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Grozny bombardata Missione di Pace 18 maggio - 3 giugno 2000

Dossier Cecenia

a cura di Carlo Gubitosa - Associazione PeaceLink

Disponibile anche la versione completa stampabile (solo testo)


AGGIORNAMENTI NOVEMBRE 2003:

L'associazione PeaceLink, in occasione della visita italiana di Vladimir Putin il 5 nomevbre 2003 ha messo a disposizione su internet un "libro nero" di 70 pagine per denunciare i crimini di guerra, le violazioni dei diritti umani e le fosse comuni della Cecenia.

Il dossier realizzato nel 2000 e' stato riproposto in una versione approfondita e attualizzata fino alle recenti elezioni politiche che si sono svolte in Cecenia il 5 ottobre 2003.

La versione aggiornata del dossier e' disponibile all'indirizzo:

http://italy.peacelink.org/dossier/articles/art_2199.html


DOSSIER CECENIA GIUGNO 2000

Per pubblicare questo testo o parte di esso e' necessario chiedere conferma all'autore in merito alla possibilita' di utilizzo del materiale, scrivendo all'indirizzo c.gubitosa@peacelink.it

Sono gradite osservazioni, suggerimenti e correzioni, da segnalare all'indirizzo di posta elettronica o al numero di telefono riportato in precedenza.

13 giugno 2000


INDICE

=====================================================================

PREMESSA

Quando ho iniziato la realizzazione di questo dossier, la mia intenzione era semplicemente quella di denunciare la violenza subita dalla popolazione civile della Cecenia e la nostra indifferenza di fronte a questa violenza, ma andando piu' a fondo nei complessi meccanismi della guerra in Cecenia mi sono reso conto che la mia denuncia, per risultare credibile, avrebbe dovuto prendere in considerazione anche i "perche'" e non solo i "come" della guerra. La realta' in cui mi ero immerso era molto piu' complicata di quanto credessi, e per fare ordine in questa complessita' si e' fatto strada in me il bisogno di un'analisi di tipo storico e politico. Parlare solo dei profughi, senza interrogarmi sulla storia del loro esodo e sulle scelte politiche che hanno trascinato migliaia di persone in una guerra che non hanno voluto, mi e' sembrato uno sterile atto di pietismo che non consente una vera rimozione delle cause di questo conflitto che ancora oggi continua a mietere vittime.

Purtoppo credo che ogni analisi storica e politica risenta inevitabilmente della percezione della storia e della politica di chi la scrive, e il mio timore e' stato quello di realizzare un documento che potessere essere giudicato come un documento "di parte" e non sufficientemente obiettivo. Consapevole di questo rischio, ho cercato di realizzare il dossier sulla Cecenia cercando di dividere nettamente la mia analisi politica dalla mia esperienza concreta, le cose che ho visto e sentito dall'interpretazione che ne ho dato a posteriori, i fatti oggettivi dalle opinioni personali. Nell'era dell'informazione globale di fronte ad ogni guerra c'e' bisogno anche di buon giornalismo, di qualcuno che si chieda perche' la guerra accade anziche' descrivere semplicemente la cronaca di guerra presentando una serie di fatti slegati tra loro. E' per questo che non sono riuscito a raccontare semplicemente come stanno i profughi o cosa fanno i russi, ma ho sentito l'esigenza di capire perche' i profughi stanno cosi' e perche' i russi hanno scatenato questa guerra.

Quello che state per leggere e' il frutto delle mie notti insonni passate a scartabellare appunti durante il mio soggiorno in Caucaso, mentre cercavo di esorcizzare l' angoscia e l'impotenza davanti all'insensatezza della guerra cercando di capire, facendo domande, incrociando le informazioni di articoli e comunicati, rileggendo gli appunti presi durante il giorno nei campi profughi e nel corso degli incontri con gli operatori umanitari. Con quello che ho scritto tuttavia non pretendo assolutamente ne' di aver fatto necessariamente del buon giornalismo, ne' di dare risposte definitive o interpretazioni universali. Entrando nel cuore di una guerra ho imparato a diffidare di chi pretende di spiegarti un conflitto con una cartina, un righello, una mappa geopolitica e qualche brillante considerazione. La prima cosa da capire di una guerra e' che non si riuscira' mai a capirla fino in fondo. Cio' nonostante, spero che con tutti i limiti congeniti alla nascita di questo dossier la mia esperienza e le mie riflessioni possano essere utili a tutti coloro che vorranno avvicinarsi ai problemi della Cecenia e del Caucaso, se non altro per iniziare a maturare dei dubbi, delle domande e delle curiosita', ingredienti indispensabili per comprendere davvero qualsiasi vicenda umana.

Carlo Gubitosa


CRONOLOGIA DELLE DUE GUERRE IN CECENIA - 1989/2000

A cura di Carlo Gubitosa. Per le fonti utilizzate si rimanda all'
appendice.

1989-1991 Con la caduta del muro di Berlino, inizia un processo di disgregazione dell'Unione Sovietica. Diversi territori dell'Unione proclamano la loro indipendenza e l'autonomia dal governo centrale di Mosca.

