partecipazione  da   parte  dei  cittadini  alla   vita  politica  del
paese. Sentendosi  sempre piu' delusi e sempre  meno rappresentati dai
loro  leader, gli abitanti  della Federazione  Russa hanno  iniziato a
perdere  le speranze di  cambiamento e  di giustizia  sociale maturate
dopo   il  crollo  del   regime  sovietico.   Gettando  la   spugna  e
rassegnandosi al meno peggio i cittadini della Federazione Russa hanno
delegato ad altri le  questioni di politica interna, ritenendo inutile
una partecipazione attiva alla politica,  dal momento che per molti il
passaggio  dal  regime  alla   democrazia  non  ha  comportato  nessun
cambiamento nel  tenore e nella qualita' della  vita. Questo abbandono
della politica e  questo disinteresse per la "cosa  pubblica" e' stata
la condizione fondamentale per un  nuovo rilancio del "pugno di ferro"
e della potenza militare  della Russia. Il giorno stesso dell'elezione
di  Putin  alla  presidenza  della  Federazione, la  marina  russa  ha
effettuato tre test  con missili balistici, di cui  due lanciati da un
sottomarino  nucleare,  per  una  dimostrazione di  forza  plateale  e
gratuita.
Aver toccato  con mano il clima  culturale, sociale e  politico che e'
alla base della  gestione del potere in Russia  mi ha fatto apprezzare
molto piu' di prima i meccanismi democratici e lo stato di diritto che
fortunatamente  esistono ancora in  Italia, nonostante  gli innegabili
problemi e le eccezioni a  questo stato di diritto rappresentate dalle
condizioni   delle  strutture  carcerarie,   dall'inadeguatezza  delle
pensioni minime  e da  un servizio  sanitario che non  e' in  grado di
coprire  totalmente  i bisogni  dei  cittadini,  soprattutto dei  meno
abbienti.
Dopo aver  vissuto qualche  settimana a Mosca  e in Caucaso,  oltre ad
apprezzare maggiormente il contesto legale e democratico italiano (pur
con i  suoi mille difetti) ho capito  che la guerra e  la violenza non
sono cose che  ci sono totalmente estranee, che  i semi dell'odio sono
presenti  anche nel nostro  paese. Ho  maturato la  consapevolezza che
negli italiani  non e' presente nessun "anticorpo"  particolare che li
renda  immuni   dall'  orrore  della  guerra.  Non   siamo  un  popolo
"geneticamente"  pacifico,  ma rispetto  alla  Russia abbiamo  qualche
decennio in piu' di democrazia alle spalle che ci protegge ancora (per
il  momento)  da derive  autoritarie  o  dalla  sfiducia totale  nelle
istituzioni  da   parte  dei  cittadini,   presupposti  indispensabili
all'esplosione violenta del disagio sociale.
In Italia  l'educazione alla  Pace e' spesso  stata descritta  come un
educazione  all'internazionalismo, all'amicizia  con altri  popoli, al
rispetto delle  diversita', alla  risoluzione dei conflitti  a livello
personale.  Sicuramente l'educazione  alla  Pace e'  tutto questo,  ma
tenendo conto  della situazione  particolare del nostro  Paese ritengo
che in Italia anche  l'educazione civica, l'educazione alla legalita',
l'educazione   al  rispetto   delle  istituzioni,   l'educazione  alla
cittadinanza attiva e alla  partecipazione diretta alla gestione della
cosa   pubblica   siano  tutte   forme   di   educazione  alla   Pace,
indispensabili per prevenire  esplosioni di violenza collettiva simili
a  quelle che  hanno trascinato  la Russia  e la  Cecenia in  un nuovo
inutile massacro. In questo l'Italia ha avuto due grandi maestri Aldo
Capitini, con i suoi "centri  di orientamento sociale", dove i bisogni
e  le aspirazioni dei  cittadini trovavano  spazi per  esprimersi, per
progettare nuove  soluzioni e per incontrare le  istituzioni, e Danilo
Dolci,  che con  i suoi  "scioperi  al contrario"  e le  lotte per  la
dignita'  dei lavoratori contro  lo strapotere  della Mafia  ha saputo
risvegliare la coscienza civile di moltissime persone.
