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23/11/2000 - Bologna:
Una Lotta di tutti: Aspettando Porto Alegre parliamo di MST e lotte sociali e agrarie in Brasile

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Brasile

Carattere ed uso delle presenti relazioni; tristezze locali; diversità di situazioni, prospettive e militanze; un esempio; aggiornamento su Minas; condizioni e carattere classista della scuola brasiliana; diversità regionali; la Professor Pedro Casimiro Leite in Coitia; sua didattica d’avanguardia; studenti vivaci; organi collegiali; apatia politica studentesca; incomprensioni tra docenti e studenti; università di prima classe; altri sistemi per istruirsi; loro carattere commerciale; la mano provvida del governo; futuro dipendente; varietà di toni; un convegnone; alta ricerca snobbata; scuole di base del Movimento; problemi didattici; necessità di personale istruito; la Scuola Nazionale José de Castro in Veranopolis; sua organizzazione e suoi corsi; una didattica molto pratica; la giornata di uno studente; lezioni particolari; imparare in breve tempo e senza angoscia; attività svariate; strutture; presa di coscienza e ruolo della creatività personale; ritmi serrati; gente provata; entusiasmo; combattere l’alienazione; militanti; rapporti col paese; barbatrucchi amministrativi; funzione socialmente utile della scuola anche per il paese; commozione; altre simili istituzioni; la Florestan Fernandez; sua utilità attuale e precoce; educare all’autosufficienza; considerazioni personali; due consapevolezze rivoluzionarie contro i borghesi e per l’azione; contro i luoghi comuni sui Brasiliani; gente che lavora; gaiezza diffusa; il bicchiere mezzo pieno; disponibilità alle scoperte; gentilezza; ospitalità; affetto e calore umano; l’ingannarsi de turista; le donne brasiliane; origine del pregiudizio; grande offerta di servizii sessuocommerciali; un aneddoto; minore sessuofobia della cultura brasiliana rispetto alla nostra; preti umani; una lingua più versatile; figli ed ottimismo; compagne tostissime; diversità e suoi buoni effetti; maschilismo; un collettivo ben concepito; condizione della donna; buoni propositi; fiducia nel futuro; nota intimista; congedo
di Giovanni Nicosia - [email protected]

MST
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Ciao a tutti, cari compagni e care compagne,

Questa è la mia ultima lettera di relazione sul mio viaggio, ed è credo la sede migliore per avvertire che le informazioni contenute in essa e nelle precedenti vanno prese con molte riserve. Hanno un certo valore documentario solo perché sono testimonianza veritiera su ciò che ho visto, sentito e trovato, ma non possedendo io i mezzi intellettuali e materiali per fare misurazioni precise in campo sociologico ed economico, non sono surrogate da teorie scientificamente fondate.

Si tratta di chiacchiere, come quelle che si fanno con gli amici del bar, anche se ho condiviso cappuccini solo con pochi dei miei destinatarii, e per questo erano costellate di imperfezioni ed esagerazioni. Ci vorrebbe ora qualcuno che studiasse seriamente e con metodo certo quello che io ho potuto solo intuire, o forse un esercito di esperti, dato che le cose sono tante, e la situazione complessa.

Vi scrivo da Bologna, dove mi trovo ormai da un po’, nel giorno del patrono S. Petronio.

Scusate se vi scrivo con tanto ritardo, ma il reinserimento nella mia solita vita (studio - lavoretti del menga - riunioni) mi ha preso più tempo ed energie del previsto.

La cosa cui è più difficile rifare l’abitudine è la fondamentale rassegnatezza che impera tra la gente comune e tra i compagni. Visto da Bologna il capitalismo sembra invincibile, forte, immortale, come se noi non potessimo fare che qualcosina di marginale se proprio decidiamo di andare un po’ contromano, ma più che altro atti simbolici, testimonianza vaga di una vita diversa, che in cuor suo ognuno ritiene impossibile.

Non parlo solo dei revisionisti o dei compagni poco impegnati: mi pare di cogliere questo sentire intimo anche nella gente più seria, che più si sacrifica. Il compagno statistico medio tutto il giorno lavora, o come me studia, e poi consuma, e solo dopo riesce a trovare il modo di fare il compagno. Siamo rivoluzionarii a mezzo servizio, senza il coraggio di scelte veramente alternative. La nostra militanza è come il brutto sogno ricorrente di un buon cittadino ligio e fedele al sistema: certe notti vive nei panni di un comunista ed ha voglia di rompere delle vetrine di mercanzie. Noi non siamo comunisti: abbiamo una nevrosi rosseggiante. Volendo queste cose si curano.

Perché da S.Paolo, dove pure la competizione individuale e la mentalità liberista sono più sfacciate e più istituzionalizzate che mai, certa gente riesce ad intravedere un domani veramente diverso, radicalmente alternativo. e a credervi tanto da cominciare a costruirlo? Perché qui non è più così?

Con Serginho, in una delle tante notti passate in rodoviaria (che sarebbe l’autostazione) fui avvicinato da un barbone, odoroso di alcool e di sporco. Ci chiese un dinherinho, e poi abbiamo fatto due chiacchiere. La sua storia era pesa come quella di quasi tutti i moradores de rua: una vita quasi decente fino ad un certo momento, e poi una crisi, di cui il feroce sistema liberale prontamente approfittò per far fuori un’unità carbonio difettosa. E poi strada e cachaça, e guai. Ad un certo punto Serginho gli fa: "Ma você não quere acabar com esta vida?" e gli racconta, con grande semplicità, dei Sem Terra, della loro lotta, del processo che trasforma tanti come lui in fieri militanti e, ed è qui che viene il bello, della effettiva possibilità di vincere questa guerra sociale, nella concretezza di una vita futura piena di soddisfazioni e conquiste. E quello ci crede: si fa dare l’indirizzo della struttura più vicina, e se ne va tutto contento. Nel suo sguardo, mentre ascoltava, avevo visto la fiducia, la speranza; era la faccia di uno che diceva: "finalmente!"

Penso ora a cosa accadrebbe in una situazione analoga da noi: intorto uno che vive per strada, tento di lavorarmelo, e poi? che gli propongo? la lotta per la liberazione della maria? o delle riunioni piene di congiuntivi e periodi ipotetici del quarto tipo? E poi la differenza più grande: anche raccontandogli le cose più belle, mi crederebbe? Riusciremmo noi compagni a fare quel che così semplicemente è riuscito a Serginho? Ho paura di no, e non solo per colpa nostra.

Non temete, compagni, non sto scrivendo solo per lamentarmi.

La faccenda della tenuta dei figli di Cardoso in Minas Gerais semioccupata dal Movimento, nonostante il suo ottimo risultato di destabilizzazione (hanno smerdato le istituzioni in modo esemplare), non sta ottenendo il suo obbiettivo di costringere il governo a ridiscutere alcuni vecchi impegni, per cui i compagni semioccupanti, ora già calati di numero per alcune defezioni, hanno usato anche la strategia dello sciopero della fame.

La cosa ha generato molto scalpore, e la Conferenza Episcopale Brasiliana (CNBB) è intervenuta mediando, ottenendo una tregua per tutto il periodo delle amministrative. Spero di essere presto informato e di poter vulgare gli sviluppi.

Mi resta da illustrare una delle più interessanti istituzioni dei Sem Terra: quella scolastica.

La scuola in Brasile è apparentemente molto democratica ed efficiente, prevedendo gratuità sino al livello universitario, corsi serali per lavoratori, fornitura di pasti, ed altri servizii. Nella realtà l’unica cosa che funziona veramente nella scuola statale è l’apertura serale, motivata dal sovraffollamento. Inoltre moltissimi studenti lavorano, e perciò nella giornata sono occupati, non avendo tempo per studiare a casa. Per questo avrebbero bisogno di una didattica particolare, che però non tutti gli insegnanti sono in grado di impostare, sebbene l’attenzione verso questo problema sia molto più alta che nelle nostre scuole serali, ridotte per lo più a reparti punitivi per docenti frustrandi e frustrati.

