CORPI CIVILI DI PACE EUROPEI
verso un efficace politica dellíUnione
Europea per
la trasformazione dei
conflitti
I saluti di Luisa Morgantini, Presidente dellíintergruppo "Iniziative per la pace".
Questa iniziativa non é nata dal nulla ma da presenze allíinterno
del Parlamento e qui voglio ricordare un personaggio che purtroppo é
morto, Alex Langer, che insieme ad Ernst Guelcher hanno pensato ed agito
allíinterno del Parlamento perché líidea dei Corpi Civili di Pace
Europei diventasse una cosa concreta e che potesse intervenire prima, durante
e dopo i conflitti.
Oggi per me e molti di noi che siamo qui é un omaggio ad Alex
Langer.
Oggi volevamo affrontare, passare dalle parole ai fatti, pensare e
riflettere su cosa significa pensare a i Corpi Civili di Pace Europei.
Se ne sta parlando dal 1995, tante cose sono cambiate, drammaticamente
ci siamo trovati dentro guerre tragiche, la nostra idea di pace, di intervento
é stata annullata, spazzata via dagli interventi militari fatti
in nome della difesa dei diritti umani e che hanno distrutto paesi e in
realtà non sono riusciti a portare la convivenza, la pace, la giustizia
allíinterno di aree che hanno sofferto drammaticamente líingiustizia.
Oggi volevamo affrontare un primo momento di discussione e di scambio
di esperienze fra persone e gruppi che in questi anni hanno tentato e praticato
esperienze di prevenzione dei conflitti e di relazioni allíinterno dei
conflitti.
Le prime parole le vogliamo dare a quelle persone che hanno scelto
di lavorare sul terreno della trasformazione non violenta dei conflitti
e hanno praticato in modo non istituzionale rapporti e costruzione di rapporti.
Questo incontro é un modo per cominciare a discutere, affrontare
questi problemi e dare continuità a questo nostro lavoro allíinterno
del Parlamento.
Sandra Melone: European Centre for Common Ground
Lavoriamo in zone di violenza, di conflitti o di potenziali conflitti
violenti e cerchiamo di interagire con attori locali per trovare soluzioni
non violente, per cercare di aiutare la società e per cercare di
darle un nuovo modo di affrontare i conflitti. Noi abbiamo un programma
pluriennale con contatti in Angola, Burundi, Liberia, ex Jugoslavia, Israele,
Palestina e Turchia.
Noi arriviamo nelle zone dei conflitti solo su richiesta degli attori
locali, sia indigeni che internazionali, lavoriamo in cooperazione con
i gruppi locali, questi gruppi possono essere organizzazioni locali o
internazionali,
come líONU, líOsce, per trovare dei modi per mediare tra le parti e per
facilitare la collaborazione tra i gruppi, verso delle soluzioni di
cooperazione,
delle soluzioni comuni.
Lavoriamo con attori di alto livello come pure con leader locali, con
gruppi professionali che possono essere implicati nei conflitti come
giornalisti,
attivisti dei Diritti Umani, organizzazioni femminili. Non si può
raggiungere la pace unicamente partendo solo dalla base o dallíapice della
piramide.
Ci sono alcuni punti nella raccomandazione come il punto C, il punto
n2, sono punti che io raccomando caldamente per i Corpi Civili di Pace.
Per ribadire che la risposta militare ai conflitti deve sempre essere
combinata agli sforzi civili, perché le parti belligeranti pongano
fine al conflitto e per ricreare la fiducia reciproca.
I civili possono ed effettivamente svolgono un ruolo nelle situazioni
violente di conflitto.
É estremamente importante che líUnione Europea incentivi le
sue azioni esterne nel campo della prevenzione dei conflitti e la soluzione
pacifica di questi. Alcuni esempi recenti.
Noi siamo stati chiamati a fare da supporto al personale che interveniva
in Kossovo per affrontare il conflitto e abbiamo visto che esistevano delle
buone intenzioni, ma il personale in sostanza non aveva una formazione
per gestire, affrontare il conflitto in corso.
LíUnione Europea dovrebbe garantire che questo tipo di mancanza di
formazione, mancanza di professionalità, che può essere
pernicioso,
non si verifichi più in altri interventi.
Il governo danese ci ha chiamato per formare il loro personale del
Ministero degli Esteri per la gestione dei conflitti ed opera di mediazione.
La settimana scorsa ho avuto un incontro al quartier generale della
Nato per discutere di una eventuale formazione di questo tipo per il personale
della Nato, ma la cosa era un po' ridicola. Il personale della Nato non
ha nessuna formazione nellíarte di mediare o risolvere i conflitti, la
cosa é semplicemente spaventosa.
Le Ong possono essere presenti per osservare il contesto del conflitto
molto tempo prima o dopo un intervento militare o politico. Possono svolgere
un ruolo determinante per definire le radici, le cause del conflitto. Le
Ong possono dare un contributo per definire la natura di un vero e proprio
intervento.
Come noi tutti sappiamo, gli interventi molto spesso sono quelli che
derivano da una mancata interpretazione delle cause vere e proprie del
conflitto e dunque non portano ai risultati sperati. Bisogna dunque agire
nelle zone di crisi in tempi rapidi e queste organizzazioni possono farlo
perché hanno le informazioni sulle condizioni, sulle lamentele degli
attori locali riguardo il conflitto. Il primo segno della disgregazione
della operatività delle Ong é generalmente un segno che le
condizioni generali si stanno deteriorando in quella regione.
Per una pace durevole le risoluzioni devono venire radicate nella gente
locale con il sostegno della Comunità Internazionale, delle Ong,
però queste soluzioni non possono essere imposte da nessuno, né
militarmente né in altro modo.
Gli interventi di pace che vengono paracadutati sul posto possono avere
un impatto molto limitato e di breve durata. Sostengo pienamente la
raccomandazione
secondo il quale il Consiglio e la Commissione devono attuare uno studio
di fattibilità, devono organizzare una audizione per esaminare il
ruolo che possono svolgere le Ong e che hanno già svolto per una
risoluzione non violenta dei conflitti e la loro prevenzione.
Pladuo anche a questa iniziativa riguardante i Corpi di Pace Civili.
Luis Enrique Eguren, Peace Brigades International (PBI)
Io lavoro con queste brigate internazionali che hanno ufficio a Bruxelles
e che lavorano in Colombia.
Queste brigate internazionali di pace sono una organizzazione non
governativa
che operano sulle scene dei conflitti sempre su richiesta delle parti locali.
E questo al fine di proteggere lo spazio di azione della società
civile nel conflitto
che ricerca delle soluzioni non violente in loco, quindi noi mandiamo
questi osservatori sul campo. Noi lavoriamo in paesi come Guatemala, Colombia,
Salvador ed altri, paesi ben noti per i loro conflitti.
Oggi vogliamo limitarci a capire come possiamo organizzare questi interventi
in loco. Vi sono problemi di carattere di bilancio, delle decisioni da
prendere prima che questa brigata di pace possa funzionare.
Che cosa potrebbe essere il lavoro da svolgere da questi osservatori
di pace nelle situazioni di conflitto? Noi vogliamo basarci sulle nostre
osservazioni.
Noi non vogliamo soltanto parlare sulla base della filosofia delle
brigate di pace ma parlare delle nostre esperienze, sulla base delle nostre
esperienze.
Primo con una osservazione generale.
Si parla di persone civili che intervengono in un conflitto per trasformare
il conflitto e questo ci porta a parlare della società civile locale,
perché in ogni conflitto sono solo gli attori locali che possono
trasformare questo conflitto, quindi la società civile locale ha
un ruolo importante da svolgere.
Noi pensiamo che líintervento di terzi abbia senso solo per creare
quelle condizioni tali che permettano alla società civile locale
di risolvere da sole i conflitti. Naturalmente bisogna vedere a priori
come possiamo realizzare questo intervento, come possiamo sostenere la
società civile locale in un conflitto affinché questa trovi
le proprie soluzioni. Nella nostra pratica abbiamo líidea un po' estesa
di osservatore internazionale, noi conosciamo tutti i lavori degli osservatori
internazionali ma vorremmo insistere sul fatto che questi osservatori
internazionali
svolgono numerose attività che in loco possono essere applicate
in diverse fasi del conflitto e ottenere diversi risultati. Tutti queste
aspetti devono essere presi in considerazione. Líosservatore, líosservatrice
ha qualche cosa di più da fare che osservare e sorvegliare.
Primo: la protezione.
La società civile in caso di conflitto viene aggredita dalle
parti armate, quindi il controllo della sorveglianza, della protezione,
per proteggere i rifugiati.
La diplomazia di secondo tipo é un buon esempio.
Noi abbiamo un progetto in Colombia di 40 osservatori presenti in 4
zone diverse. Questi hanno avuto 500 riunioni con le autorità locali,
forze di sicurezza, le Ambasciate occidentali e non, sempre al fine di
porsi il quesito di come proteggere la popolazione civile con le organizzazioni
non governative Quindi si tratta di un lavoro per la protezione della
società
civile locale, un lavoro di protezione, di sorveglianza, di verifica dei
fatti e per vedere se si realizzano dei negoziati, delle informazioni
psicosociali,
mediazione nel contesto del conflitto. Vi sono delle delegazioni di pace
delle ambasciate. Perché tutte le parti interessate al conflitto
possano vedere come evolvono le cose.
Questo permette per tanto di diversificare le azioni e di capire meglio
il lavoro degli osservatori sia che si tratti di organizzazioni non governative
o operatori di pace. Vedere ciò che si fa in loco.
Uníaltra cosa che mi sembra molto importante e che líintervento di
questi osservatori non sarà mai una presenza omogenea, non cíè
una ricetta miracolosa, magica per i nostri interventi, bisogna di volta
in volta adeguarsi a tutte le specificità del conflitto e cercare
di volta in volta la migliore soluzione possibile.
Per esempio possiamo cercare di proteggere le persone che sono state
estromesse, in altri casi si possono difendere i difensori dei diritti
dellíuomo in modo che questi possano organizzare dei posti, dei centri
di mediazione del conflitto e di riabilitazione psicosociale. Bisogna ogni
volta fare qualche cosa secondo le necessità.
Terzo punto: é indispensabile per questi osservatori internazionali
scegliere il campo nel quale vogliono operare. Perché gli attori
armati vengono messi alle strette anche dalla pressione esercitata da
determinati
governi. Se i governi non sono in grado di fare qualche cosa allora la
società civile da sola, non può fare fronte a costoro che
violano i diritti umani. Spesso si tratta di conflitti tra stati o allíinterno
dello Stato, vi sono diverse possibilità.
La cosa essenziale e che ogni intervento in loco abbia obiettivi ben
chiari, una strategia limpida e trasparente per raggiungere questi obiettivi.
Molto spesso questi interventi non sono chiari nei loro obiettivi.