L'ambiente favorevole in cui e'  esplosa la guerra in Caucaso era gia'
segnato da molti anni  dalla violenza, dall'affermarsi della legge del
piu' forte, dal banditismo e dall'attivita' mafiosa, che hanno trovato
il loro terreno di coltura in uno stato autoritario, privo di garanzie
oggettive per  i cittadini che corrispondano ai  diritti sanciti sulla
carta.  In  questa  chiave  di  lettura, anche  nel  nostro  Paese  il
disinteresse  per la partecipazione  politica, il  calo dell'affluenza
alle  urne, il dilagare  del qualunquismo  che fa  comodo a  chi vuole
mantenere il potere e ha  bisogno del minor numero possibile di "teste
pensanti", lo svuotamento dei  contenuti della politica e la riduzione
della  dialettica  tra  i  partiti  ad uno  scontro  sterile  di  tipo
calcistico  tra due schieramenti  opposti sempre  meno rappresentativi
del  paese  reale,  contribuiscono  a  creare le  condizioni  per  uno
svuotamento  dello stato  di diritto,  che e'  il primo  passo  per la
creazione di un regno del terrore simile a quello attualmente presente
in Caucaso.
Tutti   i  fenomeni  che   allontanano  la   gente  da   chi  dovrebbe
rappresentarla sono un serio rischio per la sicurezza, la stabilita' e
la Pace nel nostro Paese.  Una analisi molto approfondita delle guerre
civili  e   dell'importanza  della  partecipazione   politica  per  il
mantenimento  della Pace e'  apparsa sul  numero 2/1999  della Rivista
"Aggiornamenti  Sociali",  in  cui   si  legge  che  "L'esigenza  piu'
universale e' quella della  partecipazione politica perche' proprio il
monopolio del potere (...)  e' solitamente responsabile di molte altre
disuguaglianze. (...) Poiche' ogni caso di conflitto che abbiamo preso
in  considerazione  ha  alla   base  una  mancanza  di  partecipazione
politica,  questa puo'  essere  considerata una  norma universale  per
tutte le societa' a rischio di guerra".
Il miglior antidoto  contro l'anarchia mafiosa, la guerra  civile e la
violenza  privata e  istituzionale e'  la partecipazione  diretta alla
vita democratica  del paese  attraverso l'esercizio attivo  dei propri
diritti  di cittadino.  I diritti  democratici, i  diritti civili  e i
diritti umani non si stabiliscono una  volta per sempre su un pezzo di
carta, ma vanno affermati, declinati, conquistati e difesi giorno dopo
giorno,  nella vita  quotidiana, sul  posto  di lavoro,  a scuola,  in
ospedale, nelle strutture sanitarie, negli uffici pubblici e in ognuno
dei nostri ambiti di attivita'.
La "prevenzione  democratica" della  violenza e del  conflitto sociale
nel  nostro paese  e' un  argomento  che non  compare nell'agenda  dei
nostri politici. Alcuni sintomi preoccupanti evidenziano un pericoloso
cammino in  direzione contraria a questa  prevenzione, uno scollamento
irreversibile della popolazione dal mondo sempre piu' autoreferenziale
della politica di palazzo.
Negli  ultimi anni  la classe  politica italiana  ha sferrato,  sia da
destra che da  sinistra, alcuni duri attacchi allo  stato di diritto e
alla  stabilita'  pacifica dell'Italia,  sia  sul  fronte del  diritto
interno che su quello del diritto internazionale. Mi limito a citare i
due casi che a mio giudizio sono piu' emblematici.
Dal punto di vista del  diritto interno, i continui attacchi verbali e
mediatici   sferrati  dagli   esponenti  del   polo  ai   danni  della
magistratura  rappresentano a  mio avviso  una  azione pericolosamente
eversiva, appoggiata da una  campagna mediatica (un esempio per tutti
gli "sgarbi  quotidiani") che ha gia' attecchito  profondamente in una
buona  fetta  dell'opinione pubblica.  In  particolare, e'  abbastanza
grave che un candidato alla presidenza del consiglio abbia passato gli
ultimi anni  a screditare continuamente il  lavoro della magistratura,
basando  questi  attacchi  principalmente  su  presunte  "persecuzioni
personali"  e  non  su  problemi  collettivi  come  la  lunghezza  dei
processi, il collasso  del sistema carcerario o le  condizioni di vita
dei detenuti.