Il 23 novembre 1990 iniziano in Cecenia i lavori di una conferenza nazionale. La conferenza si svolge nella capitale cecena, Grozny, dove si riunisce un gruppo di delegati in rappresentanza di tutti i gruppi etnici della Cecenia. Al termine dell'incontro, il 25 novembre del '90, i delegati della conferenza proclamano la separazione della Cecenia dall'Unione Sovietica, con una "dichiarazione di indipendenza e sovranita'" ratificata all'unanimita' dal parlamento della Repubblica Cecena il 27 novembre dello stesso anno.

Nell'agosto del 1991, Dzokar Dudayev, un ex generale dell'aviazione sovietica, sale al comando della Cecenia grazie ad un colpo di stato. Il 27 ottobre la conquista del potere da parte di Dudayev viene ufficializzata da un referendum con cui il popolo ceceno approva la dichiarazione di indipendenza del novembre '90 e assegna a Dudayev la presidenza della Repubblica Indipendente Cecena con l'84% dei voti. Il 2 novembre il parlamento sovietico dichiara illegale l'elezione di Dudayev.

Alla mezzanotte del 31 dicembre 1992 l'Unione Sovietica si scioglie ufficialmente. Il 13 marzo '93 viene firmato il trattato che stabilisce la nascita della Repubblica Federale Russa. La Cecenia rifiuta l'appartenenza alla Federazione Russa e decide di non firmare il trattato.

Il 2 aprile '93 il presidente Dudayev scioglie il parlamento, accentrando tutto il potere nelle sue mani. Si cerca di promuovere un referendum per dare ai ceceni la possibilita' di esprimersi sul "potere unico" del presidente, ma Dudayev stronca sul nascere il tentativo del referendum con l'intervento dei carri armati. Nei mesi seguenti la tensione in Cecenia cresce notevolmente, con un'escalation di violenza tra le forze fedeli al presidente Dudayev e quelle contrarie al suo potere. Da Mosca iniziano ad arrivare i primi segni di insofferenza.

Il 9 dicembre '94 il presidente Boris Eltsin autorizza un intervento armato contro la Cecenia, e l'11 dicembre i carri armati della Federazione Russa iniziano la loro avanzata verso Grozny. Vengono impiegati 40.000 soldati, appoggiati da aerei ed elicotteri. Il 19 gennaio '95 l'esercito russo entra a Grozny conquistando il palazzo presidenziale. La citta' viene brutalmente devastata, con migliaia di vittime tra la popolazione civile. A maggio i vertici militari russi dichiarano di aver conquistato le citta' principali e 2/3 del territorio ceceno. Cio' nonostante, nei mesi successivi inizia una delle piu' grandi sconfitte nella storia militare della Russia.

Gli attacchi dei ceceni costringono al ritiro le truppe della federazione, che cercano un accordo con i guerriglieri. Il generale russo Aleksandr Lebed si incontra a Khasavjurt, in Daghestan, con Aslan Maskhadov, portavoce della repubblica Cecena, per la firma di un accordo di pace. Maskhadov, ex capo di stato maggiore del'esercito ceceno, verra' eletto presidente il 27 gennaio '97, prendendo il posto di Dudayev, ucciso il 21 aprile '96 nel corso di un attacco aereo, e sostituito da Zelimkhan Iandarbev fino all'elezione di Maskhadov.

Il 27 agosto 1996 la firma dell'accordo di pace pone fine al primo sanguinoso conflitto tra la Cecenia e la Federazione Russa, una guerra durata 21 mesi e pagata con la vita di piu' del 10% della popolazione cecena e di circa 70 mila soldati russi.

L'accordo di pace dell'agosto '96 non e' tuttavia sufficiente per risolvere definitivamente la questione cecena. il testo firmato a Khasavjurt da Lebed e Maskhadov prevede semplicemente un periodo di 5 anni per definire lo statuto della Cecenia, e le posizioni delle due parti in conflitto rimangono inconciliabili Mosca continua a non riconoscere la sovranita' della Cecenia e gli indipendentisti, in virtu' del loro parziale successo militare contro le truppe della Federazione Russa, sono sempre piu' decisi nei loro propositi di distacco dalla federazione.

Nei mesi successivi all'accordo di pace la violenza in Cecenia non accenna a diminuire, a causa della crescente attivita' di alcune fazioni estremiste dell'esercito. Nell'estate del 1998 queste tensioni esplodono in una vera e propria battaglia tra le truppe regolari e i gruppi armati legati al fondamentalismo islamico. L'esercito regolare riesce ad avere la meglio, e il presidente Maskhadov annuncia di voler imporre forti restrizioni sulle attivita' delle milizie estremiste, ma pochi giorni dopo viene ferito in un attentato dove perdono la vita le sue guardie del corpo.

L'8 agosto '99 le milizie di Shamil Bassaev invadono la repubblica del Daghestan, cercando di instaurare uno "stato islamico" attraverso un raid militare. Costretti in un primo momento a ritirarsi, gli uomini di Bassaev compiono un altro fallimentare tentativo a settembre. Nell'autunno del '99 le citta' di Mosca, Volgodonsk, Buinaksk e Vladikavkaz sono sconvolte da una serie di attentati dinamitardi nel corso dei quali perdono la vita circa 300 persone. Le esplosioni vengono immediatamente attribuite a "terroristi ceceni".