Le strutture sono poche e piuttosto fatiscenti, almeno nella scuola di base. Anche i docenti sono pochi, e non tutti hanno la necessaria qualificazione ad insegnare. Solo ora il ministero ha imposto che almeno un terzo degli insegnanti di ogni scuola, pubblica o privata, abbia le carte in regola. Si fa di necessità virtù. Gli stipendii dei docenti sono bassini, e molti di loro li integrano con altri lavoretti, non essendo molto diffuso l’uso di dare ripetizioni in nero, che invece assicura dignità al tenore di vita di gran parte dei loro colleghi italiani, in barbam legis injustae avidaeque.

Come sempre la situazione è molto diversificata a seconda degli stati e delle politiche da essi seguite. In Rio Grande do Sul le scuole pubbliche hanno biblioteche e computer, e quasi tutto ciò che serve; la preparazione fornita è di buon livello e consente di entrare all’università, superando il temibilissimo esame d’ingresso, per seguirne poi i corsi senza traumi eccessivi. Effetto, pare, di una politica sinistrorsa che molto valorizza l’istruzione. Salendo verso nord la miseria generale ed il malgoverno rapace incidono sempre più anche sulle scuole. Mi è giunta notizia di carenze gravissime in Bahia e Pernambuco. Scuole senza lavagne né docenti, classi enormi, classi multiple (con alunni di anni diversi), e cose del genere.

Ho visitato la scuola superiore statale Professor Pedro Casimiro Leite, in cui insegna Maria Romana, una amica di Pa Zè, proffa di psicologia. Sita in Coitia, paesino vicino ad Osasco, conta 1500 alunni, divisi nei tre turni mattutino, pomeridiano e serale. Vi lavorano sessanta insegnanti, che in grandissima maggioranza sono di sentimento compagno e progressista. Tale omogeneità ha permesso sperimentazioni audaci come l’insegnamento modulare: l’orario delle lezioni non è come quelli usuali, a tocchetti, in cui uno magari comincia con un’ora di matematica, e poi l’ora dopo deve riorganizzare il cervello per una lezione di letteratura, in genere senza alcun collegamento interdiscilpinare.

Lì si fa tutta la mattina (od il pomeriggio, o la sera) una stessa materia, per una settimana; poi si passa ad altro, ad un altro campo dello scibile per un tempo eguale, e così via, sino ad esplorarli tutti e ricominciare il giro. Interessante. Sarebbe bello confrontare questo metodo col tradizionale, per vederne i vantaggi, e sopratutto verificare se gli studenti non dimenticano l’appreso nel periodo in cui fanno altro. Tanto poi lo dimenticano nelle vacanze o nella vita successiva alla scuola, per la quale dovrebbero discere.

Ad occhio mi pare un sistema più rispettoso di certe caratteristiche dell’umana zucca, che fa difficoltà a seguire molti discorsi insieme e a digerirli, come si pretende nei nostri licei. Inoltre ciò permette una programmazione più aderente ai tempi di apprendimento della classe, e di inserirvi agevolmente, data la gran disponibilità di tempo, temi di interesse particolare od attualità.

È curioso come insegnano la storia: se ho ben capito, cominciano dal presente, di cui parlano ben bene, per poi ripescare da esso il passato. Interessante, ma non ho avuto occasione di soffermarmici più in particolare.

Gli studenti erano vivaci, molto interessati all’Europa. Mi hanno avvicinato, vogliosi di conoscere l’organizzazione cui appartengo ed il Partito che ho millantato di rappresentare, alcuni di un gruppo studentesco che partecipa alle elezioni interne, per occupare i seggi di una specie di Consiglio d’Istituto. Non ho però capito le attribuzioni di quest’organo, e soprattutto se sia una cosa tipica di quella scuola, così polarizzata a sinistra, o se esitano cose simili ai nostri Decreti Delegati anche in Brasile, che prevedano la cogestione della scuola pubblica tra Docenti, Studenti, Genitori, e Personale ATA e nonATA(chissà qual’è il nome burocratico dei bidelli in quel paese?)

Comunque eran giovani simpatici, vicini ai movimenti sociali ed alla Chiesa, questa cosa strana che è qui la Chiesa, tanto poco romana. La prassi delle occupazioni si è anche qui quasi estinta, limitandosi a rare rivendicazioni di tipo locale. Si protesta contro il tal provvedimento del tal preside, non per questioni di interesse nazionale, nè scolastico, nè a maggior ragione di politica generale. In ogni caso si protesta pochino. Non esiste un vero movimento studentesco nazionale, né spontaneo né istituzionalizzato.

Questo mi colpisce data la grande combattività sociale e l’organizzazione che vedo in giro, fuori delle scuole, ma è così, e la cosa fa il paio con l’impressione di imborghesimento dei collettivi universitarii che ho incontrato in Paranà e di cui ho già parlato.

Serginho, che ha più di trent’anni, mi ha raccontato che ai tempi suoi il gruppo legato alla Pastorale di non so che, in cui lui ha cominciato a far politica, occupava le scuole superiori e si scontrava con la repressione ammanganellata e accavallata, ma si vede che erano altri tempi. Mi toccano il cuore queste cose, a me che ho vissuto un passaggio molto netto tra un’epoca di un certa qual coscienza politica, in cui si tentava, per lo più vanamente, di occupare la propria scuola per partecipare al progresso della società intera, alla fase storica dell’ammasso inerte, dei cazzi proprii e delle liste uniche d’istituto. Anch’io ho cominciato alle superiori a politicare, ma alla fine per disperdere i nostri scioperini scheletriti non occorreva nemmeno chiamare la pula, bastando due latrati di preside.

Non so bene come siano le cose per quel che riguarda l’attività sindacale dei docenti e la loro partecipazione alle agitazioni del pubblico impiego. Mi hanno detto di un grande sciopero dei professori universitarii, cui si sarebbero uniti quelli della scuola superiore e gran parte degli altri lavoratori della scuola, rivendicando soprattutto aggiustamenti salariali in risarcimento della perdita del potere d’acquisto del loro stipendio, che si aggira sul quaranta per cento, a calcolarla sugli ultimi sei anni. Pare che l’attività didattica si sia fermata per molto tempo, costringendo poi gli studenti mugugnanti a giornate intense di recupero. I risultati però sono stati pochini.

In complesso l’impressione è quella di una scuola un po’ scalcagnata, in cui si vede che gli insegnanti fanno miracoli per fare bene ciò per cui son sottopagati.

L’università pubblica brasiliana è un altro conto: ha strutture adeguate e fondi di ricerca. E’ per lo più frequentata da notabili e rampolli della borghesia, che, grazie alla preparazione di altissima qualità fornita dalle tantissime scuole private, riescono a passare il famoso vestibular. Queste sono in prevalenza carissime e qualificantissime, destinate ai ricchi e ai potenti in genere. Tuttavia, essendo questo dell’istruzione un mercato ricco di domanda, hanno preso vita molti istituti di prezzo più contenuto, nati magari per insegnare l’informatica ai capitani d’industria.

Ci sono poi istituti specializzati nel riempire le lacune della scuola pubblica e portare lo studente di estrazione modesta a livello di vestibular: si chiamano cursinhos e costano quanto più possibile per massimizzare i guadagni pur rimanendo alla portata delle masse istruende, ché di mercato si tratta e non di opere pie. E che mercato: affaroni! Cari laureati disoccupati, maestri d’ogni campo del sapere che il vostro paese umilia e neglige: imparate il Portoghese e migrate in Brasile! Lì potrete sfruttare, anche voi tra tanti altri, l’organizzazione classista dell’istruzione, ed arricchire. Un docente di cursinho che lavori tuttodì, dalle sette del mattino alle dieci di sera con pause pranzo, può prendere anche 4.000 R$ al mese, ossia più di quattro milioni di lirette. Ci si ammazza di lavoro, ma si è ben pagati, non come nelle nostre scuole italiane, in cui solo ci si ammazza, per aver in cambio la pubblica riprovazione e la nomea di ozioso.