Quattro: Ci vogliono dei protocolli di azione molto chiari, delle procedure
standardizzate di azione per cercare di diminuire le variazioni fra
attività
degli osservatori e per avere un azione che sia omogenea al massimo.
Queste azioni di osservatori civili dovrebbero usare più strumenti
a diversi livelli del conflitto e questo in cooperazione con le iniziative
locali sempre tenendo presente questi obiettivi definiti e disponendo di
risorse a lungo termine per raggiungere gli obiettivi. Nessuno può
dire nove dieci mesi, no, può essere anche di più il tempo
necessario per risolvere il conflitto.
Dato che già sono stati fatti dei progressi interessanti per
realizzare questa idea di Corpo Europeo di Pace io penso che si potrebbe
costituire un gruppo di lavoro che sarebbe incaricato di immaginare la
messa a punto di questo corpo di pace europeo. Bisognerebbe pensare ad
un bilancio, a degli obiettivi e nellíambito di questo gruppo di lavoro,
di questo atelier, si potrebbero studiare degli scenari ipotetici di conflitto
e penso che questo potrebbe essere un lavoro che si può fare a distanza,
cioè affidare ad un gruppo di lavoro un'idea per cercare di estrapolare
dei dettagli pratici per un caso ipotetico.
Capannini Alberto, Associazione Papa Giovanni XXXIII.
Che cosa é líoperazione Colomba.
In particolare é una comunità che é nata in Italia,
ed in specifico per vivere con le persone povere.
Líoperazione Colomba nasce dallíidea di non lasciare da sole le persone
che vivono in zona di guerra. Ogni guerra potenzialmente é una chiamata
ad andare sul posto a vivere. Questo ci sembra una cosa estremamente umana,
più che portare aiuti umanitari ancora più che tentare di
risolvere i conflitti.
Dal vivere con queste persone poi nascono di volta in volta strade
diverse che tentano di rispondere al problema che é quello delle
persone che é quello del conflitto.
Questa iniziativa nasce nel 1992 e siamo stati presenti con circa 2500,
3000 persone in Kossovo, in Chiapas, in Croazia, in Albania, in Sierra
Leone e a Timor est.
Quello che facciamo normalmente é tentare di vivere nelle zone
di conflitto, tentando di vivere come vivono le persone più colpite
dal conflitto.
I profughi, le persone che vivono sul fronte, le persone che hanno
le famiglie divise dalla guerra, quelli che più di altri subiscono
la violenza della guerra.
Perché ci sembra difficilissimo capire qualche cosa di un conflitto
mettendosi in una posizione di lontananza da un conflitto. E pensiamo che
il fatto di condividere anche le situazioni di rischio, di povertà,
di pericolo di queste persone apre delle prospettive inaspettate, di volta
in volta e così é stato.
Una caratteristica del nostro intervento e credo sarebbe interessante
non so come dare questa caratteristica, che un Corpo Civile di Pace Europeo
é quello di essere molto vicino alle persone. Quello che si nota
é che líintervento militare non é vicino alle persone ma
neanche líintervento umanitario é vicino alle persone. La gente
ci diceva "noi vediamo queste persone che ci portano il pacchetto ma in
realtà noi vediamo il pacchetto con gli aiuti umanitari e non cíè
mai un contatto veramente umano con queste persone".
Anche perché i militari, gli umanitari trasferiscono il loro
modo di vivere occidentale anche in zone di conflitto, questo provoca una
distanza tale che io credo sia quasi impossibile capire qualche cosa di
un conflitto rimanendone così lontani. Una seconda caratteristica
di quello che facciamo, sarebbe interessante secondo noi sperimentare in
un corpo civile europeo, é il fatto che questa possibilità
é aperta a tutti. Fanno parte della nostra associazione persone
con handicap, donne, ragazzi soprattutto, persone laureate e non.
É una proposta per tutti.
Le prime vittime di una guerra sono i civili, é importante che
le persone che non hanno scelto di subire queste cose possano dire la loro
con forza e cognizione di causa.
Uníaltra caratteristica é il fatto che sarebbe interessante
sempre, da trasferire in questo Corpo Civile Europeo, il fatto che noi
interveniamo non in conflitti economici ma dove ci sono violazione dei
diritti umani, quindi non siamo legati nel nostro intervento al fatto di
essere finanziati, perché non lo siamo.
Tutta questa iniziativa che é partita nel 1992 si é retta
con un bilancio minore di 400 milioni in nove anni. Il nostro gruppo interviene
dove cíè bisogno, slegata da finanziamenti, slegata dal fatto che
ci sono interessi del governo italiano, per esempio, nellíandare a Timor
est siamo potuti andare prima che arrivasse la Folgore, questo perché
quello che ci chiamava non era il fatto di aspettare che il governo italiano
decidesse che lì poteva essere interessante intervenire per motivi
di immagine o altri motivi ma il fatto che lì le persone stavano
rischiando la vita.
Uní altra caratteristica é il fatto che vivendo assieme alle
persone nelle zone di conflitto, si creano dei rapporti di fiducia, vivendo
con loro si crea la possibilità di avere la credibilità di
fare una proposta. Io non posso dire ad una persona che ha ricevuto una
violenza da parte di un gruppo etnico, "guarda prova a fare un passo in
quella direzione", sarebbe stupido, non posso dirlo soprattutto se sono
una persona che viene da fuori che non conosce le situazioni e che non
ha passato quello che ha passato quella persona. Mentre se io vivo con
quella persona e ne subisco in certi casi anche la povertà, la
situazione
di rischio, acquisto una credibilità che é fondamentale per
proporre un lavoro di riconciliazione. Per esempio, noi vivendo in Croazia,
abbiamo fatto un opera di difesa di minoranza nel 1995, in quel caso, la
minoranza serba in Croazia che era stata occupata prima dai serbi e poi
passata sotto il controllo croato. Vivendo con queste persone noi abbiamo
acquisito lentamente la credibilità per proporre a loro e ai croati
di incontrarsi. Queste persone si incontravano in casa nostra, dove vivevamo
noi, una zona neutra, in una situazione diverse da quella in cui serbi
e croati si incontravano per picchiarsi o uccidersi.
Per cui si poteva ricostruire un legame proprio per il fatto di una
presenza esterna ma che condivideva la loro situazione ed aveva la
credibilità
di fare una proposta. Noi siamo un corpo di pace, cosi ci riteniamo, vogliamo
diventare una alternativa allíintervento militare. Fanno parte di questo
corpo di pace, volontari, volontarie e obiettori di coscienza. In particolare
il cammino degli obiettori di coscienza allíinterno di questo corpo di
pace é molto significativo per il peso che ha assunto allíinterno
della operazione Colomba e per come si é arrivati a questo peso.
Samuele Filippini, Associazione Papa Giovanni XXXIII.
Líesperienza degli obiettori di coscienza allíestero si lega a quella
che é líesperienza degli obiettori in Italia, cioè líessere
impegnati in servizi sociali, o ad impatto sociale a contatto con persone
emarginate, povere o che hanno subito violenze di tipo sociale o anche
fisico.
In questa esperienza, anche di proposta di diritti, di tutela di nuovi
diritti di proposta anche di risoluzione non violenta dei conflitti sociali,
viene proiettata a livello internazionale nelle zone di conflitto nelle
modalità che sono indicate nellíesperienza dellíoperazione Colomba.
Dal 1993 a oggi, sono stati impegnati allíestero oltre 200 obiettori
di coscienza, nei prossimi due anni si prevede líimpiego di cento obiettori
attraverso sia la nostra associazione, sia la Caritas italiana che altri
Enti.
Quello che si evidenzia nellíintervento degli obiettori é che
gli obiettori non sono solo portatori di diritti soggettivi ma sono portatori
di nuovi diritti, innovativi in una zona di conflitto. Il diritto alla
dignità umana, il diritto a non essere violati o violentati, il
diritto alla pace e a costruire la pace.
In questo ruolo líobiettore ha una particolare facilità a porsi
in dialogo con la popolazione civile, a costruire relazioni di amicizia,
relazioni di vicinanza ed in particolare a stimolare quelle zone o quegli
ambiti sociali più contrari alla guerra che vedono nella presenza
degli obiettori un incoraggiamento ad esporsi contro il conflitto, contro
la violenza. Un altro passaggio essenziale e che quello per cui gli obiettori
di coscienza assieme alla popolazione civile mirano a costruire un sistema
di sicurezza che non si basa sullíuso delle armi ma su una protezione
reciproca,
non é soltanto líosservatore internazionale che esercita con la
sua presenza una protezione ma é líosservatore internazionale e
líobiettore di coscienza che costruisce con la popolazione civile un sistema
di sicurezza in cui entrambi vengano tutelati, cíè una reciproca
tutela dei due soggetti.
Un altro elemento importante é il sostegno a chi nelle zone
di conflitto, come per líobiettore di coscienza di altre zone, come ad
esempio in Turchia, in Bosnia ma anche in Kossovo, si espone e rischia
per proporre qualche cosa di diverso rispetto alla dinamica della violenza.
Un ultimo elemento e questo a sostegno della presenza degli obiettori di
coscienza nel futuro corpo di pace europeo é líestrema
flessibilità,
líestrema motivazione che spingono questi giovani e anche líestrema
capacità
di sviluppare capacità di iniziativa, di vivere e di sostenere uno
stile di vita essenziale quindi con costi ridotti e per le organizzazioni
e per líimpatto sul terreno.
Nadia Cervoni: Donne in nero
La storia delle donne in nero nasce da lontano, dal punto di vista
dei luoghi.
Nasce nel 1988 dallíincontro delle donne pacifiste italiane con le
donne pacifiste donne in nero di Israele. Questo movimento si é
poi affermato in Italia nel 1989 lavorando molto sulla questione palestinese
israeliana, poi con la guerra del golfo ed infine nel 1991 c'è stato
líincontro con le donne pacifiste della ex Jugoslavia durante la marcia
di Sarajevo dei quali poi nel 1992 anche loro hanno dato vita partendo
da Belgrado al movimento delle donne in nero.
Siamo state presenti anche sulla questione algerina, sulla violazione
delle donne algerine e in questo momento stiamo lavorando con un contatto
che intendiamo rafforzare con le donne afgane.
Ovviamente essendo dislocate in molte zone del mondo, le modalità
e líimpegno si differenziano a secondo della caratteristica della situazione
del territorio ma credo che la matrice comune delle donne in nero nel mondo
sia quella di partire da una volontà di rendere comunque visibili
le differenze a partire dalle differenze di genere, le differenze culturali
intendendo con ciò anche le differenze etniche e le differenze
religiose.
E di operare in situazioni di conflitto per ricercare ogni elemento utile
a riaprire strade possibili di convivenza. Noi in realtà non abbiamo
da raccontarvi progetti delineati se non quello che lavoriamo costantemente
per costruire una politica internazionale di pace delle donne prima che
costituisca poi un elemento per stabilire condizioni di convivenza e arrivare
ad una politica di pace mondiale.