Il 23 settembre '99 la Russia da' il via ad una nuova campagna militare contro la Cecenia, con una serie di attacchi aerei. Il primo ottobre le truppe russe entrano nel territorio ceceno, e il 16 dello stesso mese inizia l'avanzata verso Grozny. Il 23 ottobre le truppe russe chiudono la frontiera tra la Cecenia e l'Inguscezia, negando ai profughi l'unica via d'uscita.

A novembre gli Stati Uniti accusano la Russia di violazione delle convenzioni di Ginevra, e in autunno anche Amnesty International pubblica un rapporto sulla situazione in Cecenia, in cui si richiede "che il governo russo rispetti il diritto internazionale umanitario in materia di protezione di civili durante conflitti armati".

Il 6 dicembre '99 Boris Eltsin lancia un ultimatum agli abitanti di Grozny hanno a disposizione cinque giorni di tempo per evacuare la citta'. Il 18 dicembre le truppe russe entrano a Grozny, e la citta' si trasforma in un enorme campo di battaglia. Una lunga serie di raid aerei riduce la citta' a un cumulo di macerie. Durante i bombardamenti su Grozny, mentre migliaia di vittime civili vengono colpite senza pieta', l'Italia ratifica, con le leggi 398 e 397 del '99, due accordi firmati nel 1996 in merito alla cooperazione militare con la Russia.

Dal 31 marzo al 4 aprile 2000 Mary Robinson, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, visita l'Inguscezia, il Daghestan e la Cecenia, e il 5 aprile, al termine della sua visita presenta un rapporto dettagliato alla commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, in cui vengono descritte testimonianze oculari di omicidi di massa, bombardamenti di colonne di profughi e altre palesi violazioni dei diritti umani compiute dalle milizie della Federazione Russa. Nel rapporto vengono segnalate anche le violazioni dei diritti umani compiute dalle milizie cecene ai danni della popolazione civile durante l'invasione del Daghestan.


PARTE I - I PERCHE' DELLA GUERRA

L'EREDITA' DI ELTSIN

Per comprendere pienamente il contesto sociale e politico che fa da sfondo alla seconda guerra in Cecenia e' necessario innanzitutto allargare l'orizzonte a tutta la Federazione Russa e all'eredita' politica lasciata al paese da Boris Eltsin e dal suo clan.

La costituzione adottata dalla Federazione Russa nel 1993, con un referendum definito truccato da molti osservatori, ha fatto da cornice legale ad un potere autoritario e centralistico, concentrando tutti i poteri nelle mani del presidente. In base a questa costituzione l'attivita' del Parlamento e' fortemente condizionata dalla minaccia permanente di un possibile scioglimento da parte del presidente, e la stabilita' del governo, anch'esso nominato direttamente dal presidente, e' direttamente proporzionale alla sua docilita'.

Il forte accentramento dei poteri nelle mani dell'entourage presidenziale e' stato il terreno fertile in cui si e' sviluppata la corruzione e il malgoverno di questa "democrazia di carta", dove i diritti dei cittadini sono perfettamente tutelati sulle carte dei documenti ufficiali, ma allo stesso tempo questi diritti faticano a trovare una realizzazione pratica da parte delle istituzioni. Ai diritti di carta non corrispondono dei diritti concreti, applicati nella vita quotidiana delle persone a tutela dei cittadini.

Un'altra delle conseguenze di questa politica centralista e accentratrice e' stata la "privatizzazione" dell'economia, intesa come gestione privata e personalistica da parte del presidente delle attivita' economiche del Paese, una gestione spesso mirata alla conquista di benefici personali o all'accrescimento del potere politico.

Interi settori dell'economia e del commercio interno ed estero sono stati concessi a gruppi locali di potere distribuiti su base territoriale, in cambio del loro appoggio politico. Nella regione del Caucaso questo sistema di gestione delle attivita' economiche ha fatto si' che i vertici del Cremlino, in cambio del sostegno al loro potere, chiudessero un occhio sulle attivita' illecite dei clan locali, che in virtu' del loro appoggio politico potevano liberamente spartirsi le attivita' economiche piu' redditizie (banche, petrolio, armi, droga, caviale, alcol, tabacco). Questo "patto dannato" tra i notabili di Mosca e i gruppi di potere locali ha provocato una progressiva perdita di potere e autorita' delle istituzioni federali e locali, che diventavano sempre piu' incapaci di imporre l'efettiva applicazione delle leggi.

A fare le spese di questa illegalita' diffusa sono stati soprattutto gli strati piu' deboli della popolazione, esclusi dal colossale giro di affari che legava il mondo politico ai gruppi di potere locali. L'assenza di ordine e di controllo, la mancanza di legalita' e il banditismo diffuso hanno portato nel breve periodo dei benefici economici per una parte ristretta della popolazione legata ai traffici dei clan locali, ma nel lungo periodo questa "assenza di stato" e di giustizia ha inasprito le tensioni economiche e sociali, esponendo i giovani alle tentazioni del nazionalismo o dell'integralismo islamico, che per molte persone rappresentano tuttora una delle poche risposte concrete al crescente disagio sociale e al bisogno di stabilita'.