Molto di più guadagnano i docenti delle università private, anche qui offerte al discendo-consumatore in grande gamma di prezzi e prestazioni. Università confessionali, università specializzate in poche facoltà, università consorziali riconosciute da certi gruppi di aziende, università così e cosà, come gusta e serve a questo o quello, basta cercare un po’. Quasi tutte hanno esami di ingresso, più o meno facili a seconda della disponibilità di studenti-clienti, la cui pressione molto può influenzare scelte in campi che stanno a metà tra la didattica ed il marketing.

Tutto ciò è retto da mentalità mercantile ed avida. Non si fondano istituti per il solo progresso delle scienze e delle arti: un occhietto è sempre dato anche al progresso di alcuni conti bancarii. E nel frattempo tra le masse del paese prospera l’ignoranza e lussureggia la miseria. Il governo poi, da alcuni anni sta impiantando una politica di abdicazione, per quanto può, al compito di istruire, chiudendo scuole, tagliando finanziamenti, e delegando, corta qua, corta là, sempre più ai privati. Se la politica attuale non cambia, presto il Brasile, che oggi forma ingegneri ed altri quadri necessarii di grandissima professionalità, non sarà più in grado di reggersi sulle sole gambe dei proprii esperti nazionali, dovendo importare tecnici dall’estero, tanto per dipendere anche in ciò da un’altra fetta del mercato internazionale.

Classismo e mercificazione dunque, caratterizzano il sistema dell’istruzione del Brasile, ma, mi tocca a malincuore ammettere di aver notato anche alcuni effetti collaterali positivi, come quello di avere una grande disponibilità di istituti di cultura, e di varietà didattiche e culturali.

Questo regime privatistico permette di avere molti poli di ricerca, nati talora, come già ho detto, da scuole di aggiornamento e formazione per il mondo dell’industria o del commercio.

Un caso eclatante è il SENAC di San Paolo, ente di corsetti commerciali ed informatici, che ha dato vita, nel corso degli anni, a tutto il ciclo dell’istruzione, sino ad un’università che fa ricerca d’avanguardia in campo logico, informatico ed ingegneristico.

Ho potuto assistere, quasi per caso, ad un loro convegno sulle applicazioni della logica all’ingegneria, all’informatica, e alla tecnologia in generale, e debbo dire che raramente ho potuto apprezzare un livello così alto in tutte le relazioni. Tra gli organizzatori c’era Newton da Costa, il padre della Logica Paraconsistente, luminare internazionalmente apprezzato. Anche qui si è fatta sentire l’ospitalità brasiliana: saputo che sono italiano mi hanno coccolato moltissimo, regalandomi tanti libri e la richiesta di intrecciare rapporti con l’università in cui studio. Chissà se riuscirò a farmi prendere sul serio con questa faccenda in patria?

Il livello della ricerca brasiliana è in altissimo molti campi, tra cui molte branche della medicina. Il problema, è come sempre, quello di farsi prendere sul serio in sede internazionale, dove la mentalità americana tenta di filtrare i lavori ed i risultati che intacchino la sua egemonia, più per cattiva abitudine, credo, che per effettiva volontà di primato.

Questo è superggiù il sistema dell’istruzione e della ricerca in Brasile, recante la gran pecca di non emendare l’ignoranza generalizzata del proletariato, specialmente quello agricolo. Ma i proletarii ‘gnoranti talora si organizzano in movimenti, e questi pensano a far da sé. Negli insediamenti dei Sem Terra l’istruzione è una preoccupazione costante.

Dove non si riesce a farsi rispettare dai sindaci che non vogliono ammettere gli insediati come cittadini, e dunque non ne accettano i figli nelle scuole, il Movimento provvede ad organizzare classi con docenti proprii. La cosa non è facile. Il bello è che per fronteggiare i problemi derivanti dalla scarsità di risorse economiche, dalla necessità di insegnare molte cose in tempi brevi, dalla grande disomogeneità dei discenti, e dalla loro talora grande ignoranza generale, il Movimento ha cercato di formarsi una sua propria didattica ed una pedagogia che servisse alla situazione, seguendo una tradizione sviluppata in altre tendenze della sinistra brasiliana, si pensi a Paulo Freire. Non ne so molto, ma ho visto una ricca bibliografia sui problemi dell’insegnamento prodotta da "intellettuali organici" dell’MST.

Si deve insegnare diversificando i metodi e i contenuti a seconda delle necessità: basi alle scuole di base, cose raffinate nei corsi più avanzati. Tutto in tempi contenuti, per non sottrarre braccia ai lavori agricoli e alla militanza. I quadri ormai servono sempre più, in un movimento con quindici anni di storia e che comincia a gestire capitalucci ingenti, seppur sotto forma di beni e bestiame, e non di titoli. Serve gente che sappia amministrare, che tenga i conti per bene, che sappia organizzare il lavoro, che ci sappia fare coi mezzi di comunicazione, e che abbia le idee chiare sui contenuti politici.

E’ sorta per questo la Scuola Nazionale Josè de Castro, sita in Veranopolis (RS), cittadina gaucha piena di immigrati veneti di terza generazione. Qui ogni sei mesi una turma (classe) composta da elementi inviati da ogni sede statale in numero programmato, comincia un ciclo di studii nei due corsi, amministrazione di cooperative e tecniche agricole, e pedagogia del Movimento.

La scuola non è del tutto autonoma, appoggiando la sua sussistenza sulla cooperativa Iterra, che produce sementi, marmellate, dulce de leite, conserve e tante altre cose, nella quale lavorano anche, a turni fissi, gli studenti.

La didattica è tutta impostata sull’abbinamento di teoria e pratica, e sull’utilizzo ottimale del tempo. Ogni cosa che viene imparata è subito impiegata in una attività, agricola per le scienze, sociale per le arti e le lingue. Lo studente trascorre qui un periodo di settantacinque giorni, e poi torna all’insediamento d’origine per un tempo uguale, a praticare l’appreso e sperimentarne la propria saldezza d’apprendimento e l’effettiva applicabilità nella sua situazione. Questo è l’unico compito a casa che riceve. Poi torna alla scuola ad imparare altro, e così via per sei volte. Al sesto rientro, che di norma avviene alla fine del secondo anno, deve sostenere una dissertazione, che è come la nostra tesi di laurea.

La giornata comincia molto presto, come peraltro è tendenza generale delle scuole brasiliane (corsi che cominciano alle sette del mattino!). Dopo colazione si comincia, nello stesso refettorio, con un momento di discussione critica generale. Di questi ce ne sono tanti, sparsi in giro per tutta la programmazione quotidiana. Poi un gruppo va a studiare, cioè a far qualcosa che un poco assomiglia ad assistere ad una lezione, l’altro a lavorare in alcune attività formative e di servizio: cucina, lavanderia, panetteria, orto, negozio aperto al pubblico. Lavorano imparando ad organizzare e gestire.

Poi al pomeriggio i ruoli si scambiano, e che ha lavorato va a studiare, e viceversa.

Un gruppo di volontarii si occupa poi dell’asilo, che si è reso necessario per il grande numero di mamme che studiano.

Le lezioni sono una cosa diversa da ciò che intendiamo di solito con questo vocabolo: sono molto partecipative. Gli insegnanti provengono dallo stesso movimento, o sono professori simpatizzanti assunti. Tutto avviene sfruttando al massimo i tempi, ma curando molto l’assimilazione dei contenuti. Ho assistito ad una lezione di spagnolo in cui, dopo brevi cenni grammaticali, subito veniva proposto un testo, che era uno scritto di Che Guevara. L’entusiasmo e la motivazione facevan sì che la classe si impegnasse moltissimo. Poi seguiva una scheda biografica dell’eroe, e la visione di un documentario di alcuni compagni cubani sul ritrovamento dei suoi resti. Due ore filate di grande attenzione, interrotte solo da grida di lotta che qualcuno della classe lanciava all’improvviso.