Una politica internazionale che parte dal basso così come vogliamo
che ci sia una diplomazia che parta dal basso e le nostre modalità
che sono fatte di nero e di silenzio. Noi scendiamo in piazza, alcune volte
in numero molto limitato, in altre con un numero maggiore con il nero e
con il silenzio e partiamo da una posizione che non potrà mai essere
neutrale. Uníaltra cosa che ci accomuna e che siamo per il disarmo totale
e siamo profondamente antimilitariste. Quindi quando noi scendiamo in piazza
esprimiamo una protesta radicale per il male che il conflitto produce,
mettendoci in gioco e partendo da noi stesse cerchiamo di costruire ponti
di relazione che portino a una pratica di pace.
Maria Assunta Cestaro, Donne in nero
Volevo solo sottolineare una aspetto che la mia amica ha già
detto, líimportanza che diamo al punto di vista dellíosservatore, noi non
lo chiamiamo così, diciamo della donna che pratica la relazione
con altre donne.
Nadia raccontava dellíorigine delle donne in nero. Un origine che parte
dallíincontro, nella capacità di contaminazione, di farsi contaminare
che hanno avuto le donne israeliane nellíincontrare le donne italiane che
andavano alla ricerca di luoghi difficili dove il conflitto di genere si
intrecciasse con il conflitto tra i popoli.
Il punto di partenza é proprio il riconoscimento di una comune
appartenenza, é questo il ponte di relazione che si crea con le
donne di altri paesi. Il senso della relazione sta proprio nellíassumere
come valore la parzialità , la non neutralità. E come esprimere
la propria voglia di mettersi in gioco. Dai luoghi di origine di questo
movimento, avrete capito che si tratta nella sua origine di donne che vivono
nella parte del mondo che ne domina il resto.
Abbiamo imparato che il nostro destino di donne del nord é comunque
comune a quello di donne che vivono nei paesi spesso oggetto di dominazione.
Non si tratta di una acquisizione teorica ma di un effetto di ciò
che nei diversi percorsi di autodeterminazione delle donne abbiamo imparato
che i conflitti non possono dirsi risolti quando una parte prevale sullíaltra
ma quando le diversità hanno capacità di riconoscersi, di
ritrovarsi, di convivere. La nostra sfida é quella di riconoscersi
nella comune appartenenza di genere, perché crediamo che non sia
neutrale il punto di vista dellíosservatore, non possa esserlo ed é
per questo che pensavamo di proporre, la dove si parla nei documenti del
costituendo, speriamo Corpo Civile di Pace Europeo, della costruzione del
personale, della struttura si fa molta attenzione a proporre una rappresentanza
proporzionale tra gli stati membri dellíUnione Europea, noi chiediamo di
porre altrettanta attenzione e cura alla visibilità alla rappresentanza
di genere, perché crediamo che non sia la stessa cosa se ad essere
presenti nei luoghi del conflitto ci siano o non ci siano anche le donne.
Domanda: (Intervento senza presentazione)
Sullíesperienza trascorsa dei diversi gruppi presentati ora e di altri
gruppi non presentati volevo sapere se é stata espressa la
volontà
di lavorare insieme, perché ho líimpressione che ognuno, a parte
questa riunione, faccia il suo lavoro nel suo angolino, utile senzíaltro
ma non vedo il coordinamento tra i gruppi e questo nuoce ai fini
dellíefficacia.
Secondo, lavoro istituzionale, o non istituzionale, ciò che mi preoccupa
é che il lavoro, viene spesso turbato, il lavoro delle organizzazioni
non governative, dal fatto per esempio che le Ong lavorano per le
società
civili potrebbero lavorare con le istituzioni le quali gestiscono i conflitti,
come líOsce o líOnu, ma vi sono delle problematiche governative, statali
che sono completamente diverse che vanno contro la logica della società
civile.
Risposta: (Eguren Luis Enrique, PBI)
Noi abbiamo sempre avuto dei contatti con le donne in nero, e quando
ci troviamo sul terreno é un bene coordinare il lavoro, questo é
un lavoro per le Ong ma é un obiettivo molto importante ciò
che é in discussione é soprattutto la cooperazione con gli
interlocutori locali, anche istituzionali, e vi sono delle possibilità
diverse per le Ong, c'è il livello e líapproccio integrato del lavoro,
poi c'è un lavoro in parallelo coordinato con gli altri ed alla
fine abbiamo anche un lavoro critico, quello delle istituzioni.
Quindi abbiamo tre situazioni, tre livelli di azione diversi che possono
essere presi in considerazione e penso che dobbiamo giustificare tutto
questo
R: (Luisa Morgantini)
In realtà il senso di questo incontro é anche quello
di creare fra i diversi gruppi di lavoro, spesso separati, momenti comuni,
credo sia molto importante, per esempio, lo faremo anche qui al Parlamento,
per lo meno faremo líospitalità per fare in modo che i vari gruppi,
i movimenti, non soltanto le Ong possano riunirsi per ridefinire insieme
percorsi e anche modi comuni mantenendo le proprie identità e
differenze.
Io spero, mi auguro che questo incontro possa essere non líinizio,
perché altre cose sono già state fatte, però sicuramente
la possibilità di lavorare insieme.
R: (Alberto Capannini Associazione PapaGiovanni XXXIII)
La varietà dellíintervento non violento in zone di conflitto
non é una cosa negativa ma é irrinunciabile, anche perché
non possiamo avere delle risposte standard come quello dellíintervento
armato, per bombardare un paese non devo conoscere molte cose, per far
fare la pace a due gruppi ne devo conoscere tantissime, più sono
gli interventi in quel conflitto, più esiste la possibilità
di entrare in rapporto.
Noi in particolare in Italia facciamo parte di un tentativo di creare
un corpo di pace, in parte appoggiato dal governo italiano. Siamo in rete
con tutte quelle realtà che intervengono in zone di conflitto, a
livello europeo meno, e se questa é una occasione per incominciare
ne siamo contenti.
Sicuramente anche da parte di un intervento civile non violento, siamo
in una fase che non abbiamo risposte definitive al conflitto, ci sembra
ovvio e doveroso ammetterlo. Per cui siamo in una fase di sperimentazione
che va in differenti direzioni, alcune vengono abbandonate e altre diventano
praticabili. É bene che ci sia una fase di diffusione poi ci sarà
una fase di coordinamento, però se non si ha una soluzione al conflitto
non é positivo coordinarsi, é bene coordinarsi quando si
hanno le risposte al conflitto.
R: (Sandra Melone European Centre for Common Ground)
Spesso é molto difficile fare un coordinamento, perché
si lavora nel campo della gestione dei conflitti, e umanamente parlando
si é più collaborativi di carattere e naturalmente si sa
che gli altri sono meno convinti.
C'è una comprensione da parte delle Ong sul campo, c'è
una volontà di arricchirsi reciprocamente e quindi a dare delle
reazioni opportune al conflitto per il quale lavoriamo e cerchiamo di lavorare,
lei parla della problematica delle relazioni e delle visioni governative
e non governative. Vi sono dei luoghi dove effettivamente noi operiamo
e voi pure, dove ci sono rappresentanti governativi o di organizzazioni
intergovernative che dicono che bisognerebbe fare questo o quello, però
non hanno la possibilità di farlo come organizzazioni governative.
I governi spesso chiedono una collaborazione con le Ong, se si accetta
di cooperare bisogna però mantenere la proprio visione personale,
il proprio mandato la propria identità.
Prima di venire a vivere a Bruxelles ho vissuto in Burundi dove cíera
un centro delle donne per la pace. I partner locali si riunivano come gruppi,
con le stesse divisioni politiche etniche del conflitto.
Cíerano delle donne Tutzi per la pace e donne per la pace del Burundi
come se tutte e due gruppi non volessero lavorare entrambi sulla pace.
Se su ampia scala dobbiamo dire che ci vuole effettivamente una
cooperazione
fra i grandi diversi attori, altrimenti si perde di credibilità
se abbiamo 50.000 diversi interventi personali sparpagliati.
Si parlava poco tempo fa della credibilità che le persone hanno
in loco, sul terreno, in zone di guerra, appunto é lì che
dobbiamo cooperare con tutti gli attori indigeni o nazionali, governativi
o non governativi. Questo é essenziale.
D. (Diederich Ellen, International Womenís Peace Association )
La questione che mi preoccupa centralmente qui, é di sapere
come possiamo fare che i governi formino delle persone atte a fare un lavoro
di pace e a prevenire la guerra. Durante il conflitto in ex Jugoslavia
si diceva, dobbiamo formare delle persone che sappiano esercitare prevenzione
dei conflitti e adesso abbiamo 80 persone che vengono formate in Germania
ma sono 320.000 mila i soldati, ora io non so se queste cifre, a livello
europeo sono note, a me interessa sapere il rapporto che abbiamo nella
formazione dei militari e di coloro che invece lavorano per la pace.
Io penso che noi dovremmo rivendicare presso i nostri governi, i nostri
paesi, allíEuropa e soprattutto al mio paese, la Germania che ha dato il
via a due guerre mondiali, di formare più personale per la pace
anziché dei soldati. Bisogna trasformare le caserme in
Università,
la nostra rivendicazione deve essere articolata in maniera molto chiara
per avere una speranza di realizzarla.
Quindi io chiedo quale é il rapporto numerico tra la formazione
di militari e di personale civile e come abbiamo la possibilità
di influenzare i nostri governi perché effettivamente formino più
persone nel campo della pace, piuttosto che della guerra.
D. (Valpiana Mao, Movimento Nonviolento Italia)
Dal 1995 al 1999 sono passati 4 anni. Purtroppo a livello istituzionale
non é successo nulla ma a livello di base qualche cosa, anzi più
di qualche cosa si é fatto.
Bisognerebbe proseguire su due livelli, da un lato chiedere agli esponenti
politici, istituzionali, che cosa concretamente pensano di poter fare nel
parlamento europeo, perché queste proposte non rimangano nel cassetto
come é avvenuto negli anni precedenti.
Dallíaltra, assumere degli impegni molto chiari, degli obiettivi molto
precisi per fare in modo che il lavoro di base proceda più speditamente.
In particolare non so se siete al corrente, di un tentativo, di una proposta
lanciata da un esponente quacquero americano, David Hertrow(?) che avrebbe
il pregio di coinvolgere, se fosse assunta da tutti, la popolazione, anche
da coloro che non possono andare nei luoghi di conflitto, avrebbe il pregio
di coinvolgerli nella raccolta di fondi necessari per preparare centinaia,
migliaia di persone che hanno le caratteristiche giuste per poter intervenire
al momento giusto. A me sembra che questa sia una proposta da poter assumere
come un obiettivo specifico ed unificante. Nulla vieta, anzi, é
bene che ci sia una molteplicità di esperienze, perché ognuna
nasce da una sensibilità e da una specificità. Però
avere questa massa di adesione, sarebbe a mio parere molto importante.