Va sottolineato che il fenomeno del banditismo, l'affermarsi della legge del piu' forte al di sopra delle leggi federali, l'aumento della delinquenza e dei traffici illeciti non sono fenomeni ristretti alla sola Cecenia o al Caucaso, ma sono ormai un male diffuso in tutto il territorio della Federazione, un male che in Caucaso e in Cecenia si e' purtroppo espresso in forma cronica. La seconda guerra in Cecenia affonda profondamente le sue radici in questo sistema e nell'assenza di uno stato di diritto e di una legalita' che siano all'altezza dei principi democratici stabiliti sulla carta. Da parte loro, i governi occidentali hanno rifiutato sistematicamente di prendere in considerazione qualsiasi informazione sul livello di corruzione e illegalita' della societa' russa. Il caso piu' eclatante e' forse quello di un rapporto della Central Intelligence Agency (CIA) rispedito bruscamente al mittente dal vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore.

DOPO LA PRIMA GUERRA

Dopo aver analizzato il contesto politico, legale e sociale della Federazione Russa, alla luce delle strategie adottate dal clan di Boris Eltsin, e' necessario capire quali sono state le particolari condizioni che in Cecenia hanno aggiunto al disagio e all'illegalita', presenti anche negli altri territori della federazione, l'esplosione di un violento conflitto armato. Le origini della colossale ondata di violenza che ha devastato la Cecenia sono molteplici, e sarebbe semplicistico ridurre un problema cosi' complesso ad una "guerra partigiana" per la rivendicazione dell'indipendenza e dell'autonomia di un territorio. Gli interessi legati a questa guerra hanno davvero ben poco a che vedere con la lotta per la liberta'.

La II guerra in Cecenia e' un intreccio complesso di molteplici tensioni che attraversano tutto il Caucaso, e che in Cecenia hanno trovato un punto di convergenza e di coagulazione, esplodendo in forma violenta. In base ai documenti che ho esaminato, ai colloqui effettuati con gli operatori umanitari coinvolti nell'emergenza cecena e in base alle esperienze personali vissute a Mosca, in Cecenia e in Inguscezia, ho individuato cinque fattori che, a mio giudizio, sono stati gli "ingredienti" esplosivi che miscelandosi tra loro hanno provocato in Cecenia l'esplosione di questo conflitto tremendo e sanguinoso. Queste componenti del conflitto possono essere descritte brevemente come l'affermarsi in territorio ceceno del potere delle bande armate, la crescente influenza del fondamentalismo islamico nella regione, l'importanza strategica del Caucaso per la Russia, i forti interessi economici legati al transito del petrolio negli oleodotti, la necessita' di creare un "nemico esterno" per affermare con il pugno di ferro l'autorita' del potere centrale di Mosca e dell'"uomo forte" chiamato alla guida del paese.

LA GUERRIGLIA E LE BANDE ARMATE

Per capire l'effettiva natura dei gruppi armati della Cecenia e il loro ruolo nell'esplosione della guerra bisogna fare un passo indietro fino al termine della I guerra in Cecenia, il 27 agosto del 1996. In questa data il generale russo Aleksandr Lebed incontra Aslan Maskhadov per la firma dell'accordo di pace che pone fine alla guerra 1994/96. Maskhadov incontra Lebed in qualita' di rappresentante della Cecenia su mandato di Zelimkhan Iandarbev, che aveva sostituito il presidente Djokhar Dudaev ucciso il 21/4/96 nel corso di un attacco aereo.

Nei mesi che vanno dalla firma dell'accordo di pace all'elezione di Maskhadov come presidente della Cecenia l'assetto politico e militare del paese si delinea chiaramente. Ogni fazione dell'esercito sfrutta a proprio beneficio l'assenza di una autorita' in grado di mantenere il controllo della situazione, e in attesa delle elezioni presidenziali ognuno prende per se' tutto il potere che riesce a conquistare.

L'esercito si spacca in una moltitudine di piccole bande armate, che rappresentano gli interessi del proprio capobanda anziche' quelli della popolazione. In questa galassia di fazioni militari, nate dalla frammentazione dell'esercito, si possono distinguere tre componenti gruppi moderati sinceramente indipendentisti, legati alla figura di Maskhadov, bande armate che nascondono dietro la lotta per l'indipendenza i loro traffici criminali e mafiosi (i cui proventi finiscono in gran parte a Mosca), milizie legate al fondamentalismo islamico e guidate da Shamil Bassaev, Amir Khattab e altri leader.

Saranno proprio le componenti islamica e banditesca dell'esercito ad impedire la stabilizzazione della Cecenia, e a preparare il terreno di illegalita' e violenza che Mosca ha "seminato" in seguito a suon di bombe. Il 27/1/97, quando Maskhadov viene eletto presidente della Cecenia, ormai i giochi sono fatti le bande armate hanno gia' affermato il loro potere su tutto il territorio ceceno, e stabilito le loro rispettive zone di influenza.

Anche dopo la sua elezione Maskhadov puo' fare ben poco per modificare questi equilibri di forze, stretto tra le aspre critiche dei moderati, che gli rimproverano la sua mancanza di intransigenza contro le forze estremiste dell'esercito, e l'impraticabilita' di uno scontro frontale contro queste forze.