Non si pensi però ad un consesso di invasati da infojo sinistrorso: l’atmosfera era come sempre molto rilassata. Su quasi tutti i banchi c’erano le cuias per fare il chimarrão, mania che i Gauchi avevano diffuso anche tra i ragazzi venuti da fuori. Dopo la lezione saltò fuori una chitarra, e tutti presero a ballare. Poi la professoressa, una compagna paraguaiana immigrata, ha chiamato ad un momento di raccoglimento, e con toni sommessi ha invitato la classe ad una sorta di meditazione. Non ne ho ben compreso il significato, ma ha avuto un certo effetto rilassante su tutti.

Poi un compitino da fare nella pausetta prima del pranzo: rispondere per iscritto in spagnolo alla domanda: "perché la figura del Che è importante per te, e che cosa ti comunica la tua esperienza". Del temino fare poi un oggetto ornamentale, un cartellone od un collage, da affiggere in uno dei saloni.

Prima del pranzo si svolgono riunioni rapide di commissioni che si occupano di animare le serate: capoeira, teatro, musica, persino poesia e scacchi. Ora il gingillo nuovo è la radio, che è in un sottoscala e serve più che altro alle comunicazioni interne.

La scuola è un ex seminario molto grande che un ordine religioso ha dato al Movimento. Ospita circa duecento persone, anche se la sua capacità sarebbe maggiore. Ci sono aule, laboratorii varii, cucine, sale di proiezione, saloni grandi da feste musicali, e fuori capannoni e due ettari di terreno in cui si coltivano ortalizii.

Alle sei finiscono i corsi, ed i turni di lavoro, tranne per chi cucina. Si mangia e poi, subito, ci si tuffa nelle attività serali, che di norma consistono in festone a base di forrò, rappresentazioni teatrali (comiche, ma anche di rievocazione epica delle battaglie dei lavoratori di tutto il mondo), tornei di sport e scacchi, e cose del genere. Alcune pause sono dedicate alla critica dell’andamento della scuola, delle lezioni, della produzione e dei servizii, di questo e di quello. C’è anche un corso serale di lettura critica dei giornali e visione del telegiornale, in una sala in cui c’è il televisore. Molto bello, sarebbe utile anche nei nostri seminarii di studio.

Nelle serate c’è sempre un microfono aperto per chi vuole recitare poesie. La produzione artistica è incentivata e promossa in ogni forma, specialmente quella poetica. Anche questa è militanza, testimonia la vita interiore dei compagni. Che differenza con i nostri grigi e serii funzionarii di partito, che sono chiusi come cozze.

Il giorno è tutto pieno di cose da fare ed imparare, senza ozii nè tregua. E’ un ritmo che per me, ad esempio, sarebbe un po’ rapido, ma pare che dia ottimi risultati. Moltissime sono le occasioni di divertimento e di espressione creativa.

Gli studenti sono gente che ha occupato una fazenda, con barracos de lona preta; i più hanno patito la fame e i disagi della lotta, quando non i guai del lavoro precario della campagna o della strada metropolitana prima della militanza. I più fortunati, nati negli insediamenti, solo son passati per le rudi fasi iniziali della loro fondazione. Hanno volti segnati, ma anche tanto entusiasmo.

Ogni cosa bella è per loro bellissima, ogni servizio che la scuola offre è un’opportunità ed una conquista. Tutto qui è pervaso da questo senso di impegno, pur nella forma benigna e festosa di questa cultura. Studiano con avidità, interpretando a loro modo ogni contenuto, e poi lo ripresentano nelle attività ludiche, fieri della conquista intellettuale. Organizzano attività creative in cui possono esprimersi ed avere ciascuno un momento di partecipazione diretta. Anche questa è una cosa stupenda per chi ha avuto nella sua vita rare occasioni di protagonismo. Ballano il forrô nel salone, al suono del collettivo di musica, tutti tirati a lucido, e questo per loro è una meraviglia. E realmente anche a me appaiono meravigliosi.

L’alienazione nelle città è simile alla nostra; quella delle campagne è meno psicologica e ha più a che fare con le conseguenze sociali di fatti economici: significa esser considerati esclusivamente in quanto forza lavoro, peggio che i bovi. I Sem Terra si ribellano a questo spezzettamento della persona umana, a svilire essa e la natura a mero strumento. E strumento del lucro altrui. Sono per la sintesi, vogliono costruire una umanità nuova di persone complete e consce, liberate dalle pastoie dell’ignoranza e dai pregiudizii che il capitale ci inculca nella zucca fin da cinni. Contro tutto questo si lotta e si produce in proprio, e si costruiscono mezzi di sussistenza alternativi a quelli dello sfruttamento capitalistico, certo, ma anche si poeta e si crea, si prende il pennello in mano, si agita il microfono nelle feste e nelle manifestazioni, si agguanta la telecamera e si gira il che si può, e poi ci si rinchiude nello stanzino del montaggio. Si impara ad usare di tutto e a lambiccare con tutto, per creare in ogni forma artistica e comunicativa. E’ roba che può esser utile al Movimento e che è altamente formativa per il singolo militante, che esce dal mutismo contadino ed acquista la sicurezza che viene svegliata dalla produzione personale.

Inoltre si discute sempre, su tutto, e ci si fa un’opinione, si acquisiscono argomenti, si impara anche a litigare in modo civile e costruttivo, cosa importante perché tanti vengono dalla strada e dalla clava (e peraltro cose del genere farebbero bene anche a tanti rinoceronti che conosco, che non vengono da situazioni sociali di degrado e violenza, ma che non sanno confrontarsi con chi non sia sulle loro posizioni. Si formano militanti, nel pieno senso della parola formare, ed anche della parola militante: esce di là un individuo che sa fare tante cose e che sa parlare con la gente di che cos’è il Movimento, del suo funzionamento, dei suoi scopi e del suo metodo. Coscienza.

Tutta la scuola è governata collegialmente da insegnanti, impiegati e studenti, e dipende economicamente dalla sola Iterra.

I rapporti con l’esterno sono pochi, e non son tante le occasioni che spingono gli studenti ad uscire, benché naturalmente, a parte negli orarii di studio e lavoro, ne abbiano il pieno diritto. Ma a che pro andare in qualche barettino triste quando nel salone del primo piano della scuola impazza il forrô più scatenato, magari foriero di nuovi rapporti sociosentimentali? E come perdersi la rievocazione storica di questa o quell’epopea di liberazione da parte del gruppo di teatro, che fa sentire il militante del Movimento come protagonista di un processo lungo e positivo? Insomma, lasciateli perdere che c’hanno da fare.

Gli studenti hanno età varie, dai sedici anni in su. Il titolo che ricevono è parificato con quello di una scuola di secondo grado, con cui la scuola è in "parceria". Hanno cercato per tutta la regione, ed infine hanno trovato una scuola statale con un preside compagno, che ha organizzato un malippo amministrativo, per cui la Josué de Castro risulta come una succursale, o giù di lì. Questo ha dato loro il diritto di rilasciare diplomi veri e proprii, legalmente validi, e credo anche di ricevere qualche soldino ogni tanto dal governo. Bene, così si fa. Il prezzo da pagare è consistito nelle periodiche ispezioni ministeriali e nell’obbligo di apertura serale di una parte della struttura per corsi serali di alfabetizzazione per adulti. Ciò è stato realizzato molto bene: alla sera arrivano altri professori, che la scuola paga in proprio, e concittadini bisognosi di una licenza di primo grado, e anche loro usano le sale e i laboratorii. Buono per la scuola , che così ha ulteriori occasioni per farsi apprezzare dal paese.