Concludo ricordando che esistono almeno altri due gruppi o iniziative in
queste direzione ma finora non sono stati rappresentati in questa sede,
vorrei ricordali per il fatto che hanno una certa importanza. Una é
la campagna di prevenzione dei conflitti e bisogna sempre precisare che
sono conflitti armati e non conflitti generici, prevenzione dei conflitti
armati lanciata da International Alert e líaltro é líiniziativa
Transcend che vuol dire nel nome trasformazione non violenta dei conflitti,
che é quel network costituito da J. Galtung che raggruppa un numero
considerevole di persone che operano sul campo e che possono dare un valido
aiuto per la formazione.
Ernst Guelcher, GruppoVerdi al Parlamento Europeo
Buon pomeriggio. Come molti di voi sapranno io non sono Pear Gahrton
ma anche io partecipo ai gruppi di pace. Ho lavorato con Alex Langer nel
momento in cui decidemmo di elaborare un testo che é stato in gran
parte adottato dal Parlamento Europeo. Vorrei sottolineare che anche se
questa idea di corpi di pace é passata in Parlamento ed é
una iniziativa dei Verdi, in effetti é stata adottata dal Parlamento,
in termini politici per le Ong questo é molto importante. A che
punto siamo.
Pochi giorni fa, devo confessare, é successo quello che io considero
un miracolo, il sig.re Solana, nel suo primo intervento alla commissione
affari
esteri, qui in Parlamento ha iniziato a parlare dei Corpi di Pace Civili
Europei e questo mi ha sorpreso moltissimo. Perché é la prima
volta che un funzionario, o persona pubblica al di fuori del Parlamento
mensiona questo concetto anche senza approfondirne i contenuti ma quanto
meno menziona questa idea.
Quindi direi che questo é un elemento positivo, per il resto
devo dire che siamo molto preoccupati. Al vertice di Helsinki si parlerà
molto delle capacità di reazione rapida, 40, 50 mila persone a
disposizione,
non possiamo dire esercito ufficialmente, ma comunque forze armate. Questa
é la piega che si sta prendendo. Il giorno 8 dicembre, Romano Prodi
ha tenuto una conferenza stampa sullíEuropa e gli é stato chiesto
quale é il ruolo della Commissione in una gestione non militare
delle crisi, e Prodi non ha detto nulla, ha solo detto che le capacità
di difesa avranno un ruolo sempre più importante e significativo
da svolgere in futuro. Questo spiega perché mi preoccupa quello
che sta avvenendo a livello ufficiale. Comunque sia, a Helsinki sarà
presentato anche il programma del Consiglio e della Commissione sulle
possibilità
civili.
Si farà un inventario di quello che sta succedendo, un database,
si defineranno obiettivi concreti, si costituirà un fondo per una
reazione rapida, questo é quanto prevede il documento e ancora un
altro paio di cose. Fino ad ora questo programma non menziona i Corpi di
Pace Civili Europei.
Ma cosa sono questi Corpi di cui tutti parlano.
Questa é uníidea che nasce dallíesperienza di Alex Langer in
Bosnia. Abbiamo pensato, in effetti che tra fare il nulla e mandare i soldati,
non ci fosse molto spazio per fare qualche cosa in una situazione dove
effettivamente grava la minaccia di un conflitto armato e abbiamo pensato
quindi che dovevamo fare qualche cosa per affrontare questo problema e
per questo motivo abbiamo sviluppato questo concetto di Corpi di Pace.
Líidea di questi Corpi di Pace nellíambito della politica europea si potrebbe
fare in modo che líUnione Europea stessa possa intervenire a livello civile
nei conflitti, prima che questi sfociano in violenze vere e proprie, violenza
aperte. Una volta che il conflitto é in corso non vediamo come si
possa lavorare con i civili. Questi Corpi di Pace, vanno costituiti e
finanziati
come una brigata permanente dellíUnione Europea, di professionisti non
armati, dovrebbe rientrare nelle competenze della Commissione Europea e
questi corpi andrebbero utilizzati solo su richiesta delle Nazioni Unite
o dellíOsce. Potrebbero essere utilizzati da poche centinaia a alcune migliaia
a seconda delle esigenze della durate dellíoperazione.
Ora da questo potete vedere che dal punto di vista delle Ong parliamo
di un qualche cosa di ufficiale. Io nei contatti con le Ong ho sempre tenuto
a sottolineare che questo va fatto a livello ufficiale, ciò non
di meno ci vuole la cooperazione delle Ong che devono essere pienamente
coinvolte ma fin dallíinizio va detto che si deve fare qualche cosa a livello
ufficiale.
Le responsabilità dei Corpi di Pace Civili Europei, e qui cito
alcuni aspetti della relazione, promuovere e garantire il flusso di
informazioni
indipendenti, promuovere la comunicazione e misure di mediazione per creare
fiducia, ridurre i timori etc, ed in terzo luogo osservare e monitorare
il rispetto dei diritti dellíuomo e della democrazia, migliorare la fornitura
di materiali ed infrastruture ed infine contribuire nella ricostruzione
sociale politica e fisica nelle regioni del conflitto. In questo concetto,
líelemento centrale é il fatto che tutto ciò deve essere
fatto in stretta cooperazione con gruppi e comunità locali e con
organizzazioni attive localmente in particolare le Ong. Questo é
sempre stato un elemento molto importante, per quanto riguarda la mia
esperienza
in materia di prevenzione dei conflitti, io non riesco proprio ad immaginare
come a livello ufficiale si potrebbe agire senza servirsi delle Ong che
esistono e che sono disponibili. Forse possiamo avere dei pareri dalla
Commissione stessa, ma io penso che lavorando a livello ufficiale in una
zona di conflitto bisogna cooperare con le Ong e con la gente del posto.
Un altro aspetto é stato menzionato da un oratore. Riteniamo che
in effetti anche che creando questi Corpi di pace è molto importante
il problema della parità, pensiamo a 40, 50000 persone e non pensiamo
a mandare solo uomini in una zona di conflitto. Questa parità ci
dà un valore aggiunto e rende più facile una azione utile
e concreta, ciò che vorrei sottolineare, e mi rivolgo in particolare
a coloro che pensano che ci si possa servire di ex militari, anche loro
in fondo sono civili, ebbene noi pensiamo che i civili per questo tipo
di compiti sono molto diversi. A livello istituzionale a volte questo problema
non é espresso in termini molto chiari.
Inoltre il Parlamento europeo dovrebbe essere coinvolto sia a livello
di programmazione che di esecuzione e di controlo di questi Corpi Civili,
questo per spiegarvi brevemente di cosa si tratta.
A che punto siamo arrivati:nel vertice di Helsinki non se ne
discuterà,
nelle raccomandazioni potrete vedere che si é chiesto uno studio
di fattibilità che dovrebbe esser a cura della Commissione, se ben
ricordo questi sono i termini, abbbiamo appena avuto la presidenza tedesca,
e la presidenza finlandese e nessuno ha fatto fare uno studio di
fattibilità
e questo concetto deve ancora figurare nei documenti ufficiali.
Quindi dobbiamo affrontare una sfida molto grande, molte Ong e anche
molti deputati europei, se sono in sala, abbiano il diritto di essere perplessi
dato la lentezza di ciò che facciamo e penso che sia giusto dire
che a livello di Ong c'è stata una notevole evoluzione recentemente,
con molta esperienza, e questo devo dire che non sono sicuro a livello
ufficiale, ciò non di meno ci sono due iniziative ufficiali che
si ricollegano a questo concetto. Sono i volontari delle Nazioni Unite
e i Caschi Bianchi, e qualcuno si potrà dilungarsi maggiormente
su questo ultimo elemento, i Caschi Bianchi.
Uníaltra cosa é stata menzionata da uno dei rappresentanti italiani,
mobilitare i civili. Ci sono parecchie buone idee e queste idee stanno
prendendo forma.
Qui a Bruxelles ci sono molte organizzazioni che si occupano della
prevenzione dei conflitti e cerchiamo sempre di avere un dialogo con gli
organismi ufficali. Perché anche se io ho voluto essere un po'
provocatorio
quando si lavora su una proposta del genere é una cosa nuova a livello
ufficiale, quindi é necessario un dialogo.
Capisco benissimo che per le istituzioni come il Consiglio e la Commissione
é semplicemente molto difficile elaborare proposte come queste e
quindi abbiamo un dialogo e la cosa migliore che potrebbe succedere sarebbe
che nei prossimi mesi, magari anche con il sostegno del sig,re Solana stesso
e con la presidenza portoghese, sarebbe dicevo, se riuscissimo ad aprire
questo dialogo creando un gruppo di lavoro per cui entro sei mesi potremmo
fare alcuni passi concreti ed utili. Qui mi fermo.
Giancarlo Chevallard, Commissione Europea:
Sono a capo del Dipartimento sicurezza, problemi legati alla sicurezza
e vorrei dare un breve contributo presentando con il vostro permesso la
dimensione istituzionale e lo stato di avanzamento dei lavori e vorrei
anche essere un po' provocatorio nel senso che forse alcune delle dichiarazioni
che ho sentito durante la riunione da parte istituzionale non sono del
tutto condivise.
Helsinki, siamo alla vigilia del Consiglio Europeo e ci darà
un pacchetto che sarà costituito da due parti, una parte militare
ed una non militare. Naturalmente, i nostri media la nostra opinione pubblica
saranno molto sensibili nei confronti della parte militare, perché
in effetti é una vera innovazione nella vita della Unione Europea,
c'è il fatto che effettivamente, deliberatamente noi iniziamo a
cercare delle capacità militari con organi militari nellíUnione.
Ma altrettanto importante é anche la parte non militare. Ora, ho
sentito alcune dichiarazioni antimilitariste in questa sala, volevo dire
semplicemente che il lavoro delle Ong, gli interventi civili in passato
in Bosnia ed in Kossovo sono state ostacolate dalla mancanza di una presenza
militare credibile dellíUnione Europea. Non dire che vogliamo creare una
Unione Europea militarizzata con una forte presenza militare, non saremo
mai un potere militare, siamo un potere civile, fondamentalmente, ma per
potere essere un potere civile dobbiamo anche avere una dimensione militare,
come ci hanno provato gli ultimi avvenimenti ed é quello che ci
dirà anche Helsinki. Per quanto riguarda la dimensione non militare,
io non so se Prodi abbia o non abbia parlato della dimensione non militare,
ma ricordo che Cris Patten[Commissario Europeo per le Relazioni Esteriori,
N.d.T.], che mi ha detto di veneire a questa riunione, ha parlato a
lungo a líuntima sessione del Parlamento Europeo della sfida che si pone
la commissione nello sviluppo di capacità non militari dellíUnione
Europea e parlo di capacità non militari non parlo di procedura
ma di un potenziamento di quanto già abbiamo nel campo dellíosservazione
dei diritti civili, dellíassistenza militare, della gestione delle frontiere,
sminamento, lotta contro la criminalità organizzata, tutti questi
sono gli elementi civili della gestione dei conflitti. Ad Helsinki si
adotteranno
dei piani di azione ambiziosi in questo campo e ora sono il Consiglio,
la Commissione e al Parlamento Europeo che dovranno realizzare ed eseguire.