Nell'estate del 1998 queste tensioni esplodono in una vera e propria battaglia. L'esercito ufficiale ceceno riesce ad avere la meglio sui gruppi armati islamici, e il presidente Maskhadov annuncia di voler imporre forti restrizioni sulle attivita' di questi gruppi, ma pochi giorni dopo viene ferito in un attentato dove perdono la vita le sue guardie del corpo, ed e' costretto a ridimensionare i suoi propositi di opposizione contro le fazioni estremiste dell'esercito.

A partire dalla firma dell'accordo di pace del 1996 gli interessi delle bande armate cecene si scontrano con quelli di Mosca, che vorrebbe affidare il controllo delle attivita' in Cecenia ai propri uomini di fiducia. Man mano che i gruppi militari ceceni diventano sempre piu' potenti, questo conflitto di interessi continua a inasprirsi.

Uno dei fattori che ha contribuito all'esplosione della violenza in Cecenia e' proprio questa macroscopica "guerra tra gang" dove la posta in gioco nello scontro tra bande e' il controllo delle attivita' economiche e commerciali di una intera regione geografica. La popolazione civile e' stata solo una pedina sacrificabile di questo scontro, schiacciata in mezzo a sporchi giochi di potere. In questa chiave di lettura i traffici illeciti delle fazioni estremiste dell'esercito ceceno hanno rappresentato un vero e proprio tradimento di quello spirito indipendentista che ha animato molti giovani guerriglieri nella guerra 1994/96, uno spirito strumentalizzato dai capibanda dei gruppi armati per raggiungere obiettivi che non hanno niente a che vedere con la liberta', l'indipendenza e la tutela della popolazione cecena. Questi assassini travestiti da partigiani non si sono fermati nemmeno davanti alla prospettiva di un nuovo e sanguinoso conflitto pur di salvaguardare a tutti i costi i propri interessi. Il protrarsi di una situazione di conflitto armato in Cecenia torna a tutto vantaggio di questi "signori della guerra", che riescono a gestire con piu' facilita' i loro traffici, disponendo di un potere vessatorio che utilizzano a danno delle popolazioni inermi.

LA "GUERRA SANTA" DELL'ISLAM IN CECENIA

Oltre alla violenza delle bande armate e delle fazioni estremiste dell'esercito, un'altra causa della guerra e' legata al fondamentalismo islamico, una potente benzina che in Cecenia alimenta costantemente il fuoco della violenza. In Cecenia e nel vicino Daghestan sono molte le organizzazioni politiche e i gruppi armati che fanno riferimento all'Islam; il gruppo fondamentalista che negli ultimi anni ha acquisito la piu' grande potenza economica e militare nella zona del Caucaso e' quello degli "wahhabiti", che devono il loro nome alla setta islamica puritana della penisola arabica fondata nel XVIII secolo dal predicatore Mohamad Ibn Abdelwahhab. I wahhabiti del 2000 sono dei gruppi armati che hanno tra i loro leader Shamil Bassaev e Amir Khattab, due capi militari che dietro il loro fondamentalismo religioso nascondono interessi inconfessabili legati ad attivita' illecite. Khattab, dopo un periodo trascorso in Afghanistan, approda in Cecenia negli ultimi mesi della prima guerra, e inizia a reclutare il suo esercito personale di milizie islamiche, che al termine della guerra diventera' una delle fazioni piu' potenti delle forze armate.

Bassaev inizia la sua carriera militare nel 1992, quando l'Abkhazia da' il via ad una guerra di indipendenza contro la Georgia. Dopo la guerra diventa addirittura vice-ministro della difesa di Abkhazia, presumibilmente grazie ad una collaborazione con il GRU (Glavnoe Rasvedivatelnoe Upravlenie), il servizio segreto militare russo. I rapporti tra Bassaev e il Gru sono stati ampiamente documentati nella ricostruzione della guerra in Abkhazia fatta nel febbraio 2000 da Piotr Prianishinikov, sul settimanale "Versija".

Le "relazioni pericolose" di Bassaev includono anche esponenti di spicco del mondo dell'alta finanza di Mosca, come ad esempio Boris Berezovski, finanziere vicino alla famiglia Eltsin, che ha pubblicamente ammesso di aver elargito dei finanziamenti a Bassaev per le sue attivita'. Bassaev, Khattab e le loro milizie islamiche ricevono fondi dall'Afghanistan, dal Pakistan e da organizzazioni clandestine del medio oriente, ma altri finanziamenti ai gruppi armati wahhabiti arrivano anche da Mosca.

Bassaev ha piu' volte invocato la "jihad", la guerra santa islamica, come soluzione definitiva ai problemi della Cecenia e del Caucaso in generale, facendo leva sugli strati piu' deboli della popolazione. Molti giovani ceceni sono stati attratti dalle seduzioni del fondamentalismo islamico e hanno cercato nell'Islam, oltre al loro stipendio di soldati, quell'ordine, quella stabilita' e quella sicurezza che non riuscivano a trovare altrove, senza sapere che i loro stessi comandanti avrebbero contribuito all'esplosione di una nuova guerra, strumentalizzando la loro aspirazione a migliori condizioni di vita e distruggendo il loro sogno di una societa' piu' giusta e pacifica retta dalla "sharia", la legge islamica.