Mi son fatto l’idea che il paese abbia bene accettato i suoi ospiti, che vendono dolcetti e sciroppi, contribuendo allo sviluppo. I pregiudizii che i media tentano di inculcare nella gente, qui sono in discussione. Del resto siamo nel sud, dove il livello culturale generale è più alto, e le persone più informate.

Mi hanno trattato benissimo, mostrandomi tutto e spiegando ciò che ho qui relato, poi a sera mi hanno regalato un vasetto di marmellata di loro produzione ed una poesia che riporto:

    "...germinaremos até o dia em que não
    mais existirem as enxadas e
    foices amaldiçoadas da dominação,
    amenaçando os rebentos daterra.
    Neste dia ela suspirarà aliviada
    E imediatamente acontecerà o parto.
    Comeremos, brindaremos,
    Dançaremos ao som das nossas gaitas e violő
    es!
    Cantaremos com a voz do coração!
    Porque os nossos olhos, cheios de ternura,
    Poderão ver, enfim, a semente-missão
    Transformada em colheita!"

    Reforma Agrária
    Por um Brasil sem Latifundio
    Escola Josué de Castro 09/09/00
    TAC-VI MAG-VII

Deve essere una citazione, ma non so da cosa. TAC significa Tecnica de Administração de Cooperativas, MAG deve esser l’altro corso, ma l’acrostico mi è ignoto. Magisterio...

Confesso che in quella mi sono commosso, lì davanti agli studenti, col foglietto colorato in mano, e ho farfugliato qualche ringraziamento, per quanto il groppo in gola e il portunhol italianizado mi hanno concesso. Poi un po’ di forrô ha sciolto ogni imbarazzo.

Nel Pontal visitai la scuola quadri regionale dell’insediamento São Bento, che mira a svilupparsi in modo simile. Il regime è più o meno lo stesso, cambiando solo gli oggetti e le attività dell’autogestione. Altre scuole sorgeranno presto in tanti insediamenti.

E’ in costruzione anche la scuola agricola Florestan Fernandez, nei pressi di S. Paolo, che ospiterà 400 studenti per turno. Sarà una scuola nazionale la Josè de Castro, nel senso che gli studenti verranno un po’ da tutto il paese a farsi formare tecnica e politicamente.

Già ora, mentre nasce, svolge una funzione formativa: i costruttori sono volontarii del Movimento, che giungono ignari delle tecniche edilizie, e che le apprendono per poi tornare ad applicarle negli insediamenti d’origine, dopo un turno di lavoro. Il criterio base di tutta l’opera è l’autoproduzione, con l’obbiettivo di limitare la dipendenza dalle aziende esterne, anche per i materiali: la progettista, un’architetta brasilo-israeliana ha fatto ricorso a tecniche semplici e riproducibili nella maggior parte delle situazioni in cui vive un insediato. Le macchine impiegate sono quasi tutte manuali e di basso costo, persino i mattoni sono fatti in casa, con una pressa manuale ed un forno, con metodologia sperimentale studiata da lei in collaborazione con l’università di Nanterre, a Parigi. In tale impresa ci son di mezzo anche alcuni ingegneri spagnoli che hanno trovato un sistema per scucire dei soldi alla cooperazione europea.

Scuole ed organizzazioni come queste possono essere facilmente coinvolte in collaborazioni internazionali, ed è un settore in cui i compagni interessati possono trovare molto spazio, se imparano a mafiare come si conviene tra ministeri e OO. NN. GG..

Ne vale la pena.

Vien su bella, con l’orto, la lavanderia, due dormitorii, un campo da calcio, spazii ricreativi, l’edificio delle aule e dei laboratorii, che avrà anche un grande terrazzo quadrato.

Bene, penso di aver descritto tutto ciò che ho visto e mi è capitato in questo viaggio, pur con le omertà

del caso. Ora è forse bene che mi interroghi un poco su cosa questa esperienza mi ha dato e cosa penso di farne.

Da un punto di vista personale debbo dire che si tratta di una esperienza fondamentale, che divide la mia vita in due tronconi: ante iter in Brasilem e post iter in Brasilem.

Le cose principali sono due consapevolezze, due modi di sentire ed analizzare che espongo prontamente:

1) Innanzi tutto mi sono chiarito bene in testa una cosa: viste le realizzazioni del proletariato organizzato, toccati con queste mani i monumenti costruiti dai Sem Terra nei quindici anni della loro esistenza e lotta, comprese le possibilità reali di una organizzazione rivoluzionaria (chè di questo si tratta, con buona pace dei compagni congiuntivistizzazionizzanti e bombaroli, che si sentono più a sinistra), considerato tutto questo ho elaborato un odio profondo per i borghesi, soprattutto quelli travestiti da sinistrorsi.

Che spidiéssino o cigiéllino, che si sentano i salvatori della patria e della classe perchè sono lotofagi da quando avevan dodici anni, o perché pankabbestiano e non si lavano, comunque un giorno saranno tutti giudicati per le loro opere, e non per le loro barbe, e allora si comprenderà che molti sepolcri imbiancati, anzi arrossati, hanno solo perpetuato il famoso Pensiero Unico, che altro non è che l’abbandono di ogni speranza e l’omologazione alla perduta gente. Questo non si può, quello non serve più, dobbiamo elaborare nuove prassi e rinunciare ad utopie di cambiamento generale, per limitarci a migliorare le nostre condizioni in lotte di resistenza: balle, menzogne, bugie ed inganni! L’attività ed i risultati dell’MST lo dimostrano. Le battaglie d’attacco sono possibili e necessarie, specialmente quelle più radicali e profonde. Occupare una banca per chiedere finanziamenti, mandare i bambini a fare altrettanto col provveditorato agli studii, osare!

2) Un’altra cosa che ho compreso è il valore della disciplina, della coerenza ideologica e dell’unione, senza le quali il potere ci leva il terreno sotto i piedi perché non riusciamo a metterci d’accordo i quattro gatti che siamo, o perchè non riusciamo ad organizzarci a modo per più di un quarto d’ora. Il potere sa come trattare movimenti non coesi e senza le idee chiare. Ripensando alle mie esperienze politiche mi rendo conto di come quasi tutte le organizzazioni di cui ho fatto parte si siano disperse o si siano trasformate in cose molto più domestiche, da rivoluzionarie che volevano essere. Credo sia un fatto generale: quasi tutto è caduco (collettivi, movimenti, comitati, organizzazioni) e passa rapido come la fiammella che mostrano ai papi quando li incoronano, e ciò che non passa si istituzionalizza (sindacati grandi e piccoli, associazioni, partiti), cioè vende culo ed anima ad interessi ignobili, talora mascherati e talora no. Mancano in generale la costanza e la coerenza che invece caratterizza molte organizzazioni di lotta nel mondo, la forza che non si lascia spegnere né corrompere che tiene su l’MST.

Un’osservazione generale devo poi fare sul Brasile e sulla sua cultura, onde tentare di dissipare alcuni luoghi comuni piuttosto diffusi. Pensando a quel paese, a causa della tradizione propagandistica delle agenzie di viaggi e degli enti turistici, si affacciano prontamente alla mente della gente comune, e di parte della gente compagna, immagini di feste di massa, di divertimenti, di carnevali, e soprattutto di donne bellissime e lascive. Venite in Brasile: vi divertirete e tromberete sicuro con delle gran gnocche: a questo si riduce più o meno il messaggio.