Il concetto di base come dicevo é quello che líUnione Europea
segue una politica di prevenzione dei confliti, un organismo in questo
senso, perciò dobbiamo esplorare le possibilità che ci si
offrono a questo fine, ripeto non siamo un potere militare, possiamo usare
il termine, siamo una superpotenza civile.
Il che significa anche uníaltra cosa, fondamentalmente ci sono tre
attori in questa dimensione di potere civile dellíUnione Europea, abbiamo
líUnione Europea, i governi nazionali e la società civile. Ora líUnione
Europea, ed insisto, noi siamo al Parlamento Europeo, e per tutte le Ong
dobbiamo che basare fermamente il nostro lavoro, nellíambito dellíUnione
Europea e non al di fuori, líEuropa é líUnione Europea in questo
momento.
Dicevo, líUnione Euopea ha alcune capacità di cui ho parlato
dobbiamo miglorarle e lo faremo.
Gli stati membri, anche gli stati membri hanno delle capacità,
ciò che dobbiamo fare é creare delle equipe di pronto intervento
nel campo dei diritti dellíuomo, della assistenza elettorale, della sicurezza,
della creazione delle istituzioni, dellíassistenza militare ma per fare
tutto questo dobbiamo poterci basare sulla società civile e qui
arriviamo alle Ong.
La relazione di Helsinki, é vero non menziona i Corpi civili,
però menziona ampiamente e diffusamente le Ong e noi intendiamo
lavorare con loro.
Vorrei fare un breve riferimento al ruolo della Commissione in tutto
questo, per tutti coloro che sono sensibli alle attività istituzionali,
attività finanziate dalle istituzioni dove la Commissione dovrà
svolgere un ruolo guida. Noi come Commissione siamo favorevoli alle Ong
e lo abbiamo dimostrato nella nostra politica per lo sviluppo, nel nostro
sostegno dato alle Ong nei Balcani ed intendiamo continuare su questa strada.
Intendiamo anche promuovere, questo é il messaggio che il sig.re
Patten mi ha chiesto di trasmettere, siamo favorevoli alle iniziative come
quella dei Corpi Civili di Pace Europei, volevo solo dire che il Parlamento,
in tutto questo, deve svolgere un ruolo molto importante, il Consiglio
e la Commissione hanno bisogno della leadership e della guida del Parlamento
per mantenere la pressione sullíesecutivo e anche perché si organizzano
attività di sostegno, quali audizioni e attività analoghe.
Il nuovo Commissario, la nuova Commissione sono pronti a seguire questa
via, e se facessimo una richiesta al Consiglio sottoforma di una
raccomandazione
del Parlamento sicuramente si effettuerebbe uno studio di fattibilità
ma concluderò dicendo che questo contributo non deve essere solo
un contributo tecnocratico ma il frutto di una vera concertazione, di un
vero dialogo con le Ong e con il Parlamento Europeo e con tutti gli organi
interessati.
Tutti gli sforzi che stiamo compiendo consistono nel far si che i nostri
strumenti che non erano concepiti per la prevenzione e la gestione delle
crisi. La rapidità e líefficacia di questi strumenti rappresentano
elementi essenziali e questo Early Warning (allerta precoce). Stiamo studiando
per vedere come, da un lato attraverso le reti delle nostre rappresentantaze
in loco, dellíUnione Europea e attraverso quelle degli stati membri che
coprono tutto il pianeta, come si possano avere delle allerte piu precise.
E poi stiamo anche sviluppando per le Ong, non vogliamo dare una impressione
di tecnocratismo e paternalismo ma stiamo sviluppando una specie di manuale
per permettere a tutti gli operatori civili in loco di farci sapere se
individuano elementi potenziali di conflitto in modo da permetterci di
intervenire rapidamente, quindi un Early Warning cioè uníallerta
precoce e anche un intervento tempestivo. Questo é líaltro problema,
non ho difficoltà a dire che aldilà dellíaiuto umanitario
se adesso si decide qualche cosa, se si decide un intervento oggi, ci vogliono
quattro mesi.
Questo non é accettabile, bisogna cambiare questa situazione
ma non perché siamo stati stupidi o non si sia capito ma perché
il nostro intervento non era pensato in termine di prevenzione o gestione
di crisi, era pensato in termini di sviluppo, riabilitazione, líobiettivo
era diverso.
Stiamo rivedendo il tutto, e certamente il concetto di rapidità
é essenziale.
Il Commissario Patten ha detto ieri: "se le circostanze lo permettono
ci sarà a Berlino una riunione dei G8 sulla prevenzione dei conflitti",
stiamo preparando il briefing, e il Commissario Patten esprimerà
un auspicio molto semplice: "meglio un intervento limitato ma tempestivo,
piuttosto che un intervento massiccio cinque mesi dopo che non serva più
a nulla".
Quindi siamo molto sensibili a questa idea.
Cesira Díaniello. Consiglio Europeo, Segreteria Generale
Inanzitutto confermo quanto é stato detto dal sig. Solana.
Io lavoro per líunità politica del sig.re Solana e naturalmente
per noi questi sono compiti assolutamente nuovi, non rivelo nulla di segreto,
per ciò per noi questa é una cosa molto utile. Questo esercizio
in cui siamo impegnati é un esercizio che consiste nel raccogliere
idee e questo contributo é molto importante per noi, ora io confermo
líinteresse di Solana in questa idea. In secondo luogo tutti noi sappiamo
che ciò é perfettamente in linea con quanto avverrà
ad Helsinki, nel senso dellíapprovazione di questa dimensione civile di
gestione dei conflitti e prevenzione dei conflitti da parte dellíUnione
Europea. Il terzo punto é più complesso, ovvero, come fare
muovere il Consiglio, abbiamo la risoluzione del Parlamento che chiede
al Consiglio di chedere alla Commisione di far fare uno studio, questa
é la procedura tecnica. Dovremmo studiare la questione, al sig.
Solana interessa uno studio attento di questa questione e per questo direi
che un contatto istituzionale, dopo Helsinki, quindi molto presto, sarebbe
esattamente ciò che ci serve.
D. Intervento di una francese che non si presenta (Solange Fernex?)
Vorrei fare una domanda a tutti noi.
Il fatto di creare e di dare un impulso a questa idea della creazione
di un Corpo Civile di Pace Europeo, con gruppi limitati, questí idea non
permetterà agli stati membri di evitare di riflettere a quello che
chiediamo da tempo, cioé uníaltra concezione della sicurezza e che
si basi su qualche cosa che non sia líintervento militare. Quando sento
che Solana dice:bellissima idea, ottima integriamola nel concetto di un
esercito europeo, un piccolo corpo di pace con gente carina e simpatica
che andrà ad occuparsi dei poveretti in loco. Ma insomma, non si
arriverà al contrario di quello che chiediamo da anni, ovvero, che
si riveda tutta la concezione della sicurezza, della coesistenza in Europa
ed altrove?
R. Capannini Alberto, Associazione Papa Giovanni XXXIII
Integro in parte alla domanda appena fatta, mi rivolgo sempre al
rappresentante
della Commissione.
Rispetto allíopinione per cui il problema dellíintervento civile sul
terrreno é stato quella di una assenza di una politica militare
o di difesa coerente, mi permetto di dissentire, io credo che quello che
é mancato é stata una politica comune coerente di pace, e
di sostegno alle iniziative civili di pace che erano presenti sul terreno.
É noto, come ad esempio in Kossovo la missione Osce, con
contraddizioni,
difficoltà, problemi, noti o meno noti, avesse raggiunto delle
capacità
di collaborazione con le organizzazioni non governative presenti e la
popolazione
civile.
Il problema é capire se si vuole un corpo civile di pace, appendice
o crocerossina di una difesa militare forte, una politica basata su una
strategia militare forte, oppure se si vuole sostenere la creazione di
una capacità autonoma che la società civile già esprime
ma che spesso non é riconosciuta a livello politico. Questa autonomia
e questa originalità c'è nella genesi stessa delle esperienze
di intervento nei conflitti, non é da inventarsi ma da riconoscere.
Qui non si tratta di creare delle scuole di pace, qui si tratta che i governi
devono riconoscere quello che esiste. É stata menzionata la piattaforma
per la trasformazione dei conflitti, sono stati numerosissimi gli incontri
a livello Europeo per cercare di raccordare diverse esperienze, spesso
sul terreno queste cose hanno funzionato. Il problema a questo punto é
capire se si vuole uno strumento capace di agire e con professionisti ma
dando spazio ad elementi della società civile, obiettori, volontari,
donne e uomini, oppure a una creatura più o meno dipendente dai
governi. Fra le altre cose, io vorrei dire che già da adesso, nelle
varie missioni allíestero, i civili hanno svolto una funzione di mediazione
fra líintervento militare e la popolazione civile unica.
In Kossovo, in alcune situazioni dove é presente la Kforce,
la presenza di civili serve a mediare conflitti altrimenti insanabili in
cui la Kforce, come strumento militare, per quanto preparato o ben formato,
non potrebbe intervenire o che spesso non riesce a capire proprio per la
struttura militare stessa.
R: Nadia Cervoni, Donne in nero
Siamo coscienti che líEuropa si sta attrezzando per diventare una
superpotenza
civile armata. Nella finanziaria presentata dal mio governo, c'è
un aumento molto incisivo per lí acquisto di materiale militare armato
a marchio europeo. Siamo talmenti coscienti di ciò e altrattanto
consapevoli di cosa vuol dire la nostra posizione di antimilitaristi.
Noi siamo qui per ascoltare e raccontare ma forse non líabbiamo detto
allíinizio.
La più grande sfida delle donne in nero é quella di esistere
ed agire in un movimento che non é strutturato. Se alcune di noi
sono qui, non vuol dire che noi stiamo parlando a nome delle donne in nero,
siamo qui per raccontare e ascoltare.