Nell'estate del 1999 Bassaev e Khattab danno il via ad una campagna militare in grande stile, un raid sul Daghestan fallimentare, insensato e provocatorio, compiuto all'insaputa e senza il consenso del Presidente Maskhadov. Per incoscienza o per calcolo, le milizie islamiche regalano a Vladimir Putin un ottimo pretesto per stringere ancora una volta il pugno di ferro della Federazione Russa attorno alla Cecenia.

E' importante chiarire che le truppe islamiche di Bassaev e Khattab non sono affatto dei gruppi di partigiani che lottano per la liberta' e l'indipendenza dei ceceni. Si tratta invece di una ristretta minoranza all'interno del paese, una minoranza purtroppo molto potente e ben armata, che non rappresenta assolutamente ne' la popolazione della Cecenia ne' l'esercito regolare, che si e' trovato a dover combattere suo malgrado una guerra provocata da altri.

L'8 agosto 1999 Bassaev e Khattab, alla testa del loro esercito, invadono la repubblica del Daghestan, cercando di instaurare uno "stato islamico" nei territori di frontiera tra Cecenia e Daghestan, un obiettivo che non ha nulla a che vedere con la tutela della popolazione cecena o con l'affermazione della sua indipendenza, ma che riguarda unicamente le mire espansionistiche e la sete di potere dei fondamentalisti islamici.

Dopo un primo tentativo, fallito per l'opposizione della popolazione locale all'invasione islamica, la "guerra santa" riparte a settembre, e anche il secondo tentativo fallisce miseramente.

Il primo ottobre le truppe russe entrano in Cecenia per dare il via, con il pretesto della "lotta al terrorismo", ad un folle massacro di civili inermi.

LA LOTTA PER L'UNITA' DELLA RUSSIA

Un'altra delle partite attualmente in gioco sulla scacchiera del Caucaso e' quella per la repressione delle velleita' separatiste in Cecenia e in altre regioni della Russia. Dopo la disgregazione dell'Unione Sovietica, anche nella Federazione Russa iniziano a manifestarsi i sintomi di una possibile frammentazione, che i vertici del Cremlino stanno cercando di impedire con tutti i mezzi a loro disposizione, in nome dell'unita' della "Grande Russia".

Per la Russia perdere il controllo sulla Cecenia non significherebbe solamente rinunciare ad un territorio di grandissima importanza strategica, ma sarebbe anche un pericoloso precedente, un "cattivo esempio" per altre regioni che potrebbero decidere di seguire le orme della Cecenia avviandosi verso il separatismo, l'autonomia e il distacco dalla Federazione.

Un taglio netto del cordone ombelicale che lega la Cecenia alla Russia potrebbe scatenare una reazione a catena, alimentando le velleita' separatiste di territori islamici come il Tatarstan, il Bashkortostan e il Daghestan, o di zone buddiste come la Kalmukkia e la Burjatia.

La guerra in Cecenia e' stata anche questo uno straordinario "collante" che ha scongiurato, o piu' probabilmente solo rimandato, il pericolo della disgregazione di una federazione corrosa al suo interno dal malgoverno, dalla corruzione e dalla criminalita'.

QUANTO SANGUE COSTA UN LITRO DI BENZINA ?

La guerra in Cecenia e' stata anche una guerra per il controllo delle "vie del petrolio" nel Caucaso, una guerra con cui la Russia ha voluto rispondere all'"affronto geopolitico" rappresentato dalla recente costruzione di nuovi oleodotti che consentirebbero dei "percorsi alternativi" per il trasporto del greggio dal mar Caspio al Mediterraneo.

Il transito del petrolio e del gas naturale che viaggiano dal Caspio per raggiungere l'Europa e' stato da sempre in mano alle grandi compagnie petrolifere della Russia, grazie al controllo dell'oleodotto che collega Baku, citta' situata in Azerbaigian sulle rive del Caspio, a Novorossijsk, che si affaccia sul mar Nero.

Fino a pochi mesi fa questa "pipeline", rimessa in funzione nel novembre 1997 dopo un compromesso con le autorita' cecene, era l'unica via di transito per il petrolio e il gas naturale, e garantiva alla Russia un monopolio di fatto nel settore energetico, che costituisce il 23% delle esportazioni e il 12% del prodotto interno lordo della federazione.

Il 17 aprile 1999 l'apertura di un nuovo oleodotto ha modificato radicalmente l'equilibrio geopolitico della zona, creando una nuova via di transito per le risorse energetiche, un percorso che attraversa territori autonomi al di fuori della Federazione, su cui la Russia non ha un controllo diretto. Questa nuova "pipeline", che parte da Baku per raggiungere Supsa, porto della Georgia sulle rive del mar Nero, ha di fatto aperto una prima breccia nel monopolio russo. Oltre ad avere una valenza economica e geopolitica, questa nuova "via del petrolio" ha anche una forte valenza militare, poiche' l'oleodotto Baku-Supsa rientra di fatto nel sistema di sicurezza Nato, grazie ad una alleanza militare regionale tra Georgia, Ucraina, Azerbaigian e Moldavia, i cosiddetti "stati del GUAM", dal nome delle iniziali dei paesi. Questi stati hanno richiesto una stretta cooperazione con la Nato, che ha accolto favorevolmente la proposta di un intervento nella zona per difendere il nuovo oleodotto, dal momento che i paesi dell'alleanza atlantica avrebbero tutto l'interesse ad estromettere la Federazione Russa dal giro di affari legato al transito del petrolio e del gas naturale.