Se  il leader  del partito  italiano che  gode del  maggior  numero di
consensi  da  parte degli  elettori  scredita  l'intera categoria  dei
magistrati  e  distrugge la  gia'  scarsa  fiducia  dei cittadini  nei
confronti della  giustizia e  della magistratura, chi  potra' impedire
che questa sfiducia si estenda  anche alle altre strutture dello stato
e che  la gente cerchi una  soluzione dei propri problemi  al di fuori
delle regole del gioco democratico ?
Se si afferma il principio che le vittime di sentenze ingiuste possono
farsi  giustizia  da sole  a  colpi  di  dichiarazioni televisive,  si
accetta in linea di principio che un cittadino possa cercare giustizia
da se' al di fuori  delle istituzioni. In questo senso va riconosciuto
al senatore a vita Giulio Andreotti un buon senso di responsabilita' e
un   buon  rispetto   delle  istituzioni   democratiche.  Riconducendo
all'interno  del  tribunale ogni  valutazione  sulla  sua innocenza  o
colpevolezza, Andreotti  ci ha  risparmiato la sua  "guerra mediatica"
contro i suoi accusatori, evitando di strumentalizzare il credito e lo
spazio di cui  gode presso la stampa e i  media italiani per affermare
la propria  innocenza fuori dal tribunale con  una serie interminabile
di interviste, dichiarazioni, attacchi verbali.
Farsi  giustizia  da se'  utilizzando  il  proprio  potere politico  e
mediatico rappresenta un grave  pericolo per la democrazia, perche' si
apre la strada ad una  "giustizia extragiudiziaria" simile a quella di
chi si fa giustizia da se' a colpi di lupara. Se si cerca giustizia al
di  fuori  delle  strutture  e   delle  regole  dello  stato  si  crea
quell'assenza  di  stato  e  quella  mancanza  di  credibilita'  nelle
istituzioni che sono i semi  da cui germoglia l'anarchia, la violenza,
il  banditismo,  la guerra.  Socrate  ha perso  la  vita  in nome  del
rispetto  della  legge.  Magari  non  possiamo  pretendere  la  stessa
coerenza  stoica  anche dai  nostri  politici,  ma perlomeno  possiamo
pretendere  che  i  nostri  governanti  alimentino  la  fiducia  nelle
istituzioni e  migliorino l'efficacia del  loro funzionamento anziche'
distruggere la  credibilita' di uno dei tre  poteri fondamentali dello
stato.
Il secondo grave attentato  alle istituzioni democratiche e al diritto
internazionale e'  rappresentato a mio avviso dalle  modalita' e dallo
svolgimento  della recente  guerra  nel corso  della  quale gli  aerei
italiani hanno bombardato la  Repubblica Federale di Jugoslavia. Al di
la'  di  ogni valutazione  sul  valore  etico,  sulla utilita',  sulla
necessita' o sulla opportunita' della  guerra, c'e' da dire che questa
guerra, giusta  o meno che  fosse, ha costituito una  grave violazione
dell'ordinamento  interno e del  diritto internazionale,  sferrando un
grave colpo  alla credibilita' e all'autorita' delle  Nazioni Unite in
materia di ingerenza umanitaria. Si e' affermato in linea di principio
che una  alleanza di 19  paesi puo' farsi  giustizia da se' a  nome di
tutti  i  paesi  del  mondo.   Per  rispettare  le  regole  del  gioco
democratico  e  del  diritto  internazionale,  sarebbero  bastati  tre
semplici  accorgimenti.  Innanzitutto  un  intervento  armato  avrebbe
dovuto  essere  subordinato  ad   una  risoluzione  del  consiglio  di
sicurezza  delle Nazioni  Unite.  Anziche' affrontare  alla radice  il
problema   della   democratizzazione    delle   Nazioni   Unite,   con
l'eliminazione del diritto  di veto grazie al quale  la Russia avrebbe
potuto bloccare  una risoluzione contro la Jugoslavia  (lo stesso veto
che rispetto  alle violazioni dei  diritti umani consente agli  Usa di
proteggere  la Turchia e  alla Cina  di proteggere  se stessa),  si e'
preferito far  decollare i  bombardieri senza autorizzazione  da parte
dell'ONU, svuotando  il consiglio di  sicurezza della sua  autorita' e
del suo ruolo di arbitro al di sopra delle parti in merito ai problemi
di sicurezza internazionale legati al rispetto dei diritti umani.