Elmar Schmaeling, ex Ammiraglio Tedesco, Assistente Europarlamentare
Brié
Sono consulente per la sicurezza di Hantrori. In precedenza ero un
Ammiraglio tedesco. Tanto più ascolto tanto più mi arrabbio,
perché si continua a girare intorno alla vera questione. Finché
in Europa, negli stati membri non si spenderanno dei soldi, soldi, money,
finché le cose staranno come sono, finché la Commissione
Europea spenderà più di 100 milioni di Euro, per far si che
líesercito armato dellíEuropa occidentale venga sostenuto, perché
si paghi la ricerca, finché non si spenderanno importi uguali, proprio
in questa direzione per creare delle strutture, insomma, finché
tutto questo non succederà, gli stati europei spendono, non so quanto
siano al momento, 160 miliardi di dollari allíanno per líapparato militare,
in un modo o nellíaltro, e prima durante e dopo Helsinki si continuerà
semplicemente a dire: c'è un pacchetto, due parti, una parte civile,
una parte militare, la civile viene subito amputata. Perché il militare
é così potente con le sue strutture, il militare é
presente dappertutto, a tutti i tavoli, líindustria degli armamenti é
sempre presente, per cui il militare ha sempre il sopravvento sulla politica,
sulla sicurezza, sulle misure di sicurezza, sulla prevenzione delle crisi
e interviene definendo queste come compiti meramente militari, quindi,
io non ho una risposta da darvi, conosco poco gli strumenti in Europa,
però io avrei una domanda: ma non c'è veramente un modo per
mettere a disposizione dei fondi della Commisione nei vari paesi per poter
creare delle strutture simili ed altrettanto efficienti?. Non c'è
ragione, le strutture sono necessarie, devono esseri istituzioni simili,
a quelle che esistono nellíapparato militare, nellíapparato politico, in
modo che si muova qualche cosa. Altrimenti non succederà niente.
E a noi che siamo riuniti qui, o la maggiar parte di noi, continueranno
a dover correre con la lingua a penzoloni dietro alle briciole che continuano
a cadere dal tavolo dellíEuropa. Questo é un compito importante,
lího detto, sono stato un militare, avevo funzione di comando, questo compito
di mantenimento della sicurezza, della prevenzione dei conflitti, della
gestione delle crisi, non é un compito militare, non sarà
un compito militare. Líapparato militare, alla fine, avrà sempre
una funzione inefficiente, inutile, come é avvenuto in ex Jugoslavia.
Dove cí é stato un fallimento clamoroso, diciamolo chiaramente,
ho sentito questo anche in Lussemburgo, alla riunione dellíUEO. Líinsuccesso
da parte delle nazioni europee inizia con la guerra e col portare avanti
la guerra. É un peccato contro qualsiasi tipo di intellettualità,
líanalisi é incominciata nel 1995 con le nazioni europee che hanno
avuto un insuccesso politico. Risolto questo problema, allora bisognerebbe
poi parlare della gestione con strumenti che non sono militari per superare
le crisi. Scusate se mi sono dilungato, mi sono veramente arrabbiato
perché
sono veramente dei problemi che mi stanno veramente a cuore.
(Intervento molto applaudito)
Padre Angelo Cavagna, G.A.V.C.I.
Líintervento precedente mi ha in parte rubato la materia.
Comunque ho líimpressione effettivamente che cominciano a parlare di
Corpi di Pace, ma come hanno rubato il frasario pacifista per le guerre,
che oggi sono guerre umanitarie, tutte missioni di pace, mi sa che gli
accenni ai Corpi di Pace Civili siano di quel genere. E anche io sottolineo
la sproporzione tra i mezzi economici spesi per líesercito e quelli per
le iniziative di pace. Io ho detto che tutti gli obiettori di coscienza,
in questi anni, sarebbero morti di fame o sotto i ponti per i soldi dello
stato. E anche adesso, quelli che vanno allíestero nei corpi civili, almeno
per líItalia, la nuova legge dice: senza oneri per lo stato. Quindi, tutto
di tasca nostra, tutto dalla base, di questo passo non si può andare
avanti e pensare che si vuol fare seriamente una politica di pace.
Se si vuol fare un corpo civile europeo di pace, quindi istituzionalizzato,
ed é bene che ci sia e quindi pagato, etc, poi si lavorerà
per fargli fare delle cose serie e però non dobbiamo dimenticare
i Corpi Civili di Pace non istituzionalizzati come i Berretti Bianchi e
altri.
R. Ernst Guelcher
Condivido pienamente questa analisi che é stata fatta, ora il
Consiglio e la Commissione hanno abbandonato la sala ma comunque non devo
essere ingiusto, c'è molta buona volontà nelle istituzioni,
abbiamo la possibilità di un dialogo, le persone che erano qui sono
persone con cui si può parlare, ma é un livello molto più
elevato che si applica a questa analisi, non abbiamo bisogno di tanti soldati
e altro; anche nel documento questo figura. Insomma, io non vedo come líUnione
Europea possa lavorare con questo pacchetto in due parti, ma lei ha iniziato
il suo intervento dicendo che ha lavorato per un membro della Commisione
esteri del Parlamento Europeo ed é li che bisogna dire queste cose,
perché io ho sentito molte riunioni della Commissione Esteri e dire
che molte di queste idee sono appoggiate, le altre voci che si ricollegano
allíidea che i conflitti vanno prevenuti con mezzi pacifici ebbene, su
questo, le Ong e la società civile devono essere coinvolti, e ci
vuole una buona politica estera per prevenire i conflitti non é
uníidea che viene chiaramente evidenziata nelle riunioni del Parlameto
Europeo. Anche per fare passare questo concetto molto modesto attraverso
líiter parlamentare, dobbiamo continuamente dare battaglia.
E ci vogliono anni prima che qualcuno cominci a prendere queste idee
un po' sul serio, come vedete. Le idee di Langer risalgono a cinque anni
fa, e non possiamo essere contenti di dove siamo ora solo perché
il signor Solana abbia menzionato qualcosa in merito, la situazione é
inaccettabile. Insomma, voi non siete una Commissione Esteri é vero,
però mettete sotto pressione queste istituzioni, veniteci, scrivete
lettere, scrivete loro di parlare, é li che bisogna esercitare delle
pressioni. Al tempo stesso, sono contento che qualcuno abbia parlato dellíidea
di David, cioé líidea che la società civile debba agire da
sé. Se non si possono convincere le persone a livello ufficiale
bisogna fare da sè, ed in effetti stiamo lavorando su questa proposta
specifica. E pensiamo che in effetti líUnione Europea dovrebbe spendere
un po' di soldi per questo tipo di proposte, perché sappiamo benissimo
che spesso le Ong lavorano molto meglio di questi organismi uffciali. Anche
se gli organismi uffciali danno prova di buona volontà perché
molte persone, molti organismi ufficilali, non hanno un backgound di
società
civile, arrivano, passano un po' di tempo in una istituzione poi se ne
vanno e che cosa hanno fatto? Magari hanno avuto un effetto del tutto
controproducente,
ed é quello che abbiamo imparato nel caso della Bosnia, quindi anche
a livello ufficiale bisogna continuare ad imparare e forse anche a livello
di società civile bisogna imparare, però la società
civile ha fatto molti progressi, ha fatto molte esperienze, e queste esperienze
andrebbero utilizzate.
Intervento rappresentante ambasciata Argentina (Caschi Bianchi).
Il governo argentino dopo la crisi del Ruanda ha sollevato una iniziativa
nelle Nazioni Unite, chiamata Caschi Bianchi, sempre sullíidea di creare
dei Corpi Nazionali Civili che possono essere messi a disposizione dal
segretario generale delle Nazioni Unite in caso di intervento umanitario,
io stesso sono stato coinvolto in qesta iniziativa per due anni. Inanzitutto
voglio dire che mi incoraggia molto vedere che ci sono altre iniziative
a livello europeo con lo stesso approccio, sono positive e si vede che
líUnione Europea vuole uscire da questo problema umanitario e dare delle
risposte nelle emergenze umanitarie.
Il percorso non é stato facile per la nostra iniziativa, abbiamo
avuto problemi con i fondi, i finanziamneti, il problema con il coordinamento
con le azioni militari.
É vero che líintervento civile é completamente diverso
dallíintervento militare ma c;é il punto della sicurezza dei volontari
in questi conflitti armati molto violenti e bisogna dare sicurezza alle
persone che lavorano nellíumanitario. Io mi chiedo se, a questo punto,
con questa iniziativa del Parlamento europeo veramente importante, non
siamo arrivati al tempo in cui si dovrebbe già cercare di coordinare
uníazione umanitaria tra líUnione europea e le Nazioni Unite, sotto il
cappello di una forza di intervento umanitaria e multinazionale e veramente
con riferimenti locali e nazionali a livello continentale come sarebbe
il caso dellíUnione Europea. Grazie
Mao Valpiana, Movimento Nonviolento Italia
Se i rappresentanti dei movimenti pacifisti e non violenti vengono
qui a Bruxelles, nella sede del Parlamento Europeo é perché
ci aspettiamo qualche cosa di concreto da parte delle istituzioni e riteniamo
che sia importante avere anche un confronto istituzionale. I lavori dal
basso, sul territorio, le esperienze diciamo della società civile,
dei gruppi di intervento di prevenzione dei conflitti proseguono comunque,
ma a noi interessa anche una risposta sul piano istituzionale.
Quando abbiamo iniziato nel 1995 a lavorare sul corpo civile di pace,
ci eravamo illusi che in quella legislatura si sarebbe arrivati alla
definizione
di un progetto esecutivo da parte della Commissione. Eravamo probabilmente
molto vicini a raggiungere il risultato, dopo líapprovazione della risoluzione
di febbraio ma poi la guerra del Kossovo ha fatto saltare tutti i tempi
e le previsioni politiche.
Io penso che da questo incontro sarebbe importante per noi, darci un
obiettivo, una data nella quale noi, pretendiamo, esigiamo, vogliomo
raggiungere,
da parte della Commissione, non solo il progetto esecutivo del corpo civile
di pace ma a fianco anche delle cifre molto concrete dei fondi a disposizione
e sono completamente daccordo con líintervento dellíamico ex militare.
Che ci siano questi fondi ben definiti.
Quando si parla di fondi da parte delle istituzioni europee c'è
sempre molta attenzione, i bilanci delle Ong, i contributi etc, la stessa
attenzione non c'è stata per le spese della guerra. Ancora oggi
noi non sappiamo il bilancio vero, quanto ci é costato líintervento
militare in Kossovo. Si é partiti a fare la guerra e non si sapeva
quanto si spendeva, quando finiva, quanti fondi sarebbero spesi e prima
poi quancuno dovrà pagare.
Penso anche che in questo nostro lavoro, noi abbiamo raggiunto la
maturità
e anche líautorevolezza per iniziare ufficilamente un dialogo con i militari
e con le istituzioni militari e non solo diciamo, chiedere alle istituzioni
politiche di fare da tramite tra i pacifisti non violenti e gli altri
antimilitaristi
e i militari e riuscire ad arrivare ad un confronto diretto.
Da ultimo, se é possibile prevedere, proprio per verificare
la realizzazione di questi obiettivi concreti e del progetto esecutivo,
un prossimo incontro durante líanno 2000 che é líanno della Cultura
di pace proclamato dallíOnu.