L'oleodotto Baku-Supsa non e' l'unica minaccia agli interessi della Russia nel settore energetico. Nel novembre 1999 Turchia, Azerbaigian e Georgia hanno annunciato la firma di un accordo per la costruzione di una "via turca" del petrolio, che in futuro dovrebbe collegare Baku al porto turco di Ceyhan, che affaccia direttamente sul mediterraneo. Anche questo oleodotto sarebbe automaticamente collocato nel sistema di sicurezza della Nato, e i consorzi che presiedono alla sua realizzazione hanno previsto investimenti per 7 miliardi di dollari.

L'elenco dei principali finanziatori del progetto comprende, oltre ai governi della Turchia e dell'Azerbaigian, anche Eni, Chevron, Shell e Unocal. Tra le cause del secondo conflitto in Cecenia c'e' anche lo scontro tra gli interessi della Russia e quelli delle potenze occidentali che si sono unite agli stati del GUAM per il controllo del transito del petrolio. In questo scontro la Cecenia e' un territorio di fondamentale importanza strategica, situato su uno degli snodi chiave della linea Baku-Novorossijsk, un punto di passaggio che la Russia non puo' permettersi assolutamente di perdere se vuole restare in gara per la supremazia nel settore energetico.

La prima risposta della Russia all'affronto geopolitico rappresentato dai nuovi oleodotti e' stata questa campagna militare che ha sottomesso con la forza un "pezzo di oleodotto" che minacciava di andarsene per conto proprio. Un'altra risposta alle nuove rotte del petrolio che aggirano la Russia a sud sara' probabilmente il completamento di un nuovo oleodotto russo, la cui costruzione e' iniziata nel maggio 1999, che trasportera' fino a Novorossijsk il petrolio estratto in Kazakistan sul lago Tenghiz.

UNA GUERRA SU MISURA

L'aspetto piu' inquietante di questa guerra e' la possibilita' che l'offensiva scatenata contro la Cecenia sia stata una forma perversa di "campagna elettorale", progettata freddamente a tavolino e costruita sulla pelle di migliaia di civili, per creare attorno a Vladimir Putin, uomo di fiducia di Eltsin, il consenso di cui aveva bisogno per conquistare la presidenza della Federazione.

Oltre allo sconfinamento in Daghestan delle milizie islamiche, un altro pretesto con cui si e' cercato di legittimare la seconda guerra in Cecenia e' stata la "lotta al terrorismo" intrapresa dalla Russia nell'autunno '99, in seguito alla serie di attentati dinamitardi che ha causato circa 300 vittime nelle citta' di Mosca, Volgodonsk, Vladikavkaz e Buinasks.

E' opinione diffusa che questa serie di attentati, e il conseguente bombardamento della Cecenia, possano far parte di una "strategia della tensione" russa con la quale il clan di Boris Eltsin ha cercato a tutti i costi di conservare il potere. La guerra in Cecenia nata dalla lotta al terrorismo potrebbe essere un conflitto contro un nemico esterno creato ad arte per distogliere l'attenzione da altri gravi problemi che affliggono la federazione instabilita', assenza di ordine, corruzione.

L'improvvisa ascesa della popolarita' di Putin, che si e' posto davanti agli elettori come l'"uomo forte" in grado di mantenere l'unita' della federazione e di reprimere il terrorismo, potrebbe essere proprio la diretta conseguenza della creazione artificiosa di questo "nemico esterno" che ha risvegliato nella popolazione il desiderio di un leader forte in grado di imporre l'ordine e la giustizia con il pugno di ferro.

In questo processo anche i mezzi di informazione russi hanno giocato un ruolo fondamentale. La campagna militare contro la Cecenia e' stata accompagnata da una campagna di disinformazione altrettanto massiccia e sistematica, che ha portato alle stelle il consenso verso le "maniere forti" di Putin alimentando l'odio e la paura dei russi nei confronti dei ceceni, dipinti come una popolazione composta unicamente da criminali e terroristi spietati. In un rapporto dell'autunno '99 Amnesty International ha espresso la sua preoccupazione perche' la risposta del governo russo agli attentati dinamitardi "sembra essere una campagna per punire un intero gruppo etnico"

"Dite all'Italia che non siamo dei terroristi". Parlando con i profughi ceceni ammassati nei campi dell'Inguscezia ho sentito questa frase molte volte, e ogni volta ho ripetuto che fortunatamente l'equazione "ceceno uguale terrorista" non era ancora radicata nell'opinione pubblica italiana.

Purtroppo in Russia questa campagna di criminalizzazione mediatica ha avuto un pieno successo. La protesta contro la seconda guerra in Cecenia e' stata molto piu' debole della protesta contro il primo intervento armato, in occasione del quale una larghissima fetta dell'opinione pubblica aveva manifestato la sua disapprovazione verso la guerra. Questo effetto e' dovuto anche e soprattutto all'azione dei mezzi di informazione, a cui e' mancata la capacita' o la volonta' di distinguere tra la popolazione cecena nella sua interezza e una minoranza di gruppi armati e terroristici

Per quanto riguarda l'ondata di attentati terroristici che ha fatto da preludio alla guerra, allo stato attuale delle cose non ci sono prove che questi attentati siano stati organizzati ad arte per favoorire l'ascesa di un potere autoritario. E' un dato di fatto, tuttavia, che Vladimir Putin ha indubbiamente saputo sfruttare a proprio vantaggio lo stato d'animo creato nell'opinione pubblica dalle esplosioni terroristiche, indipendentemente da chi abbia commissionato e progettato queste esplosioni.