I Brasiliani lo sanno e giustamente, quelli che non vendono dolcetti ai turisti, ci si incazzano parecchio, e credo che abbiano anche ragione: ci sono effettivamente grandi momenti festosi nella vita di ogni città o comunità brasiliana, ma è chiaro che la normalità è ben diversa, e si riempie più di orarii stretti e tante ore di lavoro, talora durissimo, nei campi, nelle fabbriche o negli uffici. Sarebbe interessante, se ce ne fossero i mezzi, fare un’indagine sull’effettivo carico di lavoro, in termini di monte ore e di energie profuse dal lavoratore statistico medio. Indagine impossibile per la assenza di enti ufficiali che si interpongano tra lavoratore ed il suo datore in quel gran calderone che è il lavoro sommerso ed abusivo, che è piaga diffusissima.

Ecco cosa trova uno che vada in Brasile: gente che suda parecchio, ma non perché espone le trippe ai raggi del sole su spiagge esotiche al suono dei tamburi ciucciando noci di cocco, bensì svolgendo lavori pesi con orarii massacranti e grossi rischi per la salute, senza contare i salarii che in tanti casi sono da fame. Case in cui le condizioni igieniche sono un delirio; servizii quasi tutti a pagamento, spesso inefficienti; strade asfaltate alla boja, anche se collegano centri importanti; mancanza di fognature; politiche predatorie, ecco tante belle cosette che caratterizzano molte delle situazioni di questo paese, nel quali molti turisti vengono solo per mangiare tartine su prati tagliati all’inglese. Il gran turismo non vuole vedere favelas.

Poi è anche vero che è un popolo che ha una grande forza d’animo, e che riesce a far festa con poco, pochissimo, e anche in situazioni disperate. Sono tante le occasioni di allegria, ed in complesso si tratta di una cultura molto gioiosa, in cui è fondamentale ballare in ogni momento bello. Si balla in chiesa, si balla al Congresso dell’MST, si balla alle feste, si balla quando ci si ritrova tra amici, si balla per un nonnulla, basta una radio che faccia una musichina stuzzicosa nel momento giusto, e si scherza, e chi ci sa fare suona.

E inoltre non si fa esibizione delle proprie sofferenze: non che le si nasconda, ma se ne parla solo lo stretto indispensabile, mancando del tutto quella forma di narcisismo che spinge tanti a lamentarsi teatralmente. Io per esempio sono un grande ipocondriaco, e dalla mia cultura ho preso l’impulso a far condividere agli altri i miei casini onde alleviarli. Il brasiliano invece, generalizzo le mie asistematiche osservazioni sul campo, reagisce diversamente, con meccanismi che credo essere di rimozione.

Ad esempio, non si parla spesso dei morti, che sono invece l’argomento favorito di molte nostre vecchine. Questo riguarda anche i morti carissimi e vicinissimi, persino i figli e i fratelli.

Né ci si attarda raccontando le sciagure della propria vita, con le quali noi italiani in genere amiamo gingillarci, informando tutti quelli che conosciamo che nei primi anni ottanta ci siamo rotti un ginocchio che ci ha procurato gran male, come se fosse un grande merito.

Chiesi ad una compagna che sapevo aver patito la fame, cose ricordava di quel periodo, e lei mi disse che non amava pensarci, che erano cose vecchie e che non aveva senso ripescarle fuori. Ho fatto il guastafeste, ma, assicuro, avevo parlato col massimo tatto, e son certo che con stimolazioni ben più lievi molti miei connazionali, che hanno passato guai minori, li avrebbero riversati sugli presenti in trionfale teoria.

Se ho ben capito il sentire diffuso, solo se si parla di martiri di qualche lotta o di testimonianze tragiche utili alla situazione presente si può cominciare a parlare di mali e di sfighe occorse a qualcuno, e comunque la faccia seria deve durar poco.

Anche questo sembra un fatto generale, lo sguardo della gente sembra generalmente lieto. Si incontrano, certo, facce tristi, o gente che piange, ma la mia ipotesi è che se uno non ha motivi particolari per stare ingrugnato, fa una faccia contenta o sorridente. Questo non è ovvio, e non è tipico di ogni cultura. Ad esempio in Sicilia, vale in genere il principio opposto, cioè che se uno non ha motivi particolari per fare la faccia allegra, si ingrugna od emette espressioni che ne sottolineino la neutralità più indifferente o la sua strettissima osservanza delle regole della convivenza civile.

E anche questo ha sue radici storiche ben determinabili dall’antropologo volenteroso, non sono solo luoghi comuni, pur abbondando le eccezioni. Sarebbe interessante confrontare due autobus, o due clientele di supermercato, una di S. Paolo, la più indaffarata, e produttiva delle città brasiliane, e una di Milano, o di Roma, o di Palermo: emergerebbe una maggioranza di sorridenze in S. Paolo, credo con grande stacco.

E’ anche più facile attaccare bottone con gente che non si conosce ed entrare in confidenza. Benché si faccia gran parlare della criminalità e della violenza che imperversa nelle strade, la gente non sembra aver la paura istintiva che mostrano tanti di noi, io per primo, che giro con volto sempre corrucciato ad intimorire l’eventuale aggressore.

Dunque in autobus, nel metrò, per la strada, al supermercato, dal panettiere si può fare facilmente amicizia con qualcuno, magari per averlo guardato casualmente, od aver sbirciato il titolo del libro che ha tra le mani. Questo vale anche per le ragazzine, che raramente reagiscono male alla tentata chiacchiera, mentre in casi del genere qui non è infrequente esser trattati da nibelungo sbavante se si chiede che ore sono. C’è meno paura di farsi intortare, o di incontrare gente malintenzionata, o semplicemente c’è voglia di comunicare con chi non si conosce, se ha un’apparenza di disponibilità.

C’è molta gentilezza, od almeno c’è stata per me, straniero, anche da parte di impiegati di sportello, funzionarii di banche, esercenti in generale, persino se li consultavo su cose non del tutto di loro competenza, e con la mia parlata balbettante e maccheronica. Il picco credo di averlo registrato in un agente di commercio cui abbiamo chiesto un passaggio, io ed Alessandra, tra Teodoro Sampaio e presidente Prudente, che ci ha caricati in una stazione di servizio, e poi ci ha invitati a cena, ci ha presentato la sua famiglia, ci ha offerto della cachaça "di quella buona", e poi ci ha portati alla Rodoviaria, che dovevamo raggiungere. Cito lui perché non era nemmeno un compagno: non c’è il sospetto che la sua buona disposizione fosse originata da sentimenti di solidarietà ideologica. I Sem Terra gli stavano pure sul cazzo, avendo egli perso un familiare che faceva il guardione privato di un fazendero in uno scontro a fuoco, durante una occupazione di terre, non so come e da chi organizzata. Nè era un nostro amico, od un amico di nostri conoscenti: agiva per pura bontà d’animo, o forse per curiosità di conoscerci, accettando il rischio di far salire in macchina sconosciuti, e poi sbottonandosi in chiacchiere su cose anche personali. Son cose belle, e penso rare al mondo.

Dell’ospitalità ho già detto, ma essa si spinge a livelli tali che ogni descrizione risulta lacunosa. Ho avuto le chiavi, o saputo come entrare e uscire liberamente dalla maggior parte delle case in cui sono stato ospitato. Mi hanno prestato macchine ed affidato cose costose. Mi hanno accordato una fiducia da persona intima, talora pur conoscendomi poco. Alcuni mi hanno detto dove tenevano il denaro, e come fare per prenderlo. Mi hanno offerto tantissimo, specialmente da mangiare, e quando facevo complimenti, o rifiutavo per saturazione, si preoccupavano, o mi prendevano in giro. Mi hanno portato a spasso per molti chilometri mostrandomi ogni cosa, impegnandosi per quanto più potevano perché il mio viaggio fosse più utile, interessante, bello e comodo possibile.