E sarebbe anche molto importante prevedere un tavolo istituzionale
e di confronto tra tutte le campagne esistenti nei paesi membri, le campagne
di obiezione alle spese militari, perché in quanto noi riusciremo
a fare crescere il movimento degli obiettori di coscienza alle spese militari
questo può essere un contributo per fare crescere il bilancio, i
fondi per la realizzazione di un Corpo Civile Europeo di Pace.
Nuala Ahern, Europarlamentare (Verdi)
Sono parlamentare europeo, vengo dallíIrlanda e faccio parte del gruppo
verde.
Sono nata a Belfast ed ho una qualche conoscenza del problema.
Una delle cose più importanti per risolvere i conflitti é
il mandato per fare qualche cosa, sia a livello civile che militare.
Naturalmente
nellíUnione Europea abbiamo il conflitto dellíIrlanda del Nord che dura
da 25 anni. LíUnione Europa non ha fatto nulla, perché non aveta
il mandato, perché considerato un problema interno.
Accade spesso sentire che quel conflitto o quello sono un problema
interno, questo pone un importante interrogativo delle nostre costituzioni
che dicono che si ha il diritto di non essere aggrediti, in nessun modo
e questo deve valere in modo transfrontaliero, perciò dobbiamo
riflettere
sul problema dei mandati.
Non si può fare nulla se non si é risolto questo problema,
anche per líOsce.
Solo quando líamministrazione Clinton si é interessata seriamente
alla questione é incominciato il processo di pace. Questo é
una vergogna.
Ed é una vergogna anche per il paese interessato ma é
un dato di fatto. Non c'è stata una risoluzione e adesso finalmente
questo processo é iniziato, é un processo lungo e difficile
ma stiamo facendo qualche cosa e questo é dovuto dallíinteresse
e alle pressioni serie poste sul governo britannico dallíamministrazione
Clinton, perché risolvesse il conflitto e allora le cose sono state
fatte. Se si vuole anche avere un Corpo di pace Civile e non si può
ricreare una società civile ove questa ultima sia stata distrutta
da un conflitto, almeno di coinvolgere le istituzioni civili, non si può
procedere a meno che le istituzioni e la società civile si sentano
un po' sicure. Se ci si limita ad un intervento armato, certo si può
impedire che succeda qualche cosa, si può avere un congelamento
ma non si crea una società civile, si blocca tutto, si fermano i
conflitti violenti ma non si fa tutto, perciò bisogna passare a
una qualche forma di potere di polizia.
Io sono stata in Bosnia, a Sarajevo e si ripresenta sempre costantemente
il problema della polizia ma il problema del mandato non viene trattato,
solo quello della polizia, di come si deve gestirla. Perché non
si può creare una società civile dove la gente viene assassinata,
dove la gente viene aggredita violentemete, non sono cose normali, in una
società civile e sono cose che succedono in tutti questi paesi.
Io, personalmente, ne ho esperienza assieme alla mia famiglia. Bisogna
impedire la pulizia etnica in qualsiasi forma, bisogna impedire che la
gente viene assassinata quando rimpatria, come avviene in Bosnia. Insomma,
bisogna veramente concentrarsi per vedere come procedere, come potrebbe
líUnione Europea facilitare il processo. Non si tratta solo di mantenere
la pace. Io rappresento la Reppublica irlandese, vivo lì e abbiamo
una lunga esperienza di mantenimento della pace da parte delle Nazioni
Unite, i cui i fondi sono stati sospesi e questo é un altro punto.
Bisogna riflettere non solo su un corpo civile, su cui sono díaccordo,
mi interessa ma temo che sia utilizzato solo come un pretesto per un esercito
europeo che é interessato a fondi solo per líintervento armato.
Questo é il mio timore, certo é importante creare una
situazione dove la società civile possa intervenire, io ho líimpressione
che líUnione Europea non si comporti in modo serio affrontando la questione.
C'è una forte spinta alla militarizzazione dellíUnione Europea,
che viene dallíindustria delle armi che vuole semplicemente vendere solo
armi e noi potremmo essere strumentalizzati in questo processo. Se vogliamo
essere seri dobbiamo affrontare anche gli altri problemi, il mandato e
la polizia, perché c'è la necessità di affrontare
seriamente questi problemi. Grazie.
Intervento non presentato. Francese.
Mi sembra di vivere un qualche cosa che ho già vissuto, io ho
la sensazione che noi troppo spesso lasciamo troppo spazio al militare
ed io vorrei tornare a parlare dei problemi concreti, al tema che é
quello alla base di Corpi di Pace.
In origine, cíera líidea di un osservatorio, un osservatorio delle
situazioni che rischiavano di esplodere nei vari paesi, idea che rimane
ancora, e la possibilità in un quadro istituzionale, nonché
istituzionalizzato. Il che significa anche strutturato, la possibilità
dicevo, di vedere quali sono gli attori, le Ong e i gruppi che potrebbero
rispondere al meglio in certe situazioni.
Però attenzione, contrariamente a quello che ho sentito dire,
líintervento, il coordinamento fra le varie Ong, che vogliono mantenere
le proprie identità, non deve avvenire a valle, al momento della
risposta, ma a monte, al momento dellíanalisi. Per questo vorrei tornare
allíidea della creazione di un gruppo di lavoro che non sia soltanto un
gruppo che può riunire Ong e parlamentari europei, ma anche membri
della Commissione fino ad arrivare al Consiglio. É un peccato che
i membri della Commissione, o il rappresentante della Commissione ed il
Consiglio se ne siano andati, questo é indicativo dellíimportanza
che si attribuisce allíazione civile. Ciò che ci conforta un po'
é ciò che é successo a Seattle, perché la
prevenzione
dei conflitti non significa solo ai conflitti armati ma a tutto ciò
che é collegato alle cause di un conflitto.
Si é detto che la pace non é solo assenza di guerra.
Quindi per me, visto che ho partecipato ad altre riunioni é importante
poter uscire da qui con qualche cosa di importante, con delle scadenze,
con líidea che si potrebbe avere un gruppo di lavoro dove poter parlare
di elementi concreti di analisi, di intervento, di coordinamento fra noi.
Edit Pausch (?)
Se ho ben capito, ci sono molte attività svolte per la prevenzione
dei conflitti, ci vorrebbe solo un maggiore coordinamento fra queste
attività
In una conferenza sulla pace allíAia ho constatato che tutti i gruppi
che desiderano promuovere la pace, sono disposti, sono pronti a cooperare
e che anche le autorità vogliono cooperare con le Ong.
Lo stesso in uníaltra conferenza, organizzata in Africa sempre per
la pace, una riunione organizzata assieme ad una Ong del mio paese dove
si trattava per la prevenzione dei conflitti.
La Piattaforma europea per la prevenzione dei conflitti potrebbe veramente
contribuire per la realizzazione di questo gruppo di lavoro. Perché
si sta cercando di realizzare una rete intera. Io non so se voi conoscete
questa piattaforma ed io sono disposta a darvi ulteriori informazione.
Intervento non presentato
Vorrei fare una osservazione a margine, c'è una distinzione
da farsi, soprattutto nella relazione della Commissione, anche se ora non
ci sono tra noi, fra la gestione dei conflitti e gestione delle crisi.
Noi siamo delle organizzazioni pacifiche, vorremmo che i soldati stessero
nelle loro caserme, perciò vorremmo che la situazione non sfociasse
in una crisi. Mi incoraggia molto vedere il manuale della Commissione sulla
prevenzione dei conflitti, che conteine molte misure che i servizi della
Commissione possono prendere, ma che però fino ad ora non sono stati
utilizzati come misura per la prevenzione dei conflitti, sebbene ci siano
moltissimi servizi utili di cui dispone la Commissione. Ciò che
manca in realtà, é un riconoscimento pubblico del fatto che
questo é un aspetto importante quanto quello militare. Il rappresentante
della Commissione ha detto che il pubblico ed i media considerano più
importante il militare ma io devo dire che pure molti politici, molti
funzionari
considerano líaspetto militare molto più interessante del non militare.
La Commissione, mi sembra, non capisce molto bene le Ong. C'è
il dato di fatto che le Ong parlano ad un certo livello di comunità
che incontrano difficoltà ed in questo manuale non c'è alcun
riconoscimento del fatto che a volte mandare un rappresentante o un progetto
alla Commissione non é una proposta utile. Mi interessa molto la
questione del mandato per i Corpi di pace, però se si tratta solo
di difficoltà locali, non é impossibile che le Ong locali
chiedano un aiuto supplementare per mediare, rendendo la vita un po' più
facile per le popolazioni locali, e spesso si é anche detto che
un osservatore esterno rende molto minore la possibilità che qualcuno
si prenda delle libertà o che un autorità cerchi di sopprimere
il dissenso. O che un signore della guerra decida di rapire qualcuno. Insomma,
il mio messagggio è: dobbiamo sottolineare maggiormente questa
impostazione
non militare, poi come hanno detto altri bisogna cercare di coordinare,
di raggruppare, di svolgere il nostro ruolo. Si é parlato della
piattaforma europea che é uníottima organizzazione, forse si dovrebbe
parlare con chi detiene il potere oltre che con i propri membri.
Enric Simon, assistente parlamentare
Sono qui anche per una associazione che si chiama Comitato di Coordinamento
per il Servizio Civile, uníassociazione francese che si occupa dei contatti
tra i diversi obiettori di coscienza e vorrei parlare del volontariato.
Effettivamente la questione dei soldi non é citata e neppura
la guerra come volontà politica. Leggendo questi testi sembra che
la guerra scenda dal cielo, per caso, ci sono Commissioni, assemble europee,
governi, sono tutte persone che vogliono la pace, ma c'è la guerra;
sono tutti pacifisti, ma si fabbricano le armi. Quando si parla in ambienti
istituzionali, c'è qualcuno che vuole la pace, ma c'è qualcuno
che vuole la guerra come soluzione politica, come azione politica. Questo
bisogna saperlo quando si parla di un mandato dellíUnione Europea o dellíOnu.
Quando si conosce ora il risultato del ruolo dellíOnu nella guerra di Bosnia.
Io non so come si possono definire queste organizzazioni, io non so quale
mandato hanno avuto le Ong per invischiarsi nelle questioni interne dei
paesi. Se queste organizzazioni avessero dovuto attendere il mandato delle
autorità, allora non ci sarebbe più nulla, nè in Bosnia
e nè in Kossovo. Sulla questione del Corpo Civile europeo
professionista,
esistono già questi corpi. Serviamocene, possiamo fare un uffciio
di coordinamento, a livello ufficiale. Adesso ci si pone dei problemi
filosofici
di base, perché esito, a che servono, e poi vediamo quello che accade
in Cecenia, cosa andiamo a fare li.
Io come rappresentante del coordinamento del servizio civile, volevo
parlare di un progetto della Commissione europea che si chiama progetto
SVE, servizio volontario europeo. Non c'è stata alcuna riflessione
di pace. In genere si parla dellíaspetto umanitario, sullíaspettto sociale.