La seconda  cosa da  fare per rientrare  all'interno delle  regole del
diritto sarebbe stata  far deliberare alle camere lo  stato di guerra,
anziche'  arrogare al  governo  l'autorita' di  deliberare un  attacco
militare  contro uno  stato estero.  In merito  a questa  obiezione le
giustificazioni presentate  sono state  due quello che  abbiamo fatto
non  e'   una  guerra  e  un  dibattito   parlamentare  successivo  ha
legittimato  l'azione militare.  In  merito alla  prima obiezione,  la
discussione sulla  definizione del nostro  intervento sulla Repubblica
Federale  di Jugoslavia  potrebbe  durare all'infinito.  Personalmente
ritengo  che  se  alcuni  velivoli  italiani  sganciano  ripetutamente
materiale esplosivo ai di fuori  dei confini nazionali, questo tipo di
attivita'  possa  a  pieno  diritto  rientrare  nella  definizione  di
guerra. Riguardo al dibattito parlamentare avvenuto a bombardamenti in
corso, va detto  che l'ordine del giorno di quel  dibattito non era la
deliberazione  dello  stato  di  guerra ma  l'approvazione  di  alcune
mozioni in cui  si facevano varie proposte per  la condotta futura del
governo sospensione  dei bombardamenti  o "soluzione mista"  fatta di
bombe e diplomazia.  Alla fine ha vinto l'opzione  del "doppio fronte"
militare e diplomatico,  ma cio' nonostante lo stato  di guerra non e'
mai stato deliberato.
La   terza  violazione  del   diritto  legata   a  questa   guerra  e'
rappresentata   dal  ruolo   offensivo  e   non   difensivo  ricoperto
dall'aviazione italiana, un  ruolo offensivo che contrasta apertamente
con  il  ripudio della  guerra  come  strumento  di risoluzione  delle
controversie  sancito dall'articolo 11  della Costituzione.  Mentre la
guerra  contro la  Repubblica  Federale di  Jugoslavia  era ancora  in
cantiere, in un documento  prodotto dal governo, durante la presidenza
di Romano  Prodi, era stato  chiaramente definito il ruolo  di "difesa
integrata"  assegnato   alle  forze  armate  italiane,   e  i  vincoli
costituzionali  che limitavano  la  possibilita' di  azione alla  sola
difesa.  Successivamente,  con il  nuovo  governo  guidato da  Massimo
d'Alema,  questo ruolo  e'  stato progressivamente  modificato, e  gli
aerei  italiani hanno  effettuato a  piu' riprese  incursioni  aeree e
bombardamenti  sul  territorio  della  Jugoslavia, secondo  quanto  ho
potuto  personalmente  appurare da  fonti  dirette  e coinvolte  nelle
azioni militari.
Alla luce di questi due esempi appare chiaro come la destabilizzazione
delle  istituzioni  nazionali   e  internazionali  sia  un  gravissimo
problema per la  nostra sicurezza e per il  nostro futuro. Subordinare
la giustizia nazionale alla sete di giustizia di una singola persona e
subordinare  la giustizia  internazionale alla  forza di  una alleanza
militare sono stati due gravi atti di destabilizzazione che alla lunga
rischiano di corrodere dal basso e dall'alto la rete di protezione dei
cittadini e le strutture di  tutela che oggi fortunatamente riescono a
contenere  il   disagio  sociale  e  i  conflitti   del  nostro  paese
all'interno  delle regole  del gioco  democratico. In  assenza  di una
forte consapevolezza del rischio di "russificazione" del nostro Paese,
nessuno puo'  dire cosa ci riserva  il futuro, e se  l'Italia del 2050
sara' un paese prospero o  un deserto distrutto dalla violenza. Il mio
viaggio in Cecenia mi ha  fatto intravedere un futuro possibile per il
mio Paese, i miei cari, la mia  gente. Sta a noi fare in modo che quel
futuro non si avveri mai.