E tutto questo l’han fatto tutti, dalla parrocchia di Nossa Senhora das Graças, a Luiz Carlos, da Serginho, a Berenice, dai compagni del Congresso, alle compagne di Sorocaba, dai compagni di Rio Grande do Sul, e di S. Paolo, a tutti quelli che ci hanno ricevuto e trattato così bene, me ed Alessandra, negli insediamenti e nelle cooperative del Pontal do Paranàpanema, di Itapeva e dei dintorni di Curitiba. Persino professori e studiosi, e addirittura matematici, hanno trasgredito la consueta sufficienza con cui gli intellettuali trattano la gente, e mi hanno invitato a pranzi ed offerto loro opere, chiedendomi di restare in contatto. E poi tanti altri, che ho avuto modo di frequentare meno, ma che mi hanno fatto sentire, non solo a casa, ma anche apprezzato e desiderato; tristi quando me ne dovevo andare.

Come potrò mai ringraziarli tutti, e per tanto che han fatto? Perché son cose che si apprezzano, e fanno il loro effetto su uno che in fin dei conti si aggira per un paese straniero, in cui ha paura di non intendersi con nessuno. Provano in tanti a fare sentire una persona a suo agio, tra amici. Gente ospitale ed affettuosa.

C’è molto calore umano, ci si interessa della situazione delle persone, si chiacchiera, si dedica tempo a scambiarsi idee ed impressioni, si sente e si comunica molto con l’animaccia e con le viscere, e ci si abbraccia, ci si palpa, si scherza. E’ una cultura latina e di coração. Certo, ci sono eccezioni, ma la mia osservazione, ripeto: asistematica e priva di riferimenti a grandezze misurabili, è questa.

Dunque l’europeo che capiti lì, e che non si vada a documentare sulla situazione, o non si informi delle condizioni di vita di chi gli sta intorno, potrebbe effettivamente credere in questo mito del paese del sogno, pur dovendolo forzatamente adattare ad un mondo postindustriale, e vedendo le case e le strade.

Alcuni comuni, come la borghesissima Curitiba, in cui governa il sindaco destrissimo Cassio Tameguchi, amico dell’ancor più destro governatore statale Jaime Lerner, riescono a nascondere piuttosto bene all’occhio del residente, votante e contribuente, le sacche di miseria che pure ci sono, figuriamoci se non fregano il turista.

Però almeno stupirsi degli orarii di inizio e fine in molti luoghi di lavoro e studio uno potrebbe. Vorranno dire qualcosa.

Veniamo poi alle proverbiali donnine brasiliane che il mito pretenderebbe affamate di incontri ed avventure con l’europeo di passo, per quanto sgangherato ed inibente questi possa essere. Questa penso si possa definire semplicemente una bufala od al più un equivoco, rimasuglio dell’ideale dell’America coma paradiso sessuale. Dura da cinque secoli questa storia del paese del sogno, e tale sogno viene rappresentato come grande disponibilità di ciò che per la zucca dell’europeo conta di più, a seconda delle fasi storiche, con una certa continuità delle donne belle e lascive, almeno rispetto a oro, argento, zucchero e caffè, oggi rimpiazzati nella quotazione dei desiderii dei colonialisti, dalla mano d’opera semischiavile.

Penso poi che, a confermare quest’idea ci si sia messa anche la propaganda turistica. Il Brasile ha una grande tradizione di turismo internazionale, molto antica. So per certo che il governo vi si impegnò molto prima della guerra, e penso sia allora che il pregiudizio sia giunto informa storica: forse in quell’epoca era vero che le donne brasiliane erano più libere delle incupunatissime omologhe europee, che vivevano una fase di grande repressione, con alterne vicende. Credo però che la successiva liberazione dei costumi abbia portato le donne e gli uomini d’Europa ampliamente al livello, e che ora le differenze siano da cercare in altri campi.

Le cose, per quel che ho vissuto io, sono molto più simili a quelli che sono gli standard ormai quasi mondiali, per la delusione dei tanti personaggi unti, dal volto suino, che partono dall’Europa per cercare culi e seni d’alta qualità con poco sforzo. Eh cari, se non avete qualche motivo per cui una donna potrebbe interessarsi a voi, se non vi comportate a modo, o se non siete esperti intortatori, finirete per incontrare più che altro prostitute, come ovunque. Ci sono effettivamente ragazze bellissime, e ci sono situazioni che spingono alla prostituzione una fetta della popolazione femminile, e non solo: tutte le città di una certa grandezza hanno anche un vasto campionario di trans, prostituti omosessuali, c’è un po’ di tutto, neanche fossimo a Bologna.

A qualcuno la cosa può anche interessare, se giudica che valga la pena farsi undici ore d’aereo per andare a far ciò che comodamente si può fare in tutte le città italiane. La differenza sarebbe nel fatto che in Brasile, la prostituzione, se ho ben capito, è legale. Ma è una sottilezza, dato che in Italia è ampliamente tollerata.

Se si ha alla portata una donna consenziente in Brasile si può andare in un motel, che è una cosa diversa dai nostri: è uno scopatoio istituzionalizzato, un trappolo, un luogo specifico dedicato al trombaggio. Tutto sommato fin qui è una santa istituzione, considerata la crisi degli alloggi che c’è in tutte le città ed i problemi che ne derivano per le coppie.

Ma se non si ha una donna disponibile, allora in certi casi la direzione dell’albergo può offrire il suo aiuto, presentando al cliente alcune ragazze da ingaggiare e portar in camera. L’unico vincolo è che non si può rimanervi più di quattro ore, per non incorrere in ciò che per la legge è reato, immoralità, e schifezza. Ma fino a tre ore e cinquantanove si è solo i rispettabili ed onesti contraenti di un legittimo contratto commerciale, come una massaia che compri patate.

Sul motel mi permetto di apologarvi il seguente aneddoto: stavo rientrando in Osasco con Pa Zé al calar della sera, guidando sullo stradone, ed egli mi disse che le lucette delle insegne che per gran tempo ci avevano accompagnato erano motel. Io ero del tutto ignaro del significato di quella parola, e pensavo ingenuamente che fossero solo alberghi sempre aperti. Incuriosito dall’osservazione (Pa Zè non è uomo da dire cose banali), chiesi lumi e lui mi spiegò come stanno le cose. Poi mi raccontò di un suo amico, anch’egli prete, che andando a fare benzina in un automatico deserto, che per ventura era vicino ad un motel, fu abbordato da un giovane, che, col volto disperato, lo pregava di dargli del denaro: "sono stato qui al motel con la mia ragazza, e ora che devo pagare ho scoperto che mi mancano cinque reais, senza i quali non mi ridanno la macchina. tra l’altro sto facendo anche una gran figura di merda con lei." Il religioso, impietositosi, tirò fuori una banconota da dieci reais, il più piccolo taglio che aveva in tasca, e la diede al giovane. "come posso rintracciarti per restituirtele?" chiese quello, calmatosi. "Dalle ad un povero, quando ne incontri uno, e boa sorte." E ingranata la marcia se ne andò, lasciando il giovane più fiducioso sulla vita e più ottimista in generale. Commentò poi che aveva fatto il suo dovere di sacerdote e di cristiano, alleviando con poco sfprzo una grande sofferenza, ed impartendo una lezione positiva. Pensava, mi testimoniò Pa Zè, che non ci fosse angustia più grande per un uomo, che sfigurare in quel modo di fronte alla ragazza.

Ho raccontato questa storia per illustrare come, secondo me, qui in Brasile i varii Seneca, S. Paolo, e tutti i repressori che ci infestano la testa, a noi educati nel dettato, o col problema, di Santa Romana Chiesa, abbiano fatto meno danni che da qui, creando meno sessuofobia. L’esistenza della sessualità e di altri moti dell’animo e della persona tutta sono registrate ed accettate, persino da chi in genere in Italia le ignora per sé e le reprime negli altri.