Anche se non si dispone ancora di prove incontrovertibili, esistono tuttavia alcuni elementi degni di essere presi in considerazione per capire meglio il collegamento tra gli atti terroristici dell'autunno '99 e la guerra in Cecenia.

Il 29 ottobre '99 David Satter, membro dello Hudson Institute e della Scuola di studi internazionali avanzati della John Hopkins University, in un articolo apparso sul "Washington Times" affermava che "via via che l'investigazione procede, la possibilita' che le esplosioni siano state pianificate da elementi della leadership russa diventa piu' plausibile". A gennaio del 2000 il giornale inglese "The Independent" ha pubblicato inoltre la confessione di Aleksei Galtin, un ufficiale del Gru secondo il quale il servizio segreto militare russo sarebbe coinvolto negli attentati terroristici dell'autunno '99.

Un altro indizio inquietante e' contenuto in un articolo di Giulietto Chiesa pubblicato su "la rivista del manifesto" nel numero di maggio 2000. Secondo la ricostruzione fatta da Chiesa tutti gli attentati dinamitardi sarebbero stati effettuati utilizzando exogene, un esplosivo impiegato dalle forze armate russe per la nuova generazione di proiettili d'artiglieria.

Gli investigatori hanno affermato che per ogni bomba era stata utilizzata una quantita' di exogene variabile tra i 200 e i 300 chili. Oltre alle quattro esplosioni effettivamente avvenute, le autorita' russe hanno dichiarato di aver scongiurato l'esplosione di altre cinque bombe. Risulta quindi che gli attentatori avrebbero utilizzato almeno 1800 chili di exogene, un esplosivo che in Russia si produce unicamente nella fabbrica di Perm, situata negli Urali.

Come abbia fatto un gruppo di terroristi ceceni a trafugare 18 quintali di esplosivo da una fabbrica top secret e a portare tranquillamente in giro per varie citta' della Russia tutto questo esplosivo, rimane tuttora un mistero.

Molti esponenti di ONG e organizzazioni umanitarie con cui ho parlato durante il mio soggiorno in Russia e in Cecenia mi hanno confermato la possibilita' che la serie di attentati dell'autunno '99 sia stata una provocazione realizzata da persone estranee alla guerriglia cecena.

Ho avuto inoltre la possibilita' di esaminare un rapporto interno di una organizzazione non governativa, che evito di nominare per ragioni di sicurezza e di tutela delle fonti, un rapporto nel quale e' scritto testualmente che "ci sono alcune prove circostanziali del coinvolgimento dei servizi segreti russi nell'organizzazione degli attentati terroristici che hanno ucciso piu' di 300 persone".

Questi sospetti, condivisi da numerosi giornalisti e analisti politici, sono diffusi anche tra la gente comune. Commentando questo insieme di indizi che collegano gli attentati dinamitardi ai servizi segreti russi, Giulietto Chiesa ha rilevato che "forse si e' trattato di una coincidenza. Ma se e' stato cosi', si deve dire che e' stata una coincidenza davvero fantastica. Forse non e' stata una coincidenza, e allora bisogna tenersi forte, perche' gente che si spinge fino a questi lidi e' capace di compiere ogni crimine, perfino quelli che l'uomo comune non e' in grado nemmeno di immaginare".

Nel frattempo le indagini per individuare i responsabili degli attentati sono a un punto morto. A mesi di distanza dalle esplosioni, non si sa neppure se le autorita' di Perm hanno ritenuto opportuno aprire un'inchiesta nei confronti dei responsabili della fabbrica di exogene. La Russia, intanto, sembra avviata ad un ingresso trionfale nell'Unione Europea. Mentre scrivo queste righe Vladimir Putin e' stato ricevuto con tutti gli onori dal Vaticano e al Quirinale, e la cooperazione economica e militare tra l'Italia e la Russia va a gonfie vele. In occasione della visita di Putin in Italia, Don Renato Sacco, consigliere nazionale di "Pax Christi" e parroco di tre paesini della provincia di Verbania, ha indirizzato una lettera alle massime autorita' dello stato denunciando "chi ha fatto della guerra in Cecenia il suo trampolino di lancio politico, interno e internazionale, e ora viene ricevuto a Roma con tutti gli onori". Nella sua lettera Don Renato ha proposto inoltre che fossimo invitati anche noi all'incontro con Putin, in quanto "unica presenza italiana" in Cecenia.

In effetti, un incontro diretto con Putin e Ciampi forse sarebbe un onore troppo grosso per me, e confesso che avrei un certa perplessita' a partecipare a questo incontro, soprattutto se l'etichetta diplomatica mi imponesse di stringere delle mani sporcate col sangue di migliaia di vittime civili. Per il momento, come ricompensa da parte dello stato per la mia presenza in Cecenia mi accontento delle seimila lire al giorno che mi spettano come paga in quanto obiettore di coscienza.

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