Ci vogliono molti soldi per formare dei giovani. Si parla di giovani in
una società che invecchia sempre più, forse bisognerebbe
parlare meno dei giovani, anche le persone anziane possono operare in questo
campo.
Esiste una possibilità di servirsi di queste istanze che dovrebbero
rappresentarci.
Eguren Luis Enrique, PBI
Quando si parla di intervento di terzi nei conflitti, nessun intervento
é indispensabile in sè per risolvere un conflitto se si trova
una possibilità per risolvere un conflitto. In genere é
perché
ci sono diversi interventi paralleli, diverse influenze che vengono esercitate.
Quindi il bisogno di studiare non solo le azioni individualmente ma anche
la possibilità di integrare queste azioni, non é che salveremo
il mondo, per ogni conflitto ci vuole una soluzione. E quindi noi dobbiamo
contribuire parzialmente a questa soluzione.
Non si tratta solo di un problema di risorse per questi interventi
in loco, la società é complessa, a volte bastano piccole
leve per fare cambiare le cose. Quindi ripeto, ci vogliono diversi interventi,
distinti interventi in loco, per adattarsi a ciascun tipo di conflitto,
quando c'è un intervento agire perché le parti contrastanti
possano trovare un accordo.
Possiamo naturalmente integrare uníazione in un campo più ampio
e se riusciremo a farlo avremo fatto un passo in avanti anche dal punto
di vista qualitativo. Perché noi, in genere siamo tre o quattro
organizzazioni non governative in loco e líimportante é che noi
collaboriamo la dove c'è questo conflitto. Quindi non una soluzione
unica. Corpo civile di pace sì, ma ci sono altri attivisti per i
diritti umani, quelli che si occupano delle operazioni umanitarie. Vi sono
diverse possibilità diversi attori che devono intervenire.
Sandro Mazzi, Collaboratore centro studi difesa civile di Roma.
Oggi vorrei parlarvi di una ricerca che il centro studi ha compiuto
per conto di un centro che fa parte del Ministero della Difesa italiano.
In Italia, in questo momento, almeno in una parte delle istituzioni
militari manifestano interesse per quanto riguarda la sperimentazione di
forme di difesa civile.
Il centro in questione é il Cemiss, Centro militare di studi
strategici, e lo studio riguarda proprio il progetto di fattibilità
per la costituzione dei Caschi Bianchi.
Lo studio é terminato, ma non é ancora disponibile, ma
esistono anche degli abstract in lingua inglese che possiamo spedire a
chi é interessato.
Il centro studi si occupa anche della formazione di operatori di questo
tipo.
Siamo díaccordo per la costruzione di una rete a livello internazionale
di questo tipo ma stiamo anche cercano fonti per la raccolta fondi, se
avete dei suggerimenti ne saremo felici.
Intervento non presentato
Come potere avere i soldi dallíUnione Europea.
Come fare se si vogliono i soldi dalle istituzioni e proprio in questi
giorni é uscito un libro che potrebbe aiutraci.
Se leggiamo i documenti di Helsinki, si parla di azione autonome, no,
ci deve essere un mandato, Onu Osce, socieltà locale, ci deve essere
un mandato, non possiamo andare senza mandato. Le forze di Polizia non
hanno nulla a che fare con le forze di pace. La polizia ha il suo ruolo
ed é importante. Io non lo considero un elemento dei Corpi di pace.
Qualcuno ha detto che la gente non accetta la guerra, non la ama, ma
visto tutto questo materiale sullíUnione Europea Occidentale, e la cosa
mi ha spaventato.
I funzionari delle istituzioni sono presenti a questa riunione e cercano
di dire qualche cosa. Cinque anni fa erano stati invitati e le loro risposte
erano che tutto era fuori dalle loro competenze. Apparentemente nelle
istituzioni
sta cambiando qualche cosa. Bisogna sfruttare questo come contropotere
allíideologia militare.
Cosa possiamo fare. Se pensate che tutto va molto piano, che le cose
non si muovono, in compenso, questo concetto di Corpi di pace Civili, é
un idea, un elemento per costituire un cotroppeso allíideologia militare.
Possiamo anche costituire un gruppo di lavoro, con tutti, possiamo creare
una taskforce, Ong, gente del Parlamento, delle Istituzioni per dare seguito
alle nostre idee, per quello che valgono. Io credo che sarebbe un fatto
molto positivo.
Si é parlato per la pace, ecco, molti dei presenti fanno parte
della piattaforma europea per la prevenzione dei conflitti e le organizzazioni
responsabili si incontrano normalmente a Bruxelles, per vedere che cosa
vogliono organizzare loro, quindi questo coordinamento già esiste.
Convents Ria, donne in nero Belgio.
Molte di noi, donne in nero del Belgio siamo state in molti paesi,
come la Serbia.
Il nostro obiettivo é che tutta la gente forzata a battersi
da forze esterne, queste persone devono riconciliarsi. Noi donne un nero
ci battiamo per prendere le distanze da queste forze paternalistiche
dellíoccidente.
Vogliamo arrivare ad un dialogo. Nella ex Jugoslavia ci sono stati 8 appuntamenti
che hanno visto la partecipazione di donne da tutta líarea balcanica. Le
donne in nero della ex Jgoslavia fanno sempre appello alla Commissione
europea. Per quanto riguarda i fondi, che sono necessari, noi continuiamo
a fare le domande. Se la Commissione promuove il dialogo e questo tipo
di conferenze, ha la possibilità di trasferire un po' di soldi.
Padre Cavagna, G.a.v.c.i.
É stato accennato alle azioni di polizia internazionale. Non
lo confondo con la difesa popolare non violenta, ma c'è uníaltra
distinzione da fare, bisogna distinguere bene líazione di polizia
internazionale
dalle azioni degli eserciti, che dicono che vanno per le azioni di polizia
internazionale.
Un generale che era in Somalia ha detto: "non si possono mandare gli
eserciti per fare delle operazioni di polizia internazionale. É
tutta uníaltra strumentazione, uníaltra educazione".
Líazione di polizia, é un certo uso non omicida della forza,
invece gli eserciti sono fatti per lo scontro fino allíeliminazione.
Una distinzione essenziale.
Luisa Morgantini. Intervento finale
Personalmente sono antimilitarista e non violenta. Ho i piedi abbastanza
per terra e bisogna lavorare costantemente per riuscire a modificare le
questioni.
Ora io credo che noi che siamo allíinterno delle istituzioni, dobbiamo
lavorare con uníidea molto precisa in mente. Contemporaneamente dobbiamo
anche agire, perché potrebbero esserci dei mutamenti allíinterno
delle istituzioni. Siamo costantemente sul confine. Ora io ritengo che
il modo come viene presentato, non solo da Solana ma in realtà anche
dalle cose dette dal rappresentante della Commissione, che pure ha detto
che líeuropa deve essere una grande forza civile, non c'è dubbio
che il peso ed il parallelismo dato alle forze di intervento militare e
civile é uguale, mentre invece dovrebbe essere rovesciata la forza.
Quindi, puntare, spingere fortemente, perché davvero vi sia
la possibilità di costruire Corpi di Pace Civili e Europei, dando
loro strumenti per funzionare. Non pensando di farlo in termini burocratici
e mastodontici.
Non per creare nuovi conflitti allíinterno dei luoghi di conflitti
dove vanno nuovi privilegi, o distruzione invece della costruzione della
convivenza delle popolazioni. Nessuno pensa che i Corpi Civili di Pace
Europei sostituiscano líazione della società civile o líazione dei
vari gruppi, associazioni, movimenti.
Io penso che in ogni caso, pure esistente il Corpo di Pace Civile Europeo,
ci sarà sempre il modo per le Ong di agire concretamente nelle
situazioni.
Certo rimarranno le differenze. La cosa importante é come i Corpi
Civili non siano una cosa a sè, fatta dalle istituzioni, con gli
esperti, da professioniti, professionisti sì ma che provengano da
esperienze di non violenza, da una cultura di non violenza, e una cultura
di non guerra. Quindi líesperienza fatta da tutte le varie organizzazioni
che sono centinaia e devono essere utilizzate, essere allíinterno. Io credo
che la costruzione dei Corpi di pace Civili Europei che deve essere la
parte centrale di un intervento di difesa o di mediazione dei conflitti
da parte dellíUnione Europea é una battaglia, non é una cosa
che si acquisisce.
Io devo dirvi, vi confesso, sono stata molto contenta di sentire da
parte della Commissione, in questi giorni, che effettivamente ci sono voglie
di dialogo e anche di pensare allíipotesi della costruzione dei Corpi di
Pace Civili Europei.
Non ho assolutamente fuori di me, anzi mi é molto chiaro il
rischio che questi corpi siano istituzionalizzati ma penso che sia un rischio
che valga la pena di correre, perché credo che sia molto importante
fare in modo che invece degli interventi militari si pensi seriamente a
costruire seriamente a costruire i Corpi Civili di Pace Europei.
Io ritengo, e penso, mi auguro che sia possibile, dobbiamo trovare
i modi per farlo e da qui dipende anche dalla vostra disponibilità
che davvero che questo non sia solo un incontro. É vero le cose
si ripetono ma fino a quando le cose non vengono realizzate bisogna continuare
incensattemente a dirle e a pensarle. perché si possano fare. Per
cui, pezzo importante é la questione di un gruppo di lavoro, dobbiamo
vederne le forme, penso ad un gruppo di lavoro, di riflessione, di conoscenza,
potremmo anche in modo informale lavorare con membri della Commissione
e del Consiglio ma penso proprio di più ad un gruppo di lavoro con
parlamentari, con Ong per riuscire a pensare come costruire i Corpi Civili
di Pace Europei, come i ruoli anche delle Ong possono essere anche allíinterno
e mantenere le proprie autonomie. Non c'è dubbio, la questione della
formazione é fondamentale, la formazione dei Corpi Civili, mi auguro
che questi potranno essere gli stessi formatori, formatrici per le varie
questioni.
Noi, io ho tentato con questo primo incontro, di fare in modo di lavorare
insieme, mi auguro che lo possiamo fare, tutto é ancora molto impreciso,
in realtà credo che spetti a noi farlo diventare più preciso
visto che quello che ci unisce é la scelta della non violenza, é
la scelta di non avere un Europa che rafforza le sue forze militari invece
che rafforzare le forze civili.
Vediamo come lavorare insieme.
Come intergruppo per la pace, cercheremo di creare una segreteria che
lavora concretamente per queste cose.
Corriamo e spesso siamo sempre gli stessi a fare mille cose, noi crediamo
che le stutture sono importanti
Ringrazio molto tutti e arrivederci.
applausi
FINE
Trascrizione a cura di Maurizio Torti.
Revisione di Alessandro Rossi.