L’osservazione di Pa Zè era una cosa scherzosa, detta senza alcuna gravità, più da sociologo che da prete. Sulla sessualità i preti brasiliani hanno un comportamento molto diverso dalla rimozione completa che fanno i nostri. Ci scherzano, sono persone normali, ridono delle barzellette, guardano la tivù, sono sensibili alla bellezza o alla dolcezza e non fanno finta di non vedere e non sentire. Soprattutto non ostentano la santità: quel che fanno o non fanno delle loro minchie è affar loro intimo ed esclusivo, e non temono le chiacchiere. Capita che ospitino donne, o che si trovino da soli con esse, ciò che è espressamente vietato a molti religiosi europei, ma ciò non va sui giornali, nessuno pensa male, o se pensa male sono problemi suoi.

E così è in generale: c’è meno repressione sessuale che da noi, e si finge meno di non vedere e non capire. C’è inoltre, come ho già detto, più calore umano, e più dolcezza diffusa, nelle persone e nei gesti. E’ più facile, in queste condizioni culturali, manifestare il proprio interesse per una persona, fa meno paura.

Ci sono inoltre nella lingua e nel costume moltissimi modi per comunicare apprezzamento per gli altri, e dunque si ha a disposizione una gamma vastissima di scelte espressive, dalla amicizia fredda e lontana (caso infrequente) all’amicizia della vita, dall’intimità superficiale alla condivisione piena, dall’affetto alla passione, dall’interesse caduco all’amore eterno. Con tale armamentario linguistico, per chi lo padroneggia bene, ci si aiuta molto nell’impresa di gestire il proprio mondo affettivo.

Le donne che ho incontrato e conosciuto sono persone interessantissime e dolcissime. Molte benché giovani sono già sposate, alcune con figli, poche in situazioni di separazione. Si sposano presto, e figliano. Fanno poi bene: i figli bisognerebbe farli da giovani. Il problema è che da giovani pochi sono nelle condizioni economiche per farlo. Anche qui è così, anche se si comincia a lavorare più presto, ma evidentemente c’è anche molta fiducia nell’avvenire.

Non è neanche da dire che si conti sulla coesione del gruppo familiare che aiuti la mammina: gran parte delle famiglia hanno subito varii processi di sbrindellamento, causati dalle più diverse necessità economiche. Gli asili sono privati e cari, tranne quelli delle opere pie, come quello di Padre Naveen. Insomma, per fare figli, anche solo per l’aspetto economico, ci vuole fegato, ma il paese è pieno di mammine.

Ci sono poi le compagne: gente serissima che lotta fieramente, donne che fanno cose grandiose, con impegno, dedizione, e risultati cui raramente ho visto arrivare. Organizzano tante cose, hanno tante iniziative. Donne coi maroni, come si diceva una volta, per fare incazzare le femministe.

E poi c’è di tutto, ogni tipo di carattere e di problema, come da noi. Solo, data la grande disponibilità di razze e culture, che è la maggior ricchezza di questo popolo, si incontra più varietà di fisionomie ed atteggiamenti. Di conseguenza il rispetto verso una condotta diversa dalla propria e l’accettazione o l’apprezzamento verso un tipo fisico diverso da quello cui si è abituati, sono cose più diffuse, più normali che da noi.

Nel complesso, a chi mi chiede delle famose donne brasiliane, dirò che più che lascive le ho trovate dolci, capaci di capire ed apprezzare molte cose, e, le compagne e le lavoratrici, piene di coraggio e forza d’animo.

Ora all’interno dell’MST è attivo un collettivo nazionale di genere, che si occupa della questione femminile. Il maschilismo è purtroppo diffuso, ed ha conseguenze concrete sulla vita delle donne. Mi è parso di capire che sono tante le ragazze che vedono nel matrimonio una tappa fondamentale della loro vita, come se dovessero con questo rito giustificare la loro presenza. E’ un sentire diffuso tra le ragazze, e ha per effetto che vivano con la paura di non trovare un uomo che se le sposi, la ricerca del quale può diventare una paranoia. E’ una cosa molto comune anche in Italia, che va scomparendo con la presa di coscienza del valore di ogni persona, indipendentemente dallo stato civile.

Una differenza di questo collettivo di genere rispetto a quelli cui purtroppo ci hanno abituati anni di femminismo radicale delirante, è che esso è aperto agli uomini: si parte dalla consapevolezza che i problemi non riguardano solo la donna, anche se è nei fatti lei ad essere macroscopicamente più colpita. Sono problemi di tutti, che riguardano un settore importante di tutta la comunità, e che solo con cambiamenti radicali nel suo complesso possono essere risolti. Non so molto altro sull’attività di questo collettivo, ma conosco compagni e compagne che ne fanno parte, e sarò presto informato delle cose più grosse.

La condizione della donna in Brasile sarebbe da studiare bene: non può abortire legalmente, né esiste un movimento che non sia di origine intellettuale in questo senso, però può usare una cosa che non sono riuscito a vedere, di cui ho solo avuto notizia, e che si chiama preservativo femminile. Credo che sia discriminata sul lavoro, e in esso presentissima a molti livelli. Sarebbe bello sapere quante dirigenti sono in carica in questo periodo, ed in quali mansioni non sono presenti donne. Lavoro da tecnici, che lascio a chi ne avrà voglia e capacità.

Io concludo questa ultima mia su questo viaggio che mi ha dato tanto elencando alcuni buoni propositi con cui intendo mantenere continuità con le iniziative prese là.

Per prima cosa sarebbe necessario creare un gruppo di compagni, anche piccolino, che si occupi quasi solo di queste cose, ma in modo costante. Esso sarebbe il nucleo del nascendo Comitato bolognese di appoggio.

Penso nel primo periodo di appoggiarmi molto ai compagni di Roma e a Yabasta del Veneto.

Le prime iniziative le dedicherei alla contronformazione, ed in seguito svilupperei la ricerca di soldi e le manifestazioni pubbliche contro i simboli del potere statale brasiliano (ambasciate, consolati...), e contro i monopolisti che opprimono il paese cui possiamo arrivare: ho in mente Polenghi e Parmalat, nonché naturalmente FIAT.

Con i soldini raccolti c’è sempre da provvedere ai bisogni dei prigionieri politici, che con l’inevitabile inasprirsi della lotta sono destinati ad aumentare.

Sarebbe però bello riuscire a finanziare i progetti di biblioteche in Minas e nella Lapa (Curitiba) di cui abbiamo avuto notizia, nonchè il famoso vivaio di cui mi ha parlato Josè Rainha.

C’è poi anche il centro di lotta e prevenzione dell’AIDS della gente di strada di S. Paolo di Padre Naveen che ha progetti ambiziosissimi, per cui servono tanti bei dollaroni.

Bè, c’è poi un bel po’ di roba da fare. Questo viaggio mi ha dato tanto, e mi darà ancora tanti grattacapi.

E spero che avrà strascichi soddisfacenti.

La verità è che credo nel Brasile, nel suo proletariato organizzato e forte, e lavorando con l’MST ho la sensazione di stare partecipando sul serio alla famosa costruzione di un mondo nuovo, che mi ero aspettato da molte altre esperienze politiche europee, che mi hanno poi puntualmente deluso, facendosi ricondurre all’ovile della soggezione al pensiero capitalista. L’ultima è stata Rifondazione Comunista.

Ecco perché il mio viaggio continuerà, avrà strascichi e fratelli nel futuro prossimo.

Infine mi si permetta una nota intimista: questo viaggio mi ha portato ad incontrare Jeanine, la donna che amo e con cui, benché viva ad undici ore d’aereo e sei di autobus di distanza, vorrei portare avanti il resto della mia esistenza e riprodurmi, se accetterà di convertirsi all’alimentazione farinacea.

Bene, saluto tutti, scusandomi se vi ho tediato. Spero che le mie testimonianze siano servite a qualcuno per farsi un'idea di cose che per me era difficile concepire, ma che io ho visto nella realtà. Ora studieremo come intervenire.

Buon proseguimento e buon lavoro a tutti.

GIOVANNI