Carlo Gubitosa
Rimini/Mosca/Nazran/Grozny/Roma 18 maggio - 13 giugno 2000
FONTI, DOCUMENTI E ARTICOLI UTILIZZATI PER LA STESURA DI QUESTO DOSSIER
"Allarme nel Caucaso". Alexei Malashenko, Le Monde Diplomatique - ottobre
1999
Dossier Cecenia a cura della Caritas Ambrosiana - Area internazionale,
Novembre 1999. http://www.caritas.it/Ambrosiana/Cecenia/comunica.htm
"Repubblica Cecena, il conflitto risorto". Comunicato della sezione
italiana di Amnesty International - novembre 1999.
"Disgregazione nel Caucaso e in Asia centrale. Perche' Mosca rilancia la
guerra in Cecenia". Jean Radvanyi, Le Monde Diplomatique - novembre 1999.
"Tra guerra in Cecenia e catastrofe sociale. A Mosca, una confusa lotta di
successione". Boris Rakitski - Denis Paillard, Le Monde Diplomatique -
dicembre 1999.
"Tra guerra in Cecenia e catastrofe sociale. Gli errori dell'occidente in
Russia". Jacques Sapir, Le Monde Diplomatique - dicembre 1999.
"Cecenia". Ignacio Ramonet, Le Monde Diplomatique - febbraio 2000.
"Lontana Cecenia". Annachiara Valle, Rivista del volontariato - febbraio
2000.
"La Russia devasta la Cecenia e l'Italia le vende le armi. Le denunce e le
risposte". Agenzia "Adista", 25/3/2000.
"Vladimir Putin vince ma non convince". Astrit Dakli, il Manifesto 28/3/2000.
"Un'elezione manipolata". K.S. Karol, il Manifesto 28/3/2000.
"Guerra, un silenzio di tomba". Editoriale di don Renato Sacco su
www.peacelink.it - marzo 2000.
"Prima la guerra, poi le elezioni". Jean Radvany, Le Monde Diplomatique -
Marzo 2000.
"Cecenia, cronaca di tre anni caotici". Isabelle Astigarraga, Le Monde
Diplomatique - marzo 2000.
"La spia che volle farsi Zar". Luca Leone e Franco Fracassi, Avvenimenti
2/4/2000.
"Il conflitto tra Mosca e Grozny. Una guerra lunga otto anni". C.Fab,
Avvenimenti 2/4/2000.
"Ho visto in Cecenia". Antonio Russo, Avvenimenti 2/4/2000.
"Cecenia ancora sotto i raid russi. Risoluzione Onu condanna Mosca violati
i diritti umani". Giovanni Bensi, Avvenire 26/4/2000.
"Putin mano pesante sulla Cecenia". Avvenire 28/4/2000
"Le tre facce della guerriglia. Indipendentisti, l'ala integralista e il
banditismo". Giovanni Bensi, Avvenire 28/4/2000
"A chi interessa continuare la guerra". Giovanni Bensi, Avvenire 28/4/2000
"Quanto costa un litro di benzina ? Una guerra in Cecenia !". Achille
Lodovisi, Azione Nonviolenta - aprile 2000.
"Volontari dell'Operazione Colomba in Cecenia". Daniele Aronne e Andrea
Pagliarani, Sempre (Mensile della Comunita' Papa Giovanni XXIII) - aprile
2000.
"Situation of Human Rights in Chechnya in the Russian Federation". Rapporto
dell'alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani del 5/4/2000.
http://www.reliefweb.int
Cronologia dei conflitti in Cecenia (A cura della Cnn Italia), maggio 2000.
http://www.cnnitalia.it/2000/DOSSIER/01/18/chechnya.special/main/index.html
"Cecenia, l'invenzione di una guerra". Giulietto Chiesa, la Rivista del
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"Cecenia rapporto Amnesty sequestrato a aeroporto Mosca". Agenzia Ansa, 30
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"Putin e' un affare". Francesco Paterno', il Manifesto 7/6/